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Buongiorno presidente
La situazione per la compagnia aerea di bandiera stava diventando critica. Il tricolore non avrebbe più contrassegnato gli aerei e il fallimento era vicino. I sindacati dei piloti e degli assistenti di volo, protestavano vivacemente, ma nessuno sapeva ancora l’esito della vicenda. Ogni giorno, una notizia nuova, ma il governo aveva l’asso nella manica. Una cordata, una bella cordata tra imprenditori, pensò Emma, mentre si trovava tra una fila e l’altra di posti come ogni giorno. Viaggiava da anni, lo stipendio, in fondo, non era male, ma sotto i piedi per quasi tutta la settimana, c’era un vuoto di molte centinaia di metri. A casa suo figlio l’attendeva, aveva cinque anni, sperava di poter stare con lui tutto il giorno quella domenica, salvo imprevisti. Imprevisti.
Tutti dovranno assumersi le proprie responsabilità, proprio tutti, non possiamo esser solo noi a rimetterci. In fondo è anche una questione di dignità.
buongiorno presidente - disse l’amministratore delegato della compagnia.
oh, che sorpresa! Pensavo giusto a te - rispose il presidente del consiglio. - Sai una cosa? Credo che i vari imprenditori siano d’accordo, in fondo non potevano mica rifiutare la nostra offerta, sarebbero degli stolti
no certo - rispose l’amministratore delegato – però mi preoccupano i sindacati, pensi che riusciranno ad accettare le nostre condizioni? –
il presidente del consiglio rise – ma credi forse se quattro zucconi possano rovinare tutto? Accetteranno una decurtazione di stipendio e taceranno, fidati.
Mmh, va bene, e la compagnia d’oltralpe?
Diciamo che gli accordi anche con loro verranno rispettati, un buon pacchetto coi fiocchi attende anche loro, non resteranno delusi.
Tutti contenti no? Certo CARO AMICO…
Emma atterrava alle 18,30. Guardava la gente che scendeva, prendeva i bagagli, parlava, rideva, si accalcava verso l’uscita. Ognuno con la propria storia e le proprie vicissitudini, e col proprio lavoro. Avrebbero rimesso i piedi per terra e si sarebbero diretti chissà dove. Lei no, lei era pronta per un altro viaggio. Lontano. No, non potevano trattarli così, i dirigenti e gli amministratori avrebbero accettato le loro condizioni, avrebbero capito che le loro rinunce servivano a qualcosa, in fondo E, se delle istituzioni come il Governo sono intervenute, sarà solo per il nostro interesse, o no?
Proprio il giorno dopo, due deputati, proposero un emendamento alla legge finanziaria in cui si chiedeva l’eliminazione di ogni respondabilitò per gli amministratori che col loro operato avessero prodotto il dissesto dei conti delle grandi aziende in crisi. Quando uscirono dall’aula, furono avvicinati da alcuni giornalisti.
perché questo emendamento? Fu la domanda.
Perché lo chiedete a noi? Noi siamo solo degli esecutori di un ordine superiore ISTITUZIONALE..
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Qualcosa sventola lontano
Era una giornata calda, non c’era vento, eppure una coltre di nubi copriva il cielo. Mariano IV giudice di arborea e Re di Sardegna procedeva con le sue truppe. Non ci sono giornate tanto decisive come quelle in cui un uomo e tutto ciò che rappresenta vengono messe in discussione, pensò il sovrano. La Sardegna, questa grande e nobile terra sarebbe diventata una nazione forte e rispettata. Basta con quegli insopportabili iberici, invadenti e arroganti, ci trattavano come una cosa loro. No, ora basta, io scaccerò questi stranieri insopportabili.
Dopo vari chilometri si ritrovarono in prossimità di Sanluri, cittadina piccola ma determinante in quello scacchiere bellico. La battaglia decisiva si sarebbe giocata lì, senza appelli, senza alternative. La bandiera con l’albero deradicato, simbolo degli Arborea sventolava orgogliosa, la nuova bandiera di tutti i sardi, ecco cosa sarebbe stata, l’avrebbe issata, dopo la vittoria finale, anche sul colle più alto di Cagliari: sulla basilica di Nostra Signora di Bonaria.
Percorrendo la polverosa strada alla testa dei suoi soldati, Mariano e i suoi salivano per una collina da cui potevano vedere il territorio circostante. Decise di fermarsi. Eccoli, maledetti, disse tra sè e sé. Gli iberici, che avanzavano, non sopportava che tra loro vi fossero anche dei sardi come lui, ma presto avrebbero capito, l’avrebbero seguito.
Il sole s’era affacciato dalle statiche nubi della giornata, proprio davanti a loro. Ad un certo punto guardò meglio in basso verso i nemici, e proprio in quell’istante il sole si nascose nuovamente. Vide sventolare una bandiera strana, mai vista prima, il simbolo degli invasori. “Che ridicolo pezzo di stoffa” disse all’ufficiale vicino a sé “non potrà mai essere il simbolo della nostra terra sarda” aggiunse commentando il loro simbolo, costituito da una croce rossa su sfondo bianco, con all’interno nient’altro che quattro teste di moro bendate.
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La vigilanza che non c’è
Camminava per il lungo corridoio verso la sede della commissione. La sua valigetta pesava più del solito. Si sentiva veramente esausto. Non era convinto che sarebbe stata una buona idea prorogare ancora le sedute, anche se poi non sapeva se fidarsi o meno del comportamento dei suoi colleghi, e dei presidenti delle due camere del parlamento.
Cosa avrebbe trovato, e soprattutto, chi? Già, un gruppo aveva deciso di non presentarsi alle riunioni, avevano preteso l’elezione di un altro candidato, espressione dell’opposizione, espressione del loro personale interesse, pensò.
E io? Deputato dell’opposizione eletto dalla maggioranza per irresponsabili puntigli e giochi di potere poco condivisibili. Buon lavoro, mi fu detto dal loro capogruppo, in fondo io ero stato eletto legittimamente e dovevo continuare. Ma la politica a quanto sembra è l’arte del compromesso: la maggioranza e l’opposizione sono come due donne capricciose, volubili e inaffidabili. In questi giorni è apparso un nuovo personaggio sulla scena. Ecco un nuovo candidato “più presentabile” perché proposto da entrambi queste “indomabili” donnicciole. E io? Non conto niente, in fondo. Mi dissero che a volte bisogna capire quando arriva il momento di farsi da parte, ripetevano. Ma io non sono il pagliaccio di turno, l’ho detto pure al segretario nazionale del mio partito prima di essere scacciato come un appestato, ma lui niente, dovevo dimettermi. Dimettermi? Perché io? Dimettiti tu, brutto stronzo, dimettetevi voi, voi e i vostri giochi, voi che siete capaci di usare la gente per i vostri fini e poi buttarli nel cesso…
Intanto si avvicinava alla porta di legno massiccio della commissione parlamentare. Arrivato lì davanti si trattenne un momento per riordinare le idee, cominciò a preoccuparsi non sentendo alcun rumore e immaginando che, con fredda calma, avrebbero sfoderato qualche oscura arma politica a lui ignota, almeno fino a quel momento.
Si fece coraggio ed entrò, ormai pronto ad affrontare qualsiasi cosa, persino loro.
Aprì la porta lentamente, e lo spettacolo che si presentò fu peggiore di quel che s’immaginava. Non c’era nessuno. “Ecco cos’è la politica”, disse ad alta voce: “niente”.
Non se ne andò, preso dallo sconforto per tanta insolenza e arroganza, si avviò lentamente verso il suo posto e, guardando i posti vuoti dei suoi esimi “colleghi”, si sedette. Ora può succedere davvero di tutto, hanno deciso tutti quanti, di farmi fuori.
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Volevo fare l’astronauta
- Qui stazione orbitante, siete collegati Houston…?
- Si comandante
- Bene, vorremmo dirvi che tutto va bene a parte il piccolo dettaglio: il serbatoio principale di - - carburante che rischia di esplodere per un eventuale corto circuito a causa del pezzo di ricambio difettoso…
Ma questo è nulla se paragonato alla fame nel mondo no? A voi Houston…
certo provvederemo al più presto comandante, abbiamo solo inviato con la navicella C65 un pezzo compatibile solo per modelli di tipo diverso.
Capisco, spero che prima dell’invio del pezzo non sia stato colonizzato un altro pianeta in nostra assenza…
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NON FAREMO PRIGIONIERI
Il generale Flavio Ezio si trovava alla testa dei suoi soldati che avanzavano, in sella al suo cavallo. Osservava l'orizzonte attentamente e sapeva che lì, da qualche parte, si trovavano gli Unni, pronti ad aggredirli in qualsiasi momento.
gli unici rumori che si potevano udire in quella vasta pianura erano
lo scalpitìo degli zoccoli dei cavalli
e i passi dei soldati.
Ad un tratto si voltò indietro a guardarli mentre marciavano,
tutto ciò che stava alle loro spalle era l'impero
la civiltà,
il diritto...
in una parola
Roma,
mentre tutto quello che si trovava dinanzi
era la barbarie,
la decadenza
e l'inciviltà...
il flagello di Dio stava per abbattersi nuovamente su di loro,
sui difensori di Roma e dei suoi popoli.
Non dovevano permetterlo.
Bisognava impedire che il risultato dei tanti secoli di progresso
venisse distrutto da un'orda di selvaggi
venuti da chissà dove.
No, pensò, non succederà,
saremo pronti a tutto per impedirlo.
Improvvisamente, si ricordò di un fatto avvenuto qualche tempo fa.
Era in corso una battaglia contro i Visigoti,
intorno a lui, nel luogo dello scontro,
il rumore provocato dagli urti violenti delle spade e degli scudi
era quasi assordante.
La sua spada era stata conficcata, dopo una estenuante lotta, nell'addome del re di quel popolo barbaro.
Il resto avvenne rapidamente.
Solo istanti.
Il suo sguardo si fissò su Ezio Flavio e quegli occhi erano ancora capaci
di esprimere un odio immenso ma,
mentre si accasciava a terra,
e le forze se ne andavano,
il biondo sovrano barbaro ormai morente
riuscì a trovare la forza per pronunciare
un'ultima frase:" se vinceremo" disse con la voce che si
affievoliva sempre più
" NON FAREMO PRIGIONIERI"
in quel momento, il comandante romano, non percepì il reale significato di quella frase.
Successivamente, ripensandoci
si pose degli interrogativi:
Perchè questa gente ci odia e vuole distruggerci?
pensò il generale
cosa vogliono da noi?
cosa può spingere un uomo in fin di vita a desiderare la distruzione
di un altro uomo che difende la sua civiltà?
secoli e secoli di civiltà,
mille anni di gloria...
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