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CIAOOOOOO!!!!!Arrivo!!!! 10 giorni ad Algheroooooo...poi ti...
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Auguri per una serena e felice Pasqua...Kemper Boyd
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Capo Caccia e la grotta di Nettuno.

Post n°50 pubblicato il 14 Ottobre 2008 da shardana0

Non si può andare ad Alghero senza visitare le fantastiche e spettacolari Grotte di Nettuno, a Capo Caccia. Le Grotte sono raggiungibili in due modi: percorrendo un bellissimo sentiero lungo il mare attraverso una scala di ben 656 gradini, chiamata Escala del Cabirol; oppure con una favolosa escursione con i barconi che partono dal porto di Alghero e ormeggiano all'ingresso della grotta. Io ho preferito fare la bella e faticosa passeggiata attraverso la scogliera. La Grotta di Nettuno, è ubicata alla base della maestosa falesia occidentale, che oltre ad essere la maggiore per estensione, con i suoi 1.300 metri di sviluppo, è sicuramente anche la più famosa ed interessante. Ha uno scenario di incomparabile bellezza creato da eccezionali concrezioni e dalla trasparenza del suo lago interno. E’ una grande grotta che ha uno sviluppo totale di 2.500 metri, con numerose sale, ampie gallerie, limpidi laghetti, profondi pozzi, angusti cunicoli che la rendono molto complessa. Nel suo interno riunisce una serie di peculiarità naturalistiche senza eguali che la rendono una delle più interessanti e pregevoli dell’intero bacino del Mediterraneo. Geologicamente il promontorio di Capo Caccia appare costituito da rocce del periodo Cretaceo, la cui età è compresa tra 135 e 65 milioni d’anni.

La grotta fu nota all'uomo sin dalla preistoria; infatti, all'interno della stessa sono state rinvenute sicure tracce di vita umana risalenti al neolitico, come graffiti, manufatti metallici e in ceramica. La formazione della grotta potrebbe risalire, quindi, a circa 2.000.000 di anni fa. Una remota e prolungata fase di stalagmitizzazione ha portato alla edificazione di alcuni tra i più poderosi ammassi colonnari di circa 20 m. di circonferenza, e si sarebbe verificata in seguito alla piovosità interglaciale Mindel-Riss. La grotta, insomma, è stata scavata dalla forza erosiva dell'acqua dolce. L'ingresso si presenta con un'ampia apertura poco sopra la battigia; subito dopo, la volta s'innalza fino a formare una gigantesca caverna interamente occupata, sul fondo, dal bellissimo lago La Marmora, di 130 metri di larghezza e dedicato all'esploratore e geografo Alberto La Marmora, il quale per primo tracciò le carte geografiche e geologiche dell'Isola. La sua profondità oscilla da uno a dieci metri; l'acqua salmastra entra da un condotto posto ad una decina di metri sotto l'ingresso, sottoponendo il lago al flusso di marea e provocando un sensibile moto ondoso durante le mareggiate. All'interno e sul bordo del lago svettano colonne e stalagmiti alte fino a 10-15 metri, e altre immerse nell'acqua sino a una certa profondità. Sulla destra del lago si può seguire uno stretto sentierino che porta alla Stanza delle Rovine, all'interno della quale vennero rinvenuti gli oggetti appartenenti agli uomini preistorici.

Da quest'ultima è possibile accedere ad un'altra "stanza", una delle più grandi e chiamata La Reggia, caratteristica per la presenza di spesse colonne di stalagmite e di stalattite che sostengono il tetto della grotta e per la sua pavimentazione, disegnata dai riflessi delle maestose formazioni sull'acqua immobile e pura del lago Lamarmora. Sul lato destro della riva del lago si trova una piccola spiaggetta, la quale un tempo era frequentata dall'ormai estinta foca monaca, uno dei rari esemplari del Mediterraneo centrale. Continuando la visita della grotta è possibile ammirare anche la Stanza dell'Organo o Sala Smith, contenente una enorme colonna di stalagmite nel suo centro. Poco oltre, la Sala della Cupola, avente una stalagmite di tale forma e, infine, la Piattaforma Musicale, la quale spesso viene adibita a palco per la rappresentazione di fantastici e magici concerti di musica classica organizzati dal Comune di Alghero. La piattaforma è il punto più alto della grotta dal quale è possibile ammirare tutte la sale citate.

 
 
 

Post N° 49

Post n°49 pubblicato il 03 Settembre 2008 da Ichnusa3
 
Tag: costumi

 
 
 

Nuraghe Palmavera

Post n°48 pubblicato il 03 Settembre 2008 da shardana0
 

Con questo post torno al mio vero amore, la Sardegna. La Sardegna e la sua storia, in parte sconosciuta ai più, a coloro che si limitano a leggere ciò che é stato erroneamente scritto da frettolosi studiosi che in realtà si sono limitati a riportare ciò che altri hanno scritto prima di loro senza cercare nuovi dati. Uno tra tanti il famoso studioso Lilliu il quale non ha scavato e studiato a fondo tutti i nuraghi ma li ha semplicemente fatti descrivere e misurare dai suoi laureandi. Tanto che oggi insegnano che la costruzione dei nuraghi risalirebbe al 1800 a.C. circa, datazione illogica se si tiene conto che i shardana che abitarono l'isola dopo i nuragici arrivarono in Sardegna prima del 2000 a.C.. E' quindi palese che l' edificazione dei nuraghi sarebbe perlomeno precedente di 500 anni, e quindi del 2500 a.C.

La zona circostante Alghero non é famosa solo per le sue spiagge e i suoi panorami, ma è famosa anche per la presenza di diversi siti archeologici. Lungo la SS 127bis Alghero-Porto Conte, oltrepassata la frazione di Fertilia, e il bivio per Santa Maria La Palma (e per SS), esattamente al km 45,300, è possibile visitare l'imponente nuraghe Palmavera, un interessante esempio di nuraghe complesso, che si trova esattamente adagiato alle falde del colle omonimo, a 65 metri di quota e a meno di due Km. dal mare.
Il nuraghe presenta due torri, di cui quella centrale, più antica, risale secondo le datazioni errate degli studiosi al XV secolo a.C. (Età del Bronzo medio). A questa, circa tre secoli più tardi (Età del Bronzo recente), venne aggiunto un rifascio murario di forma ellittica con una torre a protezione dell'ingresso, dando luogo a un cortile con due aperture, collocate una a est e l'altra a sud. Attorno al nuraghe esisteva il villaggio nuragico risalente secondo gli studiosi al XIII secolo a.C., oggi ancora in fase di scavo e non completamente conosciuto nella sua estensione.
Il Nuraghe di Palmavera è posto al centro di un territorio che comprende moltissimi altri nuraghi, per lo più singoli, alcuni dei quali di notevole interesse, che orlavano le alture circostanti. Come già detto i suoi resti più antichi sono caratterizzati da una doppia torre in roccia arenaria, un piccolo cortile interno e un lungo terrazzo continuo. In una fase ulteriore l'edificio è stato sottoposto a restauro e rafforzato con pietra calcarea. Esso possiede due corridoi: uno conduce all'interno della costruzione, mentre l'altro porta diretta-mente al cortiletto affascinante, in cui si trova anche l'ingresso della torre principale. Le rovine delle sue mura racchiudono la vasta sala consiliare, la Capanna delle riunioni, di 12 m. di diametro, in cui è presente la sedia del consigliere, il piccolo trono del capo tribù e una vasca rettangolare per l'acqua sacra.
Oggi, le rovine archeologiche scoperte durante gli scavi del 1960 vengono custodite gelosamente all'interno dei musei di Sassa-ri e di Cagliari e documentano che l'edificio venne utilizzato per lungo tempo dalle ci-viltà successive fino al VII secolo a.C.. Gli scavi effettuati dal Taramelli nel 1904, limitatamente al nucleo centrale, restituì abbondante materiale nuragico (bronzi vari, ambra, ceramica con decorazione geometrica, ecc.) al di sotto di uno strato di età punica e romana (III-II secolo a.C.).
Nel 1962-63 vennero ripresi gli scavi (Maetzke), unitamente al restauro e al consolidamento del complesso, che portarono alla luce le numerose capanne del villaggio e l’antemurale. Anche in questa occasione si rinvenne copioso materiale Assai interessante il fatto che in queste capanne il materiale di età storica sia molto raro e in moltissime del tutto assente rispetto a quello rinvenuto nella costruzione cen-trale, a significare l’utilizzazione sporadica e temporanea del nuraghe, quando ormai il villaggio era stato abbandonato da tempo.
Nel 1976-77, nuove ricerche (Moravetti) han-no interessato soprattutto la grande Capanna delle Riunioni, nella quale, oltre ad ab-bondanti frammenti ceramici, alcuni dei quali decorati a cerchielli ed altri a pettine (rinvenuti però confusi), grani di ambra e bracciali in bronzo decorati a spina di pesce, lo scavo ha restituito un pilastrino betilico, in arenaria, raffigurante la torre nuragica, ed un eccezionale seggio in calcare, di forma cilindrica e decorato da bande verticali in rilievo che a mezz’altezza si incrociano con una fascia orizzontale.
Le capanne del villaggio di Palmavera, come d’altra parte quelle di tutti i villaggi nura-gici, sono prevalentemente di pianta circolare, anche se non mancano costruzioni ret-tangolari che sembrano essersi sovrapposte ad ambienti circolari. Sono costruite per la maggior parte con blocchi di calcare, fatta eccezione per poche altre in arenaria che si segnalano anche per le maggiori dimensioni e per lo spessore delle murature. Fra queste ultime si distingue la capanna-torre 2, denominata La capanna delle Riunioni. Que-sta è ubicata a sud-ovest del mastio ed inclusa successivamente nel tracciato dell’antemurale, con i suoi 12 metri di diametro esterno è la più ampia dell’intero complesso. Questa capanna presenta un grande focolare circolare, al centro, una nic-chia ogivale, rialzata dal pavimento, nella parete nord, e un basso sedile in blocchi di arenaria e calcare che segue parzialmente la base della parete. Nella metà sud-ovest del vano, a livello del pavimento, è stata messa in luce una struttura muraria circolare, che si conserva per due filari, riferibile ad una capanna coeva alla costruzione del mastio.

 
 
 

La Necropoli di Anghelu Ruju

Post n°47 pubblicato il 23 Luglio 2008 da shardana0

La Necropoli di Anghelu Ruju è un complesso tombale prenuragico situato a 10 km da Alghero, sulla strada per Porto Torres. La necropoli di Anghelu Ruju venne scoperta casualmente nel 1903, nel corso di lavori di cava di materiale che doveva servire per la costruzione di una casa colonica. Nel corso di scavi per la costruzione di una casa colonica. Fu trovato un cranio umano e un vaso tripode. Antonio Taramelli, da poco arrivato alla direzione dell’Ufficio delle Antichità della Sardegna inizio ai primi scavi nel 1904 e trovò 10 ipogei ulteriori scavi hanno permesso di trovare altre tombe e oggi si possono visitare 38 domus de janas: sono grotticelle funerarie scavate artificialmente nella roccia d’ arenaria calcarea distribuiti in maniera irregolare in una zona pianeggiante, nei pressi di un piccolo torrente. Si tratta di una delle più vaste necropoli della Sardegna ed è una delle aree archeologiche più importanti del Mediterraneo. La necropoli, nella quale si praticava l'inumazione di popolazioni dedite alla pesca e all'agricoltura, risale al neolitico recente al periodo della Cultura di Ozieri (3000 a. C.).

Le groticelle hanno planimetrie con schemi articolati, per lo più complesse (fino a 11 vani), mentre solo una tomba, la 26, è monocellulare. Presentano prevalentemente soffitti tabulari. Sono del tipo a proiezione verticale e orizzontale, ossia accessibili attraverso un pozzetto verticale o un lungo corridoio (o "dromos") discendente, talvolta di dimensioni monumentali, quasi sempre provvisto di gradini che immettono nel vestibolo. L'evoluzione architettonica, avvenuta nelle diverse fasi di utilizzo della necropoli, è messa in risalto dai vari tipi di tombe, ed è visibile nelle differenze di accesso (la più antica a calatoia, la più recente a dromos) e negli ambienti a forma rettilinea o curva. Le pareti di alcune tombe ed in particolare la 28° e 30° presentano decorazioni architettoniche: false porte, pilastri, colonne e bassorilievi rappresentanti protomi taurine, ovvero teste di toro, animale sacro per gli uomini della Cultura di Ozieri che proteggeva il sonno eterno. La necropoli ha restituito reperti molto significativi, tra cui vasi, , armi, vaghi di collana ed altro piccoli idoli femminili, statuette di dea madre, che permettono di datare l'impianto della necropoli al Neolitico finale (cultura di Ozieri, 3200-2800 a.C.) e attestano il suo utilizzo fino nell'età del Rame e del Bronzo (culture di Filigosa, Abealzu, Monte Claro, del Vaso Campaniforme, Bonnanaro: 2800-1600 a.C.).

Tuttavia, secondo alcuni studiosi occorrerebbe comunque retrodatare le varie epoche. A riprova di quanto detto Patricia Phillips, in "La preistoria d'Europe" ha scritto che: la presenza di ossidiana Sarda nel sud-est dell'isola di Corsica (ma anche nel nord Italia), viene datata all' VIII millennio a.C., e precisamente al 7.700 a.C., misurazioni effettuate nel 1972 da Bailloud. Altre nuove e sostanziali modifiche alle datazioni preistoriche delle civiltà megalitiche europee (comprensive del nuragico Sardo-Corso) sono da attribbuire a Colin Renfrew.

 
 
 

Post N° 46

Post n°46 pubblicato il 26 Giugno 2008 da Brighela71

Un caro saluto a tutti da STINTINO!!!!!!

Grazie per l'ospitalita'!

Tati.

 
 
 

Villaggio nuragico di Tiscali

Post n°45 pubblicato il 01 Giugno 2008 da shardana0

Questo villaggio è molto probabilmente il sito archeologico più famoso della Sardegna. Per raggiungerlo si attraversa la valle del Lanaittu inoltrandosi in un mondo di calcare, di ginepri e di lecci, in cui è nata la secolare e silenziosa civiltà dei pastori-guerrieri. In questi luoghi la vita scorre nascosta: l'acqua abbondantissima nei fiumi sotterranei, gli animali (le aquile reali e i mufloni) e gli uomini nei canyon, immersi in foreste secolari e nelle spelonche o in luoghi come l'incredibile rupe che si apre nel monte Tiscali, con le rovine del villaggio nuragico più spettacolare della Sardegna. Al villaggio si arriva, tenendo sempre la sinistra, ai piedi del monte Tiscali, che si erge come una gigantesca e minacciosa bastionata, interrotta a nord dalla voragine di Tiscali, chiamata "Curtigia de Tiscali", originata sicuramente da uno sconvolgimento tettonico che ha poi dato luogo all'omonima dolina, dividendo la montagna in due monconi. L'arrampicata fino al villaggio di Tiscali è uno dei percorsi preferiti dai turisti, anche perché è un occasione fantastica per fare una "full immersion" di natura incontaminata e paesaggi spettacolari.

Si percorrono i vecchi sentieri dei carbonai, ci s'inerpica per pendenze al limite del percorribile, poco prima di arrivare al villaggio si passa attraverso una fenditura nella roccia alta e profonda diversi metri ma larga poco più di uno, rendendo il passaggio angusto anche ad una sola persona. Nell’ enorme dolina che ha sprofondato la sommità arrotondata di un monte di calcare luccicante, che ricorda molto realisticamente un cratere vulcanico. All'interno di questo cratere ancora un'altro cedimento della roccia, stavolta sulla parete rivolta ad ovest, ha creato un'enorme balconata che guarda la vallata sottostante. Il villaggio si trova all'interno di una dolina di crollo, formatasi in seguito allo sprofondamento del soffitto di una grotta carsica. Un enorme frammento della volta si è conficcato verticalmente nel terreno assumendo l'aspetto di un Menhir. Qui gli antichi e gli indomiti abitatori, perseguitati dagli invasori, pensarono di costruire un nucleo di abitazioni, riparate da giganteschi soffitti di roccia per proteggersi anche intemperie dei rigidi inverni del Supramonte. Per alcuni versi il villaggio di Tiscali ricorda gli insediamenti rupestri dell'America Latina o certi "pueblos" indiani, edificati entro i canyons. Infatti agglomerati costruiti sotto immense pareti di roccia possono ritrovarsi nel Colorado o nell'Arizona.

Così la dolina divenne un vasto riparo, sicuro e molto comodo, che consentiva di controllare l'esterno: circa 3000 anni fa lo abitarono antiche popolazioni sarde che vi edificarono un villaggio nuragico. Circa cinquanta capanne costruite pressappoco a semicerchio intorno a questo, in maggioranza circolari, ma anche rettangolari, sono divise in due quartieri e sono addossate alle pareti della dolina, esse sono in parte crollate, ma si possono notare ancora le fondamenta. Tutte le strutture attualmente visibili (del IX-VIII sec. a.C.) sono realizzate con pietre calcaree legate con malta d’argilla, a formare murature di capanne sia circolari che rettangolari, oggi fortemente degradate per i crolli e le azioni vandaliche. Gli architravi di tutte le costruzioni sono in legno di terebinto o ginepro e non in pietra, come accade invece normalmente nelle capanne nuragiche. Le due capanne circolari conservate meglio all’epoca del Taramelli avevano un’altezza tra i 3 e i 4 metri, pareti spesse circa un metro e diametro interno di circa 3 metri. Originariamente la copertura dei vani doveva essere realizzata con travi lignee e/o frasche come nelle attuali pinnettas. Ancora in discreto stato una capanna (con diametro esterno di circa 5 metri) che conserva una nicchia, alcuni stipetti e l’originale architrave in legno di terebinto. Originariamente la copertura conica doveva essere realizzata “a scudo”, con travi radiali ricoperte di frasche. Architavi in legno di ginepro, capanne di piccola e media dimensione, realizzate con impasto grossolano di fango e piccoli conci; le superfici interne intonacate con un impasto argilloso rifinite con una consistente tinteggiatura in grassello di calce. Una tecnica edificatoria decisamente affrettata! Si presuppone sia nato sul finire della civiltà nuragica o durante il dominio dell’impero romano, data la posizione strategica che rendeva il villaggio invisibile e imprendibile. Come già detto l’unica via d’accesso è la diaclasi, una strettissima spaccatura nella roccia che è l'unica via d'accesso al villaggio, ci piace ancora credere a questa versione e pensare, con un sottile brivido, gli indomiti guerrieri che difendevano strenuamente la loro indipendenza vietando quel passaggio agli invasori. Queste sono le tracce più affascinanti lasciate dall'uomo nel Supramonte, legate a quell’epoca. Ora sono rimasti solo resti, cumuli di macerie con appena qualche accenno di quella che doveva essere la struttura originaria su cui purtroppo si è accanita l'ingordigia, il vandalismo e l'ignoranza di orde di scavatori abusivi. Peccato davvero perché per posizione, scenografia naturale e cornice paesaggistica il villaggio di Tiscali è unanimemente considerato un'autentica meraviglia, che vale proprio la pena di visitare.

 
 
 

Spiaggia di berchida

Post n°44 pubblicato il 24 Maggio 2008 da cuoremiodgl

UN CARO SALUTO A TUTTI!

 
 
 

Post N° 43

Post n°43 pubblicato il 23 Aprile 2008 da shardana0

 
 
 

Vini di Sardegna

Post n°42 pubblicato il 14 Marzo 2008 da Ichnusa3

Malvasia di Bosa, è di don Porcu la migliore bottiglia isolana Il volume dell’Espresso è stato presentato ieri a Firenze e da oggi sarà in vendita nelle librerie e nelle edicole di tutta Italia di Pasquale Porcu Bentornata Malvasia di Bosa. Quella della vendemmia del 2004 prodotta dai fratelli Porcu di Modolo ha stregato la Guida I Vini d'Italia 2008 dell'Espresso a cura di Ernesto Gentili e Fabio Rizzari (presentata ieri alla stampa alla stazione Leopolda di Firenze e da oggi in libreria e nelle edicole a 22 euro), che gli riconosce un punteggio strabiliante: 19/20, praticamente la perfezione enologica, la votazione attribuita di solito ai grandi nomi dell'enologia nazionale. Trionfano, dunque, i vini della Planargia e i Cannonau e per chi ritiene che il mondo del bere non appartenga solo ai vitigni della globalizzazione. La Malvasia di Bosa di don Porcu vince anche un'altra medaglia: quella del rapporto tra qualità e prezzo. Quel nettare, infatti, viene venduto in continente a un prezzo che va dai 14 ai 17 euro (ma in cantina a Modolo costa meno). Un altro vino, bandiera dell'isola, il Cannonau tiene alta la bandiera della qualità. I voti più alti nella lista delle bottiglie che valgono tanto ma costano poco vanno a due vini della Cantina di Jerzu che già lo scorso anno aveva trionfato con Josto Miglior. Questa volta a portare il vessillo sono due cannonau robusti eppure eleganti: il Riserva Chuerra 2004 (voto 18/20) e lo Josto Miglior 2004 entrambi degli Antichi Poderi di Jerzu. Certo la guida non segnala tutti i produttori (ci sarebbe piaciuto leggere del Matteu di Sebastiano Ragnedda). Ma vediamo nel dettaglio. E partiamo proprio dagli Antichi Poderi di Jerzu. Cinque dei sei vini segnalati sono a base di Cannonau. In particolare il Riserva Chuerra 2004 merita 18/20 grazie ai suoi profumi dolci e alla «piacevole corrente speziata e balsamica» e al sapore «molto fresco e vitale nel sapore, i tannini finissimi) e alla «grande freschezza, molto puro e lungo nel finale»). Segue, nella classifica aziendale, a mezzo punto, il Riserva Josto Miglior 2004 (17,5/20) che lo scorso anno si era imposto in questa guida come il miglior rosso isolano. Stupisce, poi, il Cannonau di Sardegna Marghia 2005 (17). Un altro Cannonau, il Radames 2001, segue a quota 16,5, mentre il neonato Bantu 2006 merita il bel riconoscimento di 16/20 ma il suo prezzo è di pochi euro (intorno ai 5 euro, lo stesso del Vermentino di Sardegna Telavè 2006 (14,5). Quando si parla di rossi, in Sardegna, il pensiero corre subito al Turriga di Argiolas. A quello della vendemmia 2003 è stato attribuito il voto di 17/20, un punteggio buono certo ma inferiore a quelli citati di Jerzu. Degli altri vini segnalati dell'azienda di Serdiana, tre meritano 15,5/20 (Angialis 2004, Cannonau Costera, Monica di Sardegna Perdera 2006), tre 15/20 (Is Solinas 2005, Serralori 2006 e il Vermentino Is Argiolas), due 14,5/20 (Cerdena 2005 e Korem 2005). Bella affermazione per la Cantina Giogantinu di Berchidda, la vendemmia tardiva 2005 di Vermentino, Lughente, conquista 15,5/20 e il Vermentino di Gallura superiore 2006 ottiene 15 e 14 il Karenzia 2006. Si chiama Cantina del Vermentino di Monti ma riesce a far bene anche i vini rossi. Tanto che il Cannonau Tamara 2005 viene gratificato con un bel 15,5/20. Segue a ruota un vino simbolo del Vermentino di Gallura: il sempre verde Funtanaliras 2006 prodotto in 650 mila bottiglie, che ottiene 15/20. Bella affermazione anche il Galana 2000, il fiore all'occhiello dei rossi di Monti, con 14,5/20. Forse avrebbe meritato qualcosa di più di 14 l'Arakena, Vermentino vendemmia tardiva 2006 (stesso punteggio l'Aghiloia 2006 mentre il Vermentino di Gallura S'Eleme 2006 ha 13,5). La Cantina della Trexenta vede segnalati ben 8 vini, ma i critici della Guida sono rimasti impressionati dal rosso Alter Nos 2002 (17/20) e il vermentino di Sardegna Bingias 2006 (16,5). Sette i vini segnalati della Cantina Gallura di Tempio: con un punteggio che varia dai 16 del Vermentino di Gallura Genesi 2005, ai 15 del nebbiolo Dolmen 2004 e del Vermentino di Gallura Canayli 2006, al 14,5 del rosato Campos 2006, del rosso Karana 2006 e del Vermentino di Gallura 2006 Piras, per finire con il 14 del Cannonau di Sardegna Templum 2005. LaCantina Il Nuraghe merita due citazioni: il Vermentino di Sardegna Don Giovanni 2006 (15) e Monica di Sardegna Nabui 2002 (2002). Raggiunge il punteggio di 16,5 l'uvaggio di Cannonau e Pascale di Lanaitto 2005 prodotto dalla Cantina Oliena. Quasi un exploit per Santa Maria La Palma con il Cannonau 2003 che si piazza a quota 16 e il Cagnulari 2005 a 15,5 (solo che questo secondo vino costa circa il doppio del primo). Il Cannonau Le Bombarde 2006 conquista 14,5, stesso voto del vermentono I Papiri 2006, un voto in più della Monica 2006 e due in più del Vermentino Blu 2006. Grandi elogi della Guida per la Cantina di Santadi, un vero faro dell'enologia isolana. Anche per questo i voti dai al Carignano del Sulcis Rocca Rubia Riserva 2004 (17) e al Terre Brune 2003 (16) sembrano eccessivamente severi. Idem per il Latinia 2004 (16) e il vementino Cala Silente (15). Eccoci arrivati a Capichera, una delle cantine sarde più note anche fuori dall'isola: le bottiglie segnalate vanno dai quattro vermentini Vendemmia Tardiva 2004 e il Santigaini (entrambi a 16,5) al Capichera 2005 e il Vigna'NGena 2006 (entrambi a 16) fino ai due Carignano Assajè 2004 e Mantènghia 2003 con un voto di 15,5. Giovanni Cherchi di Usini mantiene uno standard alto anche in questa guida: il godibile Luzzana 2005 ha 16/20 e i Vermentini (Pigalva 2006 e Tuvaoes 2006) vengono ritenuti «buoni e affidabili»: il voto è 15,5 per ciascuno. Battista Columbu molti lo hanno conosciuto col film «Mondovino». Ma il grande patriarca della malvasia di Bosa è un mito tra gli amanti del bere bene. Se ne sono accorti anche gli ispettori della guida che premiano la dolce poesia di Alvarega 2005 con 18,5 e l'austera Malvasia di Bosa 2004 con 17,5. Attilio Contini, bandiera della Vernaccia, in questa guida brilla per vermentino di Sardegna Tyrsos 2006 (15,5), per il Cannonau Tonaghe 2005 (15) e il Nieddera 2004 (15).Ferruccio Deiana esibisce un grande rosso, Ajana 2004, che merita 17,5, il vino da dessert Oirad 2006 con 15 e con voti inferiori il Pluminus, il Cannonau Sileno e la Monica Karel. Deidda di Simaxis è presente con i Cannonau Arcais 2005 (15,5) e Mariano IV 2004. Di Depperu di Luras non poteva mancare il Ruinas 2006 (16) e il nebbiolo Kabaridis 2004(13,5). Alessandro Dettori di Sennori riceve grandi elogi dalla guida grazie al suo cannonau Tuderi 2004 (17,5) e al Dettori Rosso 2004 (17). Segnalati con votazione inferiore anche l'ottimo Dettori bianco 2006 e il Moscadeddu 2005. La cantina di Dolianova si conferma una delle migliori dell'isola: la Guida premia il Terresicci (16), il Cannonau riserva Blasio 2004, Falconaro 2004 e Montesicci (tutti a 15,5), i grandiosi Nuragus Perlas 2006, Moscato di Cagliari, Vermentino Naeli e Vermentino Prendas (tutti a 14,5). Feudi della Medusa è una delle cantina con maggiori segnalazioni: ben dieci, dallo chardonnay Albanora (15,5) al cannonau Norace (13,5), passando per Biddas (15,5) e il Cagnulari. Fa una bella figura (chi ne dubitava) Giuseppe Gabbas di Nuoro con il sontuoso cannonau-cabernet Arbeskia 2004, il cannonau Riserva Dule 2004 (entrambi a 16,5) e il cannonau Lillovè 2006 (15,5). Grande soddisfazione anche Tonino Arcadu di Gostolai col cannonau di Sardegna Nepente di Oliena riserva 2003 (16), il Nepente 2005 e iul Vermentino Incantu 2006 (entrambi 15). Meritatissimo il 16,5 per l'intrigante Vermentino di Sardegna Theria 2006 (16,5) di Alberto Loi che si imponme anche per il raffinato blend cannonau-muristellu Astangia 2004 che divide il voto di 16/20 con la Riserva Cardedo e Sa Mola, mentre gli ottimi monica Nibaru 2006 e Tuvara si accontentano di un pour prestigioso 15,5. In Gallura cresce Masone Mannu come dimostrano i voti della guida soprattutto al rosso Mannu 2005 (17), al vermentino Ammentu 2005 (16,5). Cinque vini, in guida, perMesa: l'elenco è aperto da Buio barricato 2005 (15,5) e si chiude conil Rosato Alba 2006 (14,5). Presente anche Mura di Loiri con i tre rossi Cortes 2006 (15,5), Baja (14,5) e Nebidu (14,5). Pala si Serdiana si conferma come una delle cantine più premiate dell'isola: brillano il Vermentino Stellato 2006 (17), il bianco Entemari 2006 (16,5), il vermentino Crabilis 2006 (16), il vino da dessert Assoluto (15,5) fino al Monica Elima 2006 (14) e il rosso S'Arai (14). Tre vermentini in guida per Pedra Majore: Hysony 2006(15), Le Conche 2006 (15) e i Graniti (14). E tre vermentini - Thilibas 2006 a 15,5, Jaldinu e Plebi a 15 - e un rosso (Maranto 2004, a 15) per Pedres. Josto Puddu impone il suo Lunedoro (16) a base di nasco, malvasia e moscato mentre l'Agricola punica raggiunge il voto di 15 con Barrua 2003. Dei sei vini in guida di Sardus Pater, ben quattro sono a base di Carignano (miglior punteggio per Is Solus 2006, 15/20). Sedilesu di Mamoiada ha proposto all'assaggio solo un vino, il fuoriclasse Carnevale 2005 premiato con bel 18/20, un Cannonau di concezione moderna ed elegante, che oggi è buonissimo e sarà insuperabile tra qualche anno. Sella & Mosca, azienda che ha fatto il passato e il presente del vino in Sardegna, è presente con 5 vini e con votazioni che premiano l'Anghelu Ruju 2000 (16, come per il Tanca Farrà 2003). Poi, con 15/20, ecco il Thilion 2006 (ma in Sardegna si chiama Parallelo 41 ed è un uvaggio di Torbato e Sauvignon, non un vermentino come scrive la guida). Il vermentino di Gallura Monteoro e il Vermentino La Cala hanno solo 13,5. Soletta di Codrongianos è presente in guida con 4 prodotti: il punteggio maggiore va al Vermentino Prestizu 2006 (15.5). (Fonte Nuova Sardegna)

 
 
 

Non si uccide così l'unico lago naturale sardo

Post n°41 pubblicato il 07 Marzo 2008 da shardana0

L’acqua si è ritirata di 60 metri, della vecchia oasi resta una pozzanghera. La zona umida, classificata come Sito di interesse comunitario, si consuma giorno dopo giorno

L'acqua si ritira, quasi una fuga disperata, e dietro rimane solo fango e sabbia. Si spegne lentamente il lago di Baratz, l'unico naturale della Sardegna, tanto che nei giorni scorsi il Corpo forestale e di vigilanza ambientale ha lanciato l'allarme con una informativa inviata all'assessorato regionale alla difesa dell'Ambiente. Decametro alla mano gli agenti hanno tracciato una linea che indica la drammaticità della situazione: la zona umida, classificata Sito di interesse comunitario (Sic), si consuma giorno dopo giorno. Un arretramento che trasmette tristezza: 60 metri dal punto originario censito all'inizio dell'inverno, una decina persi solo nell'ultimo mese con una progressione che fa paura. Di questo passo, del lago potrebbe restare solo una pozzanghera. E' una emergenza ambientale, sicuramente la più grave degli ultimi trent'anni nel lago che, per la sua specificità, ha da sempre una condizione di forte criticità. La situazione attuale, però, aggiunge il timore di una crisi irreversibile, tanto da fare temere per la sua stessa sopravvivenza. Per questo occorre capire che cosa sta succedendo, decodificare gli indizi e studiare le alterazioni pesanti che stanno rendendo sempre più fragile il contesto del Baratz. Ieri mattina gli agenti del Corpo forestale e di vigilanza ambientale della Regione - che ormai da diverse settimane stanno monitorando la situazione nel bacino - sono tornati sul posto e hanno effettuato una serie di controlli. Binocoli, macchina fotografica e strumenti per i sondaggi del terreno, hanno compiuto un lungo giro di perlustrazione per rendersi conto di quel che sta accadendo. Hanno visto, così, le carpe in difficoltà (forse l'ultima specie ittica rimasta nel lago), le folaghe e le garzette concentrate nello specchio acqueo dove ancora è possibile la presenza dei volatili. «Situazione difficile - hanno spiegato l'ispettore Salvatore Sanna e l'assistente Vittorio Pili - bisogna fare qualcosa al più presto. Se si continua di questo passo, d'estate resterà solo una pozza d'acqua al centro. Forse si potrebbe favorire l'apporto di acqua grezza attraverso le condotte del Consorzio di Bonifica della Nurra, è la cosa che in questo momento si può fare con maggiore tempestività». Sfruttato per tanti anni, «derubato» della sua risorsa più preziosa anche dall'industria, il lago di Baratz ora ha disperatamente bisogno d'acqua. Non può più donare, ha necessità urgente di trasfusioni, deve lottare per salvarsi e per tutelare le specie faunistiche che ospita. Nel rapporto inviato all'assessorato regionale alla Difesa dell'ambiente, il Corpo forestale ha provato anche a ipotizzare le possibili cause dell'emergenza che ha colpito l'unico lago naturale della Sardegna situato tra Porto Ferro, l'Argentiera e Alghero: intanto la diminuzione della piovosità, ma anche la presenza di numerosi invasi di intercettazione e raccolta realizzati lungo il percorso del Rio dei Giunchi e utilizzati dalle aziende agricole per uso irriguo. Così, lentamente, il bacino ha perso i contributi d'acqua. La falda si è abbassata, ridotta al lumicino. E basta un giro attorno a quel che resta del lago per rendersi conto della «desertificazione» che avanza. Il Baratz sembra quasi volersi difendere, indietreggia per cercare la salvezza e si lascia dietro strisciate interminabili di fango e sabbia. Cespuglietti verdi che con il passare dei giorni si colorano di grigio fino a seccarsi. Intorno i cinghiali colonizzano ogni spazio, scavano e demoliscono come pale meccaniche. Nei sentieri che dal lago portano alla pineta ricca di macchia mediterranea (dove emergono anche diverse specie di orchidee selvatiche) si notano i segni dell'abbandono, dell'ambiente non curato nei modi che merita un parco, anzi un Sito di interesse comunitario. Le passerelle in legno sono in larga parte inaccessibili perchè invase dalla vegetazione (già una normale azione di pulizia risolverebbe il problema), disagi anche per raggiungere i punti di osservazione. Una condizione complessiva di precarietà, resa ancora più triste dalla grave situazione del lago. Al centro c'è l'isolotto preferito dai cacciatori: prima ci arrivavano da terra con una barchetta, si appostavano lì e sparavano alle anatre. Ora ci possomo tranquillamente giungere a piedi, l'acqua non c'è più e l'imbarcazione non serve. Per terra cartucce di ogni colore: rosse, blu, verdi e gialle. Come regola dovrebbero essere raccolte, invece fanno bella mostra in mezzo alla sabbia. Una sfida per affermare che intanto ognuno può fare ciò che vuole e che non bisogna avere nessuna pietà di quel lago agonizzante. Bisognerebbe portare l'ossigeno, avviare la rianimazione. Invece quelli che ci vanno riescono ancora a sparare. Così si uccide l'unico lago naturale dell'isola.

di Gianni Bazzoni

 
 
 
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