Creato da Pitagora_Stonato il 12/07/2010

EREMO MISANTROPO

se non avete nulla da aggiungere astenetevi. Grazie

 

 

La nidiata - E.J.Magoon- trama

Post n°1398 pubblicato il 23 Febbraio 2017 da Pitagora_Stonato
 

 

Per tutto il secolo precedente sino ai giorni nostri, gli abitanti di Axi 12, un pianeta situato all'estremità della nostra galassia, gente mite e d'intelligenza smisurata, aveva continuato a inviare sonde spaziali per studiare il pianeta Terra, l'unico in tutta la galassia, eccetto il loro, abitato da forme di vita avanzate. Le sonde avevano raccolto un'enorme quantità di dati sulla Terra e le sue creature, così gli Axion pensavano che fosse giunto il momento di avviare contatti diretti con i terrestri, anche se sapevano che non sarebbe stato semplice. Gli Axion, per quanto di gran lunga più progrediti sia sul piano etico sia intellettuale, avevano la sfortuna, dal punto di vista di un terrestre, di assomigliare a dei lumaconi da giardino. Inoltre avevano le dimensioni di un pony Shetland. Poiché erano davvero intelligenti, ebbero il buon senso di riconoscere che il loro aspetto poteva generare nei terrestri un'idea errata riguardo alle superiori qualità morali e intellettuali degli Axion. Non era da escludere che i terrestri potessero perfino rifiutarsi di instaurare rapporti amichevoli con dei lumaconi grandi quanto un pony. Per fortuna, queste creature superiori simili a lumaconi possedevano anche tecniche avanzate di trasformazione morfologica del protoplasma, così decisero di inviare una spedizione esplorativa di cui facevano parte una decina di Axion preventivamente trasformati in modo che avessero le fattezze della specie dominante sulla Terra. Inoltre, perché questi esploratori potessero imparare a comprendere del tutto i costumi e il linguaggio dei terrestri prima di avviare i contatti, furono mandati in fasce, extraterrestri neonati sostituiti nella culla, in maniera che venissero cresciuti da madri terrestri, ignare come se fossero figli propri. Da qui il titolo del libro. Quando questi figli scambiati avessero raggiunto l'età adulta, una volta padroni del linguaggio e dei costumi della Terra, e con amici e soci d'affari - e persino fratelli e genitori - in seno alla specie dominante, si sarebbero trovati nella posizione ideale per fare da mediatori fra i terrestri e gli: Axion.

Sembrava un buon piano, ma sfortuna volle che, malgrado i decenni passati in orbita a spiare e analizzare, le sonde spaziali degli Axion avessero commesso un errore banale; giungendo alla conclusione sbagliata che la specie dominante sulla Terra fosse il ratto norvegese. In seguito a questo errore, un giorno del 1955 una dozzina di femmine di ratto ignare accolsero nei loro nidi un ugual numero di Axion il cui protoplasma era stato morfologicamente trasformato così che era impossibile distinguerli dalla prole naturale. I piccoli degli Axion presto si resero conto dell'errore. Tuttavia, per quanto sconcertati, questi figli sostituiti di nascosto - sotto la guida dell'aitante Alyak cercarono di portare avanti con coraggio la missione di entrare in contatto con la specie dominante, che adesso capivano essere quella degli umani. Il resto del libro era tutt'una descrizione dettagliata delle loro morti raccapriccianti per mano di quella specie crudele, anche se i veri ratti, credendoli ancora membri della propria specie, si erano prodigati in nobili gesta fino al punto di sacrificare se stessi nel tentativo di salvarli. Ogni volta che un Axion era trucidato sulla Terra, veniva, trasmessa ad Axi 12, per via telepatica, attraverso la galassia la ricostruzione particolareggiata della sua morte, e le immagini erano così orribili che fecero infuriare persino i pacifici Axion, nonostante la loro etica superiore. Ci misero un po' di anni per arrivare sulla Terra, le loro navicelle, spaziali, ma quando la raggiunsero la ridussero a una palla di fuoco. Da qui, le città in fiamme sulla copertina. Nell'epilogo, ambientato nel 1985, gli umani erano ormai tutti morti, insieme con i grandi carnivori, mentre sulla superficie incenerita del pianeta distrutto, dominava incontrastato il ratto norvegese.


da "Firmino" Sam Savage - Einaudi stile libero

 

 

 

 

 

 

 
 
 

Firmino - Sam Savage

Post n°1397 pubblicato il 23 Febbraio 2017 da Pitagora_Stonato
 

"Ridete. Fate bene a ridere. Un tempo fui - malgrado il mio aspetto sgradevole - un inguaribile romantico, la più assurda e ridicola delle creature. E un umanista anche, egualmente inguaribile. E tuttavia, nonostante, o forse grazie a queste debolezze, durante la mia prima formazione, fui in grado di conoscere una gran quantità di figure leggendarie e di persone di genio. Riuscii a conversare con tutti i Grandi. Dostoevskij e Strindberg, per esempio. Subito riconobbi in loro dei compagni di strada afflitti, isterici come me. E da loro appresi un insegnamento prezioso: per quanto piccolo e insignificante tu possa essere, nulla vieta che la tua follia sia tra le più grandi.

Inoltre, non si deve necessariamente credere alle storie per amarle..Io amo ogni genere di storia. Amo il suo modo di procedere: inizio, sviluppo, fine. Amo il lento accumularsi di senso, i paesaggi ancora indistinti e vaghi dell'immaginazione, i percorsi tortuosi e intricati, le pendici boscose; gli specchi d'acqua e i loro riflessi, le svolte tragiche e i comici incidenti di percorso. L'unico genere di letteratura che non riesco a tollerare è quella che riguarda i ratti, e anche i topi.. Provo disprezzo nei confronti del buon vecchio Ratto del Vento nei salici. Su Topolino e Stuart Little, ci piscio sopra. Affabili, bonari, carini e astuti, mi rimangono conficcati in gola come lische."


da "Firmino" Sam Savage - Einaudi stile libero

 
 
 

Lost in translation

Post n°1396 pubblicato il 15 Febbraio 2017 da Pitagora_Stonato
 

 

 

 
 
 

Il rossetto sommerso

Post n°1395 pubblicato il 10 Febbraio 2017 da Pitagora_Stonato
 

 


La gente del luogo lo sapeva che nel lago, a una ventina di metri di profondità, c'era ancora l'auto, una sciagura di molti anni prima, e il giovane sub appena glielo dissero volle andare a vedere, non era facile, anche per il buio ma era un esperto e incastrata tra due rocce, per questo non avevano potuto riportarla in superficie, c'era la vecchia auto, lucida, come fosse da poco sommersa, quasi da poche ore, per le correnti che continuamente la sciacquavano e ripulivano, qualche erba che fluttava nell'interno, una portiera spalancata, come se qualcuno stesse per salirvi e il giovane sub mise dentro il capo, curioso, per il senso di avventura e di tragico di quell'auto sommersa, quando vide rilucere qualche cosa sul pavimento della vettura, vicino al posto di guida, lo prese, non distingueva bene cos'era e risalì in superficie, così vide che era un astuccio di rossetto, c'era ancora un po' d'impasto, dentro, quando riuscì a svitarlo, di un rosso cocomero, la ragazza qualche attimo prima dell'incidente doveva averlo levato dalla borsetta per usarlo, l'uomo che le era a fianco e che guidava, l'aveva baciata molto, prima, quando si erano fermati, adesso lei doveva ricomporsi, il sub la vide con l'astuccio del rossetto in mano, pronta per dipingersi le labbra nonostante le lievi scosse dell'auto Forse aveva detto al suo compagno: «Va' piano, se no non riesco a mettermi il rossetto », forse non aveva neppure finito la frase e l'auto, uscita di strada, piombava nel lago, forse stava per svitarlo quando si era trovata nel fondo del lago, ancora viva, il rossetto in mano, e ormai non importava più, né dipingersi, né nessun'altra cosa.

Il sub, seduto sul grosso sasso dal quale dominava il lago, riavvitò l'astuccio, e con un gesto subitaneo lo ributtò nel lago. Era un ragazzo sensibile e immaginoso, ogni volta che avesse visto una donna dipingersi le labbra avrebbe immaginato quella sommersa ancora nel gesto di darsi il rossetto.

 

 

da "I centodelitti" - Giorgio Scerbanenco - Garzanti

 
 
 

Filastrocca dei giochi d’amore.

Post n°1394 pubblicato il 18 Gennaio 2017 da Pitagora_Stonato
 

 

Tra i miti d’amore che è bene sfatare

C’è quello che lega l’amore al giocare

Conosco una coppia: ha scherzato col cuore

Ha perso la testa, ha vinto il rancore.

 

Giocarono prima a guardarsi negli occhi

Restarono zitti, sembravano allocchi

Le labbra serrate, repressi i sorrisi

Nei loro silenzi, vicini e divisi.

 

Lei disse “è una gara a chi resta più serio”

La gioia si ruppe e fu deleterio

L’umore se vuoi lo puoi riaggiustare

Se rompi la gioia la devi rifare.

 

Cambiarono gioco passando alla fune

Ma il regolamento aveva lacune

invece di tenderla poco e saltare

Lui disse “ho una corda, inizio a tirare”.

 

Si fecero male ai palmi e alle dita

La linea ferita in cui leggi la vita

Si tinse di sangue fu un gioco al massacro

La fune si ruppe e con lei l’osso sacro.

 

Trovandosi poi ad altezza selciato

Cambiò con il campo la sfida all’amato

Dipinse col gesso una settimana

Si disse “l’amore è giocare a campana”

 

I primi tre balzi lui le fu fedele

Per ogni saltello una luna di miele

Arrivò giovedì ed entrarono in crisi

la noia, gli scorni, la tristezza sui visi.

 

Finiti i feriali, finita la festa

Per una sciacquetta lui perse la testa

E il sabato sera uscì dai binari

Dal gioco di coppia fu fuori a pie’ pari

 

A farsi lasciare lei non si arrese

Si disse: “l’amore è una morra cinese”

Credeva che carta vincesse sul masso

E scrisse poemi a quel cuore di sasso.

 

Ma poi con le forbici tagliò i rami secchi

Le erbe infestanti, i rapporti ormai vecchi

Lo smacco più grande per chi ci ha piantate

È crescere in stima, dar frutti a palate.

 

E siccome sbagliando l’amore si impara

La legge non scritta al fin le fu chiara

Il verbo nel cuore si impresse col fuoco

Non era giocare ma mettersi in gioco.

foto: Officina Calze Lunghe.

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https://tiasmo.wordpress.com/2017/01/17/3526/


dal blog "Tiasmo" - Enrica Tesio
 
 
 

"... in questa terra arida se vuoi trovare un po' di poesia, ti conviene iniziare a scriverne" G.C.

Post n°1393 pubblicato il 05 Gennaio 2017 da Pitagora_Stonato
 

 

 

Ho sbagliato il carico,

eppure blu con blu, nero con nero , scuro con scuro.

Tutto nel cestello,

ne uscito un maglioncino di lana striminzito.

Un piccolo,  infantile maglioncino di lana,

ti starebbe benissimo,

sembreresti un ometto con quel grazioso maglioncino di lana blu.

Se tu avessi ancora otto anni.

Ma è tanto ristetto,

facciamo dieci anni in meno.

PitSton

 
 
 

Angelo Bazarovi

Post n°1392 pubblicato il 23 Dicembre 2016 da Pitagora_Stonato
 

(…) Angelo pensa che l'unico potere che gli è rimasto per sentirsi vivo è di ritirarsi in qualche anfratto e mettersi a odiare. Non ha che da pensare un attimo all’ "amore" per esaurirlo e trovarvi subito dietro montagne di odio da smantellare a piacimento. Fino all'arrivo in capo al mondo. Consuma in qualche ora tutte le aspettative che erano state in attesa giorno dopo giorno della vita di cui ha memoria e, invariabilmente, le comprime in un sovrastante motivetto scandito nell'accidia e nel risentimento: "Amor che a nullo amato amar perdona".

Quante discussioni sul vero significato di questo verso, ma Angelo non aveva dubbi, e contro le opinioni più illustri e autorevoli: l'amore non perdona a nessuno di amare, l'amore è, spietato con chi lo prova, innanzitutto… anche se chi è amato non sempre ne esce indenne, che gli piaccia o no... amare qualcuno significa spesso sentire l'odio crescere per se stessi, perché se non sei ricambiato cresce in valore solo l'altro, a dismisura, e affossi te sempre più. Altro che chi  è amato non può non amare chi l'ama! Certo, se invece di "nullo amato" ci fosse stato "nullo amante" sarebbe stato tutto più semplice, ma si sa, Dante non era mica Bazarovi!

Angelo non ha avuto la ventura di sapere cosa sarebbero state queste emozioni di amorosa appartenenza a qualcuno se vissute una volta in tutta la loro estensione temporale e sentimentale con l'altro, e sino a che punto questo subitaneo deteriorarsi dell'amore nell'odio e nella rabbia e nella depressione e nella rassegnazione era determinato da cause esterne o dal suo deliberato intervento. C'era stato un continuo potare, una storia fatta di velature di sale perché tutto finisse . Prima di incominciare, già al capolinea. La sua bocca, in quei frangenti appartati di rimuginio, produceva parole caustiche che bruciavano ogni possibilità di parole meno amare di quelle di rito, sia quando viveva sia quando ricordava. L'una cosa era quasi contemporanea all'altra. Sulla parte castrata veniva steso uno strato salsedinoso di malinconia aggressiva su cui era impossibile ogni ripresa di germoglio, di innesto vitale. Sentiva su di sé e intorno questa metafora salmastra trasformarsi in sangue marcio sul palato, nelle narici, negli occhi, mentre andava stilettando con colpi sempre più decisi quella gemma amorosa che voleva amputare dal suo corpo Si dava molte ragioni.

A lui sembra di aver lasciato aperta più di una porta e che, volendo, quell'uomo sarebbe potuto entrare e dare avvio all'abbraccio. Però ogni volta qualcosa si era frapposto, seppure a lui sembra non solo di aver lasciato aperte porta e finestra ma di essersi avventurato sulla soglia, averla oltrepassata, di aver teso la mano. Ma no: l'uomo si era trasformato in un portalettere e consegnava un telegramma con mille scuse o un assegno da firmare in bianco. Inaccettabile.

 

da " vita standard di un venditore provvisorio di collant" - Aldo Busi - Oscar Mondadori

 

 

 

 
 
 

La borsa

Post n°1391 pubblicato il 13 Dicembre 2016 da Pitagora_Stonato
 


Mia zia Amabile era mia zia per modo di dire, in verità era zia di mia mamma e anche il nome, Amabile, portato da lei era tutto meno che corrispondente alla verità. La zia Amabile, che era nata verso il 1870, era famosa perché di carattere felino, scontroso, ribelle e anche menefreghista, e mangiava pure le ortiche e i rondoni: stringendosi al braccio la sua borsa di pelle nera col grande bottone di legno e l'enorme asola al centro tutta smangiata, per ben tre volte era arrivata all'altare con lo stesso uomo, e tutte e tre le volte aveva detto no a lui e al prete, il quale, stufo di questo ambaradan avanti e indietro per niente, al terzo no le aveva dato sulla voce, "Amabile, o gli dici sì immediatamente o qui sopra non ci metti più piede", al che lei rispose, "Se è per fare sul serio, me ne stavo a casa mia", e per quasi quarant'anni rimase confinata in uno stanzino ritagliato dalla stalla cibandosi di quello che i parenti le passavano sotto lo spioncino della porta e uscendo solo per fare i suoi bisogni, di notte, senza mai separarsi dalla sua borsa nera, consunta, mai aperta una sola volta davanti agli occhi di qualcuno.

Io l'ho conosciuta quando avevo sette anni e lei era finita all’ospizio, era un mucchietto nero tutto nervi con certe manine diafane, inquiete, ero stato incaricato di portare alla zia "matta come te” un comodino, che mi caricai sulle spalle, e questo gesto ci legò mica male.

La misteriosa borsa sembrava una grossa ragnatela viva sotto il suo braccio tanto il cuoio nero continuava impercettibilmente a creparsi, e la zia Amabile aveva gli occhi di una luce verdina velata da una rabbia a fior di ciglia, ma non con me, di rabbia soltanto non appena li distoglieva da me per farli cadere sulla prima curiosona a tiro lì all'ospizio con lei, "Invidiosa!", le sibilava dietro, parlava in dialetto veneto stretto stretto … non capivo molto, una volta mi pare di aver capito una frase intera rivolta a me, tipo "Senti le donne?" o forse "Tu senti le donne", ma non capivo che cosa volesse dire, non c'erano donne intorno che parlavano, e lei mi fissava aspettando come una risposta e io non battevo ciglio, non sapevo che dire e dissi "Sì, sì", mi sembrava una streghina selvatica, e ferita, che avrebbe voluto sempre farmi una carezza ma con la mano si fermava sempre un po' prima, e aveva questo solo vezzo della borsa nera sempre attaccata fra gomito e fianco sinistro, e tutti in famiglia si chiedevano chissà cosa ci custodirà di tanto prezioso, e così quando morì si scoprì che era vuota.

La borsa preziosamente conteneva solo la fodera tutta bucherellata, la borsa conteneva se stessa e basta. Io lo sapevo da un bel po’,  ma non avevo detto niente a nessuno: la zia Amabile, un giorno che eravamo sula panca fuori, lontani da tutte le altre vecchie, aveva sciolto il bottone dall'asola, si era portata l'indice alle labbra, aveva sibilato "Ssst" e aveva aperto la borsa sotto i miei occhi incandescenti di curiosità e poi l'aveva richiusa lentissimamente fissandomi con una speranza strana, striata di paura e anche di cattiveria, e poi fu un lampo la nostra intesa: scoppiammo a ridere ma a ridere ma a ridere come due matti. Però non è riuscita nemmeno quella volta, e nemmeno mai in seguito, a darmi quella carezza senza fermarsi un po' prima.

Fa niente, anzi.

 

 

da "Sentire le donne" Aldo Busi

 
 
 

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Post n°1390 pubblicato il 29 Novembre 2016 da Pitagora_Stonato
 

 


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E' ufficiale: è Lui che ce l'ha più lungo!

Post n°1389 pubblicato il 09 Novembre 2016 da Pitagora_Stonato
 
Tag: USA

 

 
 
 

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