Caos Ordinato

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« ProverbiRicordi di gesso »

Eroi?

Post n°432 pubblicato il 25 Marzo 2012 da flavourfly
 

Stavamo risalendo il fiume Rosebud in direzione Sud.

Cavalcavamo ormai da quattro giorni e dei nativi nemmeno l'ombra.

I cavalli mantenevano ancora bene l'andatura anche se ne avvertivamo la loro stanchezza.

L'obiettivo era d'incontrare i nativi dove si stavano radunando con una manovra d'accerchiamento da Nord, per opera del Colonnello John Gibbon e da Sud per opera del colonnello Custer.

Avremmo  voluto fare una sosta ma, bisognava arrivare per tempo all'appuntamento tutto, dipendeva dalla manovra sincronizzata.

Il colonnello Custer non era più alto di un metro e ottanta e doveva pesare non più di settantacinque chili.

Figlio di coloni aveva occhi azzurri di uno sguardo profondo e capelli ondulati del colore dell'oro come il colore dei suoi baffi lunghi e folti.

Un uomo deciso, orgoglioso di certo permaloso e testardo nonché, ribelle.

Si era distinto nella guerra si secessione americana guadagnandosi quella stima che lo aveva in seguito portato ad assumere il grado di colonnello alla guida del 7° cavalleggeri sotto l'egida del generale Philip Henry Sheridan.

Una volta incrociata la vecchia pista indiana avevamo l'ordine di portarci molto più a sud per poi girare verso ovest fino ad incrociare il Little Big Horn.

La battaglia doveva poi avere inizio solo quando la fanteria del colonnello Gibbon avrebbe preso posizione per bloccare ogni possibilità di fuga dei nativi.

Ma gli ordini consegnati a Custer, per come formulati, si prestavano ad una libera interpretazione.

Infatti, giunti che fummo sul sentiero indiano, non proseguimmo verso sud ma, cominciammo subito a seguire il sentiero.

Era l'alba del 25 giugno 1876 le guide indiane avevano avvistato un grande accampamento di nativi a circa una ventina di chilometri.

Custer ordinò di divederci in quattro colonne composte di una di cinque squadroni alla guida del colonnello, due di tre squadroni di cui uno alla mia guida ed uno alla guida del capitano Benteen ed uno squadrone, di centovent'otto uomini, alla guida del capitano McDougall per scortare le salmerie.

Cominciammo a risalire un affluente del Little Big Horn in direzione dell'accampamento indiano ed io, avevo già intuito le intenzioni del colonnello.

Non avevamo neppure certezza né dell'estensione dell'accampamento né, del numero di indigeni che lo occupavano.

Questi pensieri mi si affollavano e mi preoccupavano.

Perché non attendere l'arrivo del colonnello Gibbon?

Sapevo che se avessi posto una simile domanda al colonnello mi sarei macchiato di codardìa ai suoi occhi, conoscevo il suo pessimo carattere.

Ma qualche cosa dovevo pur tentarla per salvare il maggior numero di vite di quei giovani soldati.

Avevo la sensazione che non stesse andando tutto per il verso giusto.

Custer aveva dato prova di capacità di comando e di strategia del resto, il successo al Washita, fu grazie al suo comportamento freddo e calcolato.

Per questo avrei dovuto ciecamente fidarmi di lui ma, quel giorno, non sapevo neppure esattamente perché ma non mi stavo fidando.

Era il primo pomeriggio ed il sole era alto nel cielo.

Ci fermammo a circa cinque chilometri dall'accampamento indiano.

Custer mi chiamò a sé, prese la borraccia, ne bevve e poi asciugandosi i baffi con un ampio gesto mi disse:

 - Reno, lei attaccherà al trotto frontalmente l’accampamento. Al momento opportuno, le fornirò la copertura necessaria. Intanto il capitano Benteen da nord, bloccherà ogni possibile via di fuga. Vedrà, li staneremo e ne usciremo vittoriosi!

In quel momento avrei voluto dirgli cosa pensavo ma tacqui, forse per rispetto, forse per paura di essere tacciato come codardo ma di certo non perché avessi ritrovato la fiducia.

Organizzai i miei uomini mentre osservavo la diversità di etnie che contraddistinguevano il 7° cavalleggeri polacchi, italiani, messicani, irlandesi, tedeschi ed inglesi.

Una amalgama di etnie provenienti da ogni parte del mondo.

Il 7° cavalleggeri era nato dieci anni prima ed esattamente il 3 novembre del 1866.

Era un corpo forgiato dalla severità del colonnello Custer che l’aveva cresciuto di persona.

Marce e punizioni erano all’ordine del giorno ma alla fine, tutti uomini rudi, coraggiosi, pronti al sacrificio ed obbedienti formavano il glorioso corpo.

Forse oggi avrei dovuto riporre più fiducia negli uomini che nel colonnello se non altro, per stima e rispetto.

Ma la mia sensazione che le cose non stavano andando per il verso giusto era più forte anzi, stava accrescendosi.

Alle 14,15 del 15 giugno del 1876 iniziammo l’attacco.

Alla guida dei miei centoquindici uomini mi lanciai al trotto verso l’accampamento. Centoquindici cavalli lanciati al trotto sono una forza della natura!

Pensai che gli indigeni, vedendoci arrivare accompagnati dalle grida, dal rombo e dalla polvere si sarebbero impauriti, scoraggiati.

Forse, era questa una scelta tattica del colonnello?

Mi rincuorai vedendomi alla guida di un attacco portato con una considerevole forza di animali e potenza di fuoco.

Sguainai la spada alla testa dei miei uomini ed incitandoli ci avvicinammo sempre più all’accampamento.

Il rumore era assordante, i cavalli ventre a terra lanciati, temibili, il vento caldo che colpiva i nostri volti con i cuori impavidi.

D’un tratto ricomparvero le mie paure, le mie sensazioni che non mi avevano abbandonato per tutto il giorno.

I nativi, anziché fuggire, indietreggiare, contrattaccarono in forze.

Colsi l’attimo, arrestai la corsa sfrenata e feci scendere gli uomini da cavallo a formare una linea difensiva.

Ma in quella manovra un uomo su quattro non poteva sostenere l’ingaggio perché doveva badare ai cavalli.

Questo ridusse considerevolmente la mia potenza di fuoco.

Prudentemente portai i miei uomini a ridosso di un boschetto per proteggerne un fianco ma, gli uomini, erano insufficienti per formare una linea difensiva che sbarrasse la strada ai nativi

Infatti, una parte di essi ci aggirò attaccandoci alle spalle.

Fu allora che ricordai le parole del colonnello “...al momento opportuno le fornirò la copertura necessaria.” Quando sarebbe stato il momento? Vedevo già l’orrore del massacro in mezzo gli spari, le urla, l’odore della polvere da sparo e del sangue.

Vedevo i miei uomini cadere uno ad uno.

Non preso dal panico ma per pietà verso quei valorosi, ordinai una ritirata attraverso il fiume per attestarmi su di un’altura sulla riva opposta.

Arrivai con la metà dei miei uomini l’altra metà, giaceva morta o ferita nei pressi del boschetto.

Mentre ci stavamo difendendo dall’assalto degli indiani vidi Custer con i suoi uomini scendere da un crinale a Nord-est del villaggio, lo vidi ingaggiare la battaglia, lo vidi combattere a fianco dell’ultimo uomo, lo vidi morire per essere ancora poi straziato dalla ferocia dei nativi.

Quando giunse il capitano McDougall con i suoi uomini la battaglia era terminata.

A terra giacevano i feriti ed i morti tra cui, il colonnello George Armstrong Custer.

 

Eroi? Leggendarie gesta ma, a che prezzo? Ricordiamo gli eroi solo perché scelti tra altri eroi che non sono stati scelti. A milioni sono stati sterminati gli indiani d’America per il possesso delle loro terre a milioni, perché difendevano le loro Famiglie, la loro cultura, il loro diritto di esistere. Era la loro casa ma si sono ritrovati ad essere indigeni in terra straniera, ospiti “ospitati” da coloro che originariamente erano ospiti.

 
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