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Intervista a Luciano Gallino

Post n°189 pubblicato il 04 Ottobre 2011 da stefano6680

«Confindustria è finita»

Caso Fiat, Gallino: «Marchionne vuole indebolire i sindacati».

di Antonietta Demurtas

Articolo completo

L'aveva annunciato tempo fa e ora l'ha rimesso nero su bianco: Fiat e Fiat Industrial lasciano Confindustria dal 1 gennaio 2012. La lettera che l'amministratore delegato dell'azienda Sergio Marchionne ha inviato il 3 ottobre a Emma Marcegaglia non è una novità per nessuno, visto che il 30 giugno Marchionne aveva anticipato la decisione al presidente degli industriali.
«Marchionne vuole avere le mani libere», ha commentato a Lettera43.it Luciano Gallino. Per il sociologo torinese esperto del mercato del lavoro, «nessuna sorpresa», ma una ulteriore conferma che per il Lingotto «la Confindustria non conta più nulla».
Se infatti il manager italo canadese ha parlato di una Fiat che «è impegnata nella costruzione di un grande gruppo internazionale con 181 stabilimenti in 30 Paesi», Gallino ha ricordato che l'azienda di Torino «è l'ultimo pezzo della grande industria meccanica italiana» e con la sua uscita da Confindustra ora il rischio non è solo assistere «alla scomparsa del sindacato degli imprenditori, ma alla perdita di tutto il settore, dalla progettazione al design allo sviluppo».

DOMANDA. Gallino, perché Marchionne ha deciso di uscire da Confindustria?
RISPOSTA.
L'obiettivo dell'amministratore del Lingotto è cancellare il contratto collettivo nazionale di lavoro, che se sottoscritto nel quadro confindustriale deve rispettare determinate regole per far fronte alle esigenze di centinaia di piccole e medie imprese nel settore meccanico.
D. Ora invece ha mani libere?

R.
Confindustria era l'ultimo lacciuolo che esisteva per rispettare un sistema, Marchionne l'ha tagliato per fare quello che vuole. Fiat è l'ultimo pezzo della grande industria meccanica italiana e ora Confindustria non conterà più nulla.
D. È 
destinata a scomparire?
R.
L'associazione degli industriali subirà un grande colpo dal punto di vista economico, ma l'indebolimento è soprattutto sul piano politico. Confindustria non avrà più poteri sul piano della contrattazione.
D. Marchionne non ha apprezzato l'accordo interconfederale del 21 settembre, ma non è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, perché 
la scelta di abbandonare Confindustria era già stata anticipata il 30 giugno.
R.
Fiat teme che le parti sociali facciano muro contro l'applicazione dell'articolo 8 inserito nella manovra di Ferragosto, che sembra scritto direttamente dal Lingotto per demandare a ogni regola sul lavoro.
D. I sindacati fanno la guerra all'articolo 8.

R.
Lo rifiutano, ma non so quanto possano non rispettare una legge. Per ora hanno sottoscritto un accordo per non applicare il comma dell'articolo 8 che prevede la deroga dell'articolo 18. Ma di commi terribili in quella legge ce ne sono almeno 20.
D. Un lotta contro i mulini a vento?

R.
Lo scopo principale della Fiat è abbattere l'unità dei sindacati per indebolire i lavoratori. E ritornare al modello per cui ognuno è solo davanti all'impresa.
D. Ci sta riuscendo?

R.
Sì, perché i sindacati territoriali sono più deboli e possono soccombere davanti alle pressioni di una grande azienda.
D. La Fiat vuole l'anarchia?

R.
Andiamo verso un periodo sgradevole per le aziende, ognuna avrà il suo contratto. Ci sarà un panorama talmente differenziato che porterà sicuramente complicazioni giuridiche, ma anche organizzative.
D. E là dove non sarà possibile garantire la produzione si userà l'articolo 8 per licenziare?

R.
Sicuramente. A Mirafiori per esempio dipende da quanti modelli faranno e da quando inizierà la produzione. Se saranno solo due non ci sarà posto per tutti gli operai.
D. Per ora sono due, nel 2010 erano cinque. 
È stata confermata la produzione dell'Alfa Mito e di un suv a marchio Jeep, prodotto dalla seconda metà 2013, non dalla fine 2012 come annunciato.
R.
Questa è almeno la terza volta che Marchionne cambia le proposte produttive per il sito torinese. Ora salta fuori la Jeep ma sembra un progetto già nato storto.
D. Perché?

R.
L'idea di una piattaforma di un'auto fabbricata nell'Illinois che percorre 7 mila chilometri per essere assemblata a Torino e che sarà poi rivenduta per lo più negli Stati Uniti, non sta in piedi. È solo un'altra tarantella.
D. Quali sono le altre?

R.
Per Mirafiori prima si è parlato di modelli Chrysler, poi di un suv con marchio Alfa Romeo (un'offesa alla storia dell'auto) e di uno fatto su piattaforma americana. Per non parlare della sciocchezza dell'impatto sul costo del prodotto derivato dal cambio euro-dollaro.
D. Infine l'indiscrezione rivelata da Bloomberg dell'arrivo della citycar.

R.
Esatto, che va bene se fatta in Messico, Turchia, Brasile, non certo in un Paese che ha ancora i salari elevati come il nostro. Insomma troppe incertezze.
D. Davanti alle quali lo spettro dei licenziamenti diventa più reale.

R.
Il rischio è la perdita di tutto il settore. Progettazione, design e sviluppo. Dovevano esserci assunzioni non licenziamenti. A gennaio 2012 a Mirafiori gli operai compiranno due anni e mezzo di cassa integrazione, che probabilmente aumenterà.
D. C'è chi dice che dietro la lettera della Bce ci sia lo zampino di Marchionne.

R.
Quella è stata una intrusione inaudita. Mai visto un comunicato di una banca che si permetta di dire come deve agire la politica industriale di un Paese. Che ci sia stato o meno l'intervento di Marchionne, alla Bce ci sono comunque tanti italiani che hanno lavorato a quella lettera.

Lunedì, 03 Ottobre 2011

 
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