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Fiume Colorado

Post n°2 pubblicato il 28 Marzo 2006 da picturdgl

Colorado

Nella terra del grande Spirito

 

Ci troviamo davanti alla profonda maestosità del Grand Canyon. È qui che si leggono i capitoli più illuminanti e rivelatori della storia geologica della terra, scolpiti dal tempo in queste maestose pagine di pietra.

L'erosione ha scoperto ed esposto strati di roccia che vanno dal cosiddetto scisto di Visnù, vecchio quasi due miliardi di anni, al pallido cappello calcareo del  Kaibab Limestone, depositatosi 250 milioni di anni fa, alla lava nera che conta solo un milione di anni.

Non esiste altro paesaggio al mondo che riesca a far luce sul passato della terra come il Grand Canyon. E' una visione ubriacante e mozzafiato e i numerosi sentieri tracciati per le escursioni consentono di entrare nelle fratture profonde della terra e di ascoltarne  il silenzio.

Assoluto dominatore di questo scenario fantastico, è il fiume Colorado, che da millenni con pazienza e perseveranza, ha creato e modellato 360 chilometri di gole. Bruno dorato, a tratti impetuoso e forte, o tranquillo e limaccioso, il fiume si insinua sempre più profondamente nella crosta terrestre.

Appena sfiorato dallo sguardo dei conquistatori spagnoli, a metà del 500, spaventati dal luogo minaccioso e dall'apparente assenza di ricchezza, le sue rive solitarie e silenziose rimasero segrete fino al 1857, quando un luogotenente dell'esercito, Joseph Yves diede inizio alle esplorazioni.

Ma fu il maggiore John Wesley Powell che compì la prima vera esplorazione del Colorado: era il maggio 1869.

Fu il primo a raccontare di aver visto, sparse qua e le strane costruzioni e tracce di coltivazioni di mais e di zucca: erano le testimonianze di una passata civiltà misteriosamente scomparsa.

Di quel popolo non conosciamo nemmeno il nome, sappiamo solo che gli indiani Navajo, che giunsero in questi territori dopo la loro misteriosa scomparsa, li chiamarono Anasazi, cioè gli antichi.

Fra Nuovo Messico, Utah e Arizona, l'ambiente dove essi vivevano è ancora oggi straordinario, fragile e ostile, caratterizzato da scarse precipitazioni, da una temperatura che oscilla tra i 40 gradi in estate e i dieci sotto zero in inverno, su di un altopiano che raggiunge i 2000 metri di altitudine.

Stupefacenti le costruzioni di Mesa Verde, rimaste quasi intatte nelle grandi nicchie delle pareti a strapiombo dei canyon. Qui l'opera dell'uomo prende il sopravvento sulla bellezza del paesaggio. Per qualche momento si percorrono gli stessi tragitti e si salgono le stesse strette scale che gli abitanti utilizzavano nelle loro attività quotidiane. Ci si muove negli ambienti ancora intatti dove si possono osservare le macine per la farina, i pestelli e i resti dei fuochi per la cucina. Il trekking nell'ampio letto del Canyon di Chelly, poi, è un'emozionante ricerca delle loro tracce: come le splendide abitazioni erette sulle sporgenze e negli anfratti di queste rosse pareti di roccia, e le numerose iscrizioni rupestri e scritture ideografiche accanto alle quali anche i Navajo, quattro secoli più tardi, aggiunsero dipinti e raffigurazioni.

Ma forse il sito dove ci si immerge maggiormente nella suggestione regalata dal mistero della vita e della scomparsa di questo antico popolo è senz'altro Betatakin, villaggio fantasma arroccato su di un nido di arenaria. Oggi alcuni antichi villaggi sono ancora abitati, come ad esempio il pueblo di Acoma, dove la comunità Zuni cerca di mantenere vive le usanze e le tradizioni di un tempo.

Da quando il Colorado e il Green River congiunsero le loro acque in un unico corso, il Colorado Plateau divenne un intrico di gole, canyon profondi, archi sospesi nel vuoto, guglie affusolate, valli spaccate, dove la forza dell'erosione fratturava le forme e modificava il paesaggio.

Il grandioso scenario di Canyonlands è il riassunto più esauriente di questa mutazione.

Tutto ebbe origine nell'acqua, e allorché il mare che ricopriva il Colorado Plateau evaporò, rimase un grande letto di sale. Sul sale si sovrappose uno spesso strato di detriti alluvionali e di sabbia portata dal vento, formando un deserto. I materiali si solidificarono lentamente e il letto di sale, divenuto instabile per il peso, cominciò a muoversi. Scivolando, sciogliendosi, assumendo nuove posizioni, provocò il sollevamento delle rocce sovrastanti. Fratture verticali, erosioni, formarono grandi cavità nelle strutture isolate più forti. Molte crollarono, ma altre raggiunsero un elevato grado di solidità, durezza ed equilibrio, dando origine nei secoli a un incredibile scenario come quello che si può osservare ad Arches National Park dove si trovano gli archi naturali più famosi del mondo.

Il luogo maggiormente raccontato e ripreso dalla filmografia americana si trova, invece all'interno della più estesa riserva indiana degli Stati Uniti  è la Monument Valley. Ai navajo, dunque, è affidata la gestione di questo luogo tanto conosciuto e così sorprendentemente nuovo e magnifico. Per celebrare tanta bellezza vengono perfino coniate monete speciali che anche noi ci affrettiamo ad acquistare.

Questa improvvisa apertura nella crosta terrestre è perennemente inondata di luce e striata di ombre, le mesas isolate, i monoliti di arenaria che alzano le loro guglie sopra morbide dune sabbiose l'hanno resa unica e famosa in tutto il mondo.

In queste aspre zone dove riesce persino difficile immaginare le conquiste della civiltà moderna, l'acqua ha il ruolo più importante, e non solo come elemento vitale, ma come forgiatrice di vaste regioni, e i canyon ne sono l'esempio più bello. Anche l'uomo ha preso parte a quest'opera di trasformazione, costruendo grandi dighe, creando immensi laghi artificiali, trasformando in poco tempo interi deserti in oasi balneari e paradisi per gli sport acquatici.

La diga sul Glen Canyon, ad esempio, la cui costruzione terminò nel 1963, ha modificato radicalmente i segni vitali del fiume: la temperatura, il colore... Sotto molti aspetti questo nuovo corso voluto e innaturale ha portato ricchezza lungo le sue rive.

Ma il Colorado non è più il grande fiume decretato dalla natura. é diventato un ruscello imbrigliato e costretto, che scorre nel canyon più grandioso del mondo, seguendo i ritmi imposti dalla crescente richiesta di energia dell'intero sudovest degli Stati Uniti

 
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