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IL DOPO PONTE

Post n°25 pubblicato il 15 Ottobre 2007 da gccalabria

Finalmente il dopo Ponte,
una vittoria ambientalista
Un'infrastruttura inutile, anzi critica, destinata al sistema dei trasporti per le lunghe distanze dalla Sicilia
quando i traffici sono passati da oltre 11 milioni di unità nel 1985 a poco più di 6 milioni e mezzo nel 2002

Alberto Ziparo*
Il governo ha finalmente annunciato la chiusura della società Stretto di Messina, titolare delle operazioni di progettazione e realizzazione dell'accantonato ponte. Atto dovuto e atteso da tempo, cui dovrebbe conseguire in automatico l'annullamento del contratto di appalto, impossibile con il venir meno del gestore del titolo.
Altre buone notizie riguardano l'utilizzo dei fondi residui, ex ponte, rifinalizzati per operazioni realmente utili e vantaggiose per Sicilia e Calabria, tra cui il completamento della Salerno-Reggio Calabria, l'avvio del rifacimento della statale ionica 106, la realizzazione dell'approdo sud a Villa S. Giovanni, che libera il centro dal traffico per la Sicilia, la costruzione dell'attesa metropolitana palermitana, l'avvio di quelle catanese e messinese e l'importantissima ristrutturazione delle strade statali e provinciali della Sicilia e della Calabria, in molti punti ridotte all'impraticabilità.
Nelle prossime righe spieghiamo i motivi che sostanziano il blocco dell'operazione - che auspichiamo divenga cancellazione - richiamando i contenuti dei numerosi studi critici che ne avevano evidenziato i grandissimi rischi e problemi.
Un'infrastruttura inutile, anzi critica, per il sistema dei trasporti: il ponte era stato concepito per servire il traffico di lunga distanza da e per la Sicilia; invece nello Stretto resterà in futuro sempre più una mobilità locale. Infatti il trasporto di lunga distanza ha subìto nelle ultime fasi fortissime trasformazioni: gli spostamenti hanno abbandonato gomma e ferrovia, per aerei (i passeggeri) e navi (le merci). Gli attraversamenti di lunga distanza tra Messina e Villa e viceversa che erano computabili in oltre undici milioni di unità nel 1985, sono calati a poco più di sei milioni e mezzo nel 2002.
Intanto la Sicilia è passata da due aeroporti e tre piste a sei aeroporti e una dozzina di piste (traffico aereo +3200% circa!) e ha scoperto di avere una decina di porti industriali, utilizzati poco o nulla.
Dal punto di vista economico è fallita e tramontata la politica dei grandi poli industriali e infrastrutturali, di cui il ponte sarebbe stato l'ultimo enorme colpo di coda: basta osservarne le macerie, da Priolo a Gela, da Milazzo a Termini Imerese.
Oggi lo sviluppo dell'area dello Stretto può venire solo dalla valorizzazione sostenibile delle sue risorse territoriali e paesaggistiche, se fruite in maniera equilibrata e intelligente, piuttosto che essere degradate e distrutte dal consumo intensivo e sfrenato.
Peraltro se la continuità fisico- spaziale fosse elemento così strategico e strutturale per lo sviluppo, non si capirebbe perché la Calabria, pure saldamente attaccata al continente, continui a presentare, purtroppo, gli indicatori socio-economici peggiori d'Italia.
Dal punto di vista occupazionale, basta leggere bene lo stesso progetto: lì si ammette che con il ponte almeno metà degli addetti ai traghettamenti pubblici e privati sarebbero diventati esuberi. E dal punto di vista urbanistico, ambientale e paesaggistico, l'operazione sarebbe stata un disastro: basta confrontare il progetto con le Linee Guida del Piano Territoriale Paesistico Regionale e con gli strumenti urbanistici dei Comuni interessati. Si veda in proposito il rapporto dell'Ufficio tecnico del comune di Messina, preoccupatissimo per gli impedimenti che le attrezzature del Ponte avrebbero comportato rispetto a funzioni essenziali per la città. Laddove le città dello Stretto hanno bisogno di bloccare e riqualificare l'insediamento con operazioni "a grana fine" di ristrutturazione, ecofunzionale e tipomorfologica, si proponeva una megastruttura concepita per un'idea obsoleta di area dello Stretto che doveva puntare su grandi attrezzature e sui megapoli industriali di Milazzo, Gioia Tauro e Salina Jonica, mai realizzati. A fronte della riqualificazione sostenibile, l'attraversamento stabile rischiava di produrre inaccettabili scenari di megalopoli da quarto mondo.
I gravissimi problemi ambientali che la struttura avrebbe comportato, soprattutto su Ganzirri e Costa Viola, in un'area quasi totalmente tutelata, non sono stati neppure affrontati nel progetto: la commissione VIA del Ministero dell'Ambiente del precedente governo è stata messa sotto inchiesta per "falso ideologico" dalla Procura di Roma, per avere - sotto le pressioni dell'allora ministro delle Infrastrutture e dei vertici dell'Esecutivo - emesso parere, pure con moltissime prescrizioni, stralciando dai documenti ufficiali le osservazioni relative agli impatti più critici e irreversibili del progetto. Questo riguardava anche gli enormi problemi sismologici, che sembrano essersi accentuati con l'avanzare di ricerche ed esperienza.
Per quanto riguarda il paesaggio c'è ormai una letteratura di insigni paesaggisti, preoccupati della sfigurazione di una delle più grandi opere d'arte naturali della Terra: lo Stretto, che con la paratia trasversale di oltre 1200 metri quadri (costituita dal sistema pilastri-reticolare) avrebbe perso l'unità scenografica, trasformandosi in una baia, gravata da coppie di "Torri Gemelle", molto più alte delle massime alture esistenti in zona e da coacervi di svincoli e rampe.
Anche come simbolo, il progetto appariva vecchio: non a caso viene paragonato alla torre Eiffel (fine del Diciannovesimo secolo) e al Golden Gate, inaugurato nel 1938 agli albori della civiltà dell'auto, mezzo da cui, quasi un secolo dopo, dobbiamo tendere a liberarci. Sono icone di una modernità passata. Oggi sviluppo sostenibile significa high-tech e valorizzazione delle risorse ecologiche, proprio quelle che il Ponte avrebbe negato nello Stretto.
Infine va ricordato che di recente un gruppo di tecnici, accademici - diversi già componenti del Consiglio Superiore dei Lavori pubblici - si sono soffermati sugli aspetti della costruibilità. Il rapporto finale ha rappresentato l'ennesima bocciatura del progetto: «Esistono nel progetto di massima una trentina di parametri scoperti (compresi quelli sismologici), di cui almeno la metà insormontabili».
Il Sud ha bisogno di altro.
*docente a Firenze
presso la Facoltà
di Architettura,
coordinatore
delle ricerche
universitarie
sugli impatti
del progetto del
Ponte sullo Stretto

 
 
 
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