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Mana Pools

Post n°6 pubblicato il 18 Aprile 2006 da picturdgl
Foto di picturdgl

Mana Pools (Zimbabwe), agosto 1992

 

Abbiamo trascorso la giornata su una pista difficile che da Binga conduce qui. Siamo nel parco di Mana Pools nel nord Zimbabwe, sulle rive del fiume Zambezi. Scarichiamo i bagagli nello spazio a noi destinato (siamo in un camp con tanto di "piazzole" numerate) e in due ripartiamo alla ricerca di legna per il fuoco; gli altri rimangono per organizzare il campo. Al nostro ritorno ci troviamo di fronte ad una scena divertente: i bagagli sono ammucchiati sotto un sicomoro gigante, i nostri amici sono lì a fianco, in attesa. Nel punto esatto destinato alle tende un enorme esemplare di elefante è intento a raccogliere da terra certe bacche che non sapevamo potessero piacergli tanto. Ogni tentativo, peraltro molto blando, di allontanare l'abusivo riesce soltanto a strappargli un barrito di sufficienza e una minacciosa scrollata di orecchi. Non c'è nulla da fare. Fino a che non ha perfettamente pulito tutta l'area, non se ne va. Due ore dopo possiamo finalmente piantare le tende.

 

L'esperienza appena vissuta non deve sorprendere. Nei parchi africani succede spesso. Si passano i giorni a cercare gli animali, si incontrano con minore o maggiore difficoltà, si vedono da vicino o da lontano, solitari o in branchi. Ci si mette in marcia all'alba e fino al tramonto la vita è fatta di ricerche, pedinamenti e attese. Fino al tramonto. Di notte invece sembra che le parti si invertano. Ed allora che tu sia in un campo recintato o da solo in tenda nella savana, sono gli animali che si avvicinano e sembra che vogliano restituirti le visite.

 

Succede spesso, dicevamo, ma in questo parco gli incontri ravvicinati sembrano particolarmente frequenti e fanno la gioia dei viaggiatori. Già un cartello ammonitore "Attenti ai coccodrilli" affisso sulla porta dei servizi, mi costringe a scrutare attentamente le tenebre con la torcia. E a sorridere perché mi balza alla mente lo stereotipo dell'esploratore che attraversa un corso d'acqua su un tronco che ovviamente si rivela essere, appunto, un coccodrillo.

 

Un altro cartello che diceva "Non disturbate l'ippopotamo" in un campo del parco dell'Akagera in Rwanda non fu tenuto in dovuto conto da nessuno del gruppo (per me si trattava del primo viaggio in Africa), ma costrinse un compagno a ritornare precipitosamente e molto agitato alle auto quando pensò di fare due passi sotto le stelle. Quella volta le tende erano già montate su un praticello di erba tenera ed evidentemente appetitosa. Infatti, lentamente e brucando meticolosamente ogni centimetro quadrato, l'ippopotamo arrivò alle tende e noi dovemmo aspettare con pazienza il suo lento passaggio Tre ore dopo, grati per avere salvato il nostro equipaggiamento, potemmo andare a dormire.

 

L'europeo non è abituato agli spazi sconfinati, alle grandi regioni quasi disabitate. Nel suo immaginario non esistono i branchi di zebre, di gnu o di giraffe liberi di muoversi nelle savane, o i grandi felini che li cacciano. Gli animali ha imparato a conoscerli eventualmente sui libri di scuola o dai documentari televisivi o, peggio ancora, allo zoo. Quando arriva in Africa stenta a credere ai cartelli che avvertono "Attenti ai coccodrilli" o "Non disturbate l'ippopotamo". Pensa che i consigli letti sulle guide su come comportarsi in caso di incontro con un bufalo o un leone o come riconoscere un sentiero usato dagli elefanti (dove, per inciso, non bisogna mai piantare la tenda) siano espedienti commerciali per attirare i turisti. Non avendoli mai visti, forse non pensa che possano davvero esistere e, tanto meno, immagina di poterli incontrare.

 

Ma in Africa gli animali fortunatamente ci sono e spesso vengono a trovarti.

 

Sono spinti dalla curiosità, molto spesso dalla fame e dove hanno imparato, come nei parchi, che nonostante i bracconieri ci si può fidare dell'uomo, gli incontri sono frequenti, spesso divertenti, sempre emozionanti.

 

Lo sciacallo dalla gualdrappa è coraggioso e furbo, ha capito che con il suo sguardo tenero e gli occhi vispi ispira fiducia e tenerezza nei viaggiatori. Così te lo trovi spesso attorno al campo, soprattutto durante i pasti. Il solito cartello ammonisce di non offrire cibo agli animali selvatici perché è facile in questo modo trasmettere loro malattie da cui non sanno difendersi e perché si abituano a dipendere dall'uomo per loro sopravvivenza. Nel parco di Etosha, in Namibia, una sera siamo andati a dormire dopo esserci difesi, durante tutta la cena, dalla solita petulanza di alcuni sciacalli. Nonostante la loro insistenza, da noi non ottennero nulla, ma la loro vendetta fu veramente speciale. Al mattino le nostre scarpe, che tutti avevamo lasciato fuori dalle tende, furono ritrovate lì intorno, in mille pezzi.

 

Se c'è una recinzione attorno al campo, allora solo gli animali più piccoli riescono sgattaiolare dentro per aggirarsi poi tra le tende. I più grandi rimangono fuori, ma si fanno sentire. In quel caso gli incontri tra uomo e animale avvengono lungo questa linea di frontiera, costituita da una rete metallica, fino a quando uno dei due non si allontana. In una situazione simile, al parco Kruger in Sudafrica, avevo di fronte un enorme bufalo. Brucava tranquillamente e ogni tanto sollevava l'enorme testa per guardarmi dritto negli occhi. Avevo la sensazione che mi guardasse con sufficienza e compassione. In fondo, per una volta, io ero chiuso in un recinto mentre lui era libero nella notte.

 

Quando gli animali vengono a cercarti, ti vengono in mente le ingiustizie e le offese che l'uomo ha riservato a questi compagni di viaggio su questa terra, le foto antiche delle stragi effettuate dai cacciatori bianchi in nome di ciò che chiamavano "sport della caccia", e di quelle più recenti effettuate dai bracconieri in nome dell'affarismo più sfrenato. E ti senti impotente e sommerso dal senso di colpa che, come rappresentante del genere umano, in quel momento non puoi scrollarti di dosso.

 

Al parco Gemsbok in Sudafrica passai una notte insonne per colpa di un leone che ruggì per ore a pochi metri dalle nostre tende. E quando all'alba lo vidi mentre si allontanava mi domandai le ragioni di quel concerto proprio di fianco al campo, mi piacque pensare che quel leone volesse semplicemente ribadire la sua esistenza e ricordarmi che il mondo non è solo mio. Non è solo dell'uomo.

 
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