ELENA VARRIALE

Non basta sentirsi liberi, bisogna educarsi alla libertà.

Creato da eleimprota_2012 il 10/03/2012

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BENVENUTI NEL SECOLO DELLA FLESSIBILITA'

Post n°7 pubblicato il 03 Gennaio 2013 da eleimprota_2012

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E' uscito il n°2 de "Il Solido" quindicinnale 'informazione indipendente della penisola sorrentina...vi propongo il mio articolo:

   

BENVENUTI NEL SECOLO DELLA FLESSIBILITA’

La flexinsecurity: lavoratori a tempo e senza protezioni sociali

 

Benvenuti nel secolo della flessibilità. Parafrasando un famoso film, potremmo così definire il nostro tempo dove tutto cambia e si trasforma. E’ una rivoluzione tecnologica, ma anche sociale che attraversiamo con una rapidità che nessuna generazione aveva mai conosciuto prima d’ora.  E’ l’effetto della globalizzazione e della diffusione del web che ci fanno entrare e confrontare, almeno virtualmente, con l’intera umanità, prima ancora che con il popolo nel quale siamo venuti alla luce.

Il flusso di informazioni che ci attraversa non ha rigidità, né un punto di fuga: è elastico, duttile, inclinato, flessibile. Tutto scorre e passa tra le notizie, i commenti, le petizioni, i conflitti e le tragedie umane e naturali. L’unica cosa che resta è la paura di un mondo che non riusciamo più a contenere e comprendere con le conoscenze ed il sapere che abbiamo accumulato nel tempo e nello spazio. Stiamo diventando spettatori confusi di un mondo senza baricentro che ci possa proteggere, esposti ad un futuro non prevedibile. Le nostre sono speranze friabili che sembrano sbriciolarsi innanzi a ciò che ci aspetta. Siamo davvero “canne al vento” con le braccia ed il cuore tesi ad afferrare solide sicurezze.

Nuove parole e nuovi concetti, dunque,sono necessari per ridefinire il nostro esprit du temps: velocità, globalizzazione, ma soprattutto flessibilità. E’un nuovo vocabolario che descrive, racconta il presente, ma rimanda già al futuro. Ma la flessibilità spaventa perché mette in profonda crisi le logiche costruttivistiche, quelle della programmazione economica, dei piani di sviluppo e dell’ ”ortopedia” sociale. Sono infatti in crisi i simboli del benessere e del welfare: la fabbrica, la casa, l’automobile e le ferie, la sanità, le scuole pubbliche e le pensioni. Uno tsunami economico e sociale che travolge e lentamente cancella la vita “lineare” del ceto medio, così ben descritta dal sociologo Richard Sennett. Una vita forse noiosa, ripetitiva, alienante, ma scadenzata da precisi obiettivi e sicuri passaggi. Nella fabbrica s’impastavano sudori ed alienazioni, ma anche una discreta dose di certezze ed un tangibile, quanto misurabile benessere economico. Ma questa è la storia di ieri. Oggi, il mercato, la curva del capitale, quella degli investimenti e dei movimenti finanziari non hanno più un solo centro propulsore. Si piegano, si allineano, s’inclinano e si sistemano nei bacini e nei luoghi dove la produttività e le transazioni sono più rapide e meno costose. Non è un caso che gli imprenditori prediligano sempre più un’ organizzazione a rete con frammentazione delle aziende, piuttosto che quella a piramide e che assumano solo su progetti a tempo determinato richiedendo al mercato lavoratori adattabili, duttili, modificabili e dinamici. In sostanza, ciò che è valutato al fine di un’assunzione è la disponibilità al cambiamento. Si profila così un nuovo dipendente, il lavoratore flessibile: elastico, duttile, capace soprattutto di reinventare ed aggiornare continuamente sé stesso e la sua professionalità.

Le cifre e i numeri della flessibilità non lasciano dubbi: crescono, di fatto, in tutto il mondo ed anche nel nostro Paese i contratti a tipici. Secondo i dati forniti dall’Istituto regionale di studi sociali e politici “Alcide De Gasperi” di Bologna, nel 2011 gli occupati in Italia con contratti a termine sono stati ben 3.315.580 unità e la retribuzione netta mensile media tra i giovani con meno di 34 anni è stata di 836 euro (927 euro mensili per i maschi, mentre scende a 759 euro per le donne). Stipendi bassi con palese violazione delle pari opportunità e tempi brevi di assunzione: così si caratterizza l’offerta di lavoro, nonostante il 46% degli impiegati abbia un diploma di scuola media superiore ed il 15,1% sia laureato. Ed è proprio nel settore dei servizi ed in particolar modo nel commercio, nella ristorazione, negli alberghi e nei servizi alle famiglie e alle persone che i contratti atipici si stanno diffondendo a macchia d’olio. Le nuove generazioni sono, dunque, già nel secolo della flessibilità e nell’arco della loro vita cambieranno spesso occupazione, ricoprendo mansioni differenti con contratti sempre diversi. A ben guardare, ciò che appare chiaro, nel lungo elenco di contratti a termine previsti dalla legge è la necessità di considerare il lavoro e la sua contrattazione sempre più individualizzati. Sono, infatti, le persone e non le “categorie” a contrattare i propri tempi di lavoro e le retribuzioni.  

Se questo è vero, ne consegue che le tutele sociali si affievoliscono sempre di più e che per uscire dalla morsa della flex-insecurity, cioé dall’elevata flessibilità dei lavoratori e dallo scarso livello di protezione, occorrono misure urgenti che sappiano dare risposte civili, umane alla dignità delle persone. Occorrono ammortizzatori sociali e sostegni alle transazioni da un lavoro all’altro, forme nuove di previdenza sociale, ma soprattutto un grande investimento nella formazione, nella ricerca e nella riqualificazione professionale delle giovani generazioni. Come ha scritto Albert Camus: “la vera generosità verso il futuro consiste nel donare tutto al presente”.

Elena Varriale

 

 
 
 
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