Lo diceva anche il dottor Frank-N-Furter, il «dolce travestito» del Rocky Horror Picture Show: «Don't judge a book by its cover». E invece, altroché se possiamo giudicare. Siamo in presenza di un caso particolare di un luogo comune più generale che abbiamo confutato nelle scorse pagine, quello secondo cui «l'abito non fa il monaco». La veste editoriale è una miniera di informazioni, ed è rarissimo che in questo il nostro fiuto ci tradisca. Per parte mia, evito accuratamente, per esempio, i libri di ottocento pagine con il titolo a rilievo in oro e magari la sagoma di un gabbiano stagliata contro un cielo al tramonto; oppure i romanzi che hanno in quarta di copertina la foto di qualche signora americana dentona dai capelli cotonatissimi (di cui si spiega, nel risvolto, che dirige una scuola di scrittura creativa nel Wyoming). O i libri freschi di stampa che esibiscono una fascetta dove è scritto, a caratteri cubitali, «nove edizioni in due giorni», se non addirittura «un grande classico». L'intuito non tradisce mai, o quasi. Se non mi credete, fate un esperimento: lanciatevi in una corsa forsennata in una grande libreria, un po' come i tre ragazzi di Bande à part tra le sale del Louvre. Con la coda dell'occhio, sarete in grado di capire infallibilmente dov'è che vale la pena fare una sosta.
Da " I turbamenti di un giovane bibliomane" Guido Vitiello
Inviato da: cassetta2
il 17/07/2021 alle 18:53
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il 24/04/2020 alle 08:47
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il 30/08/2018 alle 15:56