Caos Ordinato

Qualsiasi cosa che nasce dall'animo Umano qui trova spazio. Tutto ciò qui riportato è frutto d'immaginazione e quindi, ogni fatto o riferimento a persone è puramente casuale. Per iniziare la navigazione accedere alla home page e, per cortesia, non pubblicate argomenti, di politica, di gossip e/o nutrienti per le "capre" od ovini in genere. Un ringraziamento a tutti coloro che si soffermano a leggere con lo spirito adatto. Flavourfly

 

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Il viaggiatore

Post n°474 pubblicato il 22 Ottobre 2012 da flavourfly
 
Foto di flavourfly

Vi siete spinti fino ai limiti del cosmo per scoprire quanto fosse incompatibile per voi che avete impressa la vostra matrice animale.

Avete varcato i confini della conoscenza, avete sconfitto le malattie, la fame senza mai conoscere veramente colui che vi ha donato la vita e con essa, la consapevolezza della morte.

Solo qui, nella vastità del cosmo ci si rende conto dell'inutilità dei calendari con i loro mesi le loro settimane qui, il tempo non ha alcun significato qui, incontri la grandezza del creatore e non ti senti solo.

Sto attraversando una regione oscura della galassia chiamata il Sacco di Carbone diretto verso il terzo pianeta di un lontano sistema solare.

Questa maestosa nube di polveri, dove non vi è traccia di fenomeni di formazione stellare, oscura il tratto più meridionale della galassia laddove, l'equatore galattico raggiunge il punto più vicino al polo sud celeste.

L'area di cielo circostante che è ricca di campi stellari, nebulose brillanti e ammassi di stelle massicce di colore blu, fa risaltare particolarmente questo ammasso di polvere cosmica come una toppa che ricopre la lacerazione di un tessuto strappato.

Non so ancora come affrontare la civiltà che abita il terzo pianeta.

Il mio compito è di guidare questi esseri viventi verso la consapevolezza che non sono soli nel cosmo che, in questo infinito oceano di freddo e di fiamme, di buio e di luce la vita, ha gettato i suoi semi dappertutto e che esiste colui che tutto ha creato.

Non so ancora come affrontarli perché sono ancora in una fase preistorica dove la tecnologia, ha appena cominciato a muovere i primi passi.

Il 'gran consiglio del creatore' ha deciso di salvarli, di sviarli dalla cattiva strada che hanno intrapreso ed  hanno inviato me.

La loro stupidità nel governare, nel gestire le risorse che il creatore ci ha donato, ci ha lasciati disarmati.

Mai, si era vista una civiltà in tutta la galassia che avesse speso millenni in conflitti di potere, di interessi egoistici, di distruzione della propria preziosa biosfera, a scapito della vita di milioni di esseri viventi.

Mai la crudeltà e l'indifferenza verso il prossimo, aveva raggiunto livelli così alti.

Credono di essere padroni nel loro misero mondo, credono di poter conquistare il loro piccolo sistema solare e poi, di giungere alle altre stelle.

Il consiglio mi ha consegnato pieni poteri su come agire fino, all'estrema decisione di cancellare la loro esistenza nel caso non comprendessero la loro stupidità e che stanno per diventare una minaccia per le pacifiche civiltà che abitano il cosmo.

So che è una grave decisione so, che ne pagherò con la mia coscienza per l'eternità ma, devo preservare la pace tra i popoli del cosmo.

Avranno più di una chance ma, avranno anche un ultimatum a loro, spetterà la decisione.

Adesso attivo l'induttore del sonno perché ho ancora più di seicento parsec da attraversare ma, giungerò a loro presto, molto presto e spero che nel frattempo qualche cosa sia cambiato.

 
 
 

L'ultima luna - parte prima

Post n°473 pubblicato il 22 Ottobre 2012 da flavourfly
 
Foto di flavourfly

- E' comparsa all'improvviso dalle tenebre anzi... erano le tenebre stesse a dilatarsi ovunque!

Sally urlò terrorizzata mentre raccontava la sua versione davanti a due agenti dell'FBI.

Gli occhi rossi e dilatati da cui scorrevano lacrime tra i singhiozzi e sussulti del diaframma.

Ted le porse un bicchiere di carta:

- Tieni, bevi un poco di acqua fresca.

Sally bevve a fatica deglutendo mentre tratteneva il respiro.

- Va meglio Sally?

- Si... grazie!

- E' tutto finito, sei al sicuro adesso.

- Non riuscirò mai più a dimenticare le urla strazianti di Rebecca. Fu la prima ad essere presa dalla cosa.

- Quale cosa? Vuoi riprovare a raccontare che cosa è accaduto Sally? Te la senti?

- Ci provo...

... l'idea era a venuta a Michael. Diceva che nessuno aveva messo più piede in quella casa diroccata sulla collina di Cardiff da quando erano stati ritrovati i corpi straziati e consumati di tre ragazzi.

La casa era divenuta una leggenda qui in paese.

Si diceva che dopo la morte della Sig.ra  Price, che in paese era nota come essere una strega, una fattucchiera, nelle notti di plenilunio si sentivano rumori ed urla provenire dalla casa e che, nonostante le notti serene la luna illuminasse il paesaggio con la sua fredda luce, la casa pareva avvolta nelle tenebre, un buio, che l'avvolgeva e che nascondeva la casa stessa come in un ombra.

Michael sosteneva che erano leggende, schiocche superstizioni di paese e che, queste cose accadono solo nei film, nei racconti.

Decidemmo di recarci in quella casa l'ultima notte di plenilunio.

Giungemmo ai piedi della collina di Cardiff con il furgone di Justin equipaggiati di torce elettriche e di una video camera.

- Bene amici! Seguitemi e restate in fila! Si và! disse Miachel.

Risalimmo la collinetta attraverso la fitta vegetazione.

Le torce elettriche illuminavano i nostri passi mentre, i rami degli alberi, proiettavano ombre che parevano artigli pronti a ghermire chiunque osasse attraversare la fitta cortina vegetale.

Rebecca era dietro di me ed ansimava per la fatica.

MIchael e Justin facevano da battistrada mentre, Amanda, Cody e Bryan chiudevano la fila.

Lo schianto delle sterpaglie e dei rami secchi sotto i nostri piedi, accompagnava i nostri passi...

 
 
 

L'ultima luna - parte seconda

Post n°472 pubblicato il 22 Ottobre 2012 da flavourfly
 
Foto di flavourfly

... giungemmo in cima mentre la calma luce della luna illuminava la casa.

Uno steccato bianco circondava quello che un tempo doveva essere stato un giardino ora, erbacce e rovi ne erano gli unici abitatori e lo steccato, pendeva in dentro ed in fuori in diversi punti.

Un lastricato, coperto in buona parte dalle erbacce, brillava alla luce della luna e segnava il cammino per l'accesso principale.

Il pedonale di legno imbiancato, era ancora funzionante nonostante il tempo e le intemperie.

Michael lo spinse tra stridenti cigolii e si avviò lungo il viottolo noi, lo seguivamo trepidanti.

Illuminammo con le torce il porticato della casa.

Le finestre avevano i vetri infranti e una fresca brezza faceva muovere le cenciose tende ancora appese.

 - Che vi avevo detto! disse Michael - Leggende, superstizioni di paese! Andiamo fifoni! e si diresse verso i gradini di legno che portavano al piano rialzato del porticato.

Noi, lo seguimmo esitanti.

I gradini scricchiolavano sotto il peso dei nostri corpi e dal piancito di legno, che costituiva la pavimentazione del porticato, in alcuni punti mancavano le assi.

- Piano, attenti a dove mettete i piedi!

La porta d'ingresso era divelta, restava ancora attaccata ad un ultimo cardine.

Michael la spinse e la porta cadde rovinosamente nell'ingresso dello casa con un rimbombo che proveniva dal vuoto che c'era sotto il pavimento.

Quelle vecchie case, avevano un pavimento rialzato per tenere lontani animali, insetti ed umidità.

La polvere che si sollevò vorticava nei coni di luce proiettati dalle torce elettriche.

Ragnatele e polvere ricoprivano ogni centimetro della casa e di ciò che rimaneva del mobilio.

Una scala portava al piano superiore dov'erano stati, probabilmente, i vani delle camere da letto ed il bagno superiore.

Sui muri c'erano ancora dei brandelli di carta da parati a righe verticali.

Illuminando con la torcia si poteva scorgere, in alcuni punti, dove c'erano stati appesi dei quadri, lo sporco, disegnava ancora i loro contorni.

Alla nostra destra si apriva il vano della cucina e nel sottoscala una porta che, verosimilmente, portava giù nella cantina.

Camminavamo quasi in punta di piedi stando attenti perché c'era il rischio di poggiarli su di un asse marcita del pavimento.

- Sssshhhh! fece Justin.

- Che c'è? disse Amanda.

- Ho sentito un rumore... come un respiro!

Una strana inquietudine s'impadronì di tutti noi e trattenemmo il fiato.

Negli interminabili secondi di silenzio che seguirono si potevano udire i tarli che consumavano il vecchio legno dell'abitazione.

- Sssshhhh! fece ancora Justin - Di là, da quella parte.

- Vecchia stregaaaaa! Dove sei? Yuhuuu! fece Cody.

- Stai zitto imbecille! Abbi rispetto per i morti! gli fece eco Bryan.

- Piantatela! disse Michael - State zitti tutti quanti!

Michael, Justin e Bryan si diressero verso una stanza che si apriva alla nostra sinistra.

Cody li seguì.

Io, Rebecca ed Amanda restammo nell'ingresso.

Prima di varcare l'uscio Michael illuminò l'interno della stanza con la torcia.

Era il salotto dove c'erano ancora dei mobili coperti da lenzuola.

Cody d'un tratto disse:

- Ehi! guardate qui!

Stava illuminando con la torcia gli stipiti dell'uscio del salotto.

Restammo congelati alla vista!

Segni di artigli partivano dal legno e proseguivano sulle pareti fino al soffitto e percorrevano per tutta la stanza.

- Che cosa sono? Che cosa sono? urlò Rebecca in preda al panico.

- Non lo so! disse Cody - Forse sono gli artigli di un orso!

- Sciocchezze! disse Bryan - Qui a Oak Valley non ci sono orsi e poi, come può un orso arrampicarsi al soffitto?

Fu allora che mi accorsi che stava accadendo qualche cosa di orribile.

La luce della luna non illuminava più, le finestre erano scomparse così come la casa.

Le nostre torce non illuminavano nulla si vedeva la luce delle torce ma, non illuminavano nulla ed il buio avvolgeva tutto in una dimensione senza spazio e senza tempo.

- Presto! presto! usciamo! gridai.

Rebecca fu la prima a sparire tra urla strazianti.

Noi cominciammo a correre verso le urla chiamando: - Rebecca! Rebecca! ma non sapevamo su cosa stavamo correndo.

Sotto in nostri piedi il pavimento era come scomparso avvolto anch'esso nella tenebra, solida, compatta che era dilatata dappertutto.

Poi udii altre urla e chiamai:

Bryan! Cody! Amanda! Justin! ma non potevo vederli.

Solo Michael rispose:

- Corri Sally, scappa!

Sentivo Michael che correva ansimante dietro a me ma, non riuscivo a vederlo così pure i miei compagni.

Vedevo solo la luce della mia torcia che non illuminava nulla e non riuscivo a vedere la luce delle torce degli altri!

Le urla strazianti dei miei compagni vennero coperte dalla urla di una bestia che non era di questo mondo!

Il terrore aveva paralizzato i miei sensi mentre continuavo a correre nelle tenebre ma, potevo ancora udire lo schianto dello spezzarsi delle ossa ed il lacerarsi delle carni.

Corsi in preda al terrore più acuto finché persi i sensi.

Quando mi risvegliai era mattina e mi trovavo lontana dalla casa.

- Lo sappiamo, disse Ted. E' stato il signor Hoskins a ritrovarti nella sua battuta di caccia.

Sono stati i cani a fiutarti. Ma tu, come hai fatto a salvarti? Che cosa hai visto Sally?

- Non lo so! La leggenda dice che la strega, prima di morire, avesse stretto un patto con il demonio e che in cambio, sarebbe rimasta viva per l'eternità a patto che si nutrisse dei corpi e delle anime dei malcapitati.

Sally non è possibile sono, leggende.

- Me lo dica lei allora chi ha ucciso i miei amici! Avete almeno ritrovato la video camera?

- Si Sally! era accanto a te. Abbiamo visionato il filmato ma non si vede nulla anzi, non c'è neppure l'audio.

- Ma com'è possibile? Bryan stava riprendendo tutto!

Sally ricominciò a singhiozzare in preda a convulsioni.

- Dio, o Dio mio che cosa è successo? Perché? Michael, Bryan e Rebecca, Amanda, Justin, Cody? Nooooo!

- Sally calmati adesso! Sei qui! E' tutto finito sei al sicuro adesso!

Ted prese un altro bicchiere di acqua e lo porse a Sally.

Bruce, l'altro agente dell'FBI che per tutto il tempo era rimasto in silenzio ad ascoltare l'incredibile racconto, disse:

- Ted rimani qui io, torno subito.

Uscì dalla stanza e Ted rimase solo con Sally.

Sally era seduta su di una poltrona ed aveva gli occhi chiusi, si era addormentata.

Il suo volto ora era rilassato e le labbra, serrate, disegnavano un sorrido beffardo.

- Povera ragazza! pensò Ted.

Ted seguiva con gli occhi il movimento del petto del regolare respiro di Sally, la stanchezza, l'aveva vinta.

Prese una coperta e gliela mise indosso con molta delicatezza per non svegliarla.

- Chissà cosa ha visto in quella casa! pensò ancora Ted.

Sally ebbe un sussulto.

- Vuoi sapere cosa ho visto Ted?

- Sally! sei sveglia? Sally!

Sally girò la testa verso Ted tenendo gli occhi chiusi e sollevò il busto in posizione eretta.

- Vuoi davvero sapere cosa ho visto Ted?

- Sally... che cos'hai? Sally!

Sally aprì gli occhi e Ted, l'ultima cosa che poté vedere, erano due palle nere senza luce mentre, le tenebre, stavano inghiottendo la stanza dove si trovava.

 
 
 

Io

Post n°471 pubblicato il 10 Ottobre 2012 da flavourfly
 
Foto di flavourfly

Mi addormento circondato dal buio della notte su di una fredda panchina o sul pavimento di una metropolitana con lo sguardo rivolto verso il nulla su cui, proietto ricordi e pensieri.

Mi risveglio, e mi chiedo " chi, si sta prendendo cura di me?" e nei pensieri si affollano figure senza volto, senza identità.

Vorrei sceglierne una per credere una, per sperare che qualcuno si sta prendendo cura di me ma, non voglio scegliere una figura senza volto, senza un nome a cui non poter ricambiare affetto nemmeno guardandola negli occhi.

Ho fame e la pancia protesta e vinco la vergogna di mendicare perché, la fame è più reale di me ed io, non sono un ladro, non lo sono mai stato.

Il mondo intorno a me, ora che è diverso, si è trasformato in ciò che fino a ieri credevo non potesse diventare.

Riconosco le vie, i luoghi e le famigliari strade che fino a ieri percorrevo spensierato e che sentivo mie, ogni giorno parte della mia vita.

Anche le facce sono cambiate e mi sembra che il mondo sia impazzito e che sia diventato insensato.

Ma non voglio lasciarmi ghermire dalla disperazione e in quel momento, in cui tutto è capovolto, sottosopra, si affacciano un volto ed una voce amica che subito riconosco ma a cui esito a dare risposta anche se, mi chiama sempre più forte e sempre più vicina.

Capisco che è l'unica persona al mondo disposta addirittura a sacrificare la propria vita per me è l'unica, che accorre sempre in mia difesa è l'unica, che tutti i giorni vive con me ma che non hai mai voluto conoscere fino nel luoghi più profondi dell'anima.

Faccio uno sforzo per allontanarmene cerco, di nascondermi ma non c'è luogo dove potersi nascondere, mimetizzarsi e allora mi arrendo e cedo a ciò che non avrei mai voluto ammettere perché fa ancora più male di tutto ciò che mi sta attorno.

Ancora la domanda "chi, si sta prendendo cura di me?" risuona nella mia testa ma, questa volta, ho la risposta: 

- IO!

 
 
 

La Regina dei Mari

Post n°470 pubblicato il 22 Agosto 2012 da flavourfly
 
Foto di flavourfly

La regina dei mari.

 

Il vecchio Jonathan fece un rutto belluino.

Quello significava che aveva apprezzato l'offerta della pinta di birra.

Mi soppesò guardandomi negli occhi con il capo piegato sulla destra e socchiudendo l'occhio sinistro.

Aveva il volto solcato da profonde rughe di chi ha osservato il mare e il suo abbagliante luccichio per anni e la barba, quasi bianca, era lunga ed incolta.

Dal lobo sinistro dell'orecchio pendeva il caratteristico orecchino della fratellanza.

Dopo un altro sorso di birra si passò il braccio sinistro sulla bocca, si raschiò la gola e sputò per terra.

- Bueno amigo! io lo so porque tu està aquí! tu està aquí para bùscar il tesoro della Reina de los Mares. Correcto amigo?

- Tu ci sei stato? L'hai davvero incontrata?

- Ogni cosa a su tiempo, hombre!

- Va bene, però smetti di parlare quel misto di spagnolo!

- Tranquilo amigo! dopo tanto tiempo que se vive aquí è difficil de smettere.

Jonathan si appoggiò alla spalliera della sedia ed allungò le gambe.

Il locale era chiassoso e nubi dense di fumo, misto ai miasmi di alcool, irritavano la gola.

Il White Sparrow, così era il nome del locale, era davvero un porto di mare dove giungevano d'ogni dove personaggi dalle più strane fogge ma, per la maggiore, era frequentato da filubustieri, corsari della peggior razza quasi tutti ubriachi.

Le risse erano all'ordine del giorno e ogni tanto qualcuno, veniva trovato accoltellato in qualche buio vicolo nelle vicinanze.

Ora il volto di Jonathan era in ombra e ne vedevo solo i contorni che si staccavano dal muro più chiaro.

Con molta calma caricò il fornello della pipa e l'accese.

Scaricò un boccata di fumo nella mia direzione, si sporse dall'ombra con il volto e disse:

- D'accordo amigo! io ti racconto quello che so ma tu mi prometti che mi porterai con te!

- Va bene Jonathan ma adesso, non farmi perdere altro tempo.

Ordinai altre due pinte di birra e mi accesi un sigaro.

Jonathan tirò un altra boccata di fumo si schiarì la voce e disse:

- Si dice che dopo le scorribande si rifugiasse presso los Cayos Perlas ma, nessuno ha visto nulla o testimoniato della verità. Chi si è avventurato da quelle parti non è mai più tornato. La Reina de los Mares era un veliero a due alberi che apparteneva alla flotta spagnola. Era muy rapida e controvento, poteva competere con i più veloci Sloop. La nave fu catturata dalla stessa ciurma che era comandata dal Capitano Francisco Cuesta Gàlvez durante una traversata di ritorno in Spagna. A bordo, in quella occasione, si trovava anche Manuela Del Carmen Martinez, una Hidalgo, figlia del Capitano Gonzalo. Manuela aveva saputo che suo padre era stato ucciso, in un agguato, dallo stesso Francisco per una questione di prestigio e di invidia. Gonzalo era stato chiamato a comandare la flotta delle Antille al posto del Capitano Francisco. Morto Gozalo, Francisco, ne avrebbe preso il prestigioso posto. Così Manuela, dietro generoso compenso, corruppe i marinai e qualche ufficiale e gettarono in pasto ai pesci quei pochi rimasti fedeli a Francisco. Del Capitano Francisco si sa che fu la stessa Manuela a mozzarne la testa prima che venisse gettato in mare. Da allora, Manuela, è diventata un dei più temuti pirati dei Caraibi e del Golfo del Messico. Per anni spagnoli ed inglesi le hanno dato la caccia inutilmente.

- Ma tu l'hai vista?

- Qué es eso amigo?

- Manuela, tu l'hai mai conosciuta? Si dice che fosse una donna stupenda!

- Diablo di un inglese! sei qui para buscar il tesoro o l'amor?

- Sono qui per il tesoro ma, voglio sapere di più di lei anche!

Jonathan fece una sonora risata soffocata da alcuni colpi di tosse.

- Bien amigo! cominci a ser mi simpatico, hombre! Manuela era muy hermosa! Tutti quelli che l'hanno conosciuta sono diventati todos locos para ella yo, incluido.

Jonathan si fece più serio controllò il fornello della pipa e aggiunse ancora un poco di tabacco che teneva in un sacchetto appeso alla cintura.

- Quando ero ancora ragazzo fui arrestato per omicidio. Mi condannarono ai lavori forzati a vita in una colonia penale inglese in Florida. Partimmo da Plymouth per la volta delle americhe su di un tre alberi con una ciurma di tagliagole. Il Capitano Adam Bluth era una vera canaglia! Tre uomini dell'equipaggio furono impiccati nei primi sei giorni di viaggio per piccole cose come, aver rubato gli scarti della cena degli ufficiali. Noi condannati eravamo sempre sottocoperta incatenati. Una volta al giorno ci facevano salire in coperta per quindici minuti. Poi, quattro giorni prima del nostro arrivo si scatenò l'inferno. Sentii le urla della furiosa battaglia corpo a corpo che seguì dopo i primi colpi delle armi da fuoco. Una palla di cannone colpì la nave a babordo e alcuni di noi rimasero uccisi io, fui ferito gravemente e persi conoscenza...

In quella Jonathan, sollevò un lembo della camicia e mi mostrò la lunga cicatrice che aveva sul fianco sinistro.

- Fu un vero miracolo se rimasi vivo. Quando ripresi conoscenza mi trovavo a bordo della Reina de los Mares. Lei venne da me, si chinò sul giaciglio dove mi trovavo, mi passò una mano nei capelli come una madre che vuole bene al proprio figlio e mi disse: - stai tranquillo ragazzo ora, sei al sicuro. Non scorderò mai la sua voce e i suoi occhi e, soprattutto, quella carezza. Negli anni che seguirono rimasi a bordo della Reina de los Mares. Manuela sapeva essere dolce e terribile nello stesso moto di tempo nulla, e nessuno le resisteva. L'equipaggio nutriva un profondo rispetto para ella.

- Ma come sei finito qui? E che ne è stato della Reina de los Mares?

Jonathan prese il boccale di birra e bevve ma si fermò, guardò all'interno e disse:

- Amigo! lo siento ma la cerveza è finita e a raccontare mi si secca la gola.

Subito ordinai altri due boccali giacché, avevo anch'io terminato la mia.

Un altro rutto accompagnò il preludio alla seconda parte del racconto.

- Una sera, ricominciò il vecchio, mi trovavo sotto coperta nei pressi del castello di poppa.

Sentivo un furioso vociare provenire dalla cabina di Manuela...

- No! non puoi venire a dirmi questo proprio ora!

- Ma non era mia intenzione io non volevo...  è capitato così e io...

- Taci! non fiatare perché mi irriti ancora di più! Domani affronterai gli uomini e gli dirai la verità! Starà poi a loro il giudicare.

- Ma sicuramente mi vorranno impiccare.

- E' stata tua la scelta ed ora ne devi affrontare le conseguenze se sei un vero uomo!

La porta della cabina si aprì all'improvviso e ne uscì Muff, l'aiuto cuoco, seguito da Manuela.

- Che ci fai tu qui?

- Sono venuto per ripulire il Quadrato Ufficiali su ordine del Nostromo.

- E cosa hai sentito?

- Nulla d'importante credo. Ho sentito solo che domani Muff dovrà affrontare il giudizio degli uomini.

- Bene, vedo che hai coraggio e non ti nascondi dietro alle menzogne! come ti chiami?

- Jonathan signore... ra!

Lei mi sorrise e disse:

- Finisci il tuo lavoro e poi vai a riposare marinaio. Domani mattina, presentati qui da me.

Quella stessa notte scoppiò una furiosa tempesta ed io fui gettato in mare da un maroso nei pressi di Capo del Cavallo chiamato così, perché la roccia ha la forma della testa di un destriero. Io mi salvai raggiungendo a nuoto la vicina costa poi, in seguito fui preso a bordo da un brigantino. Da allora non ho più rivisto la Reina de los Mares. Molte voci giurano che la nave e i suoi tesori affondarono la notte stessa, con Manuela ed il suo equipaggio, poco più a sud-ovest del Capo del Cavallo ma... credo che non sia la verità.

Jonathan si appoggiò nuovamente alla spalliera della sedia ed aspirò una lunga boccata di fumo.

- D'accordo vecchio mio. A giorni partirai con me e vedremo se la storia è vera nel frattempo, non parlane ad alcuno e non mi hai neppure conosciuto, intesi?

- Bien amigo! Non so perché ma sento che mi devo fidare di te pazzo inglese. Ma una cosa ancora devo dirti...

- Avanti ti ascolto!

- Le voci narrano di una maledizione per chiunque si avventuri in quei mari alla ricerca del tesoro della Reina de los Mares e di Manuela. Molti uomini sono passati di qui, con la stessa luce negli occhi, cercando il vecchio Jonathan e nessuno è mai più tornato.

 

Il Capitano Stevenson Drake partì, con il vecchio Jonathan, la mattina dell'11 maggio 1632 a bordo del veliero Aquilone alla volta della Cabeza del Caballo e non fecero più ritorno.

Della Reina de los Mares e degli uomini che l'hanno cercata più nessuno li ha mai più ritrovati.

La bella Manuela, il giovane Capitano Stevenson Drake e il vecchio Jonathan rimangono una misteriosa leggenda che si narra ancora oggi in tutte le bettole di porto del Mar dei Caribi.

 
 
 

Il silenzio del cosmo.

Post n°469 pubblicato il 18 Agosto 2012 da flavourfly
 
Foto di flavourfly

Siskam stava comodamente sdraiato sulla sua cuccetta leggendo un testo di carattere scientifico.

Un leggero ronzio dei sistemi di sostentamento lo accompagnava in sottofondo nel quasi totale silenzio della cabina.

Siskam, allungò un braccio verso il regolatore della temperatura interna ed alzò di qualche grado il termostato.

La cabina consisteva in uno spazio di circa tre metri per tre in cui erano sistemati alcuni arredi tra cui, un armadietto, una cuccetta, un tavolino richiudibile a parete e due sgabelli.

Non vi erano oblò da cui poter osservare il luccichio degli astri.

Su di una lato della cabina una piccola porta stagna, portava alla toilette dov'erano il water, un lavandino e la doccia.

La gravità artificiale era mantenuta dalla spinta costante di accelerazione dell'astronave e senza, le coperte, il cuscino così come tutti gli oggetti non fissati, si libravano nell'aria in un carosello caotico.

Il testo spiegava le varie fasi evolutive delle civiltà che abitano il cosmo.

Veramente, Siskam, trovava che il tutto fosse circondato da un alone di antropocentrismo per spiegare ciò che l'uomo non aveva mai incontrato.

Da centinaia di anni l'uomo aveva dato inizio alla ricerca delle prove dell'esistenza di altre civiltà ma, senza grandi successi.

Il testo spiegava come mai dopo anni ed anni di messaggi, segnali inviati dalla terra, dalle sonde verso le profondità del cosmo, non si era ancora riusciti ad ottenere risposta.

La domanda "siamo soli nel cosmo?" era sorta nell'uomo già ancora prima dell'esplosione tecnologica e i progetti di ricerca, nonché le tecnologie per soddisfare la domanda stessa, nel frattempo si erano evoluti e raffinati.

Le iniziali teorie in aggiunta a nuove eleganti teorie, avevano solo creato ulteriore caos alla già difficile impresa di entrare in contatto con altre civiltà.

L'immensità del cosmo, con le sue infinite galassie e le stelle che esse contengono, dava ragione agli scienziati e ai ricercatori che sostenevano la possibilità dell'esistenza di altre forme di vita e civiltà.

Il concetto di evoluzione lungo una direttrice che avesse affinità con l'evoluzione terrestre, era spiegato in modo abbastanza semplice.

Dapprima si forma la vita, intesa come particella biologica che nulla ha a che vedere con una forma di vita intelligente almeno, per come l'uomo intende una forma di vita intelligente.

Dopo miliardi di anni compaiono le prime forme di vita organizzata con, strutture più complesse e che vivono in simbiosi o interdipendenza con altre forme di vita.

Da qui l'albero della crescita evolutiva, prevede una prima biforcazione dove alcune strutture mantengono una forma essenziale di base mentre altre, si evolvono fino a raggiungere una struttura in grado di apprendere, di scrivere e conservare, nel proprio codice genetico, ciò che è stato appreso chimicamente.

E' un principio di adattamento ma comunque, in questa fase, il concetto di consapevolezza di essere vivi e di riconoscersi, come un'entità evoluta in grado di ragionare e prendere decisioni, è ancora un traguardo lontano.

Siskam seguiva il testo ed osservava i diagrammi che completavano visivamente, le informazioni descritte.

Fin dal 1960, quando Frank Donald Drake propose di fondare un istituto per la ricerca di vita intelligente extraterrestre, le teorie sull'evoluzione di vita intelligente nel cosmo avevano seguito percorsi diversi e invece, di gettare luce sul problema, avevano creato ulteriori problemi in un susseguirsi di rimpalli che altro non facevano che creare ulteriore caos.

Il programma SETI, Search for Extra-Terrestrial Intelligence ovvero, Ricerca di Intelligenza Extraterrestre, nacque ufficialmente nel 1974.

Il programma fin da subito risultò molto ambizioso e complesso.

Data la sola vastità della nostra galassia, la Via lattea, che copre circa centomila anni luce e considerando che le dimensioni medie delle stelle corrispondono a circa 0,5 masse solari potrebbero esistere, solo nella Via lattea, oltre trecento miliardi di Soli per cui la ricerca di segnali di origine intelligente è un compito molto arduo.

Tuttavia, l'esplosione tecnologica dell'umanità in accordo con precise regole per la valutazione dei segnali provenienti dal cosmo, spinsero i ricercatori e i governi ad investire in nuove ricerche.

Le teorie introdotte da ricercatori, sull'evoluzione delle intelligenze extraterrestri e il concetto d'intervallo del contatto, avevano rimesso ordine e soprattutto ottimismo perché spiegavano le ragioni del silenzio cosmico.

Dopo un periodo di evoluzione delle forme di vita candidate allo sviluppo d'intelligenza, si passa ad uno stadio di pre-accelerazione tecnologica.

Per passare dai falò, alle fiaccole fino alla lanterna ad olio ci sono voluti, per l'umanità, migliaia di anni.

Per passare dalla lampada ad olio alle lampade al neon o al laser ci sono voluti circa un centinaio di anni.

In questa fase di pre-accelerazione tecnologica, le forme intelligenti costruiscono le basi per giungere alla successiva fase di accelerazione o esplosione tecnologica.

Siskam si soffermò ad osservare un diagramma che esprimeva la curva di crescita tecnologica.

La curva, subiva un'improvvisa impennata fino a divenire iperbolica ad indicare il momento di accelerazione o esplosione tecnologica.

Ad un certo punto si formava un ginocchio, una sella da cui si ripartivano due strade.

La prima era seguita da quelle civiltà che come obiettivo primario vedevano la conservazione della biosfera la seconda, era seguita da quelle civiltà che scommettevano sul recupero della stessa grazie alle nuove scoperte scientifiche e alle nuove tecnologie introdotte.

In tutti e due i casi il rischio di auto estinguersi era alto.

Le successive equazioni che spiegavano la curva in termini matematici confermavano che, le civiltà che avessero optato per la conservazione della biosfera, avrebbero avuto la più alta percentuale di estinguersi in meno di un migliaio di anni.

La biosfera a quel punto risultava ormai compromessa e la mancata ricerca ed introduzione di innovazioni tecnologiche avrebbe causato l'estinzione della civiltà, non più in grado di proteggersi dalla crescita demografica con conseguente aumento degli inquinanti e l'esaurimento delle risorse planetarie.

In più, il crescente malessere per la sopravvivenza che verrebbe ad introdursi, favorirebbe l'esplosione di conflitti sociali.

La seconda strada non risultava meno pericolosa della prima.

Una civiltà che si inoltra in un percorso di crescita tecnologica non è priva di ostacoli e trappole.

L'errore che potrebbe sfociare in una catastrofe portando la civiltà all'estinzione può innescarsi quando s'introducono le prime applicazioni delle tecnologie su scala planetaria.

L'ingegneria planetaria è la prima fase dell'ingegneria cosmica.

La storia dell'umanità non era priva di accadimenti catastrofici già nella precedente fase prima dell'ingegneria planetaria.

Gli incidenti nucleari avevano lastricato il percorso dell'umanità per decenni.

Però, una volta superata la fase critica dell'ingegneria planetaria, la civiltà aveva buone carte per continuare la propria crescita.

La capacità di disporre di energia e risorse per soddisfare le richieste crescenti portava all'appianamento di tutti i conflitti sociali.

Le malattie venivano sconfitte nonché, l'invecchiamento, la fame, la sete.

Una civiltà in queste condizioni può continuare a crescere pressoché all'infinito.

A questo punto, il testo, affrontava il concetto di estinzione per cause extra-planetarie.

Una civiltà poteva anche estinguersi per cause che esulavano da problemi planetari.

L'esplosione di un Sole o l'impatto con oggetti extra-planetari poteva essere una realtà che portava all'estinzione di una civiltà.

Il nostro sistema solare non è privo di questi eventi catastrofici.

Da qui, una prima possibile spiegazione del perché il cosmo è silenzioso.

Una civiltà che fosse giunta a poter comunicare con altre lontane civiltà poteva anche sparire a causa di catastrofi naturali.

Siskam, inoltrandosi nella lettura, giunse al capitolo che introduceva ad altre teorie che tendevano a spiegare la mancanza di un contatto.

Il concetto d'intervallo del contatto o finestra del contatto era una tra queste e forse, la più interessante.

Una civiltà può entrare in contatto con un altra solo in un breve intervallo di tempo, che su scala temporale cosmica, è neppure un battere di ciglia.

L'intervallo è determinato da un limite inferiore al di sotto del quale una civiltà, che non abbia ancora sviluppato una tecnologie volte alla comunicazione interstellare, rimaneva silenziosa.

Il limite superiore dell'intervallo è determinato da una civiltà che ha raggiunto un livello di tecnologia tale per cui o comunica con un ristretto gruppo di civiltà equi potenziali oppure, si isola perché non ha più nulla di cui aver bisogno.

Questo, a grandi linee, spiegherebbe il perché del silenzio del cosmo.

Trovare una civiltà che non sia né al di sotto né al di sopra dell'intervallo è praticamente una possibilità su triliardi di triliardi.

Siskam ripose il testo su di una mensola sopra la cuccetta e rimase in silenzio a pensare.

Circa un anno prima della loro partenza, Stochkolm Seven, una nave commerciale di oltre ottocentomila tonnellate di massa, aveva captato nei pressi di Nettuno una comunicazione che aveva tutta l'aria di essere un segnale di vita intelligente extra-terrestre.

Alcuni fisici, che facevano parte dell'equipaggio come osservatori scientifici, riuscirono ad individuarne la fonte grazie al calcolo delle deviazioni del segnale causate dalle distorsioni delle lenti gravitazionali.

Il segnale giungeva da un sistema stellare lontano circa quindici anni luce dalla Terra in una regione della galassia conosciuta come Ross 780.

Il viaggio verso quella stella, una nana rossa, era stato possibile grazie alla scoperta dell'elemento 115.

L'elemento 115, sintetizzato meno di quarant'anni prima, permetteva di disporre di un'energia praticamente infinita senza residui di scorie radioattive perché, la produzione di energia, era basata sull'annichilazione degli elementi combustibili.

L'energia prodotta soddisfaceva sia la propulsione della nave ad amplificatori gravitazionali sia, il balzo spazio-temporale.

L'ultimo stadio del viaggio prevedeva, giunti ad una distanza di sicurezza, il balzo spazio-temporale.

Il motore ad annichilazione avrebbe fornito energia a due enormi toroidi posti a poppa e a prua della nave.

Il campo magnetico che si sarebbe formato avrebbe piegato, fatto collassare lo spazio attorno alla nave chiudendo la stessa in un tunnel temporale come in una sorta di buco nero artificiale.

Lo spazio così piegato, avrebbe fatto coincidere due punti distanti anni luce nello spazio in un unico punto.

Una volta spento il campo magnetico, la nave, si sarebbe trovata nel punto che prima era distante anni luce.

Il viaggio sarebbe durato solo una manciata di secondi per l'equipaggio mentre, per chi si fosse trovato al di fuori del tunnel temporale, il tempo sarebbe trascorso per anni.

Il suono di una sirena risvegliò Siskam dai sui pensieri.

Le operazioni finali per il balzo erano cominciate.

Siskam s'infilò una tuta e si diresse verso la porta della cabina.

Siforò con una mano la parete a lato della porta la quale si aprì con il caratteristico soffio dei sistemi pneumatici e Siskam, lungo il corridoio centrale, si avviò verso il ponte di comando...

 

- E' tutto colonnello Polski?

- Si generale queste, sono le ultime registrazioni dei diari di bordo e dei computers giunti dalla Gabriel prima del balzo.

- E secondo lei, colonnello, cosa può essere accaduto?

- Le analisi fatte con i fisici sui dati di bordo della Gabriel non hanno evidenziato nessuna anomalia sia del sistema propulsivo sia, del sistemi di sostentamento.

- Allora come si spiega la scomparsa della Gabriel e dei settanta uomini di equipaggio?

- Non lo sappiamo con certezza generale possiamo solo formulare delle ipotesi. Nel momento del balzo le nostre sonde gravimetriche hanno misurato valori che rientrano nella norma e, per una frazione di secondo, i magnetometri sono schizzati a fondo scala ad indicare l'apertura del tunnel temporale ma, n siamo in possesso di elementi sufficientiper spiegare l'incidente.

- Ma la Gabriel è davvero scomparsa?

- Si generale. Le nostre ricerche su lungo raggio non mostrano distorsioni gravitazionali apprezzabili come dire, la Gabriel è entrata nel tunnel spazio-temporale ma non ne è mai uscita.

- Va bene colonnello può congedarsi.

- Grazie generale.

Il colonnello Polski, dopo il saluto regolamentare, girò i tacchi ed uscì dalla sala.

Trovò ad attenderlo un suo caro amico, il tenente Steve Purcell.

- Allora colonnello?

- Niente tenente, niente di nuovo la Gabriel è scomparsa per sempre.

- Lei cosa ne pensa colonnello?

- Ufficialmente?

- No, in modo personale.

- Credo, caro Steve, che il cosmo resterà silenzioso ancora per molto tempo.

 
 
 

La lettera

Post n°468 pubblicato il 09 Giugno 2012 da flavourfly
 
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Nebbiosi frammenti di ricordi che contestualmente sono forza e vita qui, mentre scrivo accucciato in questa umida trincea.

Scrivere è rimasto l'unico legame con la vita per non essere sradicati dalla Famiglia, dai luoghi natii.

Patria che amo ma, che male abbiamo fatto noi soldati per dover soffrire pene che nessun essere vivente può concepire se non vivendo questo terribile travaglio tra la vita e la morte sulla propria pelle, nelle proprie viscere?

Non sentirsi soli è più importante che quasi pensare a come sopravvivere.

L'abbandono è forse più terribile che il pensiero della morte stessa che, quando giunge, non ti chiede più nulla diversamente da quanto chiede costantemente la vita.

La vita esige i conflitti, le paure, il dolore e la sofferenza del travaglio psicologico che solo le coscienze individuali devono sopportare al pensiero della morte, della sofferenza, dell'agonia.

Stanotte c'è silenzio mentre i gemiti dei feriti agonizzanti sono ormai cessati solo, ogni tanto l'oscurità è rischiarata dai razzi illuminanti.

Siamo in attesa del domani mentre i secondi incessanti che sembrano non terminare mai, scandiscono il tempo.

Il tempo, potesse fermarsi, potessimo restare qui, fermi, in questa notte e che domani non giunga mai.

La paura, che da un momento all'altro arrivi l'ordine per un nuovo assalto, ci accompagna costantemente mentre, gli ufficiali contano quanti soldati devono mandare all'attacco per far si che qualcuno riesca a raggiungere la linee nemiche, per superare lo sbarramento di fuoco delle mitragliatrici che falciano, squartano, smembrano assieme alle bombe dei cannoni.

Carne da cannoni ecco, ciò che siamo!

Le sole munizioni che non mancano siamo noi stessi, i soldati!

Se non vai all'attacco, se decidi di non ubbidire gli ufficiali hanno il sacrosanto potere di passare per le armi i vigliacchi, i recalcitranti!

Se non ti ammazza il nemico ti ammazzano gli amici, i tuoi compatrioti.

E' un pensiero che ti fa impazzire.

Avere paura non è essere vigliacchi avere paura, è umano.

Ciò che non è umano è ciò che ti sta intorno non ciò che hai nel cuore, nell'animo.

Ci sono ufficiali che hanno crisi di pianto e di coscienza nel vedere i vani sforzi per conquistare pochi metri ma, pochi metri in cui si accumulano corpi e pezzi di carne umana i resti di coloro che poco prima erano vivi accanto a te.

Nell'attacco di oggi abbiamo conquistato una trincea nemica.

Siamo balzati fuori tutti insieme, a poche centinaia di metri dalle linee nemiche, tra l'infernale, assordante rumore delle armi e dei bombardamenti.

Non esiste descrizione dell'inferno per descrivere il nostro inferno Dante, era un poeta e non un soldato.

Un proiettile da mortaio è esploso a pochi metri da me ed una scheggia, mi ha ammaccato l'elmetto.

Mariolino invece, non ce l'ha fatta è stato investito in pieno ed ora non so neppure dove cercare i suoi pezzi aveva, diciannove anni.

Quando siamo giunti alla linea nemica, molti soldati tedeschi sono usciti con le mani alzate incontro a noi urlando ed io, non sono riuscito ad impedirmi di sparargli li ho ammazzati tutti, ho ammazzato tutti quelli che potevo ammazzare e che mi capitavano a tiro.

Mio Dio! cosa ho fatto? cosa sono diventato?

Non dovete credere a tutti gli atti di valore dei soldati raccontati perché io, non sono un soldato di valore ma sono diventato un criminale e per questo mi consegneranno una medaglia al valore come eroe di guerra.

Mamma Vi invio questa lettera perché vorrei sapere se ancora potrò essere il vostro amato figlio.

Mamma Vi abbraccio e Vi bacio, Stefano.

27 gennaio 1916

 

La prima guerra mondiale ha trasformato molti uomini.

Nessuno ipotizzava ciò che essa sarebbe divenuta... un'orribile mattanza in cui hanno perduto la vita milioni di soldati, di uomini.

La trasformazione da essere umano a bestia non è spesso per indole ma per necessità di sopravvivenza.

La rabbia, il rancore e la paura sono una miscela che trasforma un pacifico essere umano in una macchina infernale in cui batte solo un cuore per sostenere la macchina ma vuoto, vuoto di anima, di pietà, di sentimenti.

La coscienza però, recupera le anime perdute che rinsaviscono e tornano ad essere pacifici esseri umani ed in questo, c'è la mano di Dio.

 
 
 

Inquietudine

Post n°466 pubblicato il 09 Giugno 2012 da flavourfly
 
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Odo i rumori dell'inquietudine, taci! ascolta! li riconosci?

Bisbigli, sussurri, sensazioni che non danno pace.

Una tregua è possibile?

Si! nel breve tragitto quando lasci una sofferenza per raggiungerne un altra.

 
 
 

Forse

Post n°465 pubblicato il 25 Maggio 2012 da flavourfly
 
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Forse, le anime

si incontrano prima degli occhi

come a stabilire che

i nostri destini

sono già stati scritti.

Forse, domani si compiranno

i nostri destini dopotutto,

domani è un altro giorno.

 
 
 

Billy

Post n°464 pubblicato il 13 Maggio 2012 da flavourfly
 
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Le voci dicevano che, McCarty, si era rifugiato nei dintorni di Fort Sumner in New Mexico dopo la sua fuga dal carcere nella contea di Lincoln in Nevada.

Uscii dall'ufficio con i miei due vice-sceriffo per interrogare un amico di McCarty, di nome Pete Maxwell.

Era sera e puntammo verso il Saloon di Sem per toglierci la polvere dalla gola dopo che avevamo vagato tutto il giorno sotto il sole a cercare il rifugio di McCarty, seguendo le vecchie piste indiane Navajo.

Legammo i cavalli sul retro del Saloon ed entrammo nel chiassoso locale dall'ingresso principale e per un attimo calò il silenzio.

La vista delle stelle sul petto spesso mettevano in soggezione i frequentatori di Saloon delle Border Towns (paesi di confine).

La maggior parte di loro erano feccia della peggior specie, rapinatori, razziatori di bestiame, Bounty Killers (cacciatori di taglie) o Gamblers (giocatori professionisti) con qualche conto in sospeso.

Mi avvicinai ad un tavolo mentre Kirby e Lane, i miei due aiutanti, mi guardavano le spalle.

La mia faccia era nota e sapevo che a qualcuno lì dentro, avrebbe gradito piantarmi una pallottola nella schiena.

- Joe Clayborn non t'avevo detto di non far più rivedere la tua brutta faccia in questo schifo di paese?

- Sceriffo sono qui per farmi un goccetto che c'è di male?

- C'è di male che quando sei in paese accade sempre qualche cosa di spiacevole. Di un pò, hai visto in giro Pete?

- No sceriffo! sono due giorni almeno che non vedo quel rinnegato di Pete!

Sapevo che stava mentendo ma non potevo dimostrarlo.

- Apri bene le orecchie Joe! finisci alla svelta il goccetto poi, acchiappa il tuo cavallo, mettitelo sotto il culo e sparisci e, se vedi Pete, digli che lo sto cercando ho bisogno di parlargli.

Ci avvicinammo al bancone dove Sem, un vecchio irlandese, stava pulendo con uno straccio.

Il chiasso ricominciò e il pianista, dopo aver messo bene in vista il cartello "Don't Shot the Player" (non sparate al pianista) riprese a suonare.

Per mio conto, il cartello era inutile perché la maggior parte degli avventori erano analfabeti.

- Salve Sem!

- 'sera sceriffo!

- Un doppio e lasciaci la bottiglia.

- Cercate qualcuno sceriffo?

- Si Sem! hai visto per caso Pete da queste parti stasera?

- E' venuto prima di cena, si è scolato un paio di bicchieri e poi ha detto che sarebbe andato a casa a buttarsi sul letto. Problemi sceriffo?

- McCarty è in giro da queste parti e il fatto che Joe sia qui stasera nonostante gli avessi imposto di starsene fuori dal paese, conferma l'ipotesi. E' qui per annusare l'aria che tira e per tastare il polso a qualcuno per poi riferire a McCarty. Anche il fatto che Pete non sia qui a vuotarti la cantina è sospetto.

- Buona caccia sceriffo!

- Grazie Sem!

Voltando le spalle alla sala osservavo la scena guardando il grande specchio appeso dietro il bancone.

Joe era ancora seduto al tavolo con aria indifferente.

Sapeva che appena fosse uscito io e i miei uomini lo avremmo seguito e quindi, non sarebbe andato al nascondiglio di McCarty né a casa di Pete.

Joe, era un farabutto ma non uno stupido.

Piuttosto, stavo osservando il tavolino dov'era seduto Sid Cooper.

Sid era una canaglia che per un misero dollaro, avrebbe venduto anche sua madre.

Sapevamo che faceva parte della banda di Purcell, razziatori di bestiame, ma non avevamo ancora le prove. Comunque, prima o poi l'avrei beccato per poterlo impiccare al primo albero.

Sid era anche un accanito giocatore seppure di scarsa capacità.

Però, era strano che fosse seduto ad un tavolino a bere da solo e non al tavolo del Poker.

Anche lui era lì per osservare e riferire.

Joe si alzò e si diresse verso l'uscita con calma.

Ci siamo! pensai.

Feci un cenno a Lane e Kirby di stare pronti.

Infatti poco dopo anche Cooper si alzò e si diresse verso l'uscita.

Noi, aspettammo qualche secondo e poi ci defilammo dall'uscita posteriore dove ci attendevano i cavalli.

Per le vie laterali, coperti dal buio, seguimmo Cooper che a piedi, attraverso la Main Street, si diresse verso la casa di Pete.

Bussò tre volte poi, attese qualche secondo e bussò una quarta volta.

Era un segnale!

La porta si aprì scricchiolando e Cooper entrò.

Noi aspettammo al buio in una via laterale non essendo interessati a Cooper ma, a Pete.

Avevamo la prova che McCarty era nascosto nei dintorni.

Cooper era sicuramente andato ad avvisare Pete della nostra presenza il quale, era l'unico a sapere dove si trovava il nascondiglio di McCarty.

Dopo circa dieci minuti Cooper uscì dalla casa e tornò verso il Saloon.

Dopo aver mandato Lane sul retro della casa io e Kirby ci avviammo verso la porta principale dove bussai allo stesso modo di Cooper.

La porta restò chiusa.

- Andiamo Pete! sappiamo che sei in casa! apri la porta o la buttiamo giù sono, lo sceriffo!

Udimmo dei rumori provenire dal retro della casa e ci precipitammo.

Lane aveva bloccato Pete che tentava di scappare.

- Bel colpo vecchio mio! portalo dentro!

Facemmo accomodare Pete su di una sedia.

La stufa era ancora accesa anche se il fuoco non era vivace.

Sul tavolo un piatto con i resti di fagioli e qualche pezzo di pane.

- Bene Pete! dove stavi cercando di scappare di bello? hai qualche cosa sulla coscienza?

- Sceriffo, mi sono spaventato e ho cercato di fuggire!

- Uno come te che ha paura? che cos'hai da temere? i fantasmi?

- Ma cosa ho fatto di male?

- Senti Pete, mettiamola così. Tu mi dici dov'è nascosto McCarty e io ti prometto che non dovrai mangiare solo budino per il resto della tua vita perché hai perso i denti.

- Ma di cosa sta parlando sceriffo?

- Pete, tu mi conosci. Non prendermi per il culo o sono cazzi! sappiamo che McCarty è qui nei dintorni e tu sai dove è nascosto quel pendaglio da forca. Dicci subito dov'è o dico ai miei ragazzi di strapazzarti come due uova al tegamino.

In quel mentre la porta sul retro si aprì ed una figura scivolò dentro.

Nella semioscurità intravidi l'uomo che estraeva una pistola chiedendo ¿Quién es? ¿Quién es? (che in spagnolo significa "Chi è? Chi è?").

Riconobbi la voce.

Fulmineo estrassi la pistola e sparai due colpi in direzione dell'ombra Lane e Kirby fecero lo stesso.

L'uomo cadde a terra senza vita.

Accendemmo una lampada a petrolio per rischiarare la stanza.

McCarty era lì, sul pavimento in un lago di sangue.

Terminava così la carriera di assassino cominciata all'età di dodici anni per vendicare un insulto che era stato rivolto a sua madre.

 

Era il 14 luglio del 1881 quando lo sceriffo Pat Garret uccise Henry McCarty più noto, come Billy the Kid.

Le versioni riguardo la morte di Billy sono fondamentalmente due.

La ricostruzione dell'antefatto è basata su alcune tracce e sulla fantasia ma, il momento della morte, è ricavato dalla versione che gli storici definiscono la più attendibile.

Billy era registrato all'anagrafe con il nome di Henry McCarty ma, era noto anche con i nomi di Henry Antrim e William Harrison.

Nato (ma la data di nascita è incerta) in Manhattan il 23 novembre del 1859 in Allen Street nel Lower East Side dell'isola ebbe un'infanzia infelice.

Il padre morì nella  guerra civile americana e la madre si spostò nel paese sposandosi con William Antrim.

Successivamente la madre morì di tubercolosi.

Billy cominciò la sua carriera di assassino, secondo la leggenda uccise ventuno persone in media, una per ogni anno della sua vita, all'età di dodici anni per vendicare il nome della madre che era stata insultata.

Scampato all'impiccagione, perché fuggito dal carcere della contea di Lincoln (Nevada), si rifugiò in Nuovo Messico (New Mexico) nei pressi di Fort Sumner dove trovò la morte all'età di soli 22 anni per mano dello sceriffo Pat Garret.

 
 
 

Le sabbie maledette

Post n°463 pubblicato il 12 Maggio 2012 da flavourfly
 
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All'età di sette anni mia madre decise che dovevo studiare.

Mio padre, Samuel, si oppose perché riteneva fossi troppo debole per sostenere studi scolastici.

Ero un bambino di salute cagionevole e la mamma, Martha, era sempre piena di attenzioni nei miei riguardi timorosa, che mi ammalassi gravemente.

Per questo, mi veniva perfino negato di giocare con i bambini della mia età.

Fu allora deciso che un maestro si recasse a casa nostra per insegnarmi i rudimenti della conoscenza.

Mio padre era un uomo di grande talento artistico ed illustrava pittoricamente animali, per lo più cavalli, che venivano commissionati dalle famiglie altolocate da appendere poi nei saloni delle loro case di campagna.

La fotografia, allora, aveva ancora dei costi molto elevati così mio padre, dipingeva illustrazioni anche per l'Illustrated London News, un magazine, che riportava fatti di cronaca su sedici pagine del costo di sei penny.

Più volte tentai di emularlo con dei dipinti in acquerello ma, il mio talento lasciava ancora a desiderare per la tecnica.

Mio padre comunque sembrava soddisfatto e diceva:

- Deve ancora farsi però, traspare già l'ereditarietà del padre.

Noi trascorrevamo i mesi estivi nella tenuta in Swaffham nel Norfolk (Inghilterra) e siccome i miei unici compagni erano gli animali, passavo gran parte del mio tempo nel serraglio dietro la tenuta.

Io, pittore in erba e con un talento ancora dormiente, col tempo e con l'età cominciai a spostarmi di villaggio in villaggio e un giorno, nell'estate del 1891, conobbi la baronessa Lady Amherst di Hackney.

Lady Amherst era una tipica femmina inglese con un naso retto ed una carnagione chiara, scialba, com'è tipico degli inglesi.

Mi disse che riconosceva in me del talento e che aveva un lavoro da propormi.

Così, un giorno, mi invitò presso la sua tenuta e davanti ad un buon Tè e pasticcini, mi propose di aiutare il giovane Percy Newberry a ridisegnare, in bella copia, le migliaia di raffigurazioni da lui prodotte in una spedizione archeologica avvenuta in Egitto al seguito del Professor Flinders Petrie, noto esumatore, che lavorava per il British Museum.

Percy, a causa dell'enorme mole di lavoro, passava intere notti al British Museum per ridisegnare in bella copia gli schizzi.

Partii per Londra alla volta del British Museum dove mi ingaggiarono per circa tre mesi.

Copiare gli schizzi di Percy mi piacque anche perché, si trattavano di oggetti, reliquie e vestigia dell'antico Egitto.

I miei datori di lavoro furono soddisfatti del lavoro effettuato e Newberry, propose a Lord Amherst, in procinto di finanziare una nuova spedizione in Egitto per conto e di cui ne era membro dell' Egypt Exploration Fund, che venissi assunto come aiutante di Newberry stesso ed alla volta dell'ottobre del 1891, partii per mia la prima volta in Egitto.

Fu così che cominciai la mia carriera di archeologo.

Al Cairo conobbi Sir William Matthew Flinders Petrie un bravo archeologo che mi ha insegnato molto sulla cultura e la civiltà egizia e soprattutto, le tecniche e le metodologie per uno scavo archeologico accurato nonché, la tecnica di seriazione che permette di riordinare cronologicamente i reperti ritrovati nei diversi luoghi di ricerca.

Sir William era personaggio molto meticoloso e con una forte personalità.

Sopraciglia folte, una barba non esageratamente curata e uno sguardo fiero e penetrante.

Ha condotto importanti studi in patria nel sito di Stonehenge e per diversi anni ha diretto spedizioni di scavo in Palestina ed in Egitto.

Tempo fa, Sir Williams,  mi mostrò un anello per sigilli.

Sull'anello era riportato il nome di un re: Tut-ankh-Amon che in antica lingua egizia significa più che mai vivo è Amon.

Era il nome del faraone fantasma, dimenticato che Sir Williams inseguiva ormai da anni.

Ora mi trovo nella Valle dei Re e sto per regalare al mondo una delle più grandi scoperte archeologiche di questo secolo, la tomba di Tutankhamon.

 

« Diedi l'ordine. Fra il profondo silenzio, la pesante lastra si sollevò. La luce brillò nel sarcofago. Ci sfuggì dalle labbra un grido di meraviglia, tanto splendida era la vista che si presentò ai nostri occhi: l'effige d'oro del giovane re fanciullo. »

 

Howard Carter 4 novembre1922.

La scoperta delle tomba del faraone dimenticato diede inizio ad una serie di coincidenze che videro la morte dei membri della spedizione e di chi aveva finanziato la stessa.

Questo diede origine alla leggenda della Maledizione di Tutankhamon.

Lord Carnavon, che aveva finanziato la spedizione, morì per cause naturali nel 1923.

Howard Carter, il capo della spedizione, morì nel 1939 all'età di 65 anni per cause naturali.

Arthur Cruttenden Mace, un collaboratore, morì nel 1928 all'età di 54 anni per cause naturali.

Solo sei persone, tra presenti alla scoperta e successive che manipolarono il sarcofago, moriranno entro dieci anni dalla scoperta.

Dietro a questa leggenda si nasconde una trovata pubblicitaria, che per l'epoca, diede i suoi renumerabili frutti.

 

 
 
 

Il Wild Blues

Post n°462 pubblicato il 08 Maggio 2012 da flavourfly
 
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Per chi non è mai stato al Wild Blues la prima volta, può trovarsi spaesato.

Il Wild Blues in Chicago non è un locale come gli altri infatti ci suonano i Six Rovings, ed è uno dei locali segreti, in mano alla malavita della città, dove puoi farti un goccetto.

Chi non ha mai sentito suonare i Six Rovings non ha mai sentito la vera musica.

Tom Bello alla batteria, è più fatto lui di un carico di cocaina ma, le bacchette tra le sue mani sembrano che vadano da sole.

Jim Holiday al pianoforte non può vedere gli avventori dietro la montagna di bicchieri che, restano in bilico sul pianoforte.

Lui non pesta, lui accarezza i tasti e le corde rispondono vibrando le loro armonie.

White Skin, non fatevi ingannare è più nero della pece.

E' un omone di due metri con due mani che sembrano due ruspe ma, il contrabbasso suonato da lui, canta e balla mentre lo fa piroettare e White lo coccola come fosse di fine cristallo.

Poi c'è Charlie Malone alla tromba.

E' un piccoletto tondo con le guance che si gonfiano come quelle un criceto mentre infonde un'anima allo strumento.

E' un tipo molto iroso, costantemente incazzato pronto a far risse sempre, nonostante la sua statura.

Una sera gli chiesi:

- Charlie perché sei sempre incazzato?

- Perché il mondo è pieno di stronzi come te che non si fanno i cazzi loro!

Benny Goldman è al Sax.

Il suo strumento è un Sax baritono Conn, un vero capolavoro di meccanica.

Quando Benny suona le note più gravi tutto trema e ti senti scuotere fin nelle viscere.

Benny è molto ricercato dalle donne è bello e di modi raffinati ma se lo trovate nella serata sbagliata... beh!

Una volta gli chiesi:

- Benny, a cosa pensi quando suoni?

E lui mi rispose:

- Come faccio a saperlo? sto suonando!

E' così Benny, schivo e di poche parole.

Lola Melody è la voce del gruppo.

Dire che è bella è un'offesa.

Gli uomini cadono ai suoi piedi e, davanti a lei, altro non riescono che a balbettare e ad emettere suoni gutturali tanta è la sua bellezza.

Lola canta con una voce che scioglie il cuore e il gelo del sangue se, al posto del sangue, hai del ghiaccio.

Solo gli angeli possono cantare meglio di lei.

Rincorre le note e balla con esse su e giù per le scale improvvisando con uno stile che solo Lola sa regalare.

Il Wild Blues è il più bel locale in Chicago.

Qui ci trovi di tutto dagli spacciatori ai rapinatori, dai papponi ai Killers professionisti, dai Gamblers alle puttane.

Ah! che ci faccio qui io?

Mi presento sono Fred Salina e questo è un locale di Bugs Moran.

Io sono un infiltrato e lavoro per Al si! Al Capone!

Stasera Bugs Moran è qui per ascoltare Lola e i Six Rovings.

Sam Giancana, l'autista e luogotenente di Al, sta aspettando una mia soffiata per l'agguato che hanno teso a Bugs e ai suoi uomini.

 

 

 

 

E' il 14 febbraio 1929 il giorno, della strage di San Valentino.

Al Capone e Bugs Moran sono in lotta per il controllo della città di Chicago, per il mercato degli alcolici e della droga.

Il gruppo che compì la strage era guidato da Sam Giancana autista e luogotenente di Al Capone che, in quel giorno, è in Miami.

Gli uomini di Al Capone si presentano agli uomini di Bugs travestiti da poliziotti e li disarmano.

Gli uomini di Bugs, si lasciano tradurre in stato di arresto e vengono condotti via.

Però, la loro ultima destinazione, non è un comando di polizia ma un garage dove, vengono massacrati a colpi di mitragliatore.

Furono sparati, su ogni uomo, almeno cinquanta colpi.

L'alibi che Al Capone si era procurato resse per molti anni anche perché, i pochi testimoni della scena, vedendo poliziotti aggirarsi sul luogo del massacro, spostarono la teoria degli inquirenti verso un regolamento di conti perpetrato, da poliziotti corrotti.

Dopo quarant'anni, un vecchio gangster di nome Alphonse Karpis, raccontò la verità sui fatti.

Bugsy Moran fu il solo superstite e, una vittima che gli somigliava moltissimo, venne uccisa al suo posto.

Bugs, dopo quella notte, fuggì lasciando Al Capone unico padrone incontrastato di Chicago.

 
 
 

La missione

Post n°461 pubblicato il 06 Maggio 2012 da flavourfly
 
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Il comando operazioni ci aveva avvisato della preoccupante attività nemica lungo il Song Huong River più comunemente a noi noto come, il Fiume dei Profumi.

La festività del Tet era prossima e mancavano solo dodici giorni al capodanno vietnamita.

Stavamo volando in formazione di quattro elicotteri a nord di Huè, una città, che sorge sul Fiume dei Profumi.

La nostra missione consisteva nel salvataggio di otto Marines, tra cui tre feriti gravi, unici scampati ad un agguato nemico mentre erano in volo di ricognizione.

Gli scampati avevano trovato rifugio presso un villaggio di agricoltori a nord di Huè ma, si trovavano isolati e circondati da guerriglieri Vietcong.

Il Fiume dei Profumi era così chiamato perché, in autunno, i numerosi frutteti a monte di Hué, lasciano cadere i loro fiori sulle acque conferendo al fiume stesso un profumo aromatico.

Il rumore del Huey, un Bell UH-1 Iroquois con motore turbolalbero, è tanto assordante che quasi dobbiamo urlare per parlare tra di noi.

Il sergente Berrios era seduto dietro la mitragliatrice, una M60 7,62, laterale destra e se ne stava con le gambe a penzoloni fuori dall'abitacolo dell'elicottero.

Non staccava mai lo sguardo dalla foresta che scorreva sotto di noi intricata e minacciosa come fosse in attesa d'inghiottirci.

Il Huey era pilotato, con perizia, dal tenente Butler un pilota di lungo corso.

Sembrava non avesse mai fatto altro, nella sua vita, fin dalla nascita!

Veterano dal luglio del 1964, aveva già quattro anni di guerra sulla spalle ed innumerevoli missioni di soccorso.

L'elicottero è l'unico mezzo possibile per il trasporto di truppe o per delle missioni di salvataggio su di un terreno mutevole ed insidioso come in Vietnam.

Foreste, colline, fiumi e vasti acquitrini ricoprono tutto il paesaggio mentre il clima è insopportabilmente caldo ed afoso.

Insidie di ogni genere si celano nelle paludi e nelle foreste e, non solo le mine e le trappole del nemico, ma anche animali pericolosi come il serpente dei due passi chiamato così perché, la vittima colpita dal suo morso, si dice che non abbia neppure il tempo di compiere due passi.

Ma il momento peggiore è la notte.

La notte è anche peggio del caos del giorno perché lì fuori, dove è talmente buio che non si vede ad un palmo dal naso, c'è Charlie.

La notte è di Charlie che ne è padrone e signore.

Silenziosi e temibili, i Vietcong, i guerriglieri locali, possono scivolarti addosso e sgozzarti prima ancora che tu possa lanciare un urlo.

Dicono di noi che, i soldati delle seconda guerra mondiale, sono stati la generazione migliore ma, tutti coloro che stanno combattendo qui, in Vietnam, sono i migliori della nuova generazione.

E pensare che solo nella primavera del 1964, neppure la metà degli americani aveva mai sentito parlare del Vietnam.

In patria la propaganda insegnava ai ragazzi, nelle scuole, della lotta tra comunismo e democrazia nel Vietnam.

Del Vietnam, noi ragazzi, sapevamo poco ma sapevamo del comunismo.

Cresciuti negli anni '50, nella Paura Rossa, eravamo a conoscenza degli orribili fatti accaduti nei paesi comunisti dove, si diceva, che ai preti venisse mozzata la lingua perché non potessero più insegnare il Padre Nostro.

Che fosse vero questo io non lo so ma so, di come i Vietcong trattano le popolazioni locali nel Vietnam del sud.

Si confondono tra gli agricoltori nei villaggi tenendoli sotto la minaccia di torture e rappresaglie se non gli vengono prestate protezione ed aiuto.

Poche settimane fa, in una operazione Search and Destroy, avevamo raso al suolo un villaggio credendo fosse pieno di Vietcong.

Da quel villaggio erano partiti diversi colpi di mortaio contro le nostre pattuglie.

Abbiamo scoperto solo dopo che si trattavano di pochi nemici e che, un attimo prima del nostro attacco, erano già fuggiti tra le foreste oltre il confine con il Laos.

Lo fanno apposta, apposta per fare in modo che i locali perdano la fiducia verso di noi, verso coloro che dovrebbero aiutarli e salvarli e non ucciderli!

Con l'operazione Rolling Thunder, autorizzata dal presidente Johnson, l'alto comando pensava di concludere la guerra in pochi mesi ma, non è stato così.

La tenacia dei Vietcong, il loro coraggio ed il loro odio verso di noi non sono stati spezzati, piegati dai bombardamenti su larga scala e dalla straordinaria potenza del nostro fuoco anzi, non sembrano neppure intimiditi.

Più ne ammazziamo e più ne saltano fuori di freschi sono, dappertutto.

Per cuffia il tenente Butler mi chiama.

- Capitano Bower!

- Tenente, avanti!

- Mancano meno di tre minuti all'atterraggio, vedo il villaggio davanti a noi.

- Bene! ragazzi appena a terra voglio un dispiegamento difensivo i Vietcong potrebbero attaccarci. Berrios! tu e Jones dateci copertura con gli M60. Lopez e Miller restate attorno all'elicottero. Il secondo elicottero atterrerà dietro di noi e... diamine!

Una tremenda esplosione ed il secondo elicottero si vaporizzò in una nube di fuoco.

Quasi immediatamente fummo bersaglio di diverse raffiche di Kalashnikov.

Per cuffia il tenente Butler urlava:

- Ci attaccano! Ci attaccano! perdiamo quota devono aver colpito il motore abbiamo una perdita di potenza... afferratvei a qualcosa! stiamo precipitando!

L'elicottero cominciò ad avvitarsi mentre vedevo il terreno avvicinarsi.

Lo schianto fu meno tremendo di quanto ci aspettassimo ma, lo stesso, il sergente Berrios rimase ferito gravemente.

Anche il tenete Butler era stato ferito ma, era ancora in grado di muoversi da solo.

- Fuori presto! fuori! raccogliete i feriti.

Ora cominciavano a piovere anche granate di mortaio.

- Avanti! state bassi e correte verso quell'avvallamento! Lopez! dov'è Cox?

- Signore, credo sia rimasto dentro!

- Vai! torno io a cercarlo!

Ritornai verso le lamiere dell'elicottero per recuperare il caporale Cox.

Appena entrato nuove raffiche di mitra crivellarono l'abitacolo.

Cox era lì incastrato tra le lamiere in un lago di sangue.

Durante l'impatto, una barra di metallo, gli aveva squartato l'addome ed ora le sue interiora erano sparse sul pavimento.

Senza altra esitazione afferrai la radio a zaino ed uscii correndo verso i miei uomini che, intanto, avevano trovato rifugio in un avvallamento del terreno.

- Cox è morto! Miller attaccati alla radio, chiama la base e dai il codice Broken Arrow.

Il codice Broken Arrow stava a significare che una pattuglia era in pericolo di essere annientata dal nemico.

Da lì a poco avremmo avuto la copertura aerea.

Intanto gli altri due elicotteri, che formavano la nostra squadriglia, i MEDEVAC (MEDical EVACuation ovvero, Evacuazione Sanitaria), si erano allontanati dalla zona non potendo atterrare.

- Lopez! Lopez!

- Capitano!

- Berrios in che condizioni è?

- Credo che un proiettile gli abbia reciso un'arteria all'altezza della coscia destra. Gli ho applicato una cintura che fa da laccio emostatico.

- Bene! ricordagli di allentarla ogni cinque minuti. Hai visto dove si trovano i superstiti?

- Signore, si trovano laggiù verso quella baracca di lamiera.

- Cerca di fargli capire di non muoversi a breve avremo piena copertura aerea.

- Miller! Miller!

- Capitano!

- Hai contattato il comando?

- Si! Gli aerei stanno arrivando, sei F-100 con bombe al Napalm, ETA (Estimated Time of Arrival) meno quattro.

- Bene Miller! Sembra che la maggior parte delle scimmie gialle si siano attestate su quella piccola altura a sud-ovest. Comunica la loro posizione al comando operazioni.

Il crepitio delle armi e le esplosioni da mortaio era incessanti e, quel che più era peggio, stavano aggiustando il tiro.

Da un momento all'altro rischiavamo di essere colpiti da una granata.

Ci stavamo difendendo come tigri e, il sergente Berrios per quanto ferito, stava falciando la foresta con il suo M60.

Il frastuono di un F-100 che passò sopra le nostre teste ci fece capire che da lì a qualche secondo si sarebbe scatenato l'inferno.

Sulla foresta attorno al villaggio piovvero le bombe al Napalm e una nube rotolante di fuoco l'avvolse.

L'odore della cordite misto a quello del Napalm mi bruciava le narici mentre le raffiche e le esplosioni delle granate di mortaio si quietarono.

Dalle fiamme, che avvolgevano ciò che restava della foresta, si alzavano urla disumane.

Si vedevano i corpi dei nemici avvolti dalle fiamme contorcersi per poi stramazzare a terra immobili.

Quando il nemico cessò l'attacco noi avevamo perso tre uomini ma, il nemico, ne aveva lasciati sul terreno più di quaranta e, per la maggior parte, arsi vivi.

Probabilmente le perdite del nemico erano di più ma i corpi vaporizzati, perché il Napalm raggiunge anche i duemila gradi di temperatura, non si potevano di certo contare.

Anche oggi avevo avuto salva la vita già, perché ciò che più conta per noi tutti è salvarsi per poter poi tornare a casa.

I comandanti avrebbero detto che anche oggi avevamo vinto, sconfitto il nemico ma, tutti quanti sapevamo che questa sarebbe stata una guerra senza fine.

 

Diario del Capitano Steve Bowie, Vietnam del sud, 18 gennaio 1968.

Il coinvolgimento degli americani nella guerra del Vietnam vide la sua escalation a partire dalla primavera del 1964.Nel 1968 c'erano quasi cinquecentomila Marines sul suolo Vietnamita. Molti giovani, circa un terzo, si arruolarono volontariamente perché credevano in ciò che stavano facendo. La propaganda e la politica anticomunista aveva portato l'america a perseguire una guerra dove, la vittoria, non si misurava più in base ai territori liberati ma, in base al numero dei nemici uccisi. Più di centosessantamila Marines americani trovarono la morte e, molti di essi, quando partirono, non sapevano neppure cosa li attendeva credevano, che la guerra sarebbe finita in pochi mesi. Quando tornarono in patria furono trattati come feccia, emarginati perché l'opinione pubblica gli si era rivoltata contro. Loro credevano, loro hanno eseguito gli ordini della politica e dei sogni visionari di boriosi generali impazziti. Loro, si amavano tra di loro perché non abbandonavano mai i loro compagni feriti od uccisi sul campo di battaglia. Loro, avevano capito che dovevano combattere contro un nemico invisibile e che era dappertutto pronto a colpirli e a fuggire. Il Vietnam fu la più grande sconfitta morale, psicologica per gli americani ma, di quei ragazzi si ricordano solo le foto e i reportage di guerra di cui si coglie solo lo strazio e l'orrore che solo le guerre sanno provvedere. Quei ragazzi non avevano colpa, obbedivano solo al cieco giuoco della politica. Loro, hanno servito la loro patria con orgoglio, coraggio e valore abbandonati al loro destino. Loro, sono i figli dei Marines di Guadalcanal, di Iwo Jima, di Okinawa i figli, degli stessi americani che hanno liberato l'Europa dal dominio nazista.

 

 
 
 

Il tavolino

Post n°460 pubblicato il 29 Aprile 2012 da flavourfly
 
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Il tavolino d'angolo è la posizione ideale per osservare la sala di questo odoroso Bistrot in cui, una perenne nube di fumo ricopre come un cielo minaccioso gli abituali frequentatori.

Qui, trovo le idee e riorganizzo i miei pensieri traendo ispirazione osservando la gente che vi si affolla e ne ho fatto una nuova dimora forse, perché gli squattrinati come me non hanno neppure i soldi per poter riscaldare le stanze dove dormiamo.

L'arredamento è quanto di più classico dell'epoca con quell'illuminazione da parete costituita da lampade a gas ed il legno che ricopre ogni centimetro quadrato del pavimento, delle pareti e del soffitto.

Specchi e decori di legno intagliato arricchiscono lo squallido panorama di ubriachi e donne di mala fama truccate come maschere.

Qualcuna, molto ubriaca, ha il rossetto sbavato e questo la rende ancora più grottesca.

Un uomo si avvicina chiaramente ubriaco e mi dice:

- Amico, cosa stai lì tutto solo? vieni a farti un goccetto in compagnia...

Gli sorrido e gli rispondo:

- Più tardi! sto aspettando qualcuno.

Si allontana verso il bancone barcollando vistosamente dove tre amici, forse più ubriachi di lui, con gran manate sulle spalle gli offrono un altro paio di bicchieri rasi.

Chloé, la figlia dell'oste che lavora nel locale come cameriera, è una ragazza spigliata ed intelligente.

Capisce subito dall'occhio se un cliente è stretto di cervello e goffo.

Ha una spiccata attrazione per me, forse perché non trova il mio vestire barbaro quanto gli altri e non mi spalmo di burro i capelli.

La chiamo:

- Oilà Chloé!

- Arthur! anche stasera sei solo!

- La mia solitudine non è cattiva compagna è la mia forza.

- Più tardi hai un momento per la tua Chloé?

Gli menai una gran manata sul culo ridendo:

- Quando vuoi lo sai che ci sono per te!

Si allontana ma poi torna quasi subito e mi porta un bicchiere di vino.

- Alla tua salute Arthur questo te lo offro io.

- Grazie mia preziosa fanciulla!

Il chiasso è assordante ma ancora si riesce a cogliere qualche isolato discorso tanto da capire se si discute di soldi, di sesso e di donne o di politica; e che ci si può altro aspettare da questi magnifici esemplari di animali da osteria?

Ma ciò che per me conta è prendere il vento, il vento che come gonfia le vele di un bastimento mi porta lontano e l'occhio coglie ciò che il mondo del cuore a volte non vede.

Temo piuttosto la bonaccia che non spinge più la fantasia verso dove il semplice uomo non può giungere.

Mi piace osservare e tradurre in righe comprendere le loro vite per trovare confronti con la mia che, non è molto diversa, se non per l'amore che ho per l'arte.

Siamo esseri intrisi d'alcol e d'oppio le cui vite s'incrociano forse solo tra i tavoli di un Bistrot e qui, ci riconosciamo.

Se ci incontrassimo sobri per le vie e le strade non credo che neppure ci riconosceremmo.

 

Parigi XIX secolo.

I Bistrot sono affollati da sbandati squattrinati che ci hanno lasciato dei capolavori sia letterari che pittorici.

Nei Bistrot trovavano spesso la scintilla che li portava verso altezze che non avrebbero mai raggiunto se non avessero condotto la vita che hanno invece condotto.

Dai poeti decadenti ai Parnassiani fino agli impressionisti hanno segnato un'epoca che la storia dell'umanità mai dimenticherà.

 
 
 

La via del cielo - Capitolo I - Il colloquio

Post n°459 pubblicato il 25 Aprile 2012 da flavourfly
 
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Capitolo I - Il colloquio

 

- Prego si accomodi, il signor Vantenada la stava aspettando; fece il maggiordomo spalancando l’uscio di casa.

Seguii il maggiordomo per un lungo corridoio sino ad un sala dove erano delle antiche armature di cavalieri.

La luce era debole, i due grandi lampadari con pendenti di cristallo erano spenti e solo quattro lampade a muro ed il fuoco del caminetto rischiaravano la grande sala.

Quadri di vetusti personaggi decoravano le pareti assieme a qualche arazzo.

Le due cariatidi ai lati del caminetto rischiarate dalla vibrante luce del fuoco, sembravano scambiarsi gli sguardi osservandomi come fossi uno straniero venuto da qualche terra lontana.

- Attenda qui mentre avviso il signor Vantenada del suo arrivo; il maggiordomo si congedò e mi lasciò solo nella augusta solennità della sala.

Mi soffermai ad osservare un quadro, un classico dipinto su tela raffigurante forse un avo del casato Vantenada.

Il signor Vantenada era fiero della sua discendenza che annoverava illustri personaggi che avevano portato prestigio e splendore al casato.

Ricordo che molte volte mi raccontava delle gesta di un suo avo che aveva condotto con successo una campagna contro gli invasori arabi alla guida di un modesto esercito di valorosi.

Vantenada era discendente di un ricco casato di Spagna.

Dopo il 1878 la famiglia Vantenada, si trasferì in Inghilterra in una tenuta nel Kent non lontana da Sittingbourne.

Lo schianto di un ciocco nel caminetto mi fece sobbalzare.

Mi girai ed osservai le fiamme che danzavano vorticosamente come risucchiate dal camino.

C’era una brezza che attraversava la stanza forse, una finestra lasciata socchiusa che lasciava entrare quell’aria fresca per la stagione.

Un brivido mi percorse la schiena.

Mi avvicinai al calore caminetto e rimasi ad osservare la magnifica danza delle fiamme.

Perché Vantenada mi aveva convocato con così grande urgenza?

Una delle due porte in fondo alla sala si aprì e Vantenada fece il suo ingresso.

- Buona sera professor Hoskins.

- Signor Vantenada, è un vero piacere incontrarla di nuovo.

- Ha fatto buon viaggio professore?

- Abbastanza tranne che per un piccolo incidente che mi ha visto perdere quasi uin'ora a causa di una coincidenza del treno sbagliata. Devo dire che in questi ultimi tempi le ferrovie inglesi sono in ribasso.

- Si accomodi la prego professore. Posso offrirle qualche cosa? Un whisky oppure un buon brandy?

- Un brandy grazie.

Vantenada prese due ballon da degustazione ed una bottiglia di Monseñor Soleras reserva e ne versò.

Mi porse il bicchiere che cominciai a riscaldare con le mani.

- Dunque professor Hoskins, sicuramente si sarà chiesto perché ho insistito in modo così pressante perché si recasse qui da me e non le sarò sembrato molto educato ma, vede, ciò che ho da dirle e da mostrarle sono della massima urgenza.

- Signor Vantenada se non la conoscessi avrei potuto giudicarla per come ha descritto ma, so che lei è un uomo particolare e di cui aver fiducia.

- Grazie per la fiducia e passo subito al nocciolo della questione. Professor Hoskins lei è uno dei massimi esponenti mondiali per lo studio e la traduzione delle antiche lingue nonché, famoso archeologo. Lei sa che sto finanziando degli scavi in Tiahuanaco?

- Si  e so anche che avete ritrovato dei manufatti molto interessanti.

- Appunto, professore ma c'è un manufatto, in particolare, che non è ancora stato mostrato a nessuno e di cui ne siamo a conoscenza solo in quattro persone al mondo, cinque se vogliamo contare anche lei da questo momento.

Vantenada posò il bicchiere sopra un tavolino e si diresse verso un mobile antico.

Fece scattare un meccanismo e un cassetto segreto si aprì.

Vantenada estrasse qualche cosa avvolto in un telo e me lo consegnò.

Al tatto l'oggetto, ancora avvolto nel telo, non era molto grande forse trenta centimetri per trenta ed era leggero.

- La prego professore lo guardi.

Tolsi il telo e mi ritrovai tra le mani una tavoletta con sopra delle incisioni.

La tavoletta sembrava di metallo ma, di un metallo, che non avevo mai visto.

- Riconosce le incisioni professore?

- Si! La parte superiore riporta un testo in geroglifico egizio. Ma come è possibile che si trovasse in Tiahuanaco?

- Ma c'è di più caro professore, guardi più in basso!

Sotto i geroglifici c'erano della altre incisioni.

- Sembrano simboli logosillabici appartenenti alla civiltà Maya.

- Già, ha detto bene professore, sembrano ma non è una lingua Maya. Il professor Hayde li ha già studiati ed è giunto alla conclusione che essi non appartengono alla lingua Maya anche se si somigliano. Sembra un dialetto o forse una lingua di transizione tra questi simboli e i simboli dei Maya che noi tutti conosciamo.

- Il professor Hayde li ha già esaminati?

- Il professor Hayde era in Tiahuanaco al momento della scoperta assieme al professor Edwards e alla dottoressa Lawrence. Ma c'è ancora di più! giri la tavoletta e guardi dalla parte opposta.

Girai la tavoletta e mi misi ad osservare stupefatto.

- Questi simboli non li conosco.

- Esatto caro professore. I simboli che lei sta osservando non corrispondono a nessuna lingua nota al mondo.

- Ma come è possibile?

- Non è finita professor Hoskins. Prenda la tavoletta e la getti nel fuoco.

- Ma come?

- Si fidi professore faccia come le ho suggerito.

Sconcertato gettai la tavoletta nel fuoco.

Vantenada presa una pinza per caminetto ed attese.

La tavoletta non stava bruciando e neppure sembrava arrossarsi o subire danni nelle fiamme anzi, sembrava stesse diventando trasparente.

Vantenada prese con la pinza l'oggetto e me lo porse.

- Lo prenda professore!

- Ma...!

- Si fidi professore afferri la tavoletta.

Presi la tavoletta che ormai era diventata trasparente come cristallo e rimasi stupito del fatto che non scottava anzi, sembrava essere più fredda di prima.

- Stupefacente!

- Adesso la osservi ancora professore. Non nota nulla?

- Si! C'è un oggetto all'interno sembra... una chiave o una parte di qualche meccanismo. E' un oggetto incredibile!

- Professor Hoskins abbiamo sottoposto questo oggetto ad esplorazioni con i raggi X. Abbiamo cercato di staccarne un campione per analizzare il materiale che lo compone.

Niente, nulla sembra scalfire o danneggiare questo strano materiale, laser, radiazioni, punte diamantate o di titanio.

Dopo un tentativo di fondere una piccola parte con una fiamma ossidrica abbiamo, casualmente, scoperto la peculiarità che esso diventa trasparente se esposto ad alte temperature.

L'unica conclusione logica, per quanto incredibile, è che si tratti di un manufatto alieno.

- Ma l'oggetto nascosto al suo interno? Avrete qualche idea a cosa possa servire!

- Sappiamo solo che in Tiahuanaco abbiamo scoperto una camera sepolcrale ed all'interno di un sarcofago abbiamo ritrovato questo oggetto. Crediamo che la soluzione sia decifrare i simboli incisi sulla tavoletta. Forse, i geroglifici egizi, contengono la chiave di lettura per gli altri simboli.

Il professor Hayde ed il professor Edwards resteranno in Tiahuanaco in attesa di nostre notizie.

La dottoressa Lawrence sarà qui domani per prestarle assistenza.

Se la sente professor Hoskins di aiutarci per trovare la soluzione a questo enigma?

- Perdiana Vantenada! non mi lascerei scappare un'occasione simile per nulla al mondo! Da anni tento di decifrare nei vecchi testi tutto ciò che possa indicare e sostenere che, in un lontano passato, la terra, è stata più volte visitata, se non abitata, da civiltà provenienti da altri mondi. Esseri con una conoscenza che noi forse raggiungeremo solo tra cento se non mille anni.

- Sapevo che avrebbe accettato professore. Bene che ne dice se ora andiamo a cena suppongo, che abbia un certo appetito e, a tavola, potremo discutere ancora di questa eccitante scoperta.

 
 
 

La via del cielo - Capito II - La rivelazione

Post n°458 pubblicato il 25 Aprile 2012 da flavourfly
 
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Capitolo II - La rivelazione

 

La dottoressa Lawrecnce si mostrò indispensabile alla soluzione dell'enigma dei simboli.

Liam Lawrence si era laureata in archeologia all'età di soli vent'otto anni con la lode.

Figlia di una modesta famiglia trapiantata in Philadelphia concluse gli studi alla Johns Hopkins University in Baltimora nel Maryland una, delle più famose università negli USA.

I geroglifici egiziani altro non erano che le istruzioni per decifrare i simboli nelle due lingue sconosciute.

Dopo quasi un mese e mezzo di lavoro riuscimmo a decifrare una buona parte dei simboli.

e scoprimmo che, i simboli simili ai logosillabi Maya che caratterizzavano la parte, diciamo, anteriore della tavoletta sotto i geroglifici egizi, descrivevano di una civiltà proveniente da un lontano luogo della nostra galassia, la via lattea.

I klatheriani, il nome della civiltà aliena, abitavano il quarto pianeta di un sistema stellare nel braccio del Centauro ed erano giunti a noi circa seimila anni prima della nascita di Cristo.

Ma ciò che più ci elettrizzava era scoprire la chiave di lettura per utilizzare il manufatto celato nell'interno della tavoletta.

Una sera la dottoressa Lawrence...

- Professor Hoskins venga a vedere! presto!

- Che c'è?

- L'ultima sequenza dei simboli non sono semplici cifre ma, si tratta di coordinate e coordinate terrestri!

- Immagino le abbia già inserite nel GPS.

- Lo sto facendo proprio ora.

Inserimmo le cifre nel GPS e le coordinate puntavano su di un luogo geografico a circa dieci chilometri sud-est dagli scavi in Tiahuanaco.

- Dottoressa pensa anche lei ciò che sto pensando io?

- Si! laggiù troveremo la risposta al resto dell'enigma.

Il signor Vantenada fu messo al corrente della scoperta e ci apprestammo a partire per le Ande Boliviane non prima di aver comunicato, al dottor Hayde e al dottor Edwards, di approntare un nuovo campo e cominciare gli scavi sul luogo delle coordinate.

 
 
 

La via del cielo - Capitolo III - Deus ex machina

Post n°457 pubblicato il 25 Aprile 2012 da flavourfly
 
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Capitolo III - Deus ex machina

 

La Porta del Sole è un unico masso che riporta delle incisioni, soprattutto nelle sua sezione trasversale collocata sopra la porta.

Le raffigurazioni rappresentano quarantotto esseri alati con volti umani e teste di condor ed una figura centrale, simulacro di un serpente, munita di due scettri.

Sostando davanti alla porta in direzione est, all'inizio della primavera, si può osservare il sole che sorge dal centro della porta.

Da anni diverse teorie sostenevano che, le immagini, erano una sorta di schema per un calendario riferito ad eventi astronomici.

La porta è ciò che resta della civiltà Tiahuanaco forse sorta nel duecento a.C. e terminata approssimativamente nell'anno millecento.

A quasi quattromila metri di quota sulle Ande, l'aria è rarefatta e si fa sentire di più la fatica e gli unici a resistere e a poter lavorare sono gli indigeni.

Vincere le loro inerziali paure e superstizioni è stata una conquista non da poco e questo, lo si deve alla preparazione del dottor Edwards che da decenni conduce studi e spedizioni in quest'aera del mondo.

Gli scavi procedevano a ritmo serrato e presto portammo alla luce un basamento di pietra che riportava incisioni simili a quelle sulla misteriosa tavoletta.

Alcuni simboli furono subito decifrati poiché riportavano parte della storia narrata sulla tavoletta.

Questo, ci permise di decifrare i rimanenti simboli.

- Professor Hoskins che ne dice?

- Signor Vantenada per quello che abbiamo capito si tratta di istruzioni.

- Istruzioni? e riguardo a cosa?

- Parlano di un meccanismo e di una sequenza, un ordine di azioni da compiere per accedere alla camera interna. Nella prima parte viene descritto un meccanismo che solo la chiave contenuta nella tavoletta può azionare.

Questo porterà alla luce un nuovo meccanismo che attiverà la via del cielo. Ora il problema è capire come poter utilizzare la chiave contenuta nella tavoletta.

- E riguardo la camera nascosta, non dicono nulla?

- No! c'è solo un riferimento alla via del cielo.

Gli scavi scoprirono ben presto il resto del basamento.

Le sue dimensioni erano di circa venti metri di lato ma, nell'insieme era un quadrato perfetto.

I lati erano allineati con i punti cardinali e questo, in fondo, ce lo aspettavamo dato che, piramidi sia egizie che Maya o di altre antiche civiltà, erano state costruite seguendo lo stesso orientamento.

Il basamento proseguiva ancora per almeno un paio di metri nel sottosuolo e sul lato a sud trovammo la risposta che cercavamo.

Una nicchia, in cui si andava ad incastrare perfettamente la tavoletta aliena.

Il signor Vantenada volle posizionare di persona la tavoletta però, con generale stupore misto a delusione non accadde nulla.

D'un tratto il professor Hayde disse:

- Presto! accendete un falò!

- Ma certo! disse Vantenada, la trasparenza!

La tavoletta, gettata tra le fiamme del falò, cominciò a diventare trasparente ed, al suo interno, si vide la chiave o il meccanismo che aveva cominciato a ruotare. Evidentemente, la vicinanza con il manufatto aveva fatto scattare qualche cosa.

Fu nuovamente posizionata nella nicchia e fummo impauriti da ciò che accadde.

L'intera struttura di pietra, il basamento, si sciolse fino a divenire una massa liquida, trasparente che assunse una forma sferica fluttuante posta al centro dove un attimo prima era il basamento stesso.

Sotto si apriva una camera profonda e buia come un pozzo senza fondo.

Molti degli indigeni fuggirono in preda al panico mentre, pietre e sassi intorno a noi, cominciarono a levitare verso il cielo circondati da un aura luminosa.

La sfera cominciò a ruotare sul proprio asse verticale ed il suo interno divenne luminoso.

La luce crebbe fino a divenire accecante poi, un fascio di luce si proiettò nel pozzo.

Il terreno tremava come scosso da una potente mano e dal pozzo risalì un forte vento misto ad un boato infine, ciò che non avremmo mai potuto sperare di trovare, una macchina, una macchina fatta per attraversare le stelle ed il cosmo fluttuava a mezz'aria... la via per il cielo.

 

Molte antiche culture sembrano tramandarci di un passato dove esseri di altri mondi hanno più volte frequentato il nostro mondo.

Esseri di una civiltà tecnologicamente progredita e, probabilmente venuti in pace, per portaci il segno che non siamo soli nel cosmo.

Cosa ci sia di vero nel fenomeno degli UFO il buon senso comune, oramai, dice che non tutto può essere frutto di fantasie, di psicosi di massa.

La persistenza degli avvistamenti e la quantità delle testimonianze, spesso di qualità, ci dicono che qualche cosa di vero ci deve pur essere.

Questo però non implica che Dio allora non esiste anzi, rafforza ancor più la presenza di Dio.

Come disse Padre Pio in una intervista: - e che vorresti che Dio abbia ristretto la Sua gloria solo a questo piccolo pianeta? Vorresti che non ci fossero altre creature nel cosmo che amano Dio?

Monsignor Corrado Balducci poco prima di morire rilasciò un'intervista in cui egli afferma che non tutto può essere esaurito come psicosi collettive, come fenomeni atmosferici, come armi segrete.

Si, la prudenza è una buona cosa ma, il buon senso comune orami ci dice che qualche cosa di vero ci deve essere.

Il cosmo è infinito e probabilisticamente esistono altre forme di vita e, contestualmente, possono essersi evolute e sviluppate prima di noi.

Non poniamo limiti a Dio e alla Sua gloria.

 
 
 

Michiko

Post n°456 pubblicato il 11 Aprile 2012 da flavourfly
 
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Stavo attraversando, come ogni mattina, uno dei ponti che collegano le due sponde del fiume Kyobashi-gawa per recarmi al lavoro.

Sul fiume, sotto di me placido e rigoglioso, si riflettevano le immagini che testimoniavano della presenza umana, gli edifici, le biciclette degli operai che si recavano al lavoro, le madri con i loro piccoli.

Rapito dai miei pensieri e da quella vitalità avevo solo percepito un ronzio distante.

Volgendo gli occhi al cielo vidi solo un lontano bagliore argenteo.

Da settimane, ormai, quasi tutti i giorni aerei sorvolavano la città ma nessuna bomba era mai caduta solo, di tanto in tanto, precipitavano danzando dei volantini di propaganda.

Rallentai il passo, mi fermai ancora ad osservare il fiume, i pescatori sulla riva, le lente e silenziose barche poi, la vidi!

Michiko!

Lei era piccolina con i suoi occhi sottili, il viso gentile, dolce, sempre sorridente e il suo fragile corpo con quei piccoli seni ritti, e una bocca ancor quasi da bambina.

Lei mi vide ed abbassando lo sguardo si diresse verso di me.

Forse sapeva!

Da settimane ormai frequentavo a quell'ora quel ponte ma, non avevo mai avuto il coraggio di incontrarla con lo sguardo né, di fermarla.

Il cuore mi batteva a mille sapevo, sapevo che dovevo fare qualche cosa.

Le andai incontro deciso, che quella mattina, l'avrei fermata, le avrei parlato.

Mi fermai davanti a lei e i nostri occhi, per la prima volta, si incrociarono in uno sguardo che lasciavano capire tutto.

Restammo lì per qualche secondo a contemplarci, secondi che sembravano essere un'eternità.

Poi, un improvviso accecante bagliore vaporizzò il nostro breve, intenso, istante d'amore.

 

Hiroshima ore 08:16 del 6 agosto del 1945, una data, che avrebbe segnato il percorso dell'intera umanità.

 
 
 

Hernando de Vallelado

Post n°455 pubblicato il 01 Aprile 2012 da flavourfly
 
Foto di flavourfly

Acquattati dietro un fitto fogliame aspettavamo il passaggio della carrozza.

Hernando sperava ancora di poter fermare il console di Spagna prima che arrivasse a Santiago di Cuba per incontrare il governatore.

La posta in giuoco era alta.

Se il console avesse incontrato il governatore avrebbe scoperto l'ordito complotto per il possesso dei tesori che erano stati destinati al re.

Il governatore, infatti, aveva dato incarico ad Hernando e a suoi soldati di scortare il carico d'oro e di gioielli fino alla nave che attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna ma, quel tesoro e la stessa nave, non giunsero mai in Spagna.

Hernando si era impadronito del tesoro e, la nave, affondò in una tempesta.

Hernando, quindi, poteva dormire sonni tranquilli se non fosse, che un ufficiale in seconda e tre marinai, si salvarono dal disastro e rientrarono in Spagna.

Sicuramente erano stati interrogati sull'incidente e sul carico e, i giornali di bordo e le note di carico conservati nella memoria dell'ufficiale in seconda, sarebbero stati confrontati con la documentazione della capitaneria di Cuba.

Alla capitaneria di porto, Hernando, aveva un amico addetto agli archivi che aveva corrotto pagandolo con parte dell'oro del tesoro sottratto.

Ora, l'idea di Hernando, era quella di tendere un agguato al console accusando poi i banditi che infestavano l'isola e che commettevano massacri, stupri ed ogni genere di razzie nei villaggi.

Hernando Alonso de Vallelado era nato in Spagna nel 1463.

Figlio di una modesta famiglia di commercianti aveva poi intrapreso la carriera militare arruolandosi con l'esercito di Diego Velàsquez de Cuéllar seguendolo nelle sue campagne dei Conquistadores.

Successivamente, Diego Velàsquez, divenne governatore di Cuba e conferì ad Hernando la carica di capitano.

Ora Hernando si trovava a far fronte ad una situazione che doveva assolutamente risolvere.

Il governatore aveva riposto molta fiducia in Hernando e lo considerava quasi come un figlio.

Era in giuoco non soltanto la sua stessa vita, ma l'onore e la serenità della famiglia che ancora risiedeva in Spagna.

Gli insetti ronzavano ed una brezza pomeridiana mitigava il calore di un sole impietoso.

Era la terza ora dopo mezzogiorno ed ancora nessun segno del console e della sua scorta.

Hernando aveva scelto un luogo in prossimità di un guado ed avrebbe attaccato quando uomini e cavalli si fossero trovati nell'acqua.

Il gruppo di fedelissimi soldati di Hernando erano dei buoni tiratori ed egli, confidava nella precisione del loro tiro.

Dopo l'agguato avrebbero arrestato e giustiziato sommariamente qualche campesinos ed ovineros, accusandoli di essere i colpevoli dell'agguato.

Tutto era pronto ed Hernando avrebbe così salvato la sua vita nonché, l'onore ed i privilegi conquistati.

Ma le cose non andarono come Hernando sperava ed aveva pianificato.

Gli uomini della scorta erano di numero molto maggiore diversamente dalle informazioni in possesso di Hernando.

Quando giunse la carrozza con il console vi era solo un gruppo di dieci uomini di scorta ed Hernando e suoi attaccarono.

Ma subito dopo, giunse una retroguardia composta da più di venti uomini che, sorpresero e sbaragliarono il soldati di Hernando.

Molti dei suoi uomini morirono in quel breve ma cruento scontro.

Hernando, assieme a pochi superstiti, fu processato ed impiccato tre giorni dopo.

La famiglia di Hernando cadde in disgrazia in seguito all'accaduto e dovette fuggire in Francia dove, risiedeva una cugina della madre.

 

I fatti, per come si sono svolti, sono realmente accaduti ma, in un altra epoca e in un altro luogo della terra.

Sono stati riportati, volutamente, nell'epoca della dominazione spagnola del Nuovo Mondo con nomi inventati (tranne che Diego Velàsquez de Cuéllar che fu effettivamente governatore di Cuba) perché non ha importanza chi e dove ma, ha importanza ciò che l'uomo è disposto a fare per l'avidità.

Una regola, che ha continuità nella storia dell'umanità.

 
 
 

Evasioni

Post n°454 pubblicato il 30 Marzo 2012 da flavourfly
 
Foto di flavourfly

Sabbie bianche, risplendenti alla luce del sole mentre le onde del mare si muovono pigre lasciandosi cadere alle spalle scie luccicanti.

Mi abbandono alla quiete e alle carezze del vento che segue le invisibili vie del cielo e qui, sopito nell'oblio della pace, affiorano le immagini sbiadite dei miei ricordi.

Dio esiste e ha dipinto con la Sua mano, come su di una tela, questo paesaggio da cui i miei occhi non riescono a distogliere lo sguardo.

Incantato e curioso mi siedo a guardare l'incedere lento di una tartaruga che si dirige verso il mare.

Per una attimo si ferma e gira il capo, mi guarda e poi riprende il cammino.

Vecchia testuggine che conosci i segreti degli abissi! vorresti forse farmi cenno di seguirti per guidarmi là dove, la stupidità dell'uomo non ha dominio?

Ho colto il tuo invito ma seguirti non posso ma, ti lascio un saluto ed il ricordo del nostro breve incontro.

Terra! madre di disgrazie e di miserie ma anche di piaceri e di gioie che solo pochi sanno cogliere qui, hai preparato per me un posto, un posto, dove Dio illumina il cuore di chi ha fede dove, l'animo umano non può che riflettere la luce Divina rigettando l'oscurità del male.

Terra! madre mia, Dio!, Padre mio sono Vostro figlio, un figlio che Vi ama.

 
 
 
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INFO


Un blog di: flavourfly
Data di creazione: 08/06/2010
 
 

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