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PENSIERI IMMARCESCIIBILI (Parte conclusiva)

Post n°26 pubblicato il 25 Luglio 2012 da giugibzz1

 

47.Il tempo migliore per il diavolo per la seminagione nel tuo cuore dei suoi malefici semi è il tempo della tua disperazione, non aspetta altro. Per questo non disperare mai di Dio, nella sua provvidenza; anche se sembra tardare, non mancherà di raggiungerti.

48.L'esistenza di Dio può essere ed è, per molti filosofi, una verità di ragione, ma l'esistenza del diavolo e dell'inferno sono anzitutto delle verità di fede: le ha rivelate o ripetute Gesù e questo deve bastarci. Anche l'esistenza di Dio non più come principio indistinto dell'universo, proprio della speculazione filosofica, ma di quell'unico Dio da amare, adorare e servire, rivelatosi nella storia, prima a Israele, e poi a tutti gli uomini, come seconda persona della Trinità, per mezzo dell'incarnazione del Figlio, nell'uomo Gesù di Nazareth, è una questione di fede, alla quale bisogna aderire in quanto rivelataci dallo stesso Gesù. Dio Padre, Figlio e Spirito Santo.

49.In tutte le cose c'è un limite oltre il quale non è proprio possibile andare, altrimenti si rischia seriamente di eccedere, e di ritrovarci in situazioni nuove che non presentano più i caratteri di stabilità e di misura della situazione precedente, ma che sfuggono beninteso al nostro controllo. E così è, e a maggior ragione, nel campo del pensiero umano: molti trascendono e perdono perciò la padronanza della propria mente, cominciando facilmente a vaneggiare e a proporre idee e dottrine talvolta folli. Lo sono state ieri, per citarne solo alcune, il nazionalismo, l'anarchismo, il comunismo, il femminismo e oggi lo è l'animalismo. Si parte magari da un buon principio, quale quello di difendere certe categorie di soggetti, considerate più deboli, dai soprusi di altre considerate predominanti, per affermare poi condizioni di parità se non addirittura di superiorità che, almeno per talune di queste categorie, invece non sussistono. Così è ad esempio nell'animalismo. Lodevoli sono i suoi appartenenti nel difendere gli animali dalle angherie dell'uomo, ma da lì a parlare di uguaglianza, se non addirittura di superiorità di questi sull'uomo, beh, ce ne passa; è come voler paragonare un fiume o il lago al mare. Dei gusti certo non si discute, ma delle qualità oggettive delle cose si può e si deve. "Amo tutti gli animali indistintamente, ma proprio tutti", dice con aria di fierezza qualcuno, specialmente certe giovani, profumate e incipriate attiviste, che però si guardano bene dall'ospitare pidocchi sulla loro testa, anzi si lavano accuratamente i capelli finanche tre volte il giorno, e non appena gli prudono certe parti del corpo o si deteriorano, corrono precipitosamente ai ripari con appropriati prodotti cosmetici o farmacologici, per contrastare così l'azione nociva di quelle migliaia di microorganismi che giornalmente assaltano il nostro corpo, anche a costo della loro violenta soppressione. Forse queste mie possono sembrare a certuni argomentazioni fuori luogo se non addirittura idiote, ma se lo fossero, a certe affermazioni idiote, la risposta talvolta non può fare a meno che procedere sulla stessa scia. Certamente non è da idiota far rilevare agli animalisti che è da degenerati, se non da criminali potenziali, intenerirsi giustamente per un cucciolo di animale abbandonato o per la sorte di quei cani sottoposti alla sperimentazione, e registrando i loro guaiti farli sentire alla gente per sensibilizzarla, ma poi lasciare, tra l'indifferenza generale, che migliaia di esseri della loro stessa specie siano soppressi giornalmente nei nostri odierni e legalizzati lager, quali sono quei laboratori che si occupano di dare figli a donne sterili e a quelle oramai fuori età per poter concepire naturalmente. Oltretutto questi completamente inermi esserini umani, diversamente dai poveri cagnolini poco sopra menzionati, non hanno neanche voce per farsi sentire, sono dei sepolti vivi. E' veramente l'uomo che vomita se stesso. Questo mi fa capire senz'ombra di dubbio che l'animalismo, in quanto tale, al di là di certe pregevoli connotazioni che non ho mancato di rilevare, sia una deviazione dal retto pensare umano. Un'ultima cosa. Spesso si sente dire da chi detiene in casa un'animale cosiddetto d'affezione, in particolare un cane o un gatto: "Gli manca solo la parola e poi sarebbe come un cristiano, se non meglio". E ti sembra poco, stolto che non sei altro! Sarebbe come dire a un non vedente dalla nascita che debba giudicare i quadri esposti ad una mostra: "Ti manca solo la vista e poi potresti essere un ottimo critico". Ma a te, inoltre, la parola chi l'ha data? Non te la sei data certamente da te stesso, ma te l'ha data Dio. Altissimo e credo il più eccellente dei doni, abbinato all'intelligenza. E se Dio ha dato la parola a te e non, ad esempio, al tuo gatto, non vuol dire forse che tra te ed esso, al di là di tanti caratteri simili, c'è un divario che non potrà mai essere colmato, una subalternità di ruoli fra la sua e la tua natura che non ti è lecito ribaltare assolutamente, senza che tu incorra prima o dopo nel giudizio divino? La parola è uno strumento indispensabile all'uomo per classificare la realtà e porla sotto il suo dominio, ma è finalizzata a Dio, per lodarlo, ringraziarlo e pregarlo e non per usarla soltanto, o fondamentalmente, in parziali, ancorché suggestivi, ma alla fine sterili e inconcludenti colloqui con i tuoi animali. Per qualsiasi parere su una pur qualsiasi minima cosa, ti ci vuole il concorso di un altro tuo simile, non di un animale. E' la parola, in definitiva, che ha permesso il progresso e le relazioni umane con la politica, le arti liberali e i mestieri e che li fa andare avanti. Almeno fino a che Dio lo permetterà.

50.In che modo possiamo sentirci sufficientemente sicuri di essere nell'amore di Dio? Quando possiamo dire che Dio abita in noi e noi siamo con Dio? C'è una sola parola capace di spiegarci tutto questo. Parola piena di concretezza e che si trova nelle più importanti preghiere di Gesù, compresa quella che egli stesso ci ha insegnato: il Padre nostro. Parola con la quale egli si presenta al mondo. Parola che egli non smette mai di raccomandare ai suoi discepoli. Parola, mettendo noi in pratica la quale, egli ci identifica come suoi parenti prossimi. Parola, infine, tramite la quale attua il piano di salvezza per l'umanità voluto dal Padre. E la parola è: "Volontà". Questa parola racchiude in sé le altre due determinanti nel fondare il nostro corretto rapporto con Dio, e tali parole sono l'amore e l'umiltà. Perché dici di amare Dio, o di voler ricercare il suo amore, se poi non compi o non sei docile a compiere la sua volontà? Perché parli di atteggiamento umile nei confronti di Dio, quando poi ti ribelli alla sua volontà? Sì, perché la volontà di Dio deve intendersi tutta intera e non soltanto fino a là dove ci fa comodo. Se preghiamo Dio, come Gesù pregava il Padre, di compiersi in noi e noi di compiere tutta la sua santa volontà, esprimiamo con ciò tutto il nostro amore verso Dio e tutta la nostra umiltà, che si conseguono con il nostro completo atteggiamento di fiducia e di abbandono nei suoi confronti, lasciandoci, cioè, plasmare da lui. A che ci servono allora i mistici o i veggenti con le loro soprannaturali visioni, con le loro speciali rivelazioni, con i loro spirituali colloqui con il Signore o la Madonna, se poi non attuano completamente la volontà di Dio? Che consiste nel riconoscere e nel far conoscere Gesù e di osservare la sua parola, ossia i due principali comandamenti che ci ha comandato: amare Dio e il nostro prossimo e non estraniarci e rinchiuderci in lunghi o brevi dialoghi supposti con lui o altre entità dell'al di là, di cui poi alla fine non siamo nemmeno sicuri se siano veritieri, o se non siano nient'altro che vaneggiamenti di menti esaltate o squilibrate, o nientemeno che dei veri e propri colloqui con il demonio, che si presenta sotto mentite spoglie. Diciamo, quindi, e senza tema di essere contraddetti, che tutta la santità e la mistica cristiana consistono in quest'unica parola e nella sua attuazione: "Volontà". Naturalmente quella di Dio.

51.Non si riesce a spiegare del tutto e bene il motivo dell'incredulità, se non di una vera e propria avversione, che l'ateo ha nei confronti di Dio se, oltre al fattore mentale, non facciamo intervenire un altro e ben più determinante fattore, quello del cuore. Già Gesù redarguiva la durezza di cuore dei suoi uditori, refrattari a credere alle sue parole nonostante i miracoli da egli fin lì compiuti. In particolare lo avversavano proprio gli esponenti più ragguardevoli della società ebraica del tempo: sacerdoti, anziani, scribi e farisei. Del resto, facilmente, l'uomo che rifiuta Dio è portato a sostituirlo, in breve, con un surrogato: un personaggio che egli porta velocemente alle stelle e nel quale si identifica e sottostà, oppure si dà completamente al divertimento e alla spensieratezza senza considerare la serietà della vita o, nel peggiore dei casi, si stordisce con una vita piena di stravizi e condotta agli eccessi e di cui prima o poi ne subirà i deleteri effetti. Certo, essi adducono anche una motivazione reale, quella riguardante la sofferenza, apparentemente inconcepibile alla luce dell'esistenza di Dio, soprattutto se buono, misericordioso e provvidente come il Dio dei cristiani. La sofferenza però si può spiegare, anche se solo in parte, con la fede ebraico-cristiana (caduta dell'uomo dal primitivo stato di grazia in cui Dio l'aveva posto), si rende sublimata nella fede cristiana (incarnazione e passione del Figlio di Dio a riscatto dell'umanità), ha, inoltre, una funzione educativa che si palesa stimolando e accrescendo la sensibilità dell'uomo verso il suo simile sofferente e quindi creando la solidarietà. Infine ci fa abbassare la cresta, ferendo il nostro orgoglio e ci ripiega su noi stessi, portandoci a riflettere sulla nostra misera condizione umana se vista nell'eventualità dell'assenza di Dio. Senza tener conto poi della transitorietà dell'esistenza e quindi anche del male, un nulla se confrontato alla beatitudine eterna promessaci o, comunque, alla durata della morte. Ma tutto ciò, come si è detto, non basta a convincere l'ateo, neanche la celebre scommessa di Pascal, per cui, tra la prospettiva di un bene certo ma finito (le cose di questo mondo) e un bene incerto ma infinito (la vita eterna), conviene puntare su quest'ultimo, in quanto le opposizioni del cuore sono spesso più forti di quelle della mente. Contro un cuore indurito, non passa, difatti, neanche l'intelligenza più penetrante, né lo abbatte la prova più schiacciante, perché l'adesione a Dio è appunto una questione fondamentalmente di fede, la quale necessita di un cuore puro, aperto e docile, che l'ateo, evidentemente, tutto preso dal suo rancore verso Dio, non ha e non può per il momento avere.

 

 

 

 

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