Creato da giovannydelprete il 07/01/2009

FIDELIS

SOCIETA' E COMUNICAZIONE

AREA PERSONALE

 

TAG

 

ARCHIVIO MESSAGGI

 
 << Maggio 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
    1 2 3 4 5
6 7 8 9 10 11 12
13 14 15 16 17 18 19
20 21 22 23 24 25 26
27 28 29 30 31    
 
 

FACEBOOK

 
 

 

Post N° 49

Post n°49 pubblicato il 08 Gennaio 2009 da giovannydelprete


Dimenticare
Palermo



Luciano Liggio nella gabbia degli imputati nel maxiprocesso di PalermoPalermo è
talvolta molto di più di una città con antiche origini e
prestigiosi monumenti. Per alcuni uomini è un luogo dello
spirito, una metafora della vita e della morte che entra sotto
la pelle. Una volta che l'hai sperimentata non la lasci più.
Dimenticare Palermo: Palazzo delle Aquile, il mare, u' pani
c'a meusa, la Zisa e lo Zen, villa Whitaker. Qualcuno ci ha
provato, è tornato, ci è rimasto.


Carlo Alberto Dalla Chiesa aveva
conosciuto da giovane quella terra bella e sventurata, vivendo i
primi successi e le prime delusioni.


Saluzzo, cittadina sabauda e
piemontese sino al midollo, lo vede nascere il 27 settembre 1920.
E' un figlio d'arte: papà ufficiale dei Carabinieri (Romano),
fratello pure (Romolo). Il primo contatto con la vita militare è la
dura guerra nel Montenegro come sottotenente nel 1941. Un anno dopo
passa ai Carabinieri e viene assegnato alla tenenza di San
Benedetto del Tronto dove resta fino al fatidico 8 settembre
1943.


Passa nella provincia di Ascoli
Piceno e un bel giorno viene affrontato da un partigiano comunista.
I partigiani della zona temevano che lui fosse responsabile del
blocco dei rifornimenti di armi che gli alleati di tanto in tanto
riuscivano a spedire via mare.


Alla domanda "Lei con chi sta,
tenente, con l'Italia o la Germania?", Dalla Chiesa risponde
offrendo la sua collaborazione e per un certo periodo le cose
filano a meraviglia. Poi, purtroppo qualcuno fa la spia e per Dalla
Chiesa è meglio cambiare aria e darsi alla macchia insieme agli
altri patrioti: diventa un responsabile delle trasmissioni radio
clandestine di informazioni per gli americani.


Genco Russo in una foto degli anni settantaLa guerra si chiude per lui con
una promozione e due croci al merito di guerra, tre campagne di
guerra, una medaglia di benemerenza per i volontari della Il GM, il
distintivo della guerra di liberazione ed una laurea in
giurisprudenza conseguita a Bari. In quella stessa università
prenderà più tardi la laurea in scienze politiche.


La Sicilia che lo vede arrivare
giovane capitano è immersa nel regno di terrore della mafia
agraria, quella di Don Calò Vizzini, di Genco Russo e di Luciano
Leggio. E' una mafia che poi verrà rievocata con nostalgia quando
emergeranno nuovi e ferocissimi boss, ma in realtà era solo più
arcaica, non meno spietata.


Cosa Nostra ha stretto un patto di
ferro con i più retrivi latifondisti che temono le lotte e le
rivendicazioni contadine guidate dai sindacalisti comunisti e
socialisti.


NEI COVI DI CORLEONE. Per
Lucianeddu Leggio (più conosciuto come Liggio) il segretario della
Camera del Lavoro di Corleone, Placido Rizzotto rappresenta una
spina nel fianco. Parla troppo, protesta troppo, intralcia troppo.
Rizzotto, un semplice bracciante, cresciuto tra le insidie di una
mafia occhiuta ed oppressiva, è un tipo prudente e cauto che non
manca di prendere le sue precauzioni. Leggio affida il compito ai
suoi giovani cagnazzi, Binnu e Totò u' curtu. Leoluca Bagarella,
Bernardo Provenzano e Totò Riina sono picciotti fedelissimi,
aggressivi, spavaldi, che si mostrano in paese annancando con il
caratteristico incedere mafioso. Sono furbi e si rendono conto che
bisogna prendere Rizzotto per tradimento.


Un giuda si trova. Il 10 marzo 1948
il sindacalista viene caricato su una macchina, portato in luogo
sicuro, torturato e suppliziato. Il suo cadavere viene gettato in
una forra.


Totò Rijna, arrestato nel 1993"Dov'è Rizzotto?", questo grido
scandito a pieni polmoni dal grande sindacalista Giuseppe Di
Vittorio a Palermo, in piazza Politeama, fece venire i brividi.
Gridava scandendo "do-v'è Ri-zzo-tto?" tante e tante volte, come se
aspettasse risposta dalle migliaia di manifestanti raggelati e
commossi.


Lo trovano molto tempo dopo e
riconoscono i resti da uno scarpone. La sua ex-fidanzata,
Leoluchina, sconvolta dal dolore grida che mangerà il cuore di chi
lo ha ridotto così. Chi muore giace e chi vive si da pace.
Arresteranno Leggio a Corleone nel 1964.


Dalla Chiesa è chiamato dal
colonnello Ugo Luca nel nuovissimo CFRB (Comando Forze Repressione
Banditismo), che ha la missione di farla finita con Salvatore
Giuliano, il re di Montelepre. A lui viene affidato il comando del
gruppo squadriglie, basato a Corleone. Qui il piemontese ha primo
impatto con questo tortuoso ambiente.


E' un ufficiale abile, duro,
inflessibile, gran lavoratore, non meno paziente dei suoi avversari
corleonesi. A dispetto dell'omertà e della paura estremamente
diffuse riesce insieme ai suoi colleghi a inchiodare tutti gli
assassini di Rizzotto e a spedirli sotto processo.


Vittoria di Pirro. Il processo si
conclude con una serie di assoluzioni per insufficienza di prove.
Il giovane capitano viene opportunamente trasferito. Premio,
siluramento, precauzione? Chissà. La Sicilia gli è rimasta dentro
al cuore.


Da ufficiale superiore è aiutante
maggiore della legione e capo ufficio OAIO (Ordinamento
Addestramento Informazioni Operazioni) della IV brigata di Roma e
della legione di Torino. Poi regge i comandi del nucleo di polizia
giudiziaria e del gruppo di Milano.


A CACCIA DI BATTESIMI E
NOZZE.
Negli anni Sessanta Carlo Alberto torna nell'isola del
suo destino e per oltre 7 anni gli viene affidato come colonnello
il comando della legione di Palermo (1966-1973).


Qualcosa dallo scacco di quindici
anni fa l'ha imparata. Bisogna conoscere a fondo la situazione e
raccogliere quante più prove possibili, facendo i conti con la
realtà del posto.


pattuglia a cavalloCosa Nostra non è stata con le
mani in mano e si è adeguata rapidamente ai tempi nuovi. Ha
progressivamente spostato i suoi interessi dal settore
dell'agricoltura in cui aveva operato per oltre un secolo, a quelli
industriale e commerciale, specialmente nel campo dell'edilizia e
dei lavori pubblici. I tradizionali rapporti di "strusciamento con
il potere" si rafforzano specialmente con le istituzioni
amministrative e politiche in modo da influire sulle direttrici di
sviluppo edilizio delle città, sull'ubicazione delle opere
pubbliche, sulle destinazioni dei finanziamenti, sugli
appalti.

Lo scambio è sempre lo stesso: appoggio politico contro concessioni
illegali di licenze e appalti. Il risultato è che gradualmente una
serie di politici aiutano l'espandersi delle attività economiche
mafiose, quando i rappresentanti mafiosi non sono direttamente
inseriti nel tessuto politico ed amministrativo.


Alla base dell'organizzazione c'è la
'famiglia', rigidamente ancorata al territorio. In essa ci sono gli
uomini d'onore o soldati, comandati dai capidecina, guidati da un
capo famiglia o rappresentante coadiuvato da un vice e da uno o più
consiglieri. Più famiglie sono rette dai capi mandamento che
siedono nella cupola o commissione provinciale.


Una struttura del genere è difficile
da infiltrare. Tra le regole non scritte di Cosa Nostra vigono
quella dell'assoluta verità tra i membri, quella del silenzio,
quella del non far domande inutili e quella che le decisioni della
commissione vanno eseguite a qualsiasi costo. "Nessuno troverà mai
un elenco degli appartenenti a Cosa Nostra né alcuna ricevuta dei
versamenti delle quote. Il che non impedisce che le regole
dell'organizzazione siano ferree e universalmente riconosciute",
raccontava Tommaso Buscetta al giudice Giovanni Falcone.


Ma qualcosa si può sempre sapere ed
è possibile conoscere la struttura attraverso il legame della
famiglia. Sentiamo cosa diceva Dalla Chiesa alla commissione
antimafia del 1962.


"Onorevole presidente, scoprirli [i
capi mafiosi] non è difficile, in quanto i nomi sono sulle bocche
di molti. ( ...) Vorrei mostrare (...) una scheda, che io ho
preparato per la mia legione, per tutti i miei collaboratori,
dedicata proprio ai mafiosi o indiziati tali.


( ... ) attraverso le parentele e i
comparati, che valgono più delle parentele, si può avere una
visione organica della famiglia, della genealogia, più che
un'anagrafe dei mafiosi. Quest'ultima è limitata al personaggio; la
genealogia di ciascun mafioso ci porta invece a stabilire chi ha
sposato il figlio del mafioso, con chi si è imparentato, chi ha
tenuto a battesimo, chi lo ha avuto come compare di matrimonio; e
tutto questo è mafia, è propaggine mafiosa ( ... )


... è molto più efficace seguire i
mafiosi cosi, cioè non attraverso la scheda solita del ministero
dell'Interno, ma da vicino, attraverso i figli, attraverso i
coniugi dei figli, attraverso le provenienze, le zone dalle quali
provengono, perché anche le zone d'influenza hanno la loro
importanza".


Non è una trovata trascendentale, ma
è il metodo e la costanza con cui si applica che danno i
risultati.


Michele Greco, detto Nel 1966 un vero
e proprio censimento degli uomini d'onore è stato finalmente
realizzato e si conclude con l'arresto di 76 boss. Gente come
Frank Coppola (Frank Tre dita) e Gerlando Alberti vengono
arrestati e spediti al soggiorno obbligato.


IL TRIONIFO SULLE BRIGATE
ROSSE.
All'epoca Dalla Chiesa credeva moltissimo al soggiorno
obbligato, più tardi si accorgerà che era a doppio taglio:
allontanava i boss dalle loro zone e favoriva l'estendersi della
piovra altrove.


Poi i processi vanificheranno di
nuovo la sua opera e un Dalla Chiesa più disilluso dichiarerà alla
commissione antimafia riunita il 4 novembre 1970: "Siamo senza
unghie, ecco; francamente, di fronte a questi personaggi, mentre
nell'indagine normale, nella delinquenza, possiamo far fronte e
abbiamo ottenuto anche dei risultati di rilievo, nei confronti del
mafioso in quanto tale, in quanto inquadrato in un contesto
particolare, è difficile per noi raggiungere le prove..."


Non c'è però tempo per i rimpianti.
La lotta al terrorismo coinvolge presto Dalla Chiesa, ormai
promosso generale. Dall'ottobre 1973 al marzo 1977 comanda la
brigata di Torino. Poi nel maggio 1977 assume l'incarico di
coordinamento del servizio di sicurezza degli istituti di
prevenzione e pena. Prima del suo arrivo le evasioni spettacolari
avevano insinuato il sospetto che nelle carceri si potesse fare di
tutto. Dopo la cura del generale vengono fuori le cosiddette
supercarceri la fuga dalle quali è praticamente impossibile. Si
tratta di un duro colpo sia per i terroristi che per i mafiosi,
come ben sa Totò Riina finito proprio in uno di questi istituti di
massima sicurezza.


Successivamente (settembre 1978)
assume anche le funzioni di coordinamento e di cooperazione tra
forze di polizia nella lotta al terrorismo.


Dallas, come lo soprannominano
affettuosamente i suoi con una contrazione, è sempre un militare
tutto d'un pezzo. Gira senza scorta perché crede che un ufficiale
all'assalto non ci va con la scorta, ma sa benissimo coprirsi le
spalle dalle insidie dei palazzi romani.


Quando riceve i pieni poteri per la
lotta alle Brigate Rosse una stampa faziosa lo dipinge come un
futuro Pinochet. Lui non si muove prima di una discreta e attenta
gestione delle pubbliche relazioni, che gli garantisce un segnale
di via libera anche da parte delle opposizioni.


Solo allora attua la sua
controguerriglia urbana.


"I nostri reparti dovevano vivere la
stessa vita clandestina delle Brigate Rosse. Nessun uomo fece mai
capo alle caserme: vennero affittati in modo poco ortodosso gli
appartamenti di cui avevamo bisogno, usammo auto con targhe false,
telefoni intestati a utenti fantasma, settori logistici ed
operativi distanti tra loro. I nostri successi costarono allo Stato
meno di 10 milioni al mese'.


Dal dicembre 1979 al dicembre 1981
comanda la prestigiosa Divisione Pastrengo a Milano per poi
arrivare nel 1982 alla massima carica per un carabiniere: vice
Comandante Generale dell'Arma.


Con le promozioni arrivano altre
decorazioni: croce d'oro per anzianità di servizio, medaglia d'oro
di lungo comando, distintivo di ferita in servizio, una medaglia
d'argento al valor militare, una di bronzo al valor civile, 38
encomi solenni, una medaglia mauriziana.


Al suo fianco compare, dopo la morte
dell'amatissima moglie Dora Fabbo, una seconda moglie giovanissima
e decisa: Emanuela Setti-Carraro. E' un periodo durissimo, però il
futuro sembra sorridergli.


LA GRANDE GUERRA DI MAFIA.
Alla nomina a prefetto di Palermo il ministro degli Interni,
Virginio Rognoni, comincia a pensarci sotto le feste del Natale
1981. L'escalation mafiosa è fortissima e l'austero generale sembra
la persona giusta per arrestarla. Ne parla prima con l'allora
presidente del Consiglio, Giovanni Spadolini, poi con i segretari
dei cinque partiti di maggioranza ed infine sonda gli umori delle
forze di opposizione. Da tutti un aperto consenso e nel marzo 1982
comunica a Dalla Chiesa la nuova nomina.


Dallas non esita a manifestare
perplessità, ma suadente Rognoni gli dice: "Caro generale, lei va a
Palermo non come prefetto ordinario ma con il compito di coordinare
tutte le informazioni sull'universo mafioso". Il ministro conta di
dargli tutti i poteri in vigore per il suo compito; il generale,
che sa quanto sia vana la parola 'coordinamento', vuole poteri
reali, uomini, mezzi e fondi.


A maggio, quanto arriva a Villa
Whitaker, trova una situazione pesante perché è scoppiata una gran
guerra tra le cosche.


L'origine immediata di questa guerra
è il progetto all'inizio del 1981 di creare una nuova Las Vegas ad
Atlantic City nato da un'idea di Don Stefano Bontade e Totò
Inzerillo, il principe di Villagrazia. Il guadagno netto stimato si
aggira intorno ai 130 miliardi di lire all'anno.


La raccolta dei fondi per
l'operazione si rivela un successo, ma un controllo dei contabili
di Cosa Nostra scopre un ammanco di 20 miliardi.


Bontade e Inzerillo dicono che gli
americani non hanno pagato una partita di eroina. Le informazioni
che circolano tra gli uomini d'onore sono diverse.


"Più precisamente", racconta ai
giornalisti un boss della fazione perdente, "Masinu Buscetta dopo 7
anni e mezzo di reclusione se la squaglia e si appoggia a Bontade
ed Inzerillo per rientrare nel giro. All'epoca la Droga SpA è
gestita dal consorzi delle maggiori famiglie palermitane con un
giro di 20 milioni di dollari l'anno. Masino convince gli altri due
a consorziarsi con lui e a finanziare la nuova società con 20
miliardi distratti da Cosa Nostra".


Messi alle strette, decidono di
partire all'attacco, alleandosi anche a Tano Badalamenti, boss di
Cinisi.


Ai primi di marzo è prevista una
riunione chiarificatrice alla villa Inzerillo a Boccadifalco. E' un
tranello, dissimulato meglio ancora dalla presenza di quattro
giovani esponenti traditori delle famiglie rivali che dovrebbero
garantire la sicurezza dell'incontro.


Una soffiata manda all'aria il
piano. Alla villa arrivano solo alcuni gregari delle famiglie
corleonesi, dei Greco e dei Marchese. Il 23 aprile Bontade viene
ammazzato. A maggio tocca ad Inzerillo, poi anche a suo figlio
Giuseppe. Il fratello di Totò Inzerillo viene trovato morto con 5
dollari e un testicolo in bocca. Tradotto: guai a chi ruba i soldi
di Cosa Nostra!


Il vecchio Tano per sui fortuna si
eclissa, ma i quattro giovani traditori no. Uno viene trovato
carbonizzato, l'altro massacrato da trentasei coltellate nel
carcere dell'Ucciardone. Nell'estate in cui c'è Dalla Chiesa a
Palermo ci sono 52 morti e 20 lupare bianche.


POI ARRIVA LA MORTE. Nella
lotta a Cosa Nostra, nella sua stessa esistenza, la morte è una
costante con cui occorre fare sempre i conti. "Purtroppo in questa
difficile battaglia gli errori si pagano. Quello che per noi è una
professione, per gli uomini di Cosa Nostra è questione di vita o di
morte: se i mafiosi commettono degli errori, li pagano; se li
commettiamo noi, ce li fanno pagare. (...)


E Rocco Chinnici, si obbietterà, il
consigliere istruttore del tribunale di Palermo fatto saltare in
aria dalla mafia nel 1983, con un'auto imbottita di esplosivo
parcheggiata sotto casa sua? Rocco Chinnici non aveva sottovalutato
nulla. Competente e coraggioso, proteggeva la sua persona
rigorosamente (...)


Da tutto questo bisogna trarre una
lezione. Chi rappresenta l'autorità dello Stato in territorio
nemico, ha il dovere di essere invulnerabile. Almeno nei limiti
della prevedibilità e della fattibilità". Sono parole del giudice
Falcone, tuttora attuali e vere, anche se talvolta Cosa Nostra si è
dimostrata più abile e forte: di Chinnici, di Borsellino, dello
stesso Falcone.


Gli uomini d'onore sanno benissimo
di non essere invulnerabili e di doversi proteggere oltre la
paranoia. Un caso per tutti è Totuccio Contorno nel 1981. E in
macchina e all'altezza del ponte Brancaccio si accorge che l'auto
davanti a lui va troppo piano.

Gli occhi scandagliano rapidamente la strada. Ecco, in piedi sul
limitare di una casa, il killer Mario Prestifilippo. Quello non è
lì per caso. Totuccio mormora tra sé: "Manca solo la motocicletta";
puntuale compare anche quella.


Non c'è più niente da capire, c'è
soltanto da salvare la pelle. Si butta sul lato destro della
macchina, scaraventa sul marciapiede il ragazzo che siede con lui.
Una raffica di Kalashnikov fa esplodere i vetri della macchina,
ciuffi dei capelli di Totuccio dimostrano che se l'è letteralmente
cavata per un pelo.


Fuori dalla macchina. dietro al
motore che fa da scudo, Totuccio estrae la pistola e centra il
tizio in moto. Morto? Ferito? No, il killer Pino Greco
"scarpuzzedda", non meno prudente, ha indosso un giubbotto
antiproiettile.


Dalla Chiesa. seguito da cento
occhi, ascoltato da cento orecchie, è immerso nei veleni di
Palermo. Il figlio, Nando Dalla Chiesa, ricorda come il padre fosse
certo che i principali notabili gli fossero avversi: il sindaco di
Palermo, Nello Martellucci; il presidente della Regione Mario
D'Acquisto; i notabili Salvo Lima, Vito Ciancimino e Nicoletti.




OPERAZIONE CARLO ALBERTO. Significativo uno scambio di
battute a distanza sui giornali.


Dalla Chiesa: "C'è una crescita
della mafia, che va radicandosi anche come realtà
politico-malavitosa".


Martellucci: "Io ho la vista acuta,
eppure non ho mai visto la mafia".


Dalla Chiesa, alla commemorazione
del colonnello dei Carabinieri Russo ucciso dalla mafia: "Aveva
tutti e cinque i sensi sviluppati, ma la mafia l'ha ammazzato".


Il prefetto di Catania: "La mafia,
qui da noi, non esiste". Il generale capisce che deve muoversi in
fretta, prima che sia troppo tardi. Il primo giorno da prefetto a
Palermo si fa portare a Villa Whitaker da un tassista. Altre volte
si fa vedere a sorpresa tra la gente, incontra gli allievi dei
licei, gli operai nei cantieri. Vuole scuotere la paura e suscitare
il consenso.


Non si fa illusioni: "Certamente non
sono venuto per sgominare la mafia, perché il fenomeno mafioso non
lo si può sgominare in una battaglia campale, in una guerra lampo,
un cosiddetto Blitz. Però vorrei riuscire a contenerlo, per poi
sgominarlo". Infatti non rinuncia alla richiesta di poteri e mezzi.
Quanto ai poteri c'è l'articolo 31 dello Statuto regionale della
Sicilia, dove è scritto che le forze di polizia sono sottoposte
disciplinarmente, per l'impiego e l'utilizzo, al governo regionale.
Come dire che se c'è un governo regionale mafioso, esso ha
legalmente più potere del rappresentante dello Stato.


Dalla Chiesa chiede fatti e poteri
veri, ma a Roma si è restii a conferirgli poteri più significativi
di quelli del ministro degli Interni.


Anche così, tuttavia, Dalla Chiesa
agisce. In due successivi blitz, interrompe con 10 arresti il
summit dei vincitori corleonesi a Villagrazia, mentre in via
Messina Marine scopre una raffineria di eroina con una produzione
di 50 chilogrammi a settimana.


Nel giugno 1982 invia il rapporto
dei 162, una vera mappa del crimine organizzato. Al vertice ci sono
i Greco di Ciaculli, con attività a Tangeri e in Sud America.
Insieme ad essi i Corleonesi, il clan di Corso dei Mille. I
perdenti Inzerillo, Badalamenti, Bontade, Buscetta sono stati
invece massacrati.


Per 20, giorni i magistrati
tacciono, poi spiccano 87 mandati di cattura: 18 arresti, ma
restano latitanti una ventina dei più grossi tra cui Michele Greco
il Papa, braccio violento di suo zio Totò Greco detto
l'ingegnere.


Poi segue un rapporto della Guardia
di Finanza sul mondo delle false fatture e dei contributi pubblici
finiti nelle tasche di noti esponenti di Palermo e Catania. Inoltre
il generale rispolvera l'efficace arma delle indagini su comparati,
parentele e amicizie: avvia un'indagine sui registri di battesimo e
nozze per vedere quali politici abbiano presenziato a eventi di
famiglie mafiose. Riesamina anche vecchie voci di pranzi di
ex-ministri con potenti boss e, con dodici agenti della Guardia di
Finanza a prestito, fa setacciare ben 3.000 patrimoni.


Cosa Nostra decide che è il momento
di risolvere il problema. Il 3 settembre 1982 trenta pallottole di
Kalashnikov falciano Dalla Chiesa e la moglie Emanuela
Setti-Carraro mentre un altro killer liquida l'agente di scorta,
Domenico Russo. Lui tenta di proteggere la moglie col suo corpo, ma
il killer spara prima a lei.


EPILOGO. Al funerale ci sono
molte grida in favore della pena di morte. Solo Pertini ha potuto
raggiungere indisturbato la sua auto mentre altre personalità sono
state circondate, spintonate e colpite con monetine.


Rita Dalla Chiesa ha esclamato nella
camera ardente: "Non voglio quei fiori! non voglio quelle
corone!'".


Il 5 settembre arriva una telefonata
anonima al quotidiano La Sicilia: "L'operazione Carlo Alberto è
conclusa". Dietro quella voce c'era come mandante il potente boss
Nitto Santapaola, o' cacciatore. Accusato al processo di Palermo,
negherà tutto.


Come killer del generale e di sua
moglie viene indicato Giuseppe Lucchese (Lucchiseddu), l'uomo più
fidato di Totò u' curtu. A lui sarebbero stati affidati anche: i
commissari Montana e Cassarà, i due superkiller Pino Greco e Mario
Prestifilippo, il capo dei perdenti Salvatore Inzerillo.


Arrestato nel 1991 è indicato dai
pentiti come capo della famiglia di Ciaculli e membro della
commissione provinciale. E' accusato anche di essere uno dei
mandanti dell'omicidio dell'eurodeputato DC Salvo Lima, il
proconsole di Andreotti in Sicilia. Passano i potenti, passano i
trionfi, le glorie, le ricchezze e le lodi.


Svanisce persino il ricordo di
lontani eroismi. Resta solo la nuda, spartana virtù del dovere
compiuto in nome di una società civile.


"Obbedimmo", questa è la
testimonianza che i Carabinieri lasciano alla gente
onesta.

 
 
 

Post N° 48

Post n°48 pubblicato il 08 Gennaio 2009 da giovannydelprete


Una lunghissima
guerra



I Carabinieri sono stati
impegnati in prima linea, pagando un alto tributo di sangue, nella
lotta contro la mafia e la criminalità organizzata. E, finalmente,
sono arrivati importanti successi



La sfida più difficile alle forze
dell'ordine viene proprio da quei profondi intrecci politici,
economici, sociali e culturali che hanno generato attività
criminali e che da regioni come la Sicilia, la Calabria e la
Campagna si sono diffusi in tutta la penisola, riuscendo spesso a
superare i confini nazionali.


Carabinieri cacciatori in azione nella zona dell'AspromonteLo sviluppo del
malcostume e della corruzione politica hanno potentemente
favorito l'estendersi della criminalità organizzata anche in
regioni prima vergini. Eclatante è, senza dubbio, il caso
della Puglia, sino agli anni Ottanta caratterizzata da una
normale criminalità concentrata soprattutto nelle grandi città
portuali. A partire dal 1985 l'offensiva di espansione della
NCO (Nuova Camorra Organizzata) del boss Raffaele Cutolo si è
saldata alle locali strutture criminali. Per lunghi anni la
crescita di un potere mafioso in quella regione, pur
documentata dai rapporti delle forze di polizia, è stata
praticamente del tutto ignorata a livello politico. La Sacra
Corona Unita e le organizzazioni consorelle hanno potuto senza
troppo contrasto mettere in piedi un fiorente traffico di
droga, quando un'azione tempestiva e decisa avrebbe potuto
eliminare le prime teste di ponte. Prima di arrivare a Cosa
Nostra, rivediamo cosa sono e cosa hanno combinato le altre
due grandi organizzazioni malavitose.


La camorra era già fiorente nel
secolo scorso, aveva già avuto modo di stringere ambigue alleanze
anche a livello di prefetti e ministri degli Interni. Come negli
altri due fenomeni essa parte dalla creazione di un potere
parallelo che offre protezione e controllo politico-sociale in
cambio di concreti favori. Anche in essa vengono coltivati i miti
del camorrista buono, valoroso, abile nel maneggio delle armi,
protettore dei deboli e raddrizzatore di torti. Alla NCO si
contrapponeva negli anni 1990-1992 la Nuova Famiglia, più legata
alla tradizione originaria della camorra, la quale, al di qua dei
miti, significa una sola cosa. Essere camorrista vuol dire
prevaricare sugli individui e sulle attività economiche per
ottenere il potere, usando prepotenza, astuzia e spietata violenza
senza scrupoli. La camorra tradizionale era un'organizzazione
centralizzata, con una struttura piramidale, i cui membri erano
legati da apposite cerimonie di giuramento e di iniziazione. Quasi
sempre coincidenti con clan familiari, queste strutture mantenevano
il controllo su singoli rioni di Napoli o paesi della fascia
vesuviana specialmente nei settori dell'ortofrutta e dei mercati
generali.


Raffaele Cutolo, Boss della Nuova Camorra Organizzata.Il dopoguerra apre nuove
occasioni alle famiglie camorriste. Ci sono da spartirsi le risorse
erogate dallo Stato, ci sono le opportunità di speculazioni
edilizie (con conseguente scempio urbanistico) in città come Napoli
e Salerno e dell'intera costa campana, ci sono relazioni da
stabilire a livello locale con gruppi politici clientelari per
averne in cambio appalti, concessioni, privilegi. Ma fino agli anni
Sessanta la camorra resta un fenomeno radicato e limitato; poi
intervengono due fatti nuovi.


LA BIONDA CHE UCCIDE. Un
vecchio manifesto di sensibilizzazione alla minaccia del
contrabbando faceva vedere un fumatore che si accendeva la sua
sigaretta, mentre alle sue spalle una mano armata sparava. Il
messaggio era semplice: chi compra dal banchetto abusivo, arma la
mano del grande crimine. La campagna pubblicitaria è passata, come
è passata la proposta dell'allora ministro delle Finanze, Rino
Formica, di dare un lavoro legale ai contrabbandieri napoletani per
sottrarre manovalanza alla criminalità organizzata. I banchetti
sono rimasti e sono talvolta cambiati i piccoli venditori, sempre
di più immigrati da paesi più poveri. Ma se si alza lo sguardo dai
pesci piccoli, si vede che trent'anni fa si verificato il passaggio
dal contrabbando di piccolo cabotaggio ad un vero e proprio
business. I clan marsigliesi, che prima controllavano questo
traffico, vengono emarginati.

I flussi passano ora da Napoli e l'invio in soggiorno obbligato di
boss di Cosa Nostra del calibro di Antonino Camporeale, Filippo
Gioè Imperiale, Francesco Paolo Bontade favorisce la creazione di
nuove alleanze. Cosa Nostra ha interesse a creare strutture più
efficienti in Campania con le quali combinare affari: Michele Zaza
e famiglie come i Mazzarella e i Nuvoletta sono considerati come
gli interlocutori ideali in quanto affiliati alle "famiglie" di
Palermo.


l'arresto di Renato Vallanzasca nel 1977Un'altra ondata di criminosa
prosperità arriva a metà degli anni Settanta con il traffico della
droga. La camorra può ormai disporre di quadri maturi,
sprovincializzati, assolutamente in grado di trattare da pari a
pari senza conflitti con gli "uomini d'onore" siciliani. "Ma
nonostante questo ruolo conquistato (...) e i poteri e lo spazio
economico occupati, la camorra (...) fin quasi alle soglie del 1980
non era sta fa adeguatamente valutata dallo Stato e dall'opinione
pubblica nazionale (...). In definitiva si può dire che la camorra
è vissuta all'ombra della mafia, utilizzando il suo modello e
riuscendo a consolidare posizioni senza grandi clamori e senza
reazioni consistenti da parte delle pubbliche autorità", recita il
rapporto provvisorio approvato dalla commissione parlamentare
antimafia del 1982, istituita subito dopo l'uccisione del generale
Dalla Chiesa.


IL NUOVO CAMORRISTA. Figura
centrale di questa espansione è Raffaele Cutolo nato a Ottaviano
del Vesuvio. Anche lui conosce presto le sbarre del carcere per un
omicidio, ma trasforma uno scacco in un trampolino di lancio.
Servendosi delle estorsioni dei suoi amici fuori di prigione,
investe attentamente i soldi all'interno per alleviare le
condizioni di giovani detenuti, spesso destinati a uscire presto.
Cutolo usa anche il suo ascendente per comporre liti e dispute. I
risultati non si fanno attendere: la popolarità tra gli ex-detenutí
è altissima, i legami di gratitudine sono molto saldi e una serie
di "fiori" comincia ad affluire nelle casse del camorrista. Le
offerte in danaro sono però il primo passo per creare una falange
di fedelissimi.


una pattuglia di Carabinieri Cinofili. Costituito nel 1957, il reparto cinfili viene impiegato nella ricerca di latitanti e nelle operazioni di soccorsoIl 5 febbraio
1978 Cutolo evade dal manicomio criminale di Aversa e sino al
maggio 1979 (quando viene riacciuffato) la campagna acquisti
procede a pieno ritmo. La NCO è una piramide il cui vertice
assoluto è lui, o' professore; Pasquale Barra, detto o'
'nnimale per la sua ferocia, è il fedele vice che controlla
con pugno di ferro i capizona; Oreste Pagano è il vice per la
Lombardia. La politica di alleanze è intensa e vivace:
rapporti d'influenza, come visto, si sviluppano in Puglia e
nel resto della Campania; ottimi sono rapporti con la
'ndrangheta; alleanze vengono strette con le bande lombarde di
Renato Vallanzasca (il bel René) e Francis Turatello (faccia
d'angelo). Ormai nemmeno la reclusione ferma l'espansione
delle attività economiche: gioco d'azzardo, lotto nero,
totonero, spaccio di droga, contrabbando di armi e sigarette,
rapine, estorsioni, tangenti, truffe sui fondi CEE, biglietti
falsi per lo stadio, furto e ricettazione, usura.


Sempre in carcere, grazie a turpi
complicità, Cutolo gestisce il torbido affare della liberazione
dalle Brigate Rosse dell'assessore regionale campano Ciro Cirillo.
Il grande pubblico si accorge finalmente della minaccia quando
bisogna ricostruire il cratere dopo il terremoto d'Irpinia. Nel
1980 le cricche clientelari si lanciano sulla torta degli appalti
per la ricostruzione, oggetto di molte indagini e processi in
corso.

Centinaia di edifici vengono dichiarati falsamente inagibili o
danneggiati, dozzine di piani-fantasma vengono approvati e
finanziati con grande facilità e su tutto si stende la lunga ombra
della camorra.


Chi invece si è accorto presto dei
nuovo e sgradevole andazzo sono i clan camorristi di più vecchia
data. Nel 1978 Michele Zaza e i suoi creano l'onorata fratellanza,
ma Cutolo se ne infischia e infiltra i suoi in nuovi territori.
Quando tenta di prendere i controllo della zona
Forcella-Duchessa-Mercato-Via del Duomo, nelle mani dei
Giugliano-Marano, questi si alleano con quelli di San
Giovanni-Portici ed alla fine del 1979 scoppia la guerra tra NCO e
Nuova Famiglia. E una guerra senza quartiere: nel 1979 si
registrano 71 omicidi di marca camorrista; l'anno successivo sono
134 e salgono a 193 nel 1981, a 237 nel 1982, a 238 nel 1983, per
scendere a 114 nel 1984. La guerra si conclude con un indebolimento
dei cutoliani e con un rafforzamento della presenza camorristica
nel napoletano.


I TANTI NOMI DEL PATTO DI
SANGUE.
C'è una realtà criminale che è stata così poco
conosciuta e così poco descritta che già nell'Ottocento non si
sapeva bene come chiamarla. Mafia, camorra, camorra reggina,
picciotteria, Famiglia Montalbano, la Santa. Solo due termini sono
rispettivamente correnti nei luoghi e nei mass media: onorata
società e 'ndrangheta. Il primo nome richiama il concetto di onore.
Esso è considerato l'unità di misura del valore di una persona, di
una famiglia e ruota essenzialmente intorno alla figura della
donna. La donna dà e toglie onore, quindi va controllata e tutelata
strettamente perché l'onore non le venga tolto. Se questo
accadesse, tocca all'uomo riparare in un unico modo: uccidendo chi
l'ha disonorata. Altrimenti né lui, né la sua famiglia hanno più
l'onore. Il secondo appellativo ha invece molto probabilmente
origini grecaniche. Andragathos significa uomo valoroso e
coraggioso e solo una persona con questi requisiti può accedere
all'onorata società.


Le cosche mafiose calabresi sono
ampiamente conosciute con il vocabolo 'ndrina, un'organizzazione
locale autonoma, talvolta distinta in maggiore e minore se nello
stesso comune ve ne sono due di differente importanza. Anche
'ndrina è di origine grecanica ed indica la persona dalla schiena
dritta, che non si piega mai. Un codice, talvolta scritto e spesso
tramandato oralmente, regola la gerarchia degli appartenenti.
"L'albero della scienza è diviso in sei parti: il fusto rappresenta
il capo di società; il rifusto il contabile e il mastro di
giornata; i rami i camorristi di sangue e di sgarro; i ramoscelli i
picciotti o puntaioli; i fiori rappresentano i giovani d'onore; le
foglie rappresentano la carogne e i traditori della 'ndrangheta che
finiscono per marcire ai piedi dell'albero della scienza", recita
uno degli statuti sequestrati.


L'entrata nella 'ndrina viene
chiamata battesimo, non solo per la solennità dell'avvenimento, ma
anche perché chi appartiene all'onorata società vi appartiene per
sempre; lo 'ndranghetista è infatti un uomo con due battesimi.
Nelle sue memorie un camorrista della 'ndrina del paesino di
Presinaci ricorda come fosse stato battezzato picciotto al termine
di una rigorosa cerimonia con la formula: "Da questo momento
conosco Serafino Castagna come picciotto appartenente a questo
onorato corpo di società. Giuro con lui di spartire il giusto e
l'ingiusto, qui e fuori di qui e in qualsiasi posto. Se macchie
d'onore porterà, tragedia e infamità cadranno su di lui e non sulla
società". Per passare da picciotto a camorrista bisognava
commettere uno o più sfregi ordinati dalla 'ndrina e poi fare la
tirata del sangue. In questa cerimonia l'aspirante camorrista
doveva duellare con un camorrista e colpirlo tre volte e
succhiargli il sangue dalle ferite. Le lame dei coltelli erano
avvolte nello spago e solo la punta fuoriusciva.


IL METODO MORI IN CALABRIA.
Nel 1955 vengono commessi numerosi delitti che convincono l'allora
ministro degli Interni, Tambroni, ad agire con i mezzi forti. Già
nel mese di aprile i Carabinieri avevano partecipato alla caccia di
quello che la stampa battezzava "il mostro di Presinaci", quel
Salvatore Castagna che in un sol giorno aveva ammazzato cinque
compaesani. Cinquecento Carabinieri con unità cinofile, insieme ai
colleghi della polizia, riescono dopo una battuta che ricorda
quelle contro il brigantaggio a catturare lo 'ndranghetista.


Nell'estate il ministro spedisce in
Calabria il giovane questore di Trieste, Carmelo Marzano, in
sostituzione del questore Pietro Sciabica, per ripulire dai
latitanti il reggino. Tanta è la distanza tra Stato e cittadini che
viene coniata l'ironica battuta: "A Reggio sono arrivati i
marziani".


Marzano si muove con rapidità
allontanando fuori dalla questura le persone giudicate meno
affidabili. Sul flusso di raccomandazioni e sollecitazioni da parte
di esponenti politici cala il black-out totale.

Di nuovo i Carabinieri sono in prima linea nella gigantesca
operazione lanciata dal questore: controllo del territorio, misure
amministrative, ripristino di ammonizione e confino, revisioni dei
porti d'arma. I risultati sono: 261 arresti, 22 fucili, 2 mitra, 61
pistole, 136 pugnali e armi bianche entro il 27 ottobre.


Dopo 57 giorni il ministro dichiara
ufficialmente conclusa l'operazione ma il prefetto di Reggio
Calabria Pietro Rizzo scrive allo stesso ministro: "La mafia che
sarebbe stata presunzione ritenere di aver eliminato nel volgere di
tre mesi, colpita nelle ramificazioni, ha purtroppo salde radici
che soltanto un'azione paziente e graduata nel tempo potranno
distruggere". Sull'azione delle 'ndrine si stende il silenzio.


Nel frattempo, dal 1950 al 1980, la
violenza caratteristica della 'ndrangheta causa il 90 percento dei
2.100 omicidi commessi in zona. Gli anni Sessanta portano nuovi
ignobili e ricchi guadagni con la droga, i sequestri di persona ed
il mercato di appalti e subappalti. Saltano così gli equilibri
rappresentati dai capibastone dominanti nel ventennio
precedente.


Dal 1965 al 1969 infuria la prima
fase della guerra fra le 'ndrine con epicentro a Reggio. Il vecchio
capobastone di San Martino Taurianova Giuseppe Zappia, lancia un
appello all'unità in una riunione segreta, ma la proposta urta
contro il tenace paticolarismo delle famiglie. La seconda fase è
segnata, nel 1974, dall'assassinio di Giovanni De Stefano nel Roof
Garden, un locale chic di Reggio. Nel 1975 vi saranno 93 morti e
101 nell'anno successivo: dallo scontro fra i Tripodo e i De
Stefano emergeranno i secondi. E' in quest'epoca che il coltello
viene definitivamente sostituito con il mitra e con il tritolo: si
perde anche qualunque residuo rispetto della persona umana con
frequenti sfregiamenti di cadaveri. "Sembra che non gli importi
neppure di morire: è la vita che non vale più nulla", commenta
amaro un giovane ufficiale dei Carabinieri.






Approfondimento: Reparti speciali


uomini del GISNel corso degli anni
l'originaria articolazione territoriale dell'Arma dei Carabinieri è
stata adattata alle esigenze geodemografiche ed operative in
relazione alle tipologie e alle metodologie criminali, con reparti
differenziati per entità ed ampiezza giurisdizionale (Divisioni,
Comandi Regionali, Comandi Provinciali, Comandi Intermedi e
Stazioni). Si è quindi aggiunta una linea di reparti ad alto
profilo di specializzazione, dotati di mezzi e tecnologie mirati ad
interventi in situazioni e/o ambienti difficili.


Per cui ai carabinieri a cavallo,
nati con l'Arma stessa e ancora utilissimi in battute su territori
impervi specialmente in Calabria e nelle maggiori isole, si sono
affiancati: dal 1922 gli sciatori e i rocciatori, istituiti con
compiti di vigilanza e soccorso in alta montagna; dal 1953 i
subacquei impiegati per il recupero di corpi di reato nel mare e
nelle acque interne, in situazioni anche molto complesse per
l'insidia dei fondali, dal 1955 i tecnici e gli assistenti di
laboratorio del Centro Carabinieri Investigazioni Scientifiche
(Ccis) per le indagini di polizia giudiziaria; dal 1957 i cinofili,
idonei alla ricerca di catturandi e in operazioni di soccorso; dal
1964 i nuclei operativi e radiomobili per servizi di prevenzione e
pronto intervento con i quali sempre più spesso e con successo
cooperano dal 1965 gli elicotteristi che affiancano pure dal 1969,
specialmente in estate, gli equipaggi delle motovedette; dal 1974 i
tiratori scelti assegnati ai Comandi regionali per situazioni ad
alto rischio, dal 1991 i Cacciatori degli squadroni eliportati, che
operano in funzione antisequestro nella regione dell'Aspromonte e
in Sardegna.


Né vanno dimenticati i Comandi
(Antidroga; Antisofisticazioni e Sanità; Tutela del Patrimonio
Artistico; Banca d'Italia) e i Nuclei (Ispettorati del Lavoro;
Operativo Ecologico e Antifalsificazione monetaria). Un cenno a
parte merita infine il Raggruppamento Operativo Speciale (Ros):
istituito il 3 dicembre 1990 al quale sono affidati compiti di
contrasto specifico della criminalità organizzata su tutto il
territorio nazionale: è articolato in Sezioni e Reparti
specializzati per tipologia criminale e si è distinto in operazioni
particolarmente brillanti, quali la cattura del famigerato boss
mafioso Salvatore Riina (1993).

 
 
 

Post N° 47

Post n°47 pubblicato il 08 Gennaio 2009 da giovannydelprete


La lotta contro la
mafia


Premessa




"Un mafioso è uno che lucra
per avere prestigio e poi goderne in tutti i settori. E chi lucra è
pure capace di uccidere. E, prima di uccidere, intendo assassinio
anche come morte civile, è pure capace di usare espressioni come:
'paternalmente, affettuosamente ti consiglio...'.


( ... ) Nelle stesse pieghe delle
amministrazioni locali e statali sono, con molta probabilità,
inseriti elementi legati al fenomeno mafioso e il loro mimetismo
non solo garantisce il proseguimento del successo dell'illecito ma
contribuisce anche a quel 'prestigio' su cui il mafioso deve poter
contare in ogni sede".


(da un'intervista del generale Carlo
Alberto Dalla Chiesa a Epoca nel 1982)



"Il giovane che poi sarebbe stato
conosciuto come il pentito Antonino Calderone, era il nipote di un
importante capomafia catanese morto nel 1960 in un ospedale di
Milano, era cresciuto nell'ambiente di Cosa Nostra ed era candidato
all'affiliazione. Durante una visita allo zio malato, cui era molto
legato, Antonino si vede indicare una rosa. "Vedi quella rosa sul
davanzale della finestra?" - gli dice con voce affaticata lo zio
che ben sapeva della sua candidatura - "E' bella, molto bella, ma
se la prendi, ti punge". Silenzio. Poi: "Sapessi come è bello
addormentarsi senza il timore di essere svegliato brutalmente nel
cuore della notte. E camminare per strada senza doversi
continuamente voltate per paura di ricevere un colpo alla
schiena".


(dalle memorie del giudice Falcone
in Cose di Cosa Nostra).


Storie vecchie, storie nuove di
mafia e di soldi, di morti ammazzati e di corone di fiori secche,
di brillanti blitz e di processi a bolla di sapone, di roboanti
indignazioni e di silenziosa indifferenza, di arroganza e di senso
dello stato. Il percorso dei Carabinieri nella loro più che
centenaria storia si è sempre imbattuto nelle profonde
contraddizioni italiane tra cui quelle riassunte nelle tre parole:
mafia, camorra, n'drangheta.

 
 
 

Post N° 46

Post n°46 pubblicato il 08 Gennaio 2009 da giovannydelprete


Bilancio di
un'epoca



La lotta al terrorismo
non ebbe né rapida né facile soluzione dopo questi drammatici
episodi che svelarono la pericolosità per le istituzioni non solo
delle Brigate Rosse ma anche di numerosi altri gruppi terroristici,
di destra e di sinistra, più o meno ricchi di militanti e di mezzi,
che erano passati dalla violenza diffusa alla lotta armata
clandestina.


l'autoblindo Greyhound.Attorno al Nucleo Speciale
Carabinieri, che aveva dato prova di così elevata efficienza,
l'Arma creò una più ampia struttura anticrimine, con il compito di
raggiungere una conoscenza globale della minaccia e di tradurla in
termini di contrasto operativo. Era divenuta infatti chiara
l'esigenza di adottare metodi e mentalità differenziate rispetto a
quelli utilizzati contro la criminalità comune; bisognava
affrontare il nemico sul suo stesso terreno, con gli strumenti e le
tecniche più adatti per contrastare quel tipo di organizzazione,
sostenuta da motivazioni ideologiche e radicata nel tessuto
sociale.


Prima di tutto, quindi, la ricerca
di informazioni qualificate e capillari, che da tutti gli
innumerevoli comandi territoriali dell'Arma affluissero
continuamente agli specialisti, in grado di analizzarle e
sfruttarle in modo scientifico e coordinato. Le Sezioni Speciali
Anticrimine, pur dirette a livello centrale, avevano poi ricevuto
aree di competenza corrispondenti alle zone ove operavano le
strutture eversive, e in particolare le colonne delle Brigate
Rosse, al fine di essere ancor più aderenti all'esigenza.


Sull'aggiornamento costante della
piattaforma informativa si sono plasmate le tecniche operative più
sofisticate, costituite dall'uso di mezzi informatici,
foto?cinematografici, di trasmissione e di locomozione, che
consentissero agli operatori di svolgere un'azione investigativa
aderente ed efficace. Ma, soprattutto, la mentalità operativa
tradizionale subì modifiche imposte dalla necessità di raggiungere
obiettivi non limitati al tradizionale intervento di polizia, fatto
di una serie di arresti e di sequestri, proponendosi invece di
incidere a fondo sull'aspetto associativo, e quindi sull'essenza
stessa dell'organizzazione da combattere.


il carro m47Da qui indagini
protratte, basate su estenuanti servizi di osservazione e
pedinamento di persone sospette, i cui movimenti, i contatti,
le attività, potessero consentire l'individuazione di tutta
una serie di militanti e. soprattutto, di risalire alla
direzione e alle basi clandestine dell'organizzazione. Anche
quando aveva luogo l'intervento, venivano preservati alcuni
spunti, i cosiddetti "rami verdi", sui quali proseguire le
indagini fino a risalire ad altri spezzoni della struttura
terroristica da disarticolare. Un lavoro, dunque, incessante
sul terreno, indirizzato dall'analisi di documenti e del
materiale di volta in volta sequestrato, per aggiornare e
perfezionare al massimo l'indispensabile conoscenza
dell'avversario.


Con professionalità e specifica
preparazione, abbinate alla sensibilità umana, lo stesso personale
che arrestava il terrorista, iniziava poi una paziente attività di
persuasione, agevolata dall'adozione di una legislazione premiale,
fino a provocarne la crisi ideologica e la collaborazione
processuale. Da questi sforzi, dalla tenacia di questi uomini,
sostenuti operativamente da tutta l'Arma territoriale, sono giunti
risultati determinanti nella lotta contro il terrorismo, che dopo
il clamoroso sequestro Moro e una serie impressionante di delitti,
ha progressivamente subito l'offensiva dello Stato e lo
sgretolamento finale delle sue strutture.


Ma questa lunga campagna contro
l'eversione, peraltro mai completamente cessata, poiché fermenti
ideologici e sporadici tentativi di riaggregazione si manifestano
periodicamente, e con tempestività devono essere individuati e
prevenuti, ha prodotto un ulteriore importantissimo risultato per
l'Arma: ha cioè creato una cultura investigativa nuova, basata su
un approccio sistematico ai fenomeni criminosi e sul contrasto
delle organizzazioni, anziché sull'analisi dei singoli fatti.


Questo metodo, inizialmente
patrimonio della ristretta componente anticrimine, è stato
assimilato e adottato da tutti i Reparti investigativi dell'Arma e,
con gli opportuni adattamenti, è divenuto lo strumento per
affrontare in modo sistematico e permanente le non meno temibili
organizzazioni della criminalità mafiosa.

 
 
 

Post N° 45

Post n°45 pubblicato il 08 Gennaio 2009 da giovannydelprete


La contestazione e il
terrorismo



gli scontri di Battipaglia del 1968. Il 1968 pone
bruscamente fine al balletto di una serie di governi di
centro-sinistra che, pur avendo cercato di mediare una
situazione politica bloccata, non hanno sostanzialmente
risposto alle esigenze di una società più avanzata. Il
movimento di protesta parte dalle università californiane e si
estende con grande rapidità in Europa. Il "maggio francese" è,
per le università italiane, un'esperienza indimenticabile. Gli
studenti esprimono tutta la loro ribellione nei confronti di
un sistema scolastico ossificato e sorpassato. Sono ben decisi
a non svolgere un ruolo passivo: prendono l'iniziativa per
reinventare in un'onda di disordinata creatività e protesta il
modo stesso di vivere e studiare.


Il mondo del lavoro, cresciuto
all'ombra di un boom economico che non aveva tenuto conto delle sue
esigenze sociali, entra in fermento. Le rivendicazioni economiche
si saldano ai dibattiti e alle lotte intorno alle condizioni in
fabbrica, alla struttura dell'organizzazione del lavoro (ritmi,
controlli, straordinari e impatto delle innovazioni tecnologiche
nella catena produttiva), al diritto alla casa contro la
speculazione del mattone ed ai trasporti di massa. Le prime lotte
hanno origine in zone periferiche. L'azienda tessile Marzotto a
Valdagno è testimone di manifestazioni spontanee contro i nuovi,
massacranti ritmi di lavoro e contro la minaccia di 400
licenziamenti. Ad Avola e a Battipaglia i braccianti reagiscono
duramente all'intervento della forza pubblica e gli scontri
provocano quattro morti e alcune decine di feriti. Nel febbraio
1968 campeggiano le foto della battaglia di Valle Giulia, a Roma,
un momento di svolta nel movimento studentesco ed un suo passaggio
ad una fase più violenta. La polizia era riuscita a sgomberare la
facoltà di Lettere occupata dagli studenti, ma questi avevano
spostato il peso della loro presenza sulla facoltà di
Architettura.


Anche qui le forze di polizia
tentano di allontanarli ma vengono impegnate in uno scontro
durissimo. Macchine ed autobus sono dati alle fiamme. 46 militari
finiscono in ospedale e diversi studenti si fanno curare di
nascosto. à il trionfo dell'esaltazione di giovani che in scarpe di
tela volteggiano nella guerriglia urbana. Pasolini innesca una
rovente polemica sottolineando alcune evidenti contraddizioni del
movimento.



"... lo no, cari./ Avete facce di figli di papà/ ... / quando
ieri a Valle Giulia avete fatto a botte/ coi poliziotti,/ io
simpatizzavo coi poliziotti./ Perché i poliziotti sono figli di
poveri,/ vengono da subtopaie, contadine e urbane che
siano.",


recitava una sua contestatissima
poesia.


Da allora nella cultura giovanile la
violenza, vista anche come una risposta ai duri interventi
governativi, viene rapidamente accettata come inevitabile e
giustificata in quanto rivoluzionaria. Si fanno strada i teorici
della violenza proletaria e sono in voga slogan come "Il potere
nasce dalla canna del fucile', Violenza contro violenza", "Guerra
no, guerriglia sì" sullo sfondo dei miti di Mao, Che Guevara e del
Vietnam.


SI PASSA ALLE ARMI. Chi ha
ancora visto di recente dal vivo o sui mass media i volti e gli
atteggiamenti dei protagonisti della stagione del terrorismo
italiano non può, specie se non partecipe diretto di quegli eventi,
che essere assalito da un vago senso di smarrimento. Queste signore
e signori ormai di una certa età, con l'aspetto segnato dalle loro
diverse culture politiche sono proprio quelli che hanno messo le
bombe o gambizzato o rapito e ammazzato?


Eppure in quegli anni tremendi il
senso dello scontro e dell'odio politico erano davvero palpabili e
la violenza dei picchiatori era una minaccia costante e concreta
nelle città grandi e piccole.


La sfida di questo decennio viene
raccolta dall'Arma con tre strumenti. Quello più ovvio è
rappresentato dal servizio di ordine pubblico. Meno visibile, ma di
maggiore importanza per l'azione preventiva, è il servizio
informativo.


gli incidenti del 1968 nall'università di RomaAltamente spettacolari sono le
cosiddette operazioni Setaccio, create in risposta ad un serio
aggravamento della criminalità comune. Mai dalla fine della guerra
si sono visti rastrellamenti di questa ampiezza e l'operazione
Setaccio più massiccia dura dal settembre al dicembre 1971. Tre
divisioni (Pastrengo, Podgora e Ogaden) mettono in campo un totale
di 35mila uomini, appoggiati da altre forze dell'ordine, per
controllare 90 province. Gli arresti sono centinaia, le denuncie
migliaia e le contravvenzioni decine di migliaia. Nel frattempo il
terrorismo "rosso" e "nero" comincia a mietere le sue vittime. Tre
carabinieri saltano in aria ed uno resta gravemente ferito nei
pressi di Peteano. Il pomeriggio del 31 maggio 1972 una telefonata
anonima informa i Carabinieri di Gorizia che c'è nei pressi del
villaggio una macchina sospetta con due colpi di pistola sul
parabrezza. E' un agguato: il solo esecutore materiale, il fascista
Vincenzo Vinciguerra, viene condannato all'ergastolo.


DUELLO CON LE BR. La
formazione più agguerrita e temibile nella nebulosa del terrorismo
di sinistra è indubitabilmente quella della BR (Brigate Rosse),
costituitesi come partito armato nel maggio del 1972 e passate alla
clandestinità.


il generale Carlo Alberto dalla Chiesa che creò il nucleo investigativo dell'Arma contro il terrorismoMentre a
livello di vertici politici si perde tempo in sterili
battaglie di competenze, i CC creano, per iniziativa del
generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, un primo nucleo
investigativo. All'interno di questa formazione di punta
spicca il vecchio maresciallo Felice Maritano.


Nato nel 1919 a Giaveno (in
provincia di Torino), padre di tre figli, Maritano ha partecipato
alla guerra nei Balcani e dopo l'8 settembre 1943 è stato internato
in Germania fino alla fine del conflitto. Nel 1941 era stato
promosso appuntato per meriti di guerra, poi decorato con croce al
Valor Militare nel gennaio 1941 sul teatro dei Balcani. Nel corso
del suo lungo servizio di 10 anni a Rivarolo (Genova) gli erano
stati concessi 10 encomi solenni. La gente lì lo conosceva con
l'affettuoso (e significativo) nomignolo di "sceriffo".


Una foto ce lo mostra con i suoi 35
anni di servizio: un vecchio maresciallo aitante coi baffi
brizzolati, la schiena dritta, lo sguardo fermo e limpido. Le
Brigate Rosse hanno rapito da poco (aprile 1974) il giudice
genovese Mario Sossi, dimostrando sia la loro capacità
organizzativa che la loro determinazione nel condurre la lotta. Il
giudice verrà rilasciato, ma la caccia dell'Arma era appena
iniziata e si stavano ancora mettendo a punto le tecniche più
idonee. Maritano avrebbe potuto andarsene tranquillamente ed
onoratamente in pensione, ma il 22 maggio 1974 si costituisce il
nucleo e due giorni dopo Maritano chiede al suo colonnello Giuseppe
Franciosa di entrarvi. Il 27 ne entra a far parte in considerazione
delle sue doti e della sua collaudata esperienza. Fin dai primi
giorni il suo ascendente nel reparto è altissimo. Ricostruisce la
biografia di uno dei membri delle Brigate Rosse e il suo lavoro lo
porta a contatto con amici, parenti e conoscenti del brigatista
ricercato; alla fine la pista porta al covo di Pianello Val Tidone
(Piacenza). L'operazione si risolve con l'arresto dei terroristi
Carnelutti e Sabatino e la disfatta della colonna lodigiana delle
Brigate Rosse.


Poco dopo Maritano si offre anche
volontario per l'operazione che nei pressi di Pinerolo porta
all'arresto di capi storici delle Brigate Rosse come Curcio e
Franceschini, bloccandoli armi in pugno insieme ad altri (8
settembre 1974). Dal paziente vaglio del materiale rinvenuto nel
covo di Pianello si arriva alla base brigatista di Robbiano di
Mediglia.


UN APPIATTAMENTO. Al momento
di far scattare l'operazione a Robbiano, il Nucleo speciale ha già
al suo attivo un bilancio rispettabile per la sua breve esistenza
operativa: 34 arresti; 43 denunzie; 193 perquisizioni domiciliari;
160 accertamenti bancari; 93 sopralluoghi; 456 rilievi fotografici;
1.050 informazioni richieste. Un segno del dinamismo del generale
che l'ha creato e dell'impegno dei suoi componenti. Visto che il
covo quando i carabinieri arrivano è vuoto, si decide di
organizzare un appiattamento, ossia di nascondere alcuni militi
all'interno dell'appartamento in modo da trasformare un rifugio
ritenuto sicuro in una vera e propria nassa. E' un servizio
sfibrante che richiede molta pazienza e sangue freddo. Sentiamo che
cosa ne dice il colonnello Franciosa (oggi generale) in
un'intervista radiofonica al Giornale Radio del 17 ottobre.

"Il sottufficiale non faceva questione di turni: rimaneva in piedi
tutta la notte. Era l'unico di tutto il nucleo che non aveva fatto
alcun giorno di licenza, diceva che l'avrebbe fatta quando sarebbe
finita questa storia... All'interno dell'appartamento erano al
buio, ma nelle scale c'era la luce".


I carabinieri pensavano che ci
potesse essere un conflitto a fuoco?


"Evidente che se lo aspettavano,
tanto è vero che gli uomini in attesa nell'atrio della casa, si
erano organizzati con una piccola stufetta elettrica che avevano
trovato nella stessa casa anzi, scherzando, dicevano che la
bolletta della luce l'avrebbero pagata i brigatisti. Maritano era
un uomo di 56 anni in compagnia di altri sottufficiali che avevano
25/26 anni e li teneva svegli per il semplice fatto che lui era
sveglio. Era un po' per tutto il reparto un simbolo, non perché
aveva i capelli grigi, ma perché aveva la vivacità e l'entusiasmo
spesso non riscontrabili in un giovane".


Non pensa che fosse anziano per
questa operazione?


"Certo che era anziano, però tenga
presente che era lui stesso a chiederlo. Il soggetto fisicamente
era efficientissimo, tanto efficiente che nell'inseguimento ha
superato gli altri due molto più giovani di lui... A parte il fatto
che l'anzianità dicevo che non incideva per niente sulle sue
qualità fisiche essendo un tipo asciutto, scattante, dinamico."


A CAPOFITTO PER LE SCALE.
L'operazione a Robbiano è stata disposta dal generale Dalla Chiesa
che comandava la 1° Brigata Carabinieri di Torino. Le indagini,
partite dai nuclei investigativi di Torino, Genova, Milano sono
passate al nucleo speciale. I controlli a tappeto in via Amendola
(il covo era al n. 10) sono avviati all'inizio di quella settimana.
Dotati di foto segnaletiche i militi setacciano ogni appartamento.
Venerdì pomeriggio alle 14 scatta l'operazione. La porta viene
sfondata, l'appartamento è vuoto: si pensa quindi di tendere una
trappola ai tre. Nell'appartamento si trova materiale investigativo
di notevole interesse (tra cui mitra e pistole utili
all'identificazione dei terroristi implicati nel rapimento del
giudice Sossi), esplosivi e munizioni. Viene anche rinvenuta
un'agenda di Sossi, un documento BR firmato da Sossi. Nel covo uno
Sten, due mitra, un moschetto, un revolver, un carabina, tre bombe
a mano tedesche (le temute Stielhandgranaten), molti silenziatori, decine di metri
di miccia e molti documenti falsi (passaporti, carte d'identità,
eccetera).


I tre brigatisti arrivano uno alla
volta: sembra facile, ma è un affare altamente rischioso. Alle 13 e
alle 21,30 due brigatisti, armati di pistola con il colpo in canna
(calibro 7,65 mm), vengono arrestati. Non avendo partecipato alla
cattura di Bassi, il primo brigatista, Maritano ottiene di
partecipare ai turni di piantonamento successivi ed insiste a
rimanere perché non vuole lasciare soli i più giovani nei momenti
più rischiosi. Vista la sua esperienza si accetta la sua richiesta
in modo che serva da elemento di continuità e coesione nelle
rotazioni del personale. Alle 21.30 partecipa alla cattura di
Bertolazzi, che tenta di estrarre una 7,65, ma viene bloccato dai
militi. Alle 3.20 dopo un breve riposo nella branda del covo, si
sente uno scalpiccio sulla tromba delle scale. In servizio di
appiattamento si trovano Maritano e i brigadieri Calapai e Furno.
Furno sente i rumori, avvisa Maritano e si piazzano sul
pianerottolo.


Quello che successivamente sarà
identificato come il brigatista Ognibene arriva a pochi metri e si
accorge della presenza dei carabinieri. Maritano intima "Alt,
Carabinieri", ma Ognibene si dà alla fuga lungo la tromba delle
scale, inseguito dai tre militi. Il silenzio della notte è lacerato
dai colpi della Smith & Wesson calibro 38 special del
terrorista. I colpi raggiungono il maresciallo che però non molla.
Maritano scosta Calapai e spara contro il brigatista, lanciandosi
al suo inseguimento. Continua a sparare con la mano sporca di
sangue appoggiandosi alla parete, finché quattro colpi non
neutralizzano il brigatista. I due arrivano al piano terra.
Ognibene stramazza al suolo e Maritano gli si accascia vicino, come
se volesse controllarlo. Quasi esanime esorta i due sottufficiali a
catturare il brigatista. Muore durante il trasporto
all'ospedale.


UN FUNERALE BLINDATO. La
morte del valoroso maresciallo desta una profonda emozione anche
nell'Italia indurita dall'asprezza della lotta politica. A parte
tutte le manifestazioni ufficiali di cordoglio, giungono al Comando
Generale numerose testimonianze di solidarietà e di fiducia. Ma il
clima è davvero pesante e non risparmia nemmeno le esequie ad un
morto. La notte precedente arrivano telefonate minatorie contro chi
vuole partecipare al funerale. Scritte minacciose sono tracciate
sui muri della chiesa e nelle vie adiacenti. In risposta a queste
intimidazione all'uscita del feretro dalla chiesa tutte le sirene
del porto di Genova hanno suonato. Lo Stato è presente: al funerale
ci sono Sandro Pertini, presidente della Camera, Paolo Emilio
Taviani, ministro degli Interni, il Comandante Generale, Enrico
Mino. Maritano viveva a Rivarolo ed è stato sepolto lì. Gli
abitanti si ricordano ancora la sua eccellente conoscenza della
zona ed il fatto che lui cercava di aiutare la gente in difficoltà
e di comporre le liti. Lui non si tirava indietro nel lavoro e non
guardava di che partito si fosse: "Basta che sono persone oneste,
per me sono tutte uguali", diceva.


"Il carabiniere lo si conosce
solamente quando muore" ? aveva detto il colonnello Franciosa.


FACCIA A FACCIA CON MARA.
Ognibene, che all'epoca aveva vent'anni, dichiara una falsa
identità quando viene ricoverato in ospedale con una prognosi di
venti giorni. La copertura dura poco e verrà processato per
direttissima. Qualche mese dopo (il 19 febbraio 1975) una mesta
cerimonia di solidarietà ricorda alcuni caduti sul fronte del
terrorismo, compresi i tre caduti per la bomba di Peteano (il
brigadiere Antonio Ferraro ed i carabinieri Franco Dongiovanni e
Donato Poveromo), oltre al maresciallo maggiore Felice Maritano. Il
4 giugno 1975 viene rapito lungo la provinciale piemontese
Cassinasco-Canelli l'industriale Vittorio Vallarino Gancia. I
Carabinieri, ormai temprati dall'amara esperienza di quegli anni,
si muovono rapidamente. Alle 15,30 viene arrestato Massimo Maraschi
(22 anni) da Lodi che aveva avuto un incidente un'ora prima a circa
200 metri dal luogo del rapimento. Dopo aver tentato un accordo con
l'altro conducente coinvolto nell'incidente, si era dato alla
fuga.


Scatta un'ampia battuta e si trova
la vettura a Canelli con a bordo un individuo che tenta la fuga in
un cantiere. Viene fermato e portato alla caserma. L armato con una
pistola 7,65 con il colpo in canna, l'auto è rubata e i documenti
sono falsi. Nella notte stessa in collaborazione con il Nucleo
speciale si appura che: l'uomo è identificato come noto brigatista,
già inquisito dal Nucleo; il documento d'identità falso appartiene
ad un blocco di documenti trovati nel covo di Robbiano; Maraschi ha
partecipato al rapimento di Gancia, bloccando la strada con la
vettura. Studiata la zona si ordina un controllo a tappeto di
località isolate, cascine e abitazioni sospette.


Il 5 giugno 1975 il tenente Umberto
Rocca, comandante della compagnia di Acqui, dopo aver celebrato la
ricorrenza del 161° anniversario dell'Arma, verso le 10,30 decide
di effettuare ispezioni in località e cascine già note e
sorvegliate (ma ancora senza esito). Sono con lui il maresciallo
maggiore Rosario Cattafi, comandante della stazione di Acqui Terme;
l'appuntato Giovanni D'Alfonso, l'appuntato Pietro Barberis. I
primi tre in uniforme e l'ultimo in abito civile. Arrivati nella
località di Arzello del comune di Melazzo (10 km da Acqui) alle
11.30 Rocca giunge alla cascina Spiotta, da più mesi posta sotto
sorveglianza perché segnalata come luogo saltuario di ritrovo di
persone sospette.


SENZA ESCLUSIONE Di COLPI.
L'ufficiale controlla l'interno delle vetture e detta gli estremi
dei libretti di circolazione quando Barberis segnala al tenente di
aver sentito voci e rumori nella cascina. Rocca si avvicina alla
porta, constatando la presenza di alcuni individui all'interno
della cascina. Ordina che la vettura si piazzi sulla strada per
bloccare il traffico, ma defilata da eventuali tiri da porte e
finestre; D'Alfonso si piazzi in posizione tra i capannoni,
defilato, ma pronto a intervenire; Barberis chieda subito rinforzi
alla centrale operativa via radio e controlli la parte posteriore
della cascina. Il tenente Rocca, con Cattafi, compie una rapida
ispezione dell'immobile, per appostarsi poi allo spigolo destro con
il suo mitra per controllare due lati, e ordina a Cattafi, che ha
già bussato, di mettersi all'estremità di un casotto in muratura di
fronte alla cascina. Al piano superiore si affaccia una donna che
guarda nel cortile e rientra in silenzio. Rocca allerta a gesti i
suoi dipendenti. Cattafi ad alta voce invita più volte il dottor
Caruso (il nome che risulta dalla targhetta alla porta) a uscire
fuori. Un uomo apre la porta e invita con fare arrogante i militi
ad entrare. Cattafi ripete l'invito, ma l'uomo lancia un bomba e
richiude la porta. Si scatena l'inferno. La bomba investe in pieno
Rocca, gli trancia il braccio sinistro e gli ferisce l'occhio
sinistro. Cattafi si prende numerose schegge sul lato destro, ma
spara con la pistola contro finestre e porta. Poi si accorge delle
gravi ferite dell'ufficiale Rocca. Smette di sparare e, benché
ferito gravemente, lo solleva di peso e lo mette al riparo
trascinandolo per 100 metri di terreno ripido e aspro fino alla
provinciale. Ferma un'auto di passaggio e chiede al conducente di
portare Rocca all'ospedale di Acqui. Nel frattempo sta arrivando
un'altra pattuglia di cui rifiuta il soccorso, invitandola a
raggiungere la cascina.


Sarà caricato a bordo di
un'ambulanza poco dopo.

Nella cascina un uomo e una donna tirano un'altra bomba a mano (a
vuoto) ed escono dalla porta per andare ai capannoni. D'Alfonso
avanza per bloccarli con il fuoco della pistola, ma viene centrato
da una raffica alla testa, al torace e all'addome. Nonostante i
colpi ricevuti, spara a sua volta un intero caricatore, forse
ferendo due volte la donna che è salita in macchina. Ormai i due
sono in fuga. La strada è però sbarrata dall'auto dei carabinieri
dove Barberis si era tempestivamente messo al riparo. Le due
macchine dopo un tamponamento escono di strada. Barberis spara, i
brigatisti rispondono e l'uomo esce fuori dalla vettura
arrendendosi "Siamo feriti, ci arrendiamo". Il solito vecchio
trucco. Barberis smette di sparare, li invita ad alzare la mani e
ad andare verso una radura. Ma dopo pochi passi l'uomo si fa scudo
della donna, estrae dal giubbetto una bomba e la lancia verso
Barberis che, con grande prontezza, si slancia in avanti e riesce a
sparare colpendo a morte la donna nonostante la bomba gli esploda a
pochi metri di distanza. Il terrorista superstite si tuffa nella
boscaglia e Barberis, preso un caricatore a D'Alfonso, lo insegue.
Ne perde, però, le tracce. Torna indietro e assiste D'Alfonso
ferito a terra.


Dopo alcuni minuti arrivano con
l'autoradio tre colleghi.


Il vicebrigadiere Frati, che
comandava il gruppo, prima di ispezionare la cascina, lancia un
candelotto lacrimogeno. Da un piccolo vano a piano terra sentono
gridare aiuto. E' Gancia, rapito il giorno prima. La donna uccisa è
Margherita Cagol (conosciuta con il nome di battaglia di Mara),
moglie di Renato Curcio. Lo scontro si è risolto in un'autentica
carneficina. Rocca è mutilato, D'Alfonso è morto, ma i carabinieri
tengono duro. Cattafi viene trovato dai giornalisti mentre sta per
tornare a casa con numerose schegge in corpo. Mostra la divisa
sforacchiata: "Potrei scolarci la pasta", dice, "ma comunque mi è
andata bene".






Approfondimento: Perchè all'esterno dell'Arma


Molti si chiedono per
quale motivo il Comandante Generale dei Carabinieri non possa
provenire dalle file dell'Arma, ma venga nominato tra i Generali di
Corpo d'Armata delle altre Armi dell'Esercito. In realtà
l'Istituzione, nel corso della storia, ha avuto 13 Comandanti
tratti dalle sue stesse file, l'ultimo è stato il Generale Angelo
Cerica dal 23 luglio all'11 settembre 1943.


Il Decreto Luogotenenziale del 26
aprile 1945 n. 230 prevede che la carica di Comandante generale
debba essere affidata ad un Generale di Corpo d'Armata, grado non
previsto per gli ufficiali dei Carabinieri se non all'atto del
collocamento in ausiliaria. Infatti la Legge 9 maggio 1940 n. 368
sull'ordinamento del Regio Esercito, fissa il grado massimo
raggiungibile in servizio attivo nella "Benemerita" in Generale di
Divisione.


Per la verità, il successivo Regio
Decreto Legge dell' 8 febbraio 1943 n. 38, all'articolo 1 istituì
anche per i Carabinieri il grado di Generale di Corpo d'Armata e
infatti lo erano gli ultimi due Comandanti prima dell'armistizio:
Azzolino Hazon, perito nel bombardamento di Roma del 19 luglio 1943
e, il già citato Angelo Cerica. Ma il Decreto Legislativo del 20
gennaio 1948 n. 45 ha poi ripristinato la precedente normativa del
1940. Va precisato che il Vice Comandante Generale porta sulle
spalline tre stellette, ma la terza, bordata di rosso, è
"funzionale" in relazione all'importanza e al prestigio
dell'incarico, non costituisce però un grado a tutti gli
effetti.

 
 
 
Successivi »
 

CERCA IN QUESTO BLOG

  Trova
 

ULTIME VISITE AL BLOG

legionealdomie08decarolistefanopeppe061973m.matalunoba_facacciatorefranco66casale.valterziogiovanni65f.galessimarualdozimra2andreabilliasecondobaninogiuseppingra
 

CHI PUò SCRIVERE SUL BLOG

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
I messaggi e i commenti sono moderati dall'autore del blog, verranno verificati e pubblicati a sua discrezione.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963