Creato da gccalabria il 09/10/2007

GIOVANI COMUNIST*

Il blog delle/i Giovani Comuniste/i della Calabria

 

 

OMICIDIO CONGIUSTA!

Post n°35 pubblicato il 04 Gennaio 2008 da gccalabria

La mancata costituzione di parte civile del comune di Siderno nel processo per l’omicidio di Gianluca Congiusta ci ha profondamente indignato. È scandaloso che l’ente nel quale si è consumato il terribile delitto non si senta colpito. Le giustificazioni adottate dal sindaco non giustificano l’ingiustificabile. La regione Calabria si è costituita parte civile e altrettanto la coraggiosa associazione “Insieme si può”. Solo il comune di Siderno ha ritenuto di non essere stato leso da un omicidio di ‘ndrangheta consumato sul suo stesso territorio. L’idea del sindaco Figliomeni, infine, di querelare un quotidiano calabrese e il suo direttore, colpevoli di non avere taciuto ma di avere sottolineato l’incredibile scelta del comune di Siderno, ci lascia sbigottiti. Ci chiediamo quale concezione di “libertà di stampa” abbia l’amministrazione comunale di Siderno.

Invece di querelare i presunti mafiosi si denunciano i giornalisti!

Per chiedere che vengano modificati gli statuti comunali nel senso di prevedere, in casi come quello dell’omicidio Congiusta, l’obbligo per i comuni di costituirsi parte civile, è sorto il Comitato spontaneo per il diritto alla Vita, alla Libertà e alla Giustizia, che sta raccogliendo le sottoscrizioni sul sito http://www.petitiononline.com/CostCivi/petition.html

Le/i Giovani Comuniste/i calabresi aderiscono alla battaglia, firmeranno e inviteranno a firmare l’appello del comitato, affinchè la vergogna di Siderno non si ripeta mai più in Calabria!

 

 

Il Portavoce delle/i Giovani Comuniste/i

Giovanni Maiolo

 
 
 

INTERROGAZIONE SULLA LAUREA IN SCIENZE POLITICHE

Post n°34 pubblicato il 03 Gennaio 2008 da gccalabria

Interrogazioni a risposta scritta:

MIGLIORE e DE SIMONE. - Al Ministro della pubblica istruzione, al Ministro dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
è in atto da tempo una dannosa campagna di svalutazione della laurea in Scienze Politiche. La conferma la si può trovare nel dettato della norma contenuta nel decreto ministeriale 231/1997 e nel decreto ministeriale 39/98, i quali stabiliscono che possono accedere all'insegnamento solo coloro che hanno conseguito la laurea in Scienze Politiche entro l'Anno Accademico 2000/2001, escludendo dalla professione di insegnante tutti gli studenti che si sono laureati successivamente, siano essi del vecchio o del nuovo ordinamento. E qui il discorso va distinto in base ai due ordinamenti;
nei confronti dei laureati in Scienze Politiche del vecchio ordinamento si è prodotta una forte discriminazione, contraddicendo quanto previsto dall'articolo 3 della Carta costituzionale;
accade, infatti, che a parità di condizione dello studente, appartenenza allo stesso ordinamento e con il medesimo piano di studi, si ha un differente trattamento da parte della legge;
inoltre, i ragazzi che nel 1997 si immatricolavano al corso di laurea in Scienze Politiche sono stati tratti in inganno dato che al momento dell'iscrizione, nelle guide universitarie del 1997 e anni successivi, tra gli sbocchi professionali per i laureati in Scienze Politiche, veniva ancora indicato l'insegnamento;
risulta all'interrogante che nella guida all'Università del Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica anno 2000-2001 (anno dello sbarramento) alla pagina 228 è inserita la possibilità di insegnamento nelle scuole secondarie tra le professioni a cui potevano accedere i laureati in Scienze Politiche. In questo modo molti studenti dopo il 1997 hanno continuato ad iscriversi alla facoltà di Scienze Politiche con la convinzione, confortata da quanto scritto nelle guide ufficiali, che tra gli sbocchi professionali ci fosse anche l'accesso all'insegnamento secondario;
è molto delicata la situazione di tutti quegli studenti che si sono iscritti a Scienze Politiche prima dell'emanazione della norma ma che, essendosi laureati successivamente all'anno accademico 2000/2001, ne hanno subito gli effetti. La lesione del diritto di queste persone, in tal caso, è ancora più evidente dato che, nel caso concreto, non si può parlare di ignorantia legis;
il discorso è diverso per quel che riguarda i laureati in Scienze Politiche del nuovo ordinamento. Qui si tratta di una questione di principio, e, infatti, non si capisce su quali basi si decida di escluderli dalla professione di insegnante. Il percorso curriculare, sostenuto da un laureato in Scienze Politiche, è tale da metterlo nelle condizioni di essere preparato e capace di insegnare ai ragazzi delle scuole medie superiori determinate materie, quali Diritto, Economia o Sociologia;
un gruppo di Dottori in Scienze Politiche, di tutta Italia, stanchi di vedersi limitato il proprio diritto al lavoro, con la conseguente frustrazione di essere considerati come una categoria di laureati di serie B, ha dato vita al «Comitato Scienze Politiche» e lanciato una petizione on-line per portare avanti una battaglia in difesa dei propri diritti;
il 2 luglio 2007 la Conferenza dei Presidi di Scienze Politiche, ha deliberato l'invio di una lettera, a firma del Presidente Prof. Luigi Moccia ed indirizzata al Ministero dell'Istruzione e al Ministero dell'Università, nella quale si chiede il ripristino della legalità ed il rispetto dei diritti di tutti i laureati in Scienze Politiche -:

se sia a conoscenza della situazione descritta in premessa;                                                             quali provvedimenti si intendano mettere in atto affinché vengano rispettati, senza distinzione alcuna, i diritti dei laureati in Scienze Politiche e affinché venga ripristinata, per questa via, una situazione di regolarità.
(4-05988)

 
 
 

LA LOCRIDE è UN TERRITORIO OCCUPATO

Post n°33 pubblicato il 06 Dicembre 2007 da gccalabria

L’ennesimo episodio di violenza criminale verificatosi a Monasterace è l’ulteriore testimonianza di una Calabria territorio occupato dalle cosche della ‘ndrangheta e dalla criminalità organizzata, che elegge le amministrazioni comunali consenzienti (vedi Seminara) e osteggia con minacce e violenze quelle che provano, come nel caso di Monasterace, ad amministrare nella legalità e nella trasparenza.

Nella Locride poi esiste un vero e proprio stato di occupazione. Lo stato si materializza solamente nella presenza delle caserme dei carabinieri, ma la realtà è che appena si prova a imporre logiche di legalità e di rispetto per il bene collettivo gli amministratori vengono fatti oggetto di “attenzioni particolari”.

La libertà di fare politica è seriamente messa in discussione, come la libertà individuale. Possiamo raccontarci tutte le balle che vogliamo, questa è la realtà e dobbiamo esserne consapevoli. La ‘ndrangheta opprime la Calabria e la Locride in particolare e ne impedisce lo sviluppo.

Non posso che esprimere solidarietà a tutta l’amministrazione di Monasterace e in particolare ai due assessori colpiti direttamente da parte delle/i Giovani Comuniste/i calabresi.

 

 

 

Il Portavoce delle/i Giovani Comuniste/i

Giovanni Maiolo

 
 
 

CALABRIA: LOTTE AMBIENTALI

Post n°32 pubblicato il 29 Novembre 2007 da gccalabria

SOSTEGNO ALLE LOTTE DELLA PIANA DI GIOIA TAURO E DI CROTONE

 

Sembra proprio che l’ambiente calabrese debba necessariamente venire devastato, in un modo o nell’altro. La Calabria è vista esclusivamente come terra di conquista, come luogo dove cementificare indiscriminatamente, dove bruciare i rifiuti, senza preoccuparsi della salute delle persone e della tutela ambientale.

Negli ultimi anni ci siamo dovuti difendere prima dallo scempio del Ponte sullo Stretto e poi dal mostro di Europaradiso. Oggi dobbiamo opporci al disastro che si vuole produrre sulla Piana di Gioia Tauro, dove in un lembo di terra si intendono realizzare un’infinità di impianti deleteri, e al raddoppio della discarica di Columbra a Crotone.

Ma non sono solo queste le zone a rischio.

Il piano dei rifiuti della Regione Calabria segnala la questione rifiuti come grave emergenza e propone come soluzione l’apertura e l’ampliamento di moltissime discariche. 15 in provincia di Cosenza, 3 a Crotone, 3 a Catanzaro, a Vibo si passerà da zero a tre discariche, nel reggino oltre all’ampliamento di quelle esistenti ne sono previste altre 3. Una situazione fuori controllo. È evidente che esiste un grosso problema sul tema rifiuti e che le nostre critiche a questo irrazionale e devastante modello di sviluppo fondato sul consumismo più sfrenato trovano fondamento e conferma.

Continueremo a produrre rifiuti in maniera incontrollata fino a quando non si ridurranno i consumi, incentivando la raccolta differenziata (e alcune società che dovrebbero promuoverla non lo fanno per non ridurre i loro profitti, come nel caso di Locride Ambiente) e promuovendo il riciclaggio invece di gettare tutto in discarica. Ma per farlo è necessaria una diffusa educazione ambientale che dovrebbe partire dalle scuole per fare adottare comportamenti meno consumistici e più compatibili, privilegiando ad esempio merci con imballaggi ridotti.

Si dovrebbe sostituire la plastica con bioplastica (ricavata dall’amido del mais) che è completamente biodegradabile. Si potrebbero usare i detersivi (e non solo) “alla spina”, anziché gettare il contenitore lo si dovrebbe ricaricare nei supermercati.

Ma invece di puntare su questo si pensa alla costruzione di nuove discariche e al raddoppio dell’inceneritore di Gioia Tauro. Le popolazione locali si ribellano, a Crotone con lo sciopero della fame e la manifestazione del 15 dicembre promossa dal movimento “No Discarica” che chiede il rispetto del principio di autosufficienza e del principio di prossimità così come stabilito dal Decreto Legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Legge Ronchi), nella Piana con la manifestazione del 22 dicembre. Ad entrambi questi appuntamenti le/i Giovani Comunist* calabresi parteciperanno attivamente, a difesa del diritto alla salute e per la tutela dell’ambiente.

Faremo sentire la nostra voce su queste battaglie e la nostra presenza in piazza.

 

 

 

Il Portavoce delle/i Giovani Comuniste/i

Giovanni Maiolo

 
 
 

VERGOGNOSO VOTO DI UDEUR E IDV!

Post n°31 pubblicato il 30 Ottobre 2007 da gccalabria

COORDINAMENTO REGIONALE - CALABRIA

 

 

COMUNICATO STAMPA

 

 

OGGETTO: GRAVISSIMO COMPORTAMENTI DI IDV E UDEUR

 

L’Unione non rispetta il programma elettorale. Sui fatti di Genova del luglio 2001, in  occasione della riunione del G8, quando furono sospese le garanzie costituzionali e massacrati centinaia di manifestanti per le strade e nella scuola Diaz e furono molteplici le torture a Bolzaneto non si vuole arrivare alla verità.

Il partito di Mastella, il ministro inquisito che chiede il trasferimento per i giudici scomodi che indagano su di lui, e quello di Di Pietro, che ha regalato alla destra De Gregorio e la Commissione Difesa, hanno votato insieme alle destre impedendo alla Commissione Affari Costituzionali di approvare favorevolmente la proposta di istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta su Genova.

Lo riteniamo un fatto gravissimo. Abbiamo dato la fiducia a questo governo su un programma elettorale preciso e ne pretendiamo il rispetto.

Vogliamo la verità sui massacri di Genova, affinché non accada mai più che si muoia e si venga picchiati e torturati per una manifestazione. Finchè non si farà luce sui disegni che si nascondono dietro Genova vivremo in una democrazia dimezzata.

Il voto di Udeur e Italia dei Valori dimostra che esiste un interesse trasversale agli schieramenti per non arrivare alla verità.

Esprimiamo indignazione e chiediamo a gran voce l’intervento del Presidente del Consiglio affinché si rispetti il programma elettorale.

 

 

Il Portavoce delle/i Giovani Comuniste/i

Giovanni Maiolo

 

 
 
 

28 Ottobre 2007

Post n°30 pubblicato il 28 Ottobre 2007 da gccalabria

Ho saputo da internet che vicino a casa mia, a Roccella Jonica, sono sbarcati dei clandestini. Succede spesso da queste parti. Ma questa volta è stato diverso, l’avventura in mare di circa 150 persone è divenuta tragedia. La carretta del mare si è spezzata. Hanno trovato già sette corpi senza vita. Due li hanno recuperati sulla spiaggia di Gioiosa Jonica, qualche kilometro più a sud.

Ho deciso di andare a vedere cosa è successo, per capire. Ma non c’è niente da capire.

Ho parcheggiato sulla statale 106 il mio pandino amaranto, ho scavalcato il guardrail, ho superato i binari della ferrovia e mi sono trovato sulla spiaggia. Il relitto è lì, poggiato sulla sabbia e battuto dalle onde. Diviso. Spezzato. La cabina è staccata dal resto. La prua anche. Il mare mosso e il cielo grigio incupiscono l’animo, come la vista della carcassa. Legno ovunque, per centinaia di metri. E oggetti. Bottiglie di olio, fusti di olio per motore, una scatola di succo di frutta, scarpe. Decine e decine di scarpe e ciabatte sono sparse lungo la costa. Vestiti.

Loro, i clandestini sopravvissuti, non ci sono già più, sono stati portati via. Qualcuno è in ospedale per essere curato. Sono palestinesi. Sbarcati a Roccella, a 5 km da Caulonia, il paese di Angelo Frammartino. Un italiano andato a morire in Palestina. Loro, palestinesi, invece sono venuti a morire in Italia.

Su una tavola qualche anima buona ha lasciato un mazzo di fiori bianchi, che spuntano come un miraggio all’improvviso in mezzo ai resti. È impossibile non commuoversi. Si respira dolore e salsedine, panico e impotenza. Sul biglietto c’è scritto “Il vostro coraggio è per noi memoria”.

Ma io non credo che si trattasse di coraggiosi. E non credo neanche che di questa ennesima tragedia resterà memoria, se non nelle menti di quelli scampati all’orrore. È solo una cattiva notizia al Tg dell’ora di pranzo. Il servizio successivo parla già di altro. Domani non se ne parlerà più.

Di immigrazione si continua a morire, in Italia si continua ad arrivare da clandestini, e a morire da clandestini, nel buio della notte col mare in tempesta, quando nessuno può osservare. Quando nessuno può vedere.

Esseri umani ammucchiati come bestie sono morti in mare a 5 kilometri da casa mia, mentre dormivo al caldo. Non capisco, non riesco a capire. Pare che abbiano pagato 1500 euro a testa ai trafficanti di uomini. Per finire in Italia, qualcuno a morire, gli altri probabilmente per essere rimpatriati. Non ha senso. Non ha senso un sistema in cui le merci possono attraversare liberamente le frontiere ma gli uomini devono rischiare la vita per superare una linea segnata su una cartina. Non ha senso che accada nel 2007. Non ha senso che si muoia così…

I cadaveri sono stati portati via. I sopravvissuti, compreso un bambino di dieci anni, sono stati portati via. La carcassa della carretta sparirà. E la prossima estate torneremo a fare il bagno su quella spiaggia, a cercare sollievo dal sole calabrese. E forse solo qualcuno rivolgerà un pensiero a quelli che proprio lì, in una notte di burrasca, hanno perso la vita in mare. Gli altri continueranno ignari di tutto a godere il mare d’estate. Perché la vita continua. Ma non se sei palestinese e muori in terra straniera ucciso dalle onde e dalla clandestinità.

 

Giovanni Maiolo

Ragazzo

Portavoce regionale Gc

Cittadino di un mondo di merda

 
 
 

TRATTO DA LIBERAZIONE

Post n°29 pubblicato il 25 Ottobre 2007 da gccalabria

CASO DE MAGISTRIS – NON POSSONO ESISTERE CASTE INTOCCABILI

 

La Calabria vive da tempo una situazione di emergenza democratica.

La pervasività della ‘ndrangheta, alleata del potere politico e favorita da settori deviati della massoneria, continua a tenere sotto scacco un’intera regione, le sue speranze di rinascita, di crescita. Da queste parti si respira la potenza della criminalità organizzata, si percepisce l’arroganza di certa politica che utilizza la cosa pubblica per gli affari privati. Qui tutti sanno che se vogliono lavorare devono rivolgersi ai politici di turno, spesso referenti delle cosche. E lavorare, in una terra con i tassi di disoccupazione della Calabria, vuol dire riuscire a sopravvivere. Ma è comunque difficile resistere in questa terra martoriata, tra il sangue versato dai tantissimi omicidi che colorano macabramente di rosso le strade dei nostri paesi, tra le lacrime delle donne che vivono ancora oggi troppo spesso una situazione di sottomissione a logiche patriarcali, in realtà sociali di assoluto degrado in cui spadroneggiano gli uomini delle ‘ndrine.

E di fronte a tutto questo sale naturale la rabbia, e ti acceca di fronte all’arroganza del potere che si manifesta col volto dell’impunità assoluta.

Per questo i calabresi si sono schierati a favore di De Magistris e contro la sfrontatezza della politica che si intromette negli affari della magistratura. Per questo si è levato l’urlo collettivo in difesa del magistrato che con le sue inchieste mette sotto accusa la classe politica. In una realtà in cui nessuno riesce a spezzare le catene della sottomissione al giogo politico-‘ndranghetistico chi ci prova assume le fattezze dell’eroe, di colui che comunque ci prova, ed ha i mezzi per farlo.

E lo scontro, agli occhi dei cittadini, diventa netto, si radicalizza: da un lato la politica che pretende l’impunità, dall’altro la magistratura e si sta da una parte sola. E nessuno ha scelto la politica.

E in questo clima di sfiducia totale verso le istituzioni politiche ha vita facile l’antipolitica, che trova nuova linfa per crescere e riesce ad aprirsi nuovi spazi nella mente delle persone stanche di tollerare soprusi. È la politica arrogante che produce e alimenta la sfiducia.

Per questa ragione il magistrato di Catanzaro è diventato l’emblema della Calabria che non ci sta, che si ribella, che cerca disperatamente il cambiamento.

Le/i Giovani Comunist* stanno con quella Calabria sana che vuole spezzare le catene ma siamo consapevoli della necessità di non creare miti, fuggiamo dalla logica degli eroi. Nessuno, da solo, può riuscire a scalfire un sistema così ben collaudato e potente, capace di piegare e, quando serve, di eliminare senza troppo scrupoli.

Quello che serve è uno sforzo collettivo dei calabresi.

Da queste parti siamo abituati ad aspettare eternamente, nella speranza che la salvezza ci arrivi dall’esterno. Ma il cambiamento si produce solo quando ci si mobilita in prima persona e insieme agli altri in uno sforzo collettivo, e non quando ci si affida alla provvidenza, né quella divina né quella del clero, visto che i nomi di importanti vescovi calabresi paladini dell’antimafia risultano essere tra coloro che raccomandavano agli indagati dell’inchiesta “Why Not” di fare lavorare persone da loro segnalate (come si è potuto osservare ieri sera su RaiTre a Report).

La democrazia si fonda sulla divisione dei poteri, tra i quali non devono esserci interferenze. Nessuno dei poteri dello Stato può invadere i campi dell’altro. Eppure è successo a causa di leggi che vanno cambiate. La politica non deve interferire con l’operato della magistratura, che deve essere libera di indagare tutti. Non devono esistere caste intoccabili, non devono esserci, di fronte alla legge, i “più uguali degli altri”.

Per questo manifestiamo indignazione per quanto sta avvenendo. Se a farlo fosse stato il governo Berlusconi il centro sinistra avrebbe urlato al golpe, ora invece tollera supinamente gli atti del Ministro della Giustizia. Non possono esserci due pesi e due misure, la Calabria non può permetterselo.

Lasciate indagare la magistratura, lasciatela mettere sotto accusa anche la classe politica, poi saranno i processi a stabilire la verità, la colpevolezza e l’innocenza degli indagati. Non possono esserci direzioni verso cui non si può indagare. Ne va dell’indipendenza della magistratura. Ne va della fiducia dei cittadini verso le istituzioni.

 

 

 

 

Il Portavoce delle/i Giovani Comuniste/i

Giovanni Maiolo

 
 
 

L'INTERVENTO DI MICHELE DE PALMA ALL'INCONTRO CON LOIERO SULLA VERIFICA REGIONALE

Post n°28 pubblicato il 15 Ottobre 2007 da gccalabria

Intervento di Michele De Palma - segreteria nazionale Prc

Per una svolta in Calabria.

La crisi del rapporto tra cittadini e politica in Calabria pone a tutta l’Unione e a noi stessi un problema di fondo: la fiducia. Fiducia è parola importante in una terra permeata dalla criminalità organizzata in cui cittadini,sindacalisti, amministratori sono minacciati ogni giorno. A tutti noi spetta il compito di solidarizzare con loro e di far conseguire atti che incoraggino la rottura del sistema. Il Prc con tutta la sinistra calabrese ha responsabilità enormi, anche per il ruolo di governo che ricopre a più livelli. C’è bisogno di ripartire dalla coerenza tra programma e azione di governo, tra parole e fatti. Gli antidoti alla corruzione e alla permeabilità di ampi settori della politica e dell’economia alle culture mafiose risiede nella lotta per la riaffermazione dei diritti contro i favori, della dignità contro la prevaricazione, insomma dobbiamo dare seguito alle richieste avanzate in due distinte manifestazioni: quella di Polistena e di Catanzaro, organizzate rispettivamente da Libera e dalle confederazioni sindacali.

La Calabria non può essere separata da una nuova questione meridionale. Il sud sembra essere diventato invisibile e le risorse vengono trasferite per le infrastrutture nel nord. Caso emblematico è quello del ponte sullo stretto, dopo una giusta battaglia è giunta la decisione di non costruirlo, ma le risorse sono state usate per altre opere pubbliche nel nord.

È nostra responsabilità metterci al servizio della società meridionale e della società civile calabrese: ascoltare e organizzare la domanda di diritti, legalità e disobbedienza alle leggi consuetudinarie della ‘ndrangheta e di tutti i poteri che espropriano i cittadini della democrazia.

Il miglioramento delle condizioni di vita dei calabresi dipende da molti fattori, primo fra tutti il lavoro. Lavoro deve essere senza successive qualificazioni (nero, determinato, ecc) che squalifica la politica e il sistema delle imprese. Lavoro materiale e immateriale utile a mettere a valore natura e paesaggio. Lavoro che investe braccia e testa del popolo calabrese alla ricerca di una dignità negata dalle classi dirigenti. Energia pulita, riassetto del territorio e del patrimonio idrico, distruzione degli ecomostri sono solo alcuni interventi di un piano straordinario utile a occupare giovani in partenza verso le regioni del nord. Far tornare i giovani specializzati altrove è utile a riqualificare la vita pubblica, far crescere la ricerca delle università, riqualificare l’amministrazione dello stato, far crescere le imprese che rispettano il lavoro e l’ambiente.

L’irresponsabilità della politica sempre più autocentrata e incapace di governare deve scegliere atti di discontinuità rispetto al passato. L’Unione deve ritornare ad avere una credibilità che oggi sembra persa. C’è bisogno di cominciare dalla rappresentanza, senza alimentare populismo utile alle destre, bisogna puntare a un cambiamento delle classi dirigenti attraverso atti concreti. Un programma di riforma della politica che affronti la “questione morale”. Il Prc insieme a tutti i partiti, le associazioni, i sindacati, la società civile, si fa promotore dell’elaborazione di un “codice etico” per gli eletti e i nominati nella pubblica amministrazione a tutti i livelli (dai consigli di circoscrizione alla giunta regionale), che impone a tutti gli eletti che dovessero essere rinviati a giudizio per reati di mafia, di voto di scambio, contro la pubblica amministrazione, corruzione e concussione, le immediate dimissioni dall’incarico e l’incandidabilità.

Quello che chiediamo è una scelta d’autoregolamentazione, una scelta etica che ponga le premesse per un rilancio della dignità pubblica della politica come possibilità di cambiare le condizioni di vita delle cittadine e dei cittadini.

Proponiamo un secondo atto di svolta: rilanciamo la proposta di una commissione etica e di trasparenza sui fondi strutturali europei. I dati che ci sono offerti dalle inchieste di questi anni da magistratura e forze dell’ordine ci consegnano un quadro drammatico di sperpero delle risorse. Clientele, lavori incompiuti, sfruttamento dei lavoratori, devastazione del territorio, sono solo alcuni dei risultati raggiunti dalla pioggia di denaro europeo e statale giunti in Calabria.

Il rapporto Svimez ci offre dati freddi che inchiodano i governi regionali a responsabilità gravi, incapacità di programmazione, controllo e sviluppo degli obiettivi. Dal ’07 al ’13 saranno investiti in Calabria 9 miliardi di euro che devono inderogabilmente servire a far crescere il lavoro a tempo indeterminato. E’ per questo motivo che riteniamo utile una “commissione etica regionale” con pieni poteri di controllo e indirizzo da affiancare alle autorità di gestione e controllo già previste dalla legge. Una commissione di donne e uomini di “buona volontà” (a prestazione gratuita) con una disponibilità di mezzi e risorse per compiere il loro lavoro. Le persone facenti parte della commissione devono rispondere a caratteristiche precise. Magistrati, sindacalisti, docenti universitari, donne e uomini delle forze dell’ordine e delle associazioni di volontariato, che ristabiliscano fiducia, partecipazione e coerenza tra la politica e i cittadini.

Codice e commissione etica sono la premessa alla svolta di cui c’è bisogno in Calabria per noi e per tutta l’unione, se fossi indagato io per reati di quel tipo mi dimetterei. Oggi dobbiamo avviare una rivoluzione morale. La politica deve ritornare ad essere dei cittadini. Codice e commissione devono essere la premessa ad essere parte del governo del territorio che ridoni alle persone la possibilità di poter decidere della propria terra e vita.

A chi ci chiede come possiamo essere al governo e lottare contemporaneamente rispondiamo con le parole di Pio La Torre “solo un grande movimento di popolo, opinione e cultura può sconfiggere la mafia”. Così pensiamo anche noi. Questa verifica vogliamo condividerla con tutti i partiti della sinistra, ma ancora più importante è la partecipazione di tutti coloro che vorranno esserci e la sua chiusura dipende dalle scelte che il presidente Loiero vorrà prendere. Abbiamo bisogno di una svolta; commissione e codice sono le premesse alla nostra presenza nella giunta.

   

 
 
 

RIFLESSIONE POST 12 OTTOBRE

Post n°27 pubblicato il 15 Ottobre 2007 da gccalabria

di Domenico Ragozzino*

Non è l’ora X invocata dal ministro Fioroni, quella degli esami di riparazione, e non aspetterà il fatidico 31 agosto per entrare in vigore.
L’ora X è già qui, nell’aria delle scuole, nei visi preoccupati, stupiti ed arrabbiati degli studenti, nelle assemblee che si moltiplicano irrompendo nel tempo e nella routine.
L’autunno è cominciato, venerdi’ 12 ottobre le oltre 100 manifestazioni studentesche in tutta Italia sono state il prologo di una stagione che vogliamo rimetta al centro dell’agenda politica l’accesso ai saperi come un diritto di cittadinanza e la necessità di una riforma organica e partecipata della scuola e dell’ università.

Il decreto sugli esami di riparazione, deciso nel chiuso di una stanza ed annunciato con una conferenza stampa, è soltanto l’ ultimo provvedimento voluto dal ministro Fioroni, che senza nessun confronto e senza nessuna consultazione è stato imposto nel corso dell’ anno accademico.
Tanta  retorica in un provvedimento che riporta nel passato la scuola italiana. Un provvedimento che, pur tra le invocazioni all’autorità ed alla severità, non risolve i problemi dei corsi di recupero, del modo perverso con cui vengono organizzati, dell’ assenza di finanziamenti straordinari per la formazione, che viene, invece, gestita  dalle scuole e dagli enti privati. Enti privati che, dal canto loro, soffrono di uno strutturale conflitto di interessi, mentre garantiscono la formazione ed il recupero hanno la possibilità di interferire attraverso i consigli di amministrazione nelle scelte didattiche e nel organizzazione dello studio. Gramsci diceva che la cultura della destra è impregnata di mercato e di profitto ma la sinistra o basa la sua politica sulla cultura e la conoscenza o rischia di rincorrere le destre sui suoi temi.
E’ per una chiara inversione di tendenza del governo che continueremo ad essere nelle piazze. Per questo lo sciopero studentesco non può avere fine il 12 ottobre, ma deve diffondersi nelle scuole e nelle facoltà, estendersi nella consapevolezza ed alla partecipazione di ogni student*, attraversare la manifestazione del 20 ottobre contro la precarietà  con uno spezzone del mondo della conoscenza e quella del 17 novembre per la liberazione dei saperi.
 Abrogare la riforma Moratti e l’ alternanza scuola lavoro, investire nella scuola pubblica, nel diritto allo studio, nell’edilizia scolastica, in un reddito per tutti i soggetti in formazione: questo è il mandato che ha ricevuto il ministro Fioroni, questa la domanda di cambiamento che ha abitato i territori della formazione negli anni dell’opposizione alla Moratti, questa l’ unica strategia per garantire una scuola inclusiva per tutti.
Oggi bisogna tradurre questa presa di parola collettiva in un progetto politico, in un modello di formazione della sinistra. E’ con questa ambizione ha preso vita il progetto politico di student*sX il network nazionale studentesco che a Roma in un assemblea nazionale ha rimesso in connessione collettivi e reti di studenti di sinistra, per rilanciare le prospettive dell’ autunno, per autoconvocare gli stati generali della conoscenza come unico luogo legittimato a scrivere un nuovo modello di formazione.
E’ di questo che abbiamo bisogno. La politica delle piccole riforme, del “cacciavite” non offre risposte adeguate alla crisi sociale in cui versa la nostra generazione, ai disastri prodotti dalla Moratti. Infatti la scuola e le università sono i luoghi dove nasce e si sviluppa la democrazia, la coscienza critica, dove si introiettano gli strumenti di elaborazione, di un interpretazione individuale e collettiva della realtà. Nei tanti sud del nostro paese, nelle periferie, i templi del sapere rappresentano un microcosmo di ricomposizione sociale, dove si materializzano e prendono vita le contraddizioni, le solitudini, le violenze, i mille volti della precarietà che accompagnano la condizione giovanile. La nostra generazione vive una crisi profonda, un intero anno scolastico è stato raccontato dalla crudezza della cronaca nera, bullismo, omofobia, overdose e suicidi senza che la politica oltre a scandalizzarsi, montare telecamere ed affidare la sicurezza a poliziotti in borghese ed a provvedimenti disciplinari sia intervenuta. Noi nella nostra parzialità vogliamo partire dalle aule autogestite,dalle scuole dell’ antimafia sociale, spazi pubblici aperti nel pomeriggio ai territori consapevoli che nessun CEPU e nessun ente privato potranno offrire un alternativa.

* Resp. nazionale studenti G.C.

 
 
 

CALABRIA: RELAZIONE INFRASTRUTTURE-SVILUPPO

Post n°26 pubblicato il 15 Ottobre 2007 da gccalabria

Domenico Cersosimo*
Infrastrutture. L'oggetto più caldo della retorica dell'annuncio. Per anni, governanti e progettisti, hanno provato a scaldare gli animi dei calabresi e dei siciliani con il Ponte sullo Stretto. Migliaia di lavoratori coinvolti, rapidità di collegamenti, opera strategica del Mediterraneo, simbolo della creatività e dell'operosità italica: una ridondanza stucchevole di benefici presunti. Un grande tutto. Poi, di colpo, un grande niente. Basta Ponte. Addio alla grandeur. Oggi siamo alla spartizione delle spoglie finanziarie. Poco più di un miliardo di euro ex Fintecna che il governo Prodi distribuisce a Calabria e Sicilia per realizzare liste più o meno lunghe di opere. Non più il grande Ponte ma tanti ponticelli. Non più un'opera di lunga gittata fisica e temporale, bensì una miriade di interventi di piccola e media scala dimensionale e, perdipiù, di impatto politico-mediatico una tantum. L'enfasi e le aspettative, rigorosamente bipartizan, sono alte. Riparte il ciclo di vita della visibilità, indipendentemente dalla qualità degli interventi, dalla loro utilità sociale, dai loro impatti economici, dai bisogni locali effettivi.
Infrastrutture, l'ossessione meridionale. La febbre del cemento non sembra abbassarsi. Neppure oggi che siamo sempre più immersi nella società della conoscenza e della dematerializzazione. Il cemento storicamente cementa interessi sociali ed economici disparati. Un vero e proprio partito, granitico, composito, radicato.
La credenza nelle infrastrutture come re Mida del benessere e dello sviluppo è più che mai viva. A destra e a sinistra. Al Nord e al Sud. Negli anni Cinquanta e negli anni Duemila. Un fascino irresistibile e persistente legato all'inossidabile refrain: "solo una dote consistente, pervasiva e crescente di capitale fisso sociale è in grado di generare crescita economica e ricchezza diffusa". Tutto semplice, lineare, meccanico. Strade, aeroporti, dighe, ferrovie, porti, autostrade come immutabili pre-requisiti dello sviluppo economico e civile. Mai il dubbio sull'esistenza di un vero e proprio "paradosso della dote". Sul fatto cioè che la connessione maggiore stock di infrastrutture uguale a maggiore sviluppo economico non sempre si verifica in concreto.
Intendiamoci. La presenza di un moderno sistema di infrastrutture e servizi pubblici contribuisce ad accrescere il livello di benessere della popolazione, nonché l'attrattività territoriale. La varietà e la qualità delle infrastrutture pubbliche agisce infatti sull'insieme delle senniane "capacitazioni", ossia sulla gamma di possibilità effettive che ci consento di vivere una vita compiuta e di perseguire ciò che riteniamo importante per la qualità della nostra esistenza. Analisi scientifiche ed evidenze empiriche mostrano tuttavia come il legame tra crescita della dotazione di infrastrutture e sviluppo diventi tendenzialmente meno robusto una volta raggiunto una soglia infrastrutturale soddisfacente. Nell'economia post-fordista, poi, potenzialità di sviluppo e competitività territoriale dipendono sempre più dalla presenza di asset immateriali specifici e difficilmente replicabili altrove. Il recente successo economico di alcune città orientali, come Bangalore in India, mostrano come la crescita di attività economiche e di ricerca avanzate possano aver luogo in contesti dove la dotazione di infrastrutture di base è drammaticamente carente. La Calabria, al contrario, pur potendo contare su uno stock infrastrutturale di tutto rispetto, è drammaticamente sottosviluppata.
Può accadere che investimenti in nuove opere pubbliche anziché accrescere il benessere collettivo lo riducano. Il Mezzogiorno e la Calabria conoscono bene questa lezione. Ospedali realizzati e mai entrati in funzione, strade avviate e mai completate, depuratori costruiti e non utilizzati, anfiteatri senza spettacoli non concorrono certamente a rafforzare il sistema produttivo locale tantomeno ad accrescere permanentemente la qualità della vita. Al contrario, molte volte la peggiorano perché distruggono paesaggi e ambienti naturali, sottraggono spazi pubblici per usi alternativi, assorbono ingenti risorse finanziarie.
Il potenziale di sviluppo incapsulato nelle opere pubbliche, per potersi manifestare compiutamente, necessita di adeguati contesti istituzionali, di sistemi imprenditoriali maturi, di visioni strategiche condivise e di congrue strutture di governance. Gli investimenti sono importanti, ma non bastano. Non sono sufficienti opere pubbliche in sé e neppure infrastrutture generiche, indifferenziate. Infrastrutture progettate e realizzate in solitudine implicano, di norma, bassi impatti sul contesto socio-istituzionale ed imprenditoriale, finendo per esaurirsi nei limitati effetti indotti legati alla fase di cantiere. D'altro canto, investimenti di carattere puntiforme non hanno la forza di modificare le aspettative delle imprese, tanto meno di migliorare significativamente la dotazione di beni pubblici locali, che rappresentano l'esoscheletro dello sviluppo economico e sociale. Né è sufficiente realizzare nuove opere: miglioramenti del benessere e della competitività locale possono essere perseguiti anche attraverso attività di manutenzione e di adeguamento del patrimonio infrastrutturale preesistente. E neppure basta concentrarsi nella realizzazione di grandi opere a discapito delle opere minori. In molti casi, infatti, la redditività socioeconomica media per unità di spesa è superiore nelle opere di modesto importo rispetto alle megaopere. Ciò che conta davvero è lo stretto coordinamento e la più intima complementarietà tra le opere programmate, l'equilibrio tra nuove infrastrutture e manutenzione-valorizzazione di quelle preesistenti, la capacità di legare ogni singolo intervento in una strategia unitaria. Le infrastrutture sono molto importanti se formano una rete infrastrutturale compatta e integrata, senza discontinuità funzionali e spaziali. Finito l'effetto annuncio, sarebbe opportuno che i policy makers riflettessero di più sulla scarsa linearità della relazione infrastrutture-sviluppo.
*professore di Economia regionale, Facoltà di Scienze politiche, Università della Calabria

 
 
 

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