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Giuseppe Festa e i Lingalad

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IL ROMANZO DI G. FESTA

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Quoi? L'éternité

Post n°146 pubblicato il 02 Gennaio 2007 da eufemia_g
 

Cari amici sono in partenza, tornerò settimana prossima. Vi lascio un saluto ed il mio ultimo racconto. Un abbraccio sincero. Eufemia

Quoi? L’éternité”

 

In questo racconto ho immaginato che la speranza del nuovo anno

fosse affidata a due giovani che riscoprono la vita, in un Gennaio del lontano

1945, mentre sul cielo di una città martoriata dalla guerra,  cadono le bombe…

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L’anno volgeva al termine. Un altro anno senza speranza e senza memoria.

Jeanne lavorava all’ospedale di Chartres, dove ogni giorno arrivavano i soldati feriti dal fronte. Ella aveva conseguito il diploma di infermiera professionale qualche tempo prima che la guerra avesse inizio e malgrado i suoi 24 anni, si era trovata nell’inferno dei feriti.

Era bella Jeanne, e sorrideva a tutti, anche alla morte che continuava a prendersi gioco di lei e della sua giovane vita, ma Jeanne non voleva scendere a patti con essa e mestamente riusciva a sopravvivere in quell’universo di dolore.

 

Egon aveva rinunciato alla laurea in medicina, non ce l’aveva fatta a terminare gli studi e la guerra aveva spazzato tutti i suoi sogni. Ma ne sapeva abbastanza – andava ripetendosi – per aiutare quei poveri corpi che giungevano dalla trincea. Ogni giorno, in un macabro rito alla quale non si sarebbe mai abituato, raccoglieva ciò che di quei giovani rimaneva, e li conduceva all’ospedale di Chartres.

Durante i viaggi estenuanti per le strade minate, gli sembrava di avere conosciuto sino ad allora solo quell’orribile puzzo di sangue che penetrava nella pelle, nelle narici e nel cuore, mentre  con forza d’animo andava dissimulando le ferite che laceravano la sua anima.

Quel sentirsi un poco utile gli dava l’impressione di rimanere ancorato ad una parte di realtà che di notte, almeno negli incubi, egli andava fuggendo.

Allora si sforzava di sognare e rivedeva i giorni colorati di luce, mentre correva nei prati della Camargue, in groppa al suo cavallo, cavalcando sogni ed aneliti di eternità.

Poi era scoppiata l’orribile guerra e lui, non si sa come, era riuscito a non partire per il fronte. Sospettava l’influenza di suo padre, politico influente, ma si era affrancato da quel debito arruolandosi come volontario nell’ospedale di Chartres.

 

 

Egon la vedeva ogni mattina, con il suo camice  bianco, mentre donava carezze ed attimi di effimera felicità, ai giovani feriti che giungevano dal fronte…Come diceva quell’antico poeta italiano? “Lasciate la speranza Voi ch’entrate…”, eppure in quell’inferno senza sogni, Jeanne regalava ancora una parvenza di normalità.

La osservava mentre impartiva ordini alle giovani apprendiste infermiere improvvisate, fanciulle sottratte ad una vita normale, che si portavano le mani agli occhi, soffocando gemiti di dolore  e lacrime.

Il sorriso di Jeanne illuminava di una luce quel luogo incolore, dove i sogni parevano avere lasciato per sempre la loro dimora.

Era l’ultimo giorno dell’anno, 31 Dicembre 1945 ed il cielo di Chartres era oscurato dal fumo delle bombe e dai combattimenti che oramai avvenivano in ogni angolo della città.

Un’eterna notte sembrava essere scesa a coprire il cuore dell’antica città. Ma quel giorno, si disse Egon, voleva tornare a vivere e così la raggiunse nel prato dietro all’ospedale, dove Jeanne scrutava l’orizzonte tetro della guerra, avvolta nei suoi pensieri.

Indossava la mimetica ed un elmetto, eppure il suo viso, era ugualmente bello, così come se lo ricordava da sempre, come se ella si facesse beffa della morte che aleggiava in quei luoghi senza ritorno.

Lei si accorse di non essere sola e si voltò, e guardò Egon negli occhi e senza nulla dire, li abbassò. Lui si mise accanto a lei offrendole una sigaretta che lei non prese, e poi gli disse:
”Sai.. ieri.. Catherine se ne è andata per sempre. Era salita su una camionetta….diretta in città…voleva fare un regalo a sua madre…un profumo di Coco Chanel…Aveva risparmiato tutto l’anno per poterglielo regalare e ora non c’è più…Una mina…le ha tolto tutti i sogni e le speranze..”.

Egon ascoltò le sue parole e tutto quello che aveva nel cuore da dirle da tempo morì dentro di lui.

“Non è giusto – disse Jeanne – aveva solo 20 anni!”.

Allora la giovane donna fece un gesto che Egon non attendeva: trovò la forza di aggrapparsi a quel giovane sconosciuto che le stava a fianco e che la cinse in un abbraccio che sapeva di speranza e puzzo di alcool. L’odore della vita ed il tanfo della morte, avvolti entrambi in un macabro sodalizio, sotto il cielo di una città che andava morendo.

Jeanne lo guardò negli occhi e gli disse semplicemente: “Andiamo…Devo tornare da loro, l’inferno mi aspetta”.

“Aspetta”, le rispose Egon.

“Io vorrei…io vorrei che una volta sola, prima che il sole tramonti dietro la cappa di fumo, che tu donassi a me solo, uno dei tuoi sorrisi…Jeanne”.

Lei le rispose: “Come ti chiami?”.

“Egon…”, rispose lui.

Lui le  asciugò il volto con il lieve tocco delle sue dita facendole assaporare per un istante, un fremito che sembrava essersi estinto per sempre nei giorni dell’infinita guerra.

Mentre l’eco dei mortai e degli scoppi di bombe tornavano a riempire il cuore della città, Jeanne donò ad Egon il suo sorriso più bello, uno sprazzo di eternità nel buio di quei giorni.

“La città è caduta nel silenzio…Il sole non emana più luce…Ogni cosa va finendo…”, disse Jeanne.

“Un nuovo anno va ad iniziare…fa tanto freddo…ma la luce tornerà su questo mondo”, le rispose Egon.

Per un breve istante sembrò loro che una scheggia di quella che gli uomini chiamano la luce dell’eternità fosse nuovamente tornata a brillare.

 

*

 

Post scriptum: per il personaggio di Jeanne mi sono ispirata a Juliette Binoche così come l’abbiamo vista nel film “Il paziente inglese”, mentre il titolo è un voluto omaggio al romanzo “Quoi? L’éternité”, di una delle più grandi scrittrici mai esistite, Marguerite Yourcenar.

 
 
 

Buon anno!

Post n°145 pubblicato il 29 Dicembre 2006 da eufemia_g
 
Tag: Auguri

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Anno dopo anno
nella luce del tempo
sapore eterno

immaginea tutti Voi e

che la Luce possa risplendere nelle vostre Vite!

Eufemia

 
 
 

Mille auguri!

Post n°144 pubblicato il 24 Dicembre 2006 da eufemia_g
 
Tag: Natale

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Notte di Natale

 

I cristalli di neve disegnano trine e merletti sulle ghirlande

che illuminano la strada.

La città ferve nei preparativi: le luci intermittenti nelle vetrine,

i fruscii della carta velina, la frenesia degli ultimi acquisti.

Gente che corre, rincorrendo desideri segreti o forse più semplicemente, alla ricerca

del regalo perfetto che non c'è.

Mi sento  osservata e non mi sbaglio...

"Cosa le piacerebbe ricevere a Natale?", mi chiede un buffo signore dallo sguardo familiare.

Lo guardo...mi sembra di averlo già visto, ma forse lo scambio con qualche altra persona....

Eppure......

Al di là dello spazio che si apre sopra i tetti della città,

una miriade di diamanti incastonati nell'oscurità della notte.

Guardo il cielo e scorgo qualcosa che attira la mia attenzione.

Mille stelle che sembrano danzare nella volta celeste  cercando di attirare sguardi di bambini e di persone innamorate.

Ci penso ancora un po', poi alzo gli occhi fissando quel girotondo luminoso  e non ho più alcuna esitazione...

"Una stella, vorrei una stella. Una piccola stella, raccolta nel cuore

della notte, da tenere nascosta nella mano.

A mezzanotte, in questa sera di Natale, le chiederei di esaudire

i miei sogni più segreti.....".

 

Eufemia

(22 Dicembre 2005)

 

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Fiaba

Post n°143 pubblicato il 15 Dicembre 2006 da eufemia_g
 

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All'ombra dei mandorli in fiore

Questa non è una storia qualunque. E’ una fiaba di altri tempi che una sera di tanti anni fa, mi raccontò mia madre, alla fioca luce della candela, in una notte d’inverno….

 

*

 

C’era una volta nella lontana terra d’oriente un reame meraviglioso la cui fama era conosciuta in tutte le terre confinanti.

Un’eterna primavera sembrava dominare il cielo di quei luoghi incantati ed il sole ne illuminava i verdi prati, con le sue braccia di luce.

Ma quel reame così antico, più di tutto era conosciuto per i suoi mandorli, ricoperti da una miriade di fiori rosa e bianchi, il cui profumo regalava ai suoi abitanti un’eterna felicità.

Eppure nel cuore di quell’antico paese una notte profonda si era insediata. Akaito, sovrano di quelle terre dai cieli senza confini, aveva deciso che Hisa, sua figlia minore, sarebbe presto partita per i paesi oltre la volta del cielo, per andare in sposa, al potente principe Keitari.

Keitari non l’aveva mai vista, ma in tutto il regno oltre le antiche colline, la fama della sua bellezza era ivi giunta da molto tempo, sulle ali del vento di primavera profumato di fiori di mandorlo.

Tutto era pronto per la partenza di Hisa e si narra, che da lì a poco, tutto il regno si sarebbe vestito a festa per celebrare le nozze dell’amata principessa.

Quando quel giorno arrivò, accadde una cosa straordinaria ed imprevista: i mandorli  in fiore in quel paese illuminato da un sole eterno, sembravano piangere la partenza dell’amata Hisa.

Essi appassirono e i colori delle sue gote che avevano colorato i fiori dall’eterno profumo, sbiadirono sotto la pallida luce dell’astro che triste si nascose dietro le montagne.

Un lungo inverno si insediò nel cuore della gente e petali rosa presero a vorticare nel vento come tante lacrime, le stesse che scendevano copiose dal volto della fanciulla.

Il viaggio durò molti giorni, finché il corteo reale arrivò nel reame oltre la volta del cielo

 Lì la accolsero i dignitari di quel  regno vestiti in abiti sontuosi che le diedero il benvenuto, seguendo un cerimoniale antichissimo, che durò un giorno ed una notte.

Hisa non incontrò Keitari, perché la tradizione comandava che i due giovani si sarebbero guardati in volto, solo il primo giorno di primavera.

Passarono i giorni ed i mesi, ed il principe Keitari, chiese a Re Masaachi, suo padre, di incontrare Hisa il cui volto ancora non aveva veduto. Mancavano oramai pochi giorni al primo giorno di primavera e il destino, da tempo immemore scritto nelle maglie del tempo, si stava compiendo.

Quel primo giorno di primavera, Hisa pianse molto mentre le ancelle la vestivano con abiti sontuosi del colore dell’oro d’oriente e adornavano il suo collo diafano, con ricchi gioielli.

Mai una fanciulla dal volto così bello aveva dimorato nell’antico reame di Masaachi, ma nel cuore di Hisa, era scesa da tempo un’eterna notte che aveva spazzato via i ricordi felici del suo antico paese. Si apprestò a scendere il lungo scalone che portava nella grande sala, quando all’improvviso udì il tintinnio di un campanello. Allora si fermò e scorse in un angolo della scalinata, che conduceva all’enorme sala del tè, dove avrebbe incontrato Keitari, un piccolo campanello finemente intarsiato.  Si narra che Hisa lo raccolse e con mani gentili lo portò all’orecchio per sentirne il dolce suono. Ma quel campanello era magico e la leggenda narra, che chi ne avesse udito il suono anche per un breve istante, sarebbe stato avvolto per sempre  in un’eterna notte senza sogni, sospesa nel buio delle tenebre.

Le sue ancelle, che pur la accompagnavano verso il suo destino, non si accorsero di nulla e quando Keitari accorse, ella già dimorava nelle antiche stanze senza vita.

Un letto di fiori fu preparato per poggiare  il suo corpo di fulgida bellezza che la accolse nel suo grembo maculato di lacrime screziate di rosso vermiglio. Keitari, le prese le mani e donandole un bacio sul volto del colore della luna, si congedò dalla sua bellezza, nascondendo le lacrime dietro ai suoi occhi di antico guerriero che caddero copiose sulle vesti di Hisa.

 

*

Oh mamma che storia triste, - dissi io!

Aspetta bambino mio….la storia non è finita.

Non è finita? Oh mamma dimmi che Hisa non morì per sempre…

Non correre troppo con la fantasia, ascolta in silenzio ed assapora i miracoli dell’amore, mio piccolo bambino….

E fu così che mia madre mi narrò il finale della storia di Hisa e Keitari.

*

 

Un profumo di fiori aleggiava nell’aria mentre gli abitanti del regno oltre le colline piangevano la morte di Hisa. Poggiata sul bianco talamo, il suo corpo di fanciulla in fiore, rimase solitario nella stanza che avrebbe dovuto celebrare un’unione scritta nelle maglie del destino, da sempre.

All’improvviso una folata di vento spalancò la  finestra, vicino al luogo dove era stato adagiato il corpo di Hisa e le accarezzò le sontuose vesti da sposa. Come se avesse vissuto un’eterna notte senza sogni, ella aprì gli occhi e si guardò intorno. Ricordava ancora l’ultima immagine che era rimasta impressa nei suoi occhi: un campanello ed un suono delizioso che l’avevano trasportata nell’antico regno senza colori, di cui sentiva sempre parlare nelle antiche leggende del suo paese. E allora ricordò la leggenda del campanello che un giorno, da bambina aveva udito da sua madre. Esso sceglie e viene trovato da coloro che non hanno conosciuto l’amore finché l’antico sortilegio, viene spezzato dalle lacrime di un uomo innamorato.

E fu così che Hisa, come guidata da una mano invisibile, si affacciò all’ampia terrazza che dava sul giardino reale e con capelli mossi da un vento ribelle,  vide un giovane dall’aspetto sontuoso che era appoggiato di spalle, al tronco di un albero.

Non ne vedeva il volto, ma dall’aspetto si sarebbe detto un nobile guerriero.

Come guidata da una mano invisibile, discese le scale e arrivò in un magnifico giardino ove fioriva ogni sorta di fiori. Hisa ascoltava il sussurro del vento del nord che le recava il pianto della sua gente che ne piangeva la morte prematura.

Fu un attimo e si voltò…

Ella fece per fuggire via ma Keitari la afferrò per la mano sinistra e tenendola tra le sue, le disse:

“ Chi siete nobile fanciulla?”.

Allora Hisa svelò il suo volto celato dietro ad un ventaglio intarsiato d’oro e d’argento e lo rivelò a Keitari.

Essi si guardarono negli occhi ed il principe,  affatto spaventato, riconobbe il volto di Hisa, che solo il giorno prima aveva salutato per sempre.

E senza nulla domandarle assaporò il tocco di quella piccola mano gentile: Hisa era così bella anche all’ombra dei mandorli ancor privi di germogli e che attendevano ora l’arrivo della primavera. E così, si narra che come per incanto,  mille minuscoli fiori, i cui colori ricordavano quello delle labbra della fanciulla, iniziarono a fiorire.

Hisa e Keitari, si amarono dal loro primo incontro e poco dopo, venne celebrato un sontuoso matrimonio ed una magnifica festa  che durò tre giorni e tre notti.

Qualche giorno dopo, giunse a cavallo un messaggero dal paese natio della fanciulla e a gran voce annunciò che i mandorli, che avevano dormito il lungo sonno dell’inverno per molto e molto tempo, si erano risvegliati e i fiori tanto amati da Hisa, erano tornati nuovamente a fiorire….

 

Minuscoli fiori

torneranno a fiorire

là dove ora

tutto è ricoperto di neve.

Piccole gemme

dal cuore rosa

silenziosi petali

mossi dal vento

all’ombra dei mandorli in fiore.

 

*

La storia finisce qui, bambino mio…., mi disse mia madre.

Che bella storia mamma! E’ davvero meravigliosa, risposi.

Eh già bambino mio. È davvero meravigliosa e…sai una cosa? Ricorda queste mie parole ora e per sempre. L’amore e solo l’amore può vincere su tutto, e restituire la gioia ad un cuore perduto. Esso ha un gran potere e vale più dell’oro e di tutti i preziosi di questa terra. E vince sempre. Anche sull’ombra del tempo e dei giorni in cui le tenebre hanno preso il posto del sole.

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L’immagine della fanciulla è quella di Li Gong in Memorie

Di una Geisha; essa mi sembrava perfetta per il viso che ho immaginato di Hisa e per

descrivere la scena del terrazzo. 

L'intero racconto è dedicato alla Luce dei miei giorni.

 Questo racconto ha partecipato all'iniziativa su Rosso Venexiano"Una fiaba in rosso" il 14 Dicembre 2006

 
 
 

E book

Post n°142 pubblicato il 01 Dicembre 2006 da eufemia_g
 
Tag: E book

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Vi presento il mio primo e book che contiene una raccolta di alcuni tra  i mei racconti

Per scaricarlo clicca qui per fare il download clicca quindi sull'immagine.

E qui c'è il mio primo racconto - romanzo. Uno dei piu' belli che ho scritto

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Clicca qui per il download

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Un blog di: eufemia_g
Data di creazione: 25/06/2006
 

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