Bushi ni nigon nashi

- non devi trattare le cose importanti troppo seriamente -

Creato da BubY790 il 24/02/2005

 

Io non sono affatto forte. Ho solo imparato a raccogliere i cocci e a rimetterli assieme, ma questo lo sanno fare tutti, un po’ di colla di qua, un po’ di là, un po’ di “non fa niente”, “passerà”, “non importa” ed eccomi di nuovo in piedi. No, non sono forte. Io cado in pezzi ogni momento. È solo che so ricominciare.
[Carmelita Zappalà - da La Notte è in Fiamme] 

 

 

Com’è che un amore finisce? Finisce quando non ce n’è più, quando ce n’è troppo, quando in realtà non c’è mai stato. Un amore finisce perchè qualcosa si consuma: allora non bisogna usarlo, forse, l’amore. Ma finisce pure quando non si consuma niente e anzi: tutto rimane come il primo giorno. Così perfetto che pare finto. E allora almeno un po’ forse bisognerebbe usarlo, l’amore. E se poi finisce perché mentre lo usi ti cade per terra e si rompe? Anche quello può capitare. Così come che lo lanci in aria, per giocare, e quello però non ti torna più indietro: può capitare. O magari finisce perché te lo scordi da qualche parte, perché lo vuoi tenere sempre chiuso in tasca per non perderlo, ma così marcisce, va a male. Finisce perché andavi di fretta, finisce perché rimani indietro, finisce perché vuole finire, perché deve finire. Finisce perché non c’è cosa più impossibile da tenere a mente, quando un amore comincia, che potrebbe finire….

[Chiara Gamberale “Le luci nelle case degli altri”]

 

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TOO MUCH LOVE WILL KILL YOU

I'm just the pieces of the man I used to be 
Too many bitter tears are raining down on me 
I'm far away from home 
And I've been facing this alone
For much too long 
Oh, I feel like no-one ever told the truth to me 
About growing up and what a struggle it would be 
In my tangled state of mind 
I've been looking back to find 
Where I went wrong 

Too much love will kill you 
If you can't make up your mind 
Torn between the lover 
And the love you leave behind 
You're headed for disaster 
'Cos you never read the signs 
Too much love will kill you - every time 

I'm just the shadow of the man I used to be 
And it seems like there's no way out of this for me 
I used to bring you sunshine 
Now all I ever do is bring you down 
Ooh, how would it be if you were standing in my shoes 
Can't you see that it's impossible to choose 
No there's no making sense of it 
Every way I go I'm bound to lose 
Oh yes, 

Too much love will kill you 
Just as sure as none at all 
It'll drain the power that's in you 
Make you plead and scream and crawl 
And the pain will make you crazy 
You're the victim of your crime 
Too much love will kill you - every time 

Yes, too much love will kill you 
It'll make your life a lie 
Yes, too much love will kill you 
And you won't understand why
You'd give your life, you'd sell your soul 
But here it comes again 
Too much love will kill you 
In the end... In the end

 

 

Scrivere è straziante, perché straziante è il mutismo delle parole...

Post n°299 pubblicato il 13 Marzo 2013 da BubY790

Mica posso piangere e ridere in mezzo alla strada, la gente vuol parlare. E se nessuno ti parla, allora ti tocca pensare. E io non facevo altro, allora. Pensavo tanto che mi faceva male la gola, perché è lì che si fermano le tristezze. Che poi a pensare troppo è come se si formassero dei grumi nella testa, piccole matasse sfilacciate di aspettative tradite, riflessioni al capolinea, illusioni momentanee. Sono i calcoli della mente, aggregati solidi di pensieri cristallizzati.
Se non ne puoi più di pensare allora ti tocca scrivere. Però a scrivere in certe sere fai proprio una fatica boia. E fai fatica a dormire, fai fatica a ridere, fai fatica a muoverti, fai fatica a mangiare. Perché come diceva quella… quando soffri ti si stringe lo stomaco. 
Ti si stringe lo stomaco attorno al cuore. Perdi peso e centimetri, guadagni in angoscia, in circoli scuri sotto gli occhi, tagli sulle mani. 
Eppure io sono un’altra, sono una che cerca il sole
Se c’è una cosa che ho imparato, da tutta questa storia, è che il vero amore è dare finché fa male. E che non è quanto dai che è importante, ma quanto amore metti nel dare. Che i tacchi alti sono fondamentali. Che perdonare non vuol dire dimenticare, significa capire. E che alla fine tutto questo, comunque, non verrà compreso. 
Che non è come nelle favole. Sappilo.
L’amore non vince su tutto. Vince solo qualche volta. Le altre cose della vita prendono a calci l’amore. E lo finiscono a bastonate.

 

 

 
 
 

Lo scintillio di vita, raccolto in destini sbagliati. La nobiltà del male, a tratti.

Post n°298 pubblicato il 02 Marzo 2013 da BubY790

E’ vero, le uniche ferite di cui uno dovrebbe preoccuparsi sono quelle fatte agli altri. Le mie posso solo leccarmele in silenzio, rannicchiata al buio, ogni volta che arriva la sera. 

Riguardo alle persone che ho ferito in passato sarebbe patetico anche solo scusarsi per l’ennesima volta. Perché tanto davanti all’amore siamo tutti dei maledetti egoisti…
Capita che un giorno poi cresci all’improvviso. Tutto ti investe: ogni assenza ingiustificata, ogni partenza di soppiatto, ogni arrivo ostentato e ogni presenza ingombrante. Lo capisci dopo, quando sei dall’altra parte, che è crudele. Non prima, perché sei incosciente, né durante, perché sei drogato.
Solo dopo.
G. F. dice che anche le cose peggiori prima o poi finiscono, che il futuro della notte è un’alba. Però anche che un’alba inizia il giorno, ma può essere contemporaneamente la fine di qualcos’altro.
Non puoi farci nulla, è la vita. E la vita, si sa, fa un po’ come le pare. Strappa via pezzi di eternità, brucia istanti feroci, crepita, scalcia, si disfa senza preavviso. Puoi cercare di rallentare il tempo, anestetizzare il dolore, sciogliere i nodi di troppo strappando pezzi di ustioni, ma più ti agiti più tutto si ingarbuglia, più ti ribelli più ti ferisci.
Vorrei imparare dal silenzio. A diventare. Per essere. 
Certe parole sono come le scatole cinesi, guardi dentro e ce ne sono altre mille da aprire, sono i significati da interpretare. Io scrivo su questo blog da tanto tempo, anni. E mai, come questa volta mi sono sentita i polsi bloccati, le dita rattrappite, la vista appannata. Perché le parole che ho nella testa somigliano ai lacrimogeni e non puoi lanciarne uno senza versare un pianto.
E' che sto cercando il senso delle cose nel posto sbagliato, di sicuro. Io ho imparato da Ale che la ricerca del senso è una sorta di partita a scacchi, molto dura e solitaria, e che non la vinci alzandoti dalla scacchiera e andando di là a preparare la cena. È ovvio che occuparsi degli altri fa bene, ed è un gesto così dannatamente giusto, e anche inevitabile per me, necessario direi.
Però credo che non c’entri con la chiarezza. 
Temo che il senso di tutto sia estorcere la felicità a se stessi, senza preoccuparsi degli altri, il resto è una forma di lusso dell'animo, o di miseria, dipende dai casi. Ma magari mi sbaglio.

 

 

 
 
 

Divenire...

Post n°297 pubblicato il 19 Febbraio 2013 da BubY790

Sto cercando casa. In realtà una stanza. Luminosa e funzionale, che mi permetta di restare a finire quello che ho iniziato qui. Poi non so che succederà. Probabilmente andrò via… ché Roma non mi piace. Non mi è mai piaciuta e mai mi piacerà. Di questo almeno sono certa.
Di tutto il resto no. Perché è un periodo di assoluta immobilità eppure di profondo sconvolgimento.
Tutto quello che credevo vero si è invece rivelato falso e l’unica cattedrale io abbia mai innalzato è crollata sotto il peso degli eventi catastrofici cui è stata assoggettata. Impossibile ricostruirla, non ho gli strumenti e a dirla tutta neanche l’energia necessaria.
Qualcuno può comprarne le macerie per due lire, sono in saldo. In realtà c’è già la ressa davanti ai cancelli. Perspicaci investitori esteri stanno valutandone la solidità delle fondamenta, sebbene… Vecchi frequentatori tornano a dare un’occhiata, così, tanto per. Nostalgia, desiderio di partecipare alla ricostruzione, presenzialismo inopportuno e patetico opportunismo. Io mi guardo intorno spaventata e triste e stanca e disorientata. Mi osservo dallo specchio degli occhi che non ho più e non vedo che il fantasma di me stessa. L’ombra dei sogni che mi portavo nelle tasche, i desideri impacchettati con gli asciugamani nuovi, le aspettative tradite, le parole giuste, le parole sbagliate.
Il cambiamento mi ha sempre sconvolta. Me lo sono tatuata sul braccio per esorcizzarlo, ma non è bastato. Non è una questione di colpe. Non più almeno.
Adesso è una questione di responsabilità. Crescere. Andare nella giusta direzione, quella del se stessi. Una dimensione nuova. Il nulla.
Smetti di amare. Perdona. E dimenticherai. Non è facile, ma l’ordine è questo. Poi arriverà il nulla. L’atrofia dei sentimenti. Il freddo dell’anima. La mente altrove.
Non so come affrontare tutto questo, con quali energie. Ma so che devo. Portar via lo stretto necessario, cancellare le scritte sui muri, lavare via gli odori dai vestiti. Rialzarmi. 

 
 
 

Una piccola bestia ferita...

Post n°296 pubblicato il 11 Febbraio 2013 da BubY790

 

Mi sono imposta di star zitta. Un’intera giornata di silenzio a riflettere sulle parole dette, ascoltate, subite. Perché ecco, ci sono parole che bisogna sopportare come il freddo d’inverno, un male incurabile, il senso d’abbandono.
Te ne stai lì, di sera, e ascolti. Ascolti e sopporti. Immagazzini informazioni nel frattempo e dividi il tempo in scaglie. I discorsi in periodi. I periodi in frasi. Ti restano in mano un pugno delle parole peggiori, quelle che ti hanno regalato un sussulto di sgomento e agitazione, fitte lancinanti e quella bolla di vuoto… lì, nella testa. Sopra il cuore, a destra dell’anima.
E’ vero che scrivere banalità aiuta. Io sono il paradigma dei pensierini da quinta elementare e, guardatemi, scoppio di salute. In realtà ho iniziato a scrivere “questa storia” perché il vederla tutta impaginata per bene, nero su bianco e con la punteggiatura accurata (non da me quindi) mi aiutasse a realizzare l’accaduto. Somatizzare la perdita. Elaborare il lutto.
Vittoria dice che le fasi sono quattro.
La prima è detta della disperazione. In questa fase è presente un senso di stordimento e protesta. Vi può essere un immediato rifiuto per l’accaduto e la presenza di crisi di rabbia e di dolore. Questa fase può durare più giorni e può interessare la persona per tutta la durata del processo di lutto. 

La seconda è quella della ricerca. In questa fase può esser presente un intenso desiderio e ricerca della persona che ci ha lasciati; in alcuni momenti è come se questa fosse ancora cocn noi. A livello psicologico è caratterizzata da un senso di irrequietezza e da una preoccupazione eccessiva verso di essa. Questa fase può durare alcuni mesi. 

Nella terza fase si presenta un senso di disorganizzazione e di disperazione; la realtà della perdita comincia ad essere accettata, e la persona affranta sembra essere chiusa in se stessa, apatica e indifferente. Spesso si verificano insonnia, calo di peso e la sensazione che la vita abbia perso il suo significato. Il ricordo della persona scomparsa diviene costantemente presente, come anche un senso di delusione quando ci si rende conto che ciò che resta sono solo ricordi e che niente potrà cambiare ciò che è accaduto. 

Nella quarta e ultima fase avviene una riorganizzazione della propria vita. Gli aspetti acuti del dolore cominciano a ridursi e si comincia ad avvertire un ritorno alla normalità. La persona scomparsa viene ora ricordata con un senso di gioia, ma anche di tristezza, e la sua immagine viene vissuta internamente.
Io non so bene in quale fase mi trovo. Forse nella prima, con tutta questa disperazione a grappoli, lo stordimento da drogata. Magari ho già messo un piede nella seconda, perché non mi rassegno all’idea di averlo perso e continuo a desiderarlo accanto. Assurda pretesa. In definitiva potrei, considerato le circostanze, essere nella fase numero tre. Me ne accorgo dai chili persi, dal fatto che non mi importa più di niente (eppure tutto mi ferisce a morte) e dai ricordi che non so come archiviare. Sotto quale voce. 
Di certo sono ben lontana dalla fase conclusiva della mia elaborazione. Non so in che direzione guardare per riorganizzare la mia vita e passo il tempo a chiedermi se sarà mai possibile, per me, tornare alla normalità. Del resto la mia normalità è nell’ordine apparente, nell’impossibilità di lasciare le cose sparpagliate, di dare spazio alla rabbia che mi inonda il cervello, imprecare e spaccare oggetti (a parte l’iPod). Mi domando quindi che fase sia quella del lasciare ogni cosa al suo posto, anche se non lo è.

 

 
 
 

Ci sarà... una poesia anche per [me]

Post n°295 pubblicato il 09 Febbraio 2013 da BubY790

 

 
 
 

La sconcertante scoperta di quanto sia silenzioso, il destino, quando, d'un tratto, esplode.

Post n°294 pubblicato il 04 Febbraio 2013 da BubY790

Scelgo il silenzio perché mi sembra che tutto sia già stato detto. Me ne sto rinchiusa in un mutismo vecchio ormai di mesi, fatto di brutte emozioni e spicciole deduzioni, roba intrisa di inchiostro simpatico e rumori molesti. Trascorro il mio tempo immersa nel liquido vischioso che mi esce dall’anima quando le ferite bruciano e il dolore si fa insostenibile.
Ho iniziato il lento percorso dell’elaborazione. Finalmente.
Ricostruisco momenti perlopiù. Metto in fila ogni azione, iniziativa sbagliata.
Trascrivo un elenco di bugie, le sottolineo con un pennarello che stinge e mi macchio le dita indelebilmente. Tracce ovunque.
Alla fine ti rendi conto che non è più neanche una questione di colpe. Ma di responsabilità.
Capisci che non è la rabbia che ti divora. E’ la delusione. E’ il fallimento. E’ il disgusto.
Per non impazzire, davvero, le sto tentando tutte. E tutte quelle che sto tentando hanno dentro un alone indefinito eppure oscenamente concreto.
E’ come se la vita mi avesse preso a pugni all’improvviso con un guantone borchiato.
Come se avesse deciso che è arrivato il mio turno per pagare.
Perché dovevo immaginarlo, il conto, alla fine, arriva sempre. Paghi ogni attimo di felicità avuto in regalo e quell’unica lacrima versata in tuo nome. E’ la dura legge del karma.
Giro intorno alle verità che ho paura di sapere, le brutte visioni delle notti trascorse da sola, in un letto troppo grande per un esserino come me, raggomitolata intorno al cuscino come un gatto infreddolito, piena di ombre.
Io non volevo far finta di nulla.
Io volevo salvarci. Noi due. Volevo credere. Farcela. Ecco, farcela.
Oggi ho parlato con Ale. Ale che ha sempre brutte parole nelle tasche. Me ne ha regalate un pugno da scagliare contro le persone sbagliate, incidendomele sui polsi e all’altezza delle caviglie con un bisturi d’argento così che io non le dimentichi. Ancora sanguino.
Mi domando se le ferite guariranno mai. Se i tagli che mi porto dentro cicatrizzeranno in qualche modo e le assurde pretese che mi si annidano nei polmoni troveranno la loro dimensione.
Questi ultimi due anni sono stati come un tuffo di pancia nell’acqua ghiacciata del mare della Groenlandia. Sentivo solo un tremore cieco.
Poi sono arrivate le sferzate, lancinanti, a flagellarmi.
Io non so se sia vero. Magari l’ho letto da qualche parte che il gelo uccide con lucida ferocia.
Il dolore ti lacera i nervi. Come centinaia di aghi che ti trafiggono, infilandosi tra le scapole, nella carne tenera dell’inguine, dentro agli occhi spalancati. Poi il silenzio.
Che è il rumore dell’anima.

 
 
 

Eravamo...

Post n°293 pubblicato il 31 Gennaio 2013 da BubY790

 

  • Eravamo nello stesso amore, in quel momento – non abbiamo fatto altro, per anni.
    La sua bellezza, i suoi pianti, la mia forza, i suoi passi, il mio pregare
    eravamo nello stesso amore. La sua musica, i miei libri, i miei ritardi,
    i suoi pomeriggi da solo - 
    eravamo nello stesso amore. 
    L'aria in faccia, il freddo nelle mani, le sue dimenticanze, le mie certezze
    eravamo nello stesso amore.
    [A. Baricco]

 

 
 
 

Ingannevole è il cuore più di ogni cosa...

Post n°292 pubblicato il 29 Gennaio 2013 da BubY790

Provo a riavvolgere il filo. A tornare indietro, a quando non c’era nulla di cui aver paura. Ma non va, il nastro si incastra sulle parole sbagliate, le definizioni catastrofiche, le vagonate di fango buttate sulla realtà dei fatti, che certo, non è proprio una vita, non è proprio a colori, non è proprio come la volevo, ma è transitoria e quindi non degna di nota.
La cosa veramente difficile è il segreto che sono costretta a mantenere, l’anonimato, i sorrisi finti, il vatuttobene quando invece vatuttomale. Mia mamma oggi mi ha chiamata due volte perché ha sentito che qualcosa non va. Io fingo mal di pancia, emicrania e secchezza delle fauci. Mi faccio scappare un singhiozzo di commozione e riaggancio così che non mi scopra indifesa e tutta ammaccata come sono. La richiamo da calma e fingo il telefono scarico. Mi serve che qualcuno mi abbracci dicendo che non mi merito tutto questo dolore e che presto sarà tutto finito, mi serve l’amica che neanche oggi ha risposto al telefono, la confidente ormai irraggiungibile, forse stanca di me e dei miei vuoti a rendere. Mi lascio cadere sul letto e spengo il cervello per quei pochi secondi che servono alla memoria  di ricapitolare la matassa degli errori che forse ho commesso, forse no, chissà. Basta talmente poco per accorgersi di quanto becera è l’abitudinarietà. Quanto è sottile il filo che delimita la stabilità dal piattume.
Io sono il tipo di persona che non piange per le cose che non ha. Non si lamenta e non strepita, non impreca contro il sistema delle raccomandazioni, una di quelle che non perde tempo a piangersi addosso e lo adopera per rendere utile un periodo morto, un giorno perso, un’occasione mancata. Non mi accontento, perché si sappia, io il mio obiettivo ce l’ho stampato a fuoco nei circuiti neuronali, ma vado avanti come se niente fosse, evitando di incattivirmi con il mondo, le persone maledettamente più fortunate di me e le mille occasioni sprecate in nome di qualcosa che ora un nome non lo ha più. Aspetto il mio momento per così dire e so che arriverà presto. Questo mi incoraggia a non chiedere aiuto.
Anche questo è un pregio, no? Riuscire a farcela da sola. E allora perché non ci sono parole di elogio per me, ma solo dita puntate contro?
E trovare il coraggio per affrontare le brutte cose non è un difetto. E’ un pregio. Non è vero?
E allora perché mi sento così colpevole? E perché mi sento – ancora una volta – come se non fossi mai abbastanza qualcosa? 

 

 
 
 

Uomini che odiano le donne. E forse fanno bene...

Post n°291 pubblicato il 12 Gennaio 2013 da BubY790

 

Mestruazioni. E con questo spero di aver distolto l’attenzione del genere maschile da questo post. E’ risaputo, infatti, che l’uomo medio si dissuade automaticamente dal decifrare messaggi che contengono alcune semplici parole chiave, per loro assolutamente ripugnanti, quali flusso mestruale,  assorbenti, candida (anche se ci si riferisce solo ad una stoffa bianca), scarpe, borse, candele profumate, blush, ceretta, leonardodicaprio e, in alcuni casi, certo tra i più patologici, orecchini. Così, tanto per essere davvero sicura di far desistere anche il più temerario degli uomini, dal perseverare con la lettura, inserirò ad hoc una tra le suddette turpi espressioni. Questo post è per le donne. O contro. Ma che non si venga a sapere dall’altra parte.

Borse di Hermes. Non è che ho intenzione di impiegare parte della notte a scrivere di uomini eh. E poi non sono proprio brava a parlare d’amore, me lo dicono tutti. Meglio magari qualcosa del genere “rapporti tra esseri viventi fisiologicamente incompatibili”, al limite.

E’ importante a questo punto, a scanso di equivoci e malignità varie ed eventuali, dire che la mia opinione è strettamente personale e non necessariamente derivante da esperienze vissute in prima persona. Inoltre, l’eventuale somiglianza con fatti e persone reali è puramente casuale. Non è di voi che si parla qui, fatevene una ragione, il mondo ha anche altri cazzi a cui pensare, per fortuna. Ah dimenticavo, nessun uomo è stato maltrattato per la stesura di questo post. Ceretta a caldo. A freddo. Con rullo e strisce in tnt.
Intanto eccola lì: gli uomini non cambiano. Andava detto, cara la mia Mia. Non affannatevi quindi con patetici ed inutili tentativi di manipolazione comportamentale, loro sono esattamente come li avete scelti quando i vostri feromoni si sono attizzati a vicenda, quindi lontani anni luce dalle vostre idee di perfezionamento caratteriale, insensibile alle vostre ridicole richieste di attenzioni mentre sono lì davanti alla tv, tutti giustamente presi dalla partita, il dibattito politico, Belen che balla la salsa. Se quando li avete conosciuti tracannavano birra da un corno di vacca maremmana (e vi sono piaciuti lo stesso) non potete pretendere* caviale e champagne. Il problema siamo noi, che dobbiamo sempre star lì a smussare qualcosina del loro modo di essere. Però vogliamo che con noi si sentano liberi di essere se stessi. Suvvia. Scarpe Manolo Blahnic. Bisogna, da donne, considerare la condizione sociale del maschio: che gli frega a loro delle storie d'amore, del romanticismo da Dirty Dancing se poi hanno a che fare con una donna che per quanto poco limiti le liberta animali dell'uomo, è niente più ruttino dopo la birra, e non stapparla coi denti, e non alitare in macchina che poi mi si "impuzzano" i capelli di luppolo, e non fumare in macchina perché i vestiti mi si "impuzzano" di fumo, e mia madre poi che pensa? Che le serate me le passo a farmi le canne nei centri sociali?!?
Il punto è che noi donne vogliamo essere salvate. Da cosa di preciso non si sa: dal lupo, dalla strega, dal fuso, dal cattivo di turno, dalle giacche con le spalline. Noi abbiamo bisogno di essere salvate e gli uomini hanno la strana dote di sparire: arriviamo a casa con le borse della spesa, e loro? in palestra. Dobbiamo aprire il barattolo dei carciofini, e loro? a lavoro. Siamo ingrassate due kg e la zip del vestito non si chiude e chiediamo una mano, e loro? "Mettitene un altro, hai l'armadio pieno!". Il punto è che gli uomini sono in grado di non esserci anche quando ci sono. Il perchè lo capiremo nella prossima puntata. Un'unica anticipazione: secondo me va bene così, sennò sai che palle.

 

 
 
 

My angel...

Post n°290 pubblicato il 09 Gennaio 2013 da BubY790

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Il futuro è proprio sprecato con certa gente...

Post n°289 pubblicato il 06 Dicembre 2012 da BubY790
 

 

E no eh, la vita non è mica un fantasy. Mica puoi star lì ad attraversare valli incantate e sentieri magici insieme agli elfi, alla ricerca di un portale per un'altra dimensione in modo da sfuggire alla scadenza della rata dell’imu. Non è che puoi andartene a zonzo per i giardini delle fate a cercare spunti per pagarti i contributi. Nessuno ti aiuta, non c’è Gollum che tenga. Stasera guardavo una di quelle trasmissioni che la gente comune non dovrebbe vedere, una di quelle che se fossi io l’addetta ai palinsesti inserirei in fascia protetta da bollino rosso. La visione di questo programma non è adatta ai lavoratori precari, agli operai in cassa integrazione, agli impiegati in scadenza di contratto, alle segretarie sexy, agli esodati (che non so voi, ma a me solo la parola fa pensare a dei naufraghi su una zattera in mezzo all’oceano), agli studenti universitari, alle mogli dei calciatori e a chiunque altro. Sono ammessi alla visione solo i dipendenti statali e parastatali, purché in presenza di un santoinparadiso.
Come diceva quello noi siamo la generazione finale di questa storia. Non importa il perché. Il perché non mi salva. Quindi piuttosto che chiedermi il motivo, fare calcoli e analizzare statistiche io andrei lì davanti, al portone di dio* intendo, e lo sfonderei a calci.
Il perché è semplice. Dovremmo tutti, tutti, riprenderci il presente. Mentre viviamo di ricordi e in un funzione di un futuro che – magari – non ci sarà. Dico magari perché come scrivevo stasera su twitter, la profezia maya è passata dall’essere una minaccia a diventare una speranza. Speranza che tutto, ad un certo punto, prenda una piega definitiva. L’azzeramento. Non importa cosa costerà. Quanto di quello che è stato costruito verrà sacrificato.
Purché se ne esca.
E’ che non abbiamo più diritti. In molti casi siamo senza un lavoro, niente contratti e figurarsi le garanzie, quelle ormai neanche mia nonna e una vita di onore e rettitudine alle spalle.
Siamo quelli che non possono permettersi dei… figli. Non diamanti. Non macchine supercostose, non ville milionarie. Ma una vita, dignitosa, da non far pesare sulle spalle di creature innocenti.
Il mondo è pieno di gente come noi, quelli che ad un certo punto mettono insieme due lire e partono, in cerca di qualcosa di meglio. Tipo… un’opportunità. Migranti senza risparmi, come i nostri nonni, ai tempi della guerra. E oggi noi che guerra dobbiamo ancora combattere? 
Quella delle prestazioni occasionali, degli stage non retribuiti, delle rate da pagare comunque, dei tagli alla sanità e all’istruzione. Ma non… ai costi della politica. Non al mercato della guerra. Che l’Italia sarà sì al collasso, ma mica può farsi sfuggire la possibilità di acquistare un lotto di 90 aerei cacciabombardieri Strike Fighter F-35. Utilissimi peraltro. 
E veniamo avvelenati, nel corpo e nello spirito, ogni santo giorno. Dalle fabbriche e dai nuovi provvedimenti di un governo tecnico che ha fatto peggio di un manipolo di babysindaci seienni ubriachi di sangria riuniti per il pic-nic. Mi domando, anche se, come dicevo domandarsi qualunque cosa a questo punto è perfettamente inutile, com’è che gente come noi, che si è rialzata dopo la guerra, la grande depressione, le inondazioni, i terremoti, la malavita organizzata e vallettopoli (risate!) possa aver permesso che ci riducessero in questo stato. Abbiamo smesso di essere eroi e siamo diventati tronisti, abbiamo abbandonato la Costituzione e ci siamo stretti al petto una bandiera che ha valore solo ai margini di un campo da calcio, abbiamo dimenticato l’onore e accettato compromessi. Votato sempre il meno peggio. Eccola la società che meritiamo. Siamo qui in fila aspettando che ci mettano l’anello al naso.

 

 

 
 
 

Bilanci esistenziali e calzini spaiati. Il bello deve ancora venire.

Post n°288 pubblicato il 21 Novembre 2012 da BubY790

Il problema è che non ho più voglia di far nulla, neanche di scrivere. La cosa che mi piaceva di più. La cosa che, qualcuno diceva, mi riusciva meglio.
Se leggo le cose postate negli ultimi tempi trovo solo la flebile ombra di quello che mi andava di mostrare, cose troppo pesanti da portarmi dentro e perciò raccontate a dei perfetti estranei ma che dette con parole scelte male non rendono il senso della fatica e del dolore. Figurarsi dell’amore. Così per un po’ me ne resto zitta, di sera faccio meditazione, studio giapponese, vado in palestra, lavoro. Evito di guardare i tg, quando posso, così evito di piangere per i bambini che muoiono sotto le bombe, per le ragazzine assassinate, le nonne derubate, gli animali maltrattati… e tutto il resto. Le notizie però mi raggiungono, scaltre loro, mi scovano sempre. Le notizie mi violentano. E quando passano, perché sempre passano loro, così che la gente possa riprendere a fare la sua vita, io resto lì, con il sangue alle tempie e gli occhi spalancati. Incapace.
Allora mi chiedo com’è possibile vivere ogni giorno di questa vita che facciamo qui senza farci domande. Mi chiedo com’è che tutti abbiamo visto i corpicini flagellati dei bambini di Tel Aviv in braccio ai loro padri, e ancora riusciamo a credere nella giustizia.
Mi chiedo perché tutti sappiamo com’è che ci hanno ridotto in miseria, con quale giochetto da prestigiatore ci derubano ogni giorno della nostra dignità e dei nostri soldi e ancora andiamo a fare la fila agli sportelli per pagare le tasse ad un governo ombra che ha fatto di noi degli schiavi.
E’ che alla fine io provo vergogna. Vergogna per quelle cravatte, vergogna per quelle macchine e le borse portadocumenti, provo vergogna per tutte le bugie di cui farciscono l’informazione, questo becero giornalettismo (direbbe qualcuno) che non ha il coraggio di un punto di vista. Vergogna per quella guerra in medio oriente, che voi lo sapete meglio di me, non ha ragion d’essere, per i pozzi petroliferi e la ricerca farmaceutica (e non medica, leggete bene), per i piani telefonici e le aliquote irpef, imu, iva e chi più ne ha più ne metta. 
E’ la bellezza che non mi giunge. C’è questa rabbia che la divora prima che possa vedere che c’è. Perché c’è. C’è in quelle donne e in quegli uomini che si svegliano all’alba e fanno 3 lavori. C’è in quei ragazzi che, immersi nel fango, spalano il disastro delle vostre costruzioni edilizie abusive. C’è nella speranza di quelli che come me sono caduti mille volte e mille volte hanno deciso di rialzarsi. C’è negli occhi puri dei bambini. Nel coraggio dei dissidenti. Nella prigionia degli innocenti. Nell’incoscienza dei senza nome. Quelli che incontri nel tuo cammino, talvolta, e pensi agli angeli.  
Io non lo so se davvero l’umanità ce la farà a risollevarsi da tutto questo. Non credo cioè.
Confido in un cambiamento, un evento epocale, di quelli che – wow – mettono in discussione ogni cosa. Così che, quando capisci che per secoli hai creduto nelle cose sbagliate, appoggiato falsi profeti, giudicato senza sapere e regalato perle ai porci, allora sì, ti toccherà incazzarti per forza. E pure di brutto.

 

 
 
 

Dai che puoi farcela. Tu sei così immensa. Una briciola.

Post n°287 pubblicato il 29 Ottobre 2012 da BubY790

confronti

Io le porto tatuate sulla pelle le mie esperienze. 
Cicatrici o tatuaggi, graffi o carezze, sono tutte lì.
Le colpe no. Quelle le tengo sul frigo, con milioni di magnetini sbagliati.
Così che ogni mattina io possa, prendendo il latte, ricordarmi com’è che non voglio più essere. 
Poi ecco, puoi diventare la fidanzata modello, la figlia che tutti vogliono, l’assistente perfetta, la consulente matrimoniale, la concubina e la geisha, la sposa cadavere… arriva sempre un momento in cui qualcosa si spegne. 
E ci provi, tutti lo fanno, a soffiare sulla miccia, per alimentare la fiamma ancora un po’. 
Quel tanto che basta.
Poi ecco, l’insofferenza. I sogni sgretolati. I progetti al capolinea.
La ricerca della solitudine. Quel lento incedere per nessundove.
Ora c’è solo questo sole che si nasconde.
Mentre lo sai che amo la luce. L’accecante candore della luce.
E’ che la vita va avanti. E noi ce la faremo.
Questo mi dico mentre aspetto l’ennesimo treno, dentro l’ennesima galleria e prendo l’ennesima gomitata. 
Mi lascio trasportare dalla folla. Sono vostra, fate pure.
Domani riuscirò forse ancora a trascinarmi fin qui, mi domando.
Riuscirò a fare finta che questa non sia la mia vita. 
Ma una zona d’ombra, un teatro di posa, la piccola parte per la pubblicità dei biscotti del mulino.
Dicono che prima di morire, proprio quando stiamo per abbandonare il nostro corpo, sia possibile rivedere il film della nostra vita. 
Tutti i momenti belli e tutti gli errori e le azioni terribili che abbiamo commesso.
Le cose che si potevano evitare.
I tricks sulla neve, l'incontro che ci cambia la vita. Le notti al telefono, a ridere.
I momenti brutti, quelli che fanno male. 
Come un lamento dentro che dilania.
Dicono che funzioni così. E allora, cazzo, spiegatemi.
Perché non sto morendo, e sto rivedendo tutto il film della mia vita.
E devo continuare ad essere quella che non si piega mai.
Che non si spezza. Che spera, lavora, non piange, ha coraggio e regala abbracci. Quella che resta aggrappata ad una speranza arrugginita.
E ancora crede che ci sia una speranza nascosta, da qualche parte.

 

 

 
 
 

Sulla sponda del fiume Tevere mi son seduta e ho pianto

Post n°286 pubblicato il 13 Settembre 2012 da BubY790

 

Io non sono il tipo di persona che piange sul latte versato. Neanche un rimorso, nulla. 
Io piango per le occasioni mancate. Per gli empi giochi della memoria, le piccole opportunità andate in fumo.
Mi ricordo che tempo fa, non molto tempo fa in fondo, il mondo era mio. 
Avevo tutti i miei sogni nel guardaroba delle grandi occasioni, quello con gli abiti perfetti, tagliati su di me. 
Mi sentivo l’impavida eroina della storia, la principessa guerriera, quella che nulla teme e tutto conquista. Basta volerlo. Andavo dicendo. 
Se lo vuoi davvero sarà tuo, qualunque cosa sia.
Desideralo e lo avrai. Io ho avuto quel che volevo.
Pezzetti di gloria lasciva, pagine di cronaca mendace, buste piene di parole mescolate a frammenti di note spezzettate e minuscole bottiglie di vetro, dove tenere le gocce del sudore raccolto, come fosse acqua di mare. 
A tutto ho dato un nome, regalando identità e costanza. 
Si chiamava MEG. Eravamo noi tre. E lo saremo sempre.
Ma stasera, stasera è una notte che piange. Una notte che piange dal cielo e non smette. Una notte di fulmini e tuoni, e silenzi e canzoni e tisane, documentari e matite consumate. Di telefonate che non facevo da troppo tempo, una cosa del tipo:

ciaocomestaicomestatuamoglieetuafigliachefasièpoirimessa
vabenecivediamosabatochetantovadoinospedaledalletuepartiadonare
ilsangueepoivengoaprendereuncaffèacasavostra
chidariobravissimol’hovistocertochegrandelodicevoio
chediventavauncampionegraziesalutamituttiunbacio.

Quella sensazione, è così che torna. 
Non è rimpianto. E’ mancanza. Non è paura, è tristezza.
E il cuore mi va in pezzi. In piccoli pezzi taglienti.
Sorrisi di vetro e plastica che riaffiorano mentre [sì], miseria, è cambiato tutto. 
E no, in realtà non è cambiato niente, sono solo io che mi sono lasciata trascinare dalla corrente, troppo lontano. Alla deriva.
Ho abbandonato così tanti progetti, milioni di desideri lasciati a marcire sul fondo dei cassetti, per cosa poi?
Per me la vita era una musica che suonava sempre più forte. Tutto mi emoziona. 
Potrei piangere per qualunque cosa. Qualcuno che si asciuga gli occhi di continuo. 
Ecco chi sono. 
Eppure deve avermelo detto qualcuno, che avrei perso tutto, anche i sentimenti. 
E devo avergli creduto perché sembra io stia imparando a sentire di meno.
A dire il vero sento di meno ogni giorno.

Nessun tormento, nulla. Neanche rimpianto. Niente di niente.
Non ci si può difendere dalla tristezza senza difendersi anche dalla felicità.

 
 
 

IntrospettivaMente. Le mie sillabe notturne.

Post n°284 pubblicato il 10 Settembre 2012 da BubY790

Foto del 24 07 12 alle 22 06

Starsene una notte intera a scrivere. Bere caffè freddo da una tazza verde menta di ikea e spegnere ogni luce possibile, i rumori della strada, ogni pensiero che ti colleghi alla vita di ogni giorno. Quella fatta di metro e passi veloci, gente incontrata per le scale e dentro ascensori, camici bianchi e brandine d’ospedale. E sì che poi si tratta di un lavoro di comunicazione, perlopiù. Ma arriva il giorno che qualcuno sbaglia numero e se ne sta lì a raccontarti la sua storia, ogni lacrima di dolore e ogni minimo progresso. Parla come se non parlasse da settimane e tu non te la senti di dire ehy, non sono la persona per lei. Non oggi. Oggi non c’è nessuno qui. E certo, lo so che è un ospedale. Ma oggi sono tutti via. La gente ha una vita. Mica solo un lavoro, mica solo questa specie di missione da portare avanti, mica solo questo stupido telefono a cui rispondere. Avanti, continui per favore. Ci sono io per lei oggi, non ho altro da fare e fare questo mi fa sentire meglio, a dirla tutta. Un po’ più parte di questo tutto, un po’ meno sola, nel mio incedere. 

Bere caffè freddo, ad un certo punto della notte non basta più. Ci vuole altro per continuare a scrivere in questa specie di solitudine surrogata. Raccogliere i pensieri e sparpagliarli sul tavolo. E lo senti? Il ruvido della seta indiana? Raccontalo. E così che inizia quel libro, con una sensazione.
E non si tratta di seta, ma di amore. E non era la pace di un tessuto, ma la febbre di una trama… troppo fitta, forse, per poter essere sbrogliata.
E’ una cosa da giornate memorabili. Il giorno della decisione, quello dell’occasione e il giorno dell’arrivo.
Il primo, nel ricevitore di un telefono, non ho sentito quello che mi aspettavo. E ho pianto.
Il secondo, seduta nello studio di un avvocato, non ho sentito quello che mi aspettavo. E ho pianto. Ma anche detto la verità. Mi ricordo il momento esatto, nell’apice del risentimento e della delusione. L’ho guardata senza occhi e avrei voluto avere un laser per passarle allo scanner le reazioni fisiche, dimostrare le sue menzogne e inchiodarla alle sue responsabilità. Ho detto: sei una grandissima bugiarda. E, sì, poi ho pianto.
Il terzo giorno, il giorno dell’arrivo, ho varcato il portone con un asse da stiro sottobraccio e non ho sentito quello che mi aspettavo. Ho pianto solo perché mi mancavano le mie montagne, come Heidi a Francoforte.
Ed è ovvio, non basterà questo quadrato di seta indiana a ricordarmi l’atmosfera di “casa”, quando scrivere era semplice e non era necessario ritagliarsi pezzi di isolamento acustico e visivo per riuscirci.
Da quando ho conosciuto P.P. il bisogno di mettere nero su bianco la mia storia mi bussa alle tempie in continuazione. Il fatto che lui sia uno scrittore affermato ed io una novizia affamata di storie, rende il mio apprendere una dipendenza e lo scrivere un esercizio costante. Dice “scegli le parole”. Che sono importanti. Non c’è niente di più importante, per uno scrittore, della parola giusta. Quella con il suono migliore, il perfetto corredo di sensazioni visive e connessioni mentali. L’unica possibile. “Non spaventarti, se la parola è una brutta parola. Se è quella la riconoscerai”. Così mi vengono in mente astuzia, improbo e ginnasta. Allunaggio, gambizzato e vimini. Che sono brutte parole.
Sono sicura intendesse “parolaccia” con “brutta parola”, inquadrando la mia sensibilità artistica in una luce patinata e senza striature. Ma io sono una che gioca a fare la maledetta, una centometrista dei sentimenti, una mantide crocerossina. E non ho paura di dire cazzo, al momento giusto.
Fino a qualche tempo fa per addolcirne i tratti scrivevo caxxo. Saab mi ha fatto notare che è da bimbeminkia ritardate. Ora, io so cosa significa ritardata, ma non bimbaminkia. Però anche questa mi pare una cosa brutta da dire.

 

 
 
 

Omicidi, crimini, povertà. Queste cose non mi spaventano. Quello che mi spaventa sono le celebrità sulle riviste, la televisione con cinquecento canali, il nome d’un tizio sulle mie mutande, i farmaci per capelli, il viagra. Siamo i figli di mezzo della storia, non abbiamo né uno scopo né un posto. Non abbiamo la grande guerra né la grande depressione. La nostra grande guerra è quella spirituale, la nostra grande depressione è la nostra vita. Siamo cresciuti con la televisione che ci ha convinto che un giorno saremmo diventati miliardari, miti del cinema, rock stars. Ma non è così. E lentamente lo stiamo imparando. E ne abbiamo veramente le palle piene… [da Fight Club - Chuck Palahniuk]

 

Ecco cosa ti spacciano per civiltà.
Gente che non si sognerebbe mai di usare pesticidi o insetticidi e poi infesta il quartiere con lo stereo sparando dischi di cornamuse scozzesi. Di lirica cinese. Di musica country e western.
Fuori, un uccellino che canta ci sta bene. Patsy Kline no.
Fuori c'è già il frastuono del traffico, che basta e avanza. Aggiungerci il concerto per piano in mi minore di Chopin non migliora la situazione.
Tu accendi la musica per coprire il rumore. Altri alzano la loro musica per coprire la tua. Tutti quanti si comprano uno stereo più potente. È la corsa agli armamenti del suono. E non è con le frequenze alte che vinci.
Non conta la qualità. Conta il volume.
Non conta la musica.
Conta vincere.
Per sbaragliare i concorrenti ti ci vogliono i bassi. Le finestre devono tremare. Nascondi la linea melodica con l'equalizzatore e ti metti a sbraitare le parole della canzone. Ci infili dentro delle volgarità e sottolinei bene ogni singola parolaccia.
È così che vinci. Perché alla fin fine è una faccenda di potere.

Chuck Palahniuk - da Ninna Nanna

 

Dove abiti Murray?
In una pensione. Ne sono talmente affascinato e intrigato.
Una splendida vecchia casa in rovina vicino al manicomio.
Sette o otto pensionanti, più o meno permanenti, tranne me.
Una donna depositaria di un segreto terribile.
Un uomo dall'aspetto ossessionato.
Un altro che non esce mai di camera.
Una donna che sta per ore davanti alla cassetta delle lettere, in attesa di qualcosa che sembra non arrivare mai.
Un uomo senza passato.
Una donna con troppo passato.
C'è un odore di vite infelici, da cinema, che mi fa sentire perfettamente a mio agio.

Don De Lillo - Rumore Bianco

 

L'unica cosa che mi sembra sicura è che il corpo e la mente delle persone ricevono e trasmettono molte più informazioni di quanto le persone stesse non pensino. Questa colorazione misteriosa a volte mi spaventa, perché mi dà la sensazione di essere completamente esposta, a volte mi conforta e mi stringe il cuore. (da The Sound of Silence, in Il corpo sa tutto - Banana Yoshimoto)

 

Perché per me l'unica gente possibile sono i pazzi, quelli che sono pazzi di vita, pazzi per parlare, pazzi per essere salvati, vogliosi di ogni cosa allo stesso tempo, quelli che mai sbadigliano o dicono un luogo comune, ma bruciano, bruciano, bruciano, come favolosi fuochi artificiali color giallo che esplodono come ragni attraverso le stelle e nel mezzo si vede la luce azzurra dello scoppio centrale e tutti fanno Oooohhh! (da On the road - Jack Kerouac)

 

D'altronde, l'isteria è possibile solo con un pubblico. [...] Vai a com'era la vita quando eri una bambina e potevi mangiare solo omogeneizzati. Cammini vacillando fino al tavolino da caffè. Sei sui tuoi piedi e devi barcollare su quelle gambe a salsicciotto oppure cadere giù. Poi arrivi al tavolo da caffè e sbatti la tua testolina soffice contro lo spigolo.
Sei per terra, e cavolo, o cavolo, fa male. Però non c'è niente di tragico fino a che non accorrono Mamma e Papà.
O povera coraggiosa piccolina.
È solo allora che piangi.
(da Invisible Monster - Chuck Palahniuk
)

 

Ogni guerriero della luce ha avuto paura di affrontare un combattimento.
Ogni guerriero della luce ha tradito e mentito in passato.
Ogni guerriero della luce ha imboccato un cammino che non era il suo.
Ogni guerriero della luce ha sofferto per cose prive di importanza.
Ogni guerriero della luce ha pensato di non essere guerriero della luce.
Ogni guerriero della luce ha mancato ai suoi doveri spirituali.
Ogni guerriero della luce ha detto “sì” quando avrebbe dovuto dire “no”.
Ogni guerriero della luce ha ferito qualcuno che amava.
Perciò è un guerriero della luce: perché ha passato queste esperienze, e non ha perduto la speranza di essere migliore.


 
 

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