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GIOCO CON PIETRO. E GIOCO DA SOLA

Post n°9 pubblicato il 15 Novembre 2006 da EvaAmaGiocare

immagine(foto di Gabriele Rigon)

Il camioncino di Pietro era azzurro, prima che la ruggine ne cambiasse il colore quasi del tutto. Scassato e perennemente fumante, anche da fermo, aveva i sedili marrone scuro, plastificati con le cuciture a rilievo. E l’aria fresca era condizionata al fatto che si aprissero del tutto entrambi i finestrini. La nicotina aveva impregnato ogni centimetro dell’abitacolo ed il contenuto del posacenere traboccava sul pavimento ad ogni scossone. L’autoradio era fissa su una stazione di musica italiana e le canzoni gracchiavano, per lo più incomprensibilmente, dall’unica cassa ancora funzionante, sul retro.

 

Pietro aveva almeno sessant’anni e faceva il muratore. Aveva le mani, da muratore. E la faccia, le braccia, le gambe, i vestiti, da muratore. Persino l’alito era quello di un muratore. E passava tutti i giorni, prima dell’una, sulla strada che dalla scuola va verso casa mia, col cassone pieno d’attrezzi, la camicia a quadrettoni aperta sul petto e la sigaretta penzolante dal lato sinistro della bocca.

 

Io ero all’ultimo anno di liceo. Era Aprile e faceva caldo, tanto caldo. Ed incrociavo sempre il camioncino cigolante e fumante, che mi superava ogni volta all’altezza della prima curva ed oltrepassava casa mia dopo cinque o sei minuti. A me piaceva camminare. A lui suonare il clacson e salutarmi con il braccio sollevato fuori dal finestrino, prima di scomparire dietro alla curva.

 

La prima volta gli chiesi un passaggio perché avevo scassato le Superga, giocando a pallavolo al mattino. Lui si fermò, mi fece salire, mi salutò con la cicca penzolante e mi portò a casa, semplicemente. Era un uomo come gli altri, anche lui. Guidava e sbirciava nella mia scollatura. Spostava distrattamente il pacchetto di sigarette e nel frattempo spalmava gli occhi sulle mie gambe, finché la gonna concedeva spazio. Ma era dolce, tanto dolce, mentre lo faceva.

 

Il giorno dopo non ero stanca ed avevo le scarpe nuove. Lo fermai lo stesso e salii. Solito saluto e solita partenza a scossoni. Col finestrino aperto l’aria si infilava dentro alla manica corta. Piegai il braccio e sporsi il gomito fuori, così da regalargli generose sbirciate sui miei capezzoli. Lui non nascose nemmeno un po’ il piacere di guardare. Ed io gli lesinai pochissimo, durante il viaggio fino a casa.

 

Era mercoledì quando decisi di togliermi gli slip, in bagno, prima d’uscire da scuola. Una volta fuori, fermai il camioncino senza pensarci un attimo e mi accomodai sul sedile, lasciando chiuso il finestrino. Faceva caldissimo, dentro. Cominciai ad allargare e stringere le cosce, finché lo strusciare della pelle delle gambe non iniziò ad assonare anche del sudore che colava sul sedile. L’odore del mio sesso sovrastava quello della nicotina. Pietro sudava dalle tempie, dalle guance e sul petto. E sulla tela dei suoi pantaloni premeva, sofferente, la sua eccitazione.

 

Giovedì mi sentivo bagnata durante l’ultima ora. E mi bagnavo sempre di più, in attesa del suono della campanella. Andai in bagno, a togliere gli slip, come il giorno prima. Ed affondai le dita, tra le mie gambe, tre, quattro volte. Le ritrassi completamente madide. Infilai le dita dell’altra mano e feci lo stesso. Uscii in strada. Il camioncino arrivò dopo un minuto. Salii. E strinsi la mano di Pietro, per salutarlo. L’odore e l’umido gli erano rimasti appiccati alle dita. Lui annusò. Il camioncino partì. Io mi stesi un po’ con le gambe in avanti ed infilai la mano destra tra le cosce, sotto la gonna. Presi con la sinistra la sua mano destra e gliela infilai sotto la cinta del pantaloni. Lui venne dopo un minuto, io poco dopo.

 

Maggio e Giugno continuarono così, ogni giorno, con l’attesa eccitante dell’uscita da scuola e la masturbazione che diventava sempre più sincrona e sempre più appagante. Una complicità semplice, priva di parole, che ognuno raccontava a se stesso e che riempiva ciascuno di fiotti caldi di piacere ogni volta.

 

Oggi ritiro la mia macchina nuova, regalo del babbo per la mia maturità, al concessionario. Indosso il vestito che avevo la prima volta, sul camioncino di Pietro. Mi danno le chiavi, salgo e parto. Abbasso a metà il finestrino ed infilo la mano tra le cosce, con la stessa voglia di allora. Ed arrivo a godere proprio all’altezza della prima curva dopo la scuola, immaginando Pietro che mi saluta con un colpo di clacson ed il braccio teso fuori dal finestrino.

 

 
 
 
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