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LA RIVISTA.....

Post n°75 pubblicato il 25 Febbraio 2009 da amministratore_blog

Sembrava essersi compiuta un'evoluzione, a sinistra: ora abbiamo davanti un'involuzione della destra....
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Nei gorghi della crisi, c'è un sottobosco ideologico che assapora il piacere della rivincita. Sull'ultimo numero di Prospect, rivista chic dell'establishment britannico, Phillip Blond ha lanciato la provocazione di un "red Tory movement". Battitore libero all'interno del think-tank Demos, Blond suggerisce a David Cameron una ricetta ideologica più tremontiana che thatcheriana, nel segno di una discontinuità forte prima ancora che con la sinistra, col sempre incombente fantasma della Lady di ferro. Blond è un teologo, formatosi fra Warwick e Cambridge, e fino a due mesi fa un personaggio di dignitoso secondo piano, nel magmatico universo culturale conservatore. Per balzare all'onore delle cronache, ha raccolto il testimone dell'autore de La paura e la speranza. Solo che mentre Tremonti affondava il coltello nella carne tremula di un liberismo improvvisato e posticcio, vissuto e pensato come un sistema di idee compiuto e coerente da una minoranza risicata nel centro-destra italiano, Blond si intesta ben altro nemico.
Quando Margaret Thatcher finì per un caso della storia alla guida del partito conservatore, fu l'inizio di un fecondo terremoto ideologico. I Tory non erano mai stati il partito dell'economia di mercato. Erano il partito della terra e dell'aristocrazia, contro i Whig che tenevano per il commercio e le libertà. Patirono l'abolizione degli istituti feudali e l'ascesa della borghesia. Si trovarono brevemente dalla parte della società, contro lo Stato, quando, a fine Ottocento, i liberali cominciarono a scendere le scale verso il socialismo, piantando i semi del futuro welfare state. Nel secondo dopoguerra, da Churchill in poi, ebbero poco da ridire sull'inesorabile espansione dell'intervento pubblico, che fece dell'Inghilterra il Paese più "rosso" dell'Occidente. L'arrivo della Thatcher, e con lei di un gruppo dirigente ideologicamente votato allo smantellamento di quel poco e quel tanto di socialismo che aveva tarantolato le fondamenta del sistema inglese, fu a tutti gli effetti una rivoluzione. Finalmente, un leader politico di prima grandezza metteva nel mirino un programma di profondo cambiamento sociale, pensando di realizzarlo non con, ma contro lo Stato.
Il cambiamento profondo c'è stato. È stata la trasformazione dell'Inghilterra in una ownership society, la finanziarizzazione diffusa, il coinvolgimento delle masse nella difesa attiva di una proprietà e di un capitalismo che non erano più altro da loro: ma parte della loro vita, il carro cui gioiosamente aggiogavano le proprie prospettive di crescita e benessere. Arricchitevi, moltiplicatevi.
Questo messaggio di surreale semplicità è stato la leva che ha reso possibile un'apertura mai sperimentata prima nelle nostre società. Un investimento consapevole sulle libertà economiche, ma anche sul contatto con l'altro, sull'incontro col diverso, che pure con le libertà economiche hanno molto a che fare. L'eroe del romanzo liberista è il mercante, non il guerriero. «Eppure io non so chi sia più utile a uno Stato, se un signore bene incipriato che sa con precisione a che ora il re si alza e a che ora si corica, e che si dà arie di grandezza facendo la parte dello schiavo nell'anticamera di un ministro, oppure un commerciante che arricchisce il proprio paese, impartisce dal proprio banco ordini a Surat e al Cairo, e contribuisce al benessere del mondo». È Voltaire, che nelle sue Lettres anglaises alza preci al commercio che arricchisce i cittadini. Questa ipotesi d'eroismo borghese, questo orgoglio del fare la Thatcher portava in campo conservatore. Non a caso era la figlia di un droghiere a sancire anche una "cesura di classe" col Toryism dei grandi collegi e dei cognomi blasonati.
David Cameron, etoniano, è ancora un leader in cerca d'autore. E nella sua strepitosa abilità di camminare sulle uova, impeccabile com'è nel non lasciarsi sfuggire lo spiffero di un'idea, ha silenziosamente soffiato sul fuoco appiccato da Blond. Azzardiamo: per vedere l'effetto che fa. La proposta di Blond ha seminato paura fra le fila avversarie, facendosi riprendere e commentare sul New Statesman. Che suggerisce di nuovo? Nulla, è un ritorno al passato. Il teologo Blond fa variazioni sul tema di una antica osservazione di Carlo Marx. Lo scambio «non si presenta in seno alle comunità naturali e spontanee, bensì là dove queste finiscono, ai loro confini, nei pochi punti in cui entrano in contatto con altre comunità. Qui ha inizio il commercio di scambio e da qui si ripercuote all'interno della comunità, con un'azione disgregatrice». I mercati per Blond sono «contro tutto ciò che il conservatorismo ha a cuore». Il liberale sostituisce allo Stato la società, al bene comune l'interesse individuale, alla religione pubblica la libertà d'opinione. E su questo terreno c'è un'inquietante saldatura, fra valori e fatti. Perché, una volta messo al centro l'individuo, una volta accordatogli l'inedito diritto di dragare a piacimento le frontiere, egli cambia, la sua storia non è più quella della comunità in cui è nato, apprende cose nuove, si mescola con gli altri, la sua cultura si fa porosa e si lascia permeare da idee e abitudini che erano estranee ai suoi padri. Il commercio gli conquista la libertà dal passato.
Per Blond, ogni sintesi è posticcia. Non si può predicare "morali e mercato": l'appello alla coscienza del singolo, l'etica come orizzonte individuale, un conservatorismo dei comportamenti che si fa proposta da accogliere o rifiutare, è perdente. Perché esso può acquistare salienza solo se crea un senso di comunità, solo se reagisce allo spappolamento, solo se contesta «il consenso politico che è ormai liberale di destra in economia e liberale di sinistra nella cultura». Solo se riduce l'individuo a una nota a piè di pagina nella storia dei popoli.
Descrivendo il New Labour, alcuni parlavano di un sospirato «innervamento della cultura liberale sul ceppo della cultura socialdemocratica». Quanto tempo è passato. Sembrava essersi compiuta un'evoluzione, a sinistra: ora abbiamo davanti un'involuzione della destra, che inevitabilmente porterà anche i suoi antagonisti politici a ripiegarsi su se stessi, a rispolverare pagine perdute, a rifugiarsi in un'utopia già sconfitta.
Vediamo se si passerà dalle suggestioni alle politiche. Gli inglesi hanno forti anticorpi e la sbandata statalista di Brown rafforza chi fra i Tories non dimentica che, nella recessione dei primi anni Ottanta, la Thatcher fece manovre di riduzione della spesa. Negli Stati Uniti, sono bastate poche settimane di Obama a restituire smalto antistatalista ai repubblicani.
Eppure, il ritorno di fiamma del comunitarismo di destra è un fenomeno da non trascurare. Le sue determinanti sono tante, e il tatticismo di Cameron non è fra queste. C'è la frustrazione degli intellettuali nei confronti del "mercatismo", poco incline a riservare loro lo scranno dei filosofi-re. E c'è la ricerca di un posto al sole da parte della destra dei valori, che costituisce parte importante dell'elettorato e che non ci sta più a giocare un ruolo da comprimario. Negli stessi movimenti che hanno sostenuto Margaret Thatcher e Ronald Reagan, hanno convissuto segmenti della società che erano la punta più avanzata e moderna dell'Occidente, e nostalgici di un mondo che fu. Non li teneva uniti l'insofferenza per l'establishment e per lo Stato, che virtuosamente si rifiutavano di piegare ai propri fini. Li tenevano uniti leader capaci di spiegare loro perché non si doveva prendere la scorciatoia statalista. Quei leader sono estinti.

 
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