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Post N° 35

Post n°35 pubblicato il 12 Febbraio 2008 da faustomichele

1927-1951

Michele/6

 

Trasferimento in Abruzzo

 

Nel 1929, in piena depressione economica, papà Enrico ritenne di essere giunto il momento di tentare la creazione di una attività più remunerativa nell’interesse della famiglia che sarebbe aumentata anche di numero, secondo i suoi desideri.

Chiese ed ottenne la gestione di un lanificio in Avezzano, di proprietà dei Conti Torlonia.

Era una azienda dislocata in una zona popolosa e aveva un macchinario in buone condizioni e capace di produrre filati per maglieria e tessuti cardati per abiti da uomo, nonché coperte semplici oppure arabescate.

Il macchinario era formato da un assortimento di carderia per la preparazione degli stoppini, da un selfacting per la rifinitura di filati cardati, da alcuni telai meccanici automatici, e macchine accessori per la rifinitura dei tessuti, follatura, calandratura e stiratura.

Si trattava di un contratto molto favorevole, la proprietà garantiva una gestione durevole nel tempo.

C’erano tutti i presupposti perché l’avventura garantiva la buona riuscita. Così Enrico divenne un operatore industriale tessile.

Il terzetto partì e una nuova vita iniziò, solo il ricordo del piccolo Antonio perso, rattristava, ma la vita continua e si deve accettare la situazione di forza maggiore.  

Avezzano, una città comoda e situata in pianura, nella conca del Fucino, con una popolazione numerosa, essenzialmente contadina, che produceva anche una quantità di lana per assicurare la materia prima del lanificio, ma con un clima molto freddo.

Va detto, però, che mamma Laura non aveva mai accettato questo trasferimento, avrebbe preferito rimanere nella condizione di sicurezza che dava uno stipendio, anziché l’attività in proprio che, secondo lei, era più rischiosa, tenendo in considerazione la depressione economica mondiale.

L’azienda aveva anche un appartamento per il gestore, e vicino c’era un secondo appartamento in carico al Lanificio ma abitato da

un signore e moglie, senza figli, che subito divennero amici.

Antonio e Lucia furono molto gentili e aiutarono molto i nuovi arrivati, e presero molto a benvolere Michele.

Con il passare dei giorni l’ambientamento in questo nuovo posto rendeva più tranquilli Enrico e Laura, si facevano nuove conoscenze, il lavoro non mancava e andava bene.

Antonio e Lucia coltivavano un appezzamento di terreno di loro proprietà nella zona del Fucino, erano impegnati per alcuni giorni della settimana, e gli altri giorni li impiegavano ad aiutare Enrico e Laura nel lanificio, provvedevano a dare una mano tenendo Michele.

Certe volte il lavoro era tanto ed era urgente la consegna, mettevano Michele sul selfacting, e loro quattro provvedevano alla preparazione della merce urgente.

Per capire come mettevano Michele sul selfacting, debbo spiegare come funziona una tale macchina.

Il selfacting è una macchina lunga 20 mt ed oltre, secondo il numero di fusi montati. Ha un carrello fisso su cui sono situati i rulli stoppini prodotti dalla carderia, di fronte un carrello mobile su cui sono montati i fusi di raccolta

 del filato finito. Il carrello mobile va avanti e indietro, all’inizio del lavoro il carrello mobile è appoggiato al carrello fisso. Lo stoppino di carderia, posto sul carrello fisso viene allungato sul carrello mobile, e attaccato uno stoppino su ogni fuso di raccolta fino all’esaurimento dei fusi.

Comincia la lavorazione: nel primo movimento il carrelllo mobile fa girare i fusi e contemporaneamente viene avanti per un paio di metri, i fusi girano fino a quando è stato programmato per raggiungere il numero di giri di torsione calcolato per il filato che si sta producendo; nel secondo movimento il carrello mobile torna indietro avvolgendo contemporaneamente il filato ritorto con la torsione calcolata al fuso di contenimento.

Questi due movimenti si ripetono fino a quanto i fusi di raccolta sono pieni. Si ferma, si tolgono i fusi pieni, si sostituiscono con fusi vuoti e la lavorazione si ripete.

Si tratta perciò di un avanti e indietro all’infinito.

Sul carrello mobile sono installati, intervallati sulla lunghezza del selfacting, delle cassette raccoglitrici degli spezzoni di filo che si formano in caso di rottura di un filo che viene riattaccato e ne resta un pezzo nelle mani dell’operaio addetto, pezzo che viene depositato nelle cassette.

Ecco che entra in funzione Michele, viene seduto in una cassetta del carrello mobile e va avanti e indietro, per ore, divertendosi e ridendo.

Spesso Enrico si incontrava con il rappresentante della proprietà, che era il Capo Fattore dei Conti Torlonia, e si recava nel palazzo Torlonia di Avezzano.  

In una di queste visite portò con se Michele.

Mentre Enrico e il capo fattore parlavano, Michele esce dalla stanza e si trova in un salone grandissimo, il bimbo si girava intorno guardando la bellezza delle pareti con tante figure dipinte, dei soffitti, dei mobili e girando e rigirando, si trova di fronte una signora tutta vestita di nero, elegante, incappellata.

La signora gli chiese come si chiamava: “Michele” risponde subito il bambino, la signora si sedette ad una poltrona lì vicina e iniziò a parlare.

Parlavano già da molto tempo, quando il capo fattore ed Enrico ritrovarono Michele, che si era allontanato inaspettatamente.

La signora, che non era altro che la Contessa Torlonia, si complimentò con Enrico per il bellissimo figlio che non aveva avuto nessun problema a parlare con la sconosciuta.

Alcuni giorni dopo, un incaricato della famiglia Torlonia fece visita al lanificio per parlare con Enrico di una concreta proposta di affiliazione  della famiglia Torlonia per Michele.

Proposta subito respinta da Enrico e Laura.

Il lavoro del lanificio andava bene, si guadagnava molto bene ed Enrico pensava che era giunto il momento di organizzare un ampliamento della produzione con nuove macchine (telai), ma aveva un problema, Laura non aveva mai smesso di pressare per il ritorno a Castelliri, e ultimamente aveva ripreso a parlarne con Enrico.

Nonostante la situazione favorevole, le prospettive che si stavano aprendo, Laura continuava con insistenti sollecitazioni.

Nel 1932 Enrico si recò presso la proprietà e sollecitò una risoluzione bonaria del contratto d’affitto del lanificio.

Ci furono alcuni mesi di discussioni.

La proprietà, contenta dell’andamento delle cose con Enrico

faceva insistenza perché  rimanessero, ma Laura fu  molto forte e decisa, i tentennamenti di Enrico finirono e così tornarono a Castelliri.

Enrico riottenne il posto di Capo produzione presso il lanificio San Domenico, ove lavorava prima di partire.

La fabbrica era grande, aveva circa trecento operai, per Enrico un impegno serio anche se dignitoso.

 
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