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Un blog creato da nathanien il 01/02/2010

AFFACCIATI AL MONDO

...e guardarsi intorno...

 
 

IO (NON) MI SENTO ITALIANO...

 

FAMMI SCEGLIERE

 

 

 

 

 

 Testamento biologico
una X per la libera scelta


Una X da disegnare, da indossare, da esporre sul balcone o sulla propria auto. Una X che vuol dire libertà: la libertà di scegliere. Una X che fa da logo a FammiScegliere, un'iniziativa che chiede che si faccia una buona legge sul testamento biologico

 

 

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Scelte di vita

Post n°25 pubblicato il 16 Giugno 2010 da nathanien
 

Pochi giorni fa disquisivo con mia suocera di come i tempi sono cambiati, del fatto che lei non capiva come mai al giorno d'oggi anche chi ha una famiglia e dei figli abbia bisogno dei suoi spazi, come andare in palestra o uscire con gli amici. Anche suo marito quelle due volte l'anno partecipava a cene aziendali o con amici, ma quello che intendeva dire è che non capisce questo bisogno spasmodico, giornaliero o a cadenze settimanali dei propri spazi. Ho riflettuto su questa questione e devo dire che a giorni di distanza mi trovo parzialmente d'accordo; anche io andavo giornalmente in palestra e ho amici che hanno serate prefissate per coltivare i propri interessi (lui che tutti i martedì va a giocare a calcetto e lei che il giovedì segue un corso si fotografia), mentre ai nostri genitori bastava avere un lavoro per sentirsi appagati e avere "tutto".

Ho vissuto varie realtà lavorative, dal piccolo laboratorio artigiano fino alla grande azienda sindacalizzata, e riguardando al passato ricordo bene la differente mentalità lavorativa tra la mia generazione e quelle precedenti, e pensavo ciò dipendesse semplicemente dal gap generazionale che ci divideva ma ora capisco che non era così, non in senso stretto.

Per farmi intendere meglio parlerò da un punto di vista generale partendo dalla mia esperienza personale.

la generazione dei miei genitori è cresciuta con poco e niente e per loro la realtà lavorativa è stata una sorta di emancipazione, grazie alla quale hanno potuto costruirsi un futuro; ai loro tempi si diceva "imparati un mestiere", e questo loro facevano e si dedicavano anima e corpo, perchè grazie al lavoro potevano vedere esauditi i loro sogni.

Per la mia generazione il lavoro sembra solo un mezzo per aver qualche spicciolo da spendere il fine settimana.

Prima di essere frainteso vorrei far capire la differenza che passa tra avere un lavoro e avere un mestiere; chi ha un mestiere in mano avrà sempre qualcosa da offrire sul mercato del lavoro, in qualche modo troverà la sua strada; chi invece ha un lavoro, un semplice impiego per arrivare a fine turno ha poco da offrire. Per fare un esempio in abito metalmeccanico dove ho lavorato molti anni è la differenza che passa tra chi avvita viti tutto il giorno e chi è capace di gestire e programmare i macchinari a controllo numerico. sono tutti e due lavori nobili che servono all'azienda, ma mentre il programmatore si è formato con anni di esperienza, chi stringe viti può essere facilmente sostituito da chiunque con poco o nulla addestramento.

Mentre le generazioni precedenti sputavano lacrime e sangue per uscire dalla povertà grazie al duro lavoro, quelle moderne spesso non hanno voglia di sporcarsi le mani, quindi meno "fatica" fanno più sono contenti.

Per fatica non intendo solo quella fisica, ma anche quella di impegno, di tempo da dedicargli, di "studio", cose essenziali per imparare un mestiere, qualunque esso sia.

Mi chiedo spesso però se questo sia colpa delle "persone" o della "società", che ti fa vedere un mondo "fichissimo", fatto di gente incravattata che beve in locali alla moda, guida auto potenti accompagnato dalla bellona di turno, e noi lì imbambolati a guardarli sognando di essere al loro posto.

Anzichè sognare ognuno di noi può costruirsi un futuro diverso, ma si deve "lavorare" sodo per arrivarci

  Non voglio e non mi piace criticare chi sceglie lavori che reputo "discutibili", ognuno è padrone del suo destino, ma mi fa rabbia sentire spesso le persone lamentarsi della propria vita e del proprio lavoro, e soprattutto non vorrei offendere i frequentatori di palestre; anzi  mi piacerebbe fare un esempio in merito.

Anche la palestra può diventare un lavoro, basti vedere i bodybuilders in america e non solo, che hanno costruito (letteralmente) il loro successo andando in palestra; solo che loro hanno dedicato anima e corpo al loro successo, dedicandogli tempo, fatica, sudore; non sono diventati come sono andando soltanto due volte alla settimana in paestra, per chiudersi in casa alla sera a guardare la tv, spendendo magari il fine settimana tra pub e discoteche a bere birra in eccesso.

Questo era solo un esempio ma potrei farne altri cento per far capire che siamo noi padroni del nostro destino, basta avere voglia e un po' di coraggio...

 
 
 

PRINCIPE AZZURRO

Post n°24 pubblicato il 02 Giugno 2010 da nathanien
 

Esiste l’amore della vita? Oppure è più giusto dire che esistono più possibili amori della vita?

L’amore, quello con la “A” maiuscola esiste oppure è un’ invenzione culturale di un tempo ormai passato, una convenzione pura e semplice.

Insomma, il principe azzurro esiste oppure no?

Fino a poche generazioni fa si poteva credere che esistesse, e generalmente era colui (o colei) che sposavamo; anche se d’altro canto quasi sempre il (o la) consorte erano scelti dai padri per i figli, in base soprattutto a convenienze economiche, per crescere di ceto sociale, per suggellare patti o, quando possibile,per cercare di creare un futuro migliore per i propri figli.

pochi decenni fa,con la liberazione sessuale, certi dogmi sono venuti meno, e la ricerca del principe azzurro è sembrata una reale possibilità.

Ma è reale tutto questo?

La mia generazione ha potuto provare tranquillamente la possibilità si “scegliere” la propria metà; io personalmente ogni volta che mi innamoravo credevo che “lei” fosse l’unica, la sola capace di riempire il mio cuore, ma prima o poi uno dei due si rendeva conto che non c’era niente da riempire, fino al prossimo innamoramento, quando gli angeli ricominciavano a cantare.

Quello che a volte mi viene da pensare è: come mai con “lei” si e con le altre no?

Partendo dalle mie esperienze personali nel tempo mi sono reso conto che le mie ragazze si somigliavano tutte, sia fisicamente che caratterialmente, allora come mai con “lei” si e con le altre no? Credo che sia una questione di tempi, al tempo dei primi amori avevo un'altra età e altri pensieri in mente, altre idee.

Poi mi domando: ma se non avessi incontrato “lei”, ci sarebbe stata un'altra donna della mia vita? Beh penso proprio di sì! Non intendo una storia migliore o peggiore ma semplicemente che ci sarebbe stata un’altra possibilità.

Noi “scegliamo” i nostri compagni in un ambito sostanzialmente circoscritto; in base ai luoghi che frequentiamo conosciamo determinare persone anziché altre, ed è in questa cerchia che noi troviamo l’altra metà del cielo.

Ma se avessimo frequentato un'altra scuola, fatto altri sport, altri lavori, frequentato locali diversi o addirittura fossimo nati in un altro paese, qualcuno è davvero convinto che non avrebbe trovato un’altra metà del cielo? Io credo che l’avremmo trovata, eccome!

 

Comunque per non sfatare il mito a nessuno, vorrei dire che il principe azzurro esiste, però soltanto dopo una vita passata insieme sai se lo hai trovato oppure no!

 

 
 
 

OPPORTUNITA'

Post n°23 pubblicato il 31 Maggio 2010 da nathanien
 

UN UOMO HA BISOGNO DI OBIETTIVI NELLA VITA!

Da pochi giorni sto leggendo un libro, “il gioco dell’angelo”, di Carlos Ruiz Zafon. In un passaggio del libro il padre del protagonista dice al figlio che ce la faranno da soli, senza l’elemosina di nessuno.

Ritengo che l’orgoglio sia un arma a doppia taglio; in giusta  misura ti permette di alzarti sulle tue gambe e farti camminare a testa alta, ma quando è in eccesso potrebbe creare una lieve “zoppia” che porterebbe a girare in tondo senza portare da nessuna parte.

Chi più e chi meno, in modo più o meno palese tutti abbiamo bisogno di aiuto nella vita, e non parlo di aiuto materiale, almeno non solo materiale.

Se l’orgoglio è il “motore” che ci porta verso l’obiettivo prefissato, il buonsenso è il “volante” che ci aiuta a seguire la strada giusta prima di ritrovarci in un vicolo cieco.

Durante il nostro percorso abbiamo l’opportunità di incontrare molte persone, ognuna con le proprie idee più o meno valide; dietro queste idee si può nascondere l’opportunità della nostra vita e, mentre un orgoglio può farcele scambiare per elemosine, il nostro buonsenso può aiutarci a capire il valore di tali opportunità.

Chiaramente riuscire a centrare un obiettivo è l’insieme di tanti fattori, tra i quali anche un pizzico di fortuna,ma la fortuna va aiutata, va cercata. Se aspettiamo che sia lei a trovare noi abbiamo fallito in partenza; ma se usiamo il nostro orgoglio unito al buonsenso è molto probabile che saremo noi a trovare lei, e molto probabilmente faremo centro.

 

 
 
 

la storia siamo noi

Post n°22 pubblicato il 28 Maggio 2010 da nathanien
 
Tag: storia, VITA

TUTTI NOI VIVIAMO DENTRO LA STORIA,

MA SOLO CHI HA IL CORAGGIO DI SCRIVERLA SARA' RICORDATO.

 
 
 

Metterci la faccia

Post n°21 pubblicato il 27 Maggio 2010 da nathanien
 

nel post precedente avevo creato un link a questo articolo, ma sembra non funzionare; lo ripropongo allora in questo post dedicato perchè possa essere letto... 

Mi urlavano 'scodinzolini'
Non condurrò più questo Tg1
22 maggio 2010

La lettera con cui Maria Luisa Busi rinuncia ad andare in video

Ti chiedo di essere sollevata dalla mansione di conduttrice dell’edizione delle 20 del Tg1, essendosi determinata una situazione che non mi consente di svolgere questo compito senza pregiudizio per le mie convinzioni professionali. Questa è per me una scelta difficile, ma obbligata. Considero la linea editoriale che hai voluto imprimere al giornale una sorta di dirottamento, a causa del quale il Tg1 rischia di schiantarsi contro una definitiva perdita di credibilità nei confronti dei telespettatori. Come ha detto il presidente della Commissione di Vigilanza Rai Sergio Zavoli: “La più grande testata italiana, rinunciando alla sua tradizionale struttura ha visto trasformare insieme con la sua identità, parte dell’ascolto tradizionale”.

UNA VOCE SOLA. Amo questo giornale, dove lavoro da 21 anni. Perché è un grande giornale. È stato il giornale di Vespa, Frajese, Longhi, Morrione, Fava, Giuntella. Il giornale delle culture diverse, delle idee diverse. Le conteneva tutte, era questa la sua ricchezza. Era il loro giornale, il nostro giornale. Anche dei colleghi che hai rimosso dai loro incarichi e di molti altri qui dentro che sono stati emarginati. Questo è il giornale che ha sempre parlato a tutto il Paese. Il giornale degli italiani. Il giornale che ha dato voce a tutte le voci. Non è mai stato il giornale di una voce sola. Oggi l’informazione del Tg1 è un’informazione parziale e di parte. Dov’è il paese reale? Dove sono le donne della vita reale? Quelle che devono aspettare mesi per una mammografia, se non possono pagarla? Quelle coi salari peggiori d’Europa, quelle che fanno fatica ogni giorno ad andare avanti perché negli asili nido non c’è posto per tutti i nostri figli? Devono farsi levare il sangue e morire per avere l’onore di un nostro titolo. E dove sono le donne e gli uomini che hanno perso il lavoro? Un milione di persone, dietro alle quali ci sono le loro famiglie. Dove sono i giovani, per la prima volta con un futuro peggiore dei padri? E i quarantenni ancora precari, a 800 euro al mese, che non possono comprare neanche un divano, figuriamoci mettere al mondo un figlio? E dove sono i cassintegrati dell’Alitalia? Che fine hanno fatto? E le centinaia di aziende che chiudono e gli imprenditori del nord-est che si tolgono la vita perché falliti? Dov’è questa Italia che abbiamo il dovere di raccontare? Quell’Italia esiste. Ma il Tg1 l’ha eliminata. Anche io compro la carta igienica per mia figlia che frequenta la prima elementare in una scuola pubblica. Ma la sera, nel Tg1 delle 20, diamo spazio solo ai ministri Gelmini e Brunetta che presentano il nuovo grande progetto per la digitalizzazione della scuola, compreso di lavagna interattiva multimediale.

DOV’É L’ITALIA? L’Italia che vive una drammatica crisi sociale è finita nel binario morto della nostra indifferenza. Schiacciata tra un’informazione di parte – un editoriale sulla giustizia, uno contro i pentiti di mafia, un altro sull’inchiesta di Trani nel quale hai affermato di non essere indagato, smentito dai fatti il giorno dopo e l’infotainment quotidiano: da quante volte occorre lavarsi le mani ogni giorno, alla caccia al coccodrillo nel lago, alle mutande antiscippo. Una scelta editoriale con la quale stiamo arricchendo le sceneggiature dei programmi di satira e impoverendo la nostra reputazione di primo giornale del servizio pubblico della più importante azienda culturale del Paese. Oltre che i cittadini, ne fanno le spese tanti bravi colleghi che potrebbero dedicarsi con maggiore soddisfazione a ben altre inchieste di più alto profilo e interesse generale. Un giornalista ha un unico strumento per difendere le proprie convinzioni professionali: levare al pezzo la propria firma. Un conduttore può soltanto levare la propria faccia, a questo punto. Nell’affidamento dei telespettatori è al conduttore che viene ricollegata la notizia. È lui che ricopre primariamente il ruolo di garante del rapporto di fiducia che sussiste con i telespettatori.

“SCODINZOLINI”. I fatti de L’Aquila ne sono stata la prova. Quando centinaia di persone hanno inveito contro la troupe che guidavo al grido di vergogna “scodinzolini”, ho capito che quel rapporto di fiducia che ci ha sempre legato al nostro pubblico era davvero compromesso. È quello che accade quando si privilegia la comunicazione all’informazione, la propaganda alla verifica. Un’ultima annotazione più personale. Ho fatto dell’onestà e della lealtà lo stile della mia vita e della mia professione. Dissentire non è tradire. Non rammento chi lo ha detto recentemente. Pertanto:
1) Respingo l’accusa di avere avuto un comportamento scorretto. Le critiche che ho espresso pubblicamente – ricordo che si tratta di un mio diritto oltre che di un dovere essendo una consigliera della Fnsi – le avevo già mosse anche nelle riunioni di sommario e a te, personalmente. Con spirito di leale collaborazione, pensando che in un lavoro come il nostro la circolazione delle idee e la pluralità delle opinioni costituisca un arricchimento. Per questo ho continuato a condurre in questi mesi. Ma è palese che non c’è più alcuno spazio per la dialettica democratica al Tg1. Sono i tempi del pensiero unico. Chi non ci sta è fuori, prima o dopo.
2) Respingo l’accusa che mi è stata mossa di sputare nel piatto in cui mangio. Ricordo che la pietanza è quella di un semplice inviato, che chiede semplicemente che quel piatto contenga gli ingredienti giusti. Tutti e onesti. E tengo a precisare di avere sempre rifiutato compensi fuori dalla Rai, lautamente offerti dalle grandi aziende per i volti chiamati a presentare le loro convention, ritenendo che un giornalista del servizio pubblico non debba trarre profitto dal proprio ruolo.
3) Respingo come offensive le affermazioni contenute nella tua lettera dopo l’intervista rilasciata a Repubblica, lettera nella quale hai sollecitato all’azienda un provvedimento disciplinare nei miei confronti: mi hai accusato di “danneggiare il giornale per cui lavoro”, con le mie dichiarazioni sui dati d’ascolto. I dati resi pubblici hanno confermato quelle dichiarazioni.

RISPETTO. Trovo inoltre paradossale la tua considerazione seguente: “Il Tg1 darà conto delle posizioni delle minoranze ma non stravolgerà i fatti in ossequio a campagne ideologiche”. Posso dirti che l’unica campagna a cui mi dedico è quella dove trascorro i weekend con la famiglia. Spero tu possa dire altrettanto. Viceversa ho notato come non si sia levata una tua parola contro la violenta campagna diffamatoria che i quotidiani Il Giornale, Libero e il settimanale Panorama – anche utilizzando impropriamente corrispondenza aziendale a me diretta – hanno scatenato nei miei confronti in seguito alle mie critiche alla tua linea editoriale. Un attacco a orologeria: screditare subito chi dissente per indebolire la valenza delle sue affermazioni. Sono stata definita “tosa ciacolante – ragazza chiacchierona – cronista senza cronaca, editorialista senza editoriali” e via di questo passo. Non è ciò che mi disse il presidente Ciampi consegnandomi il Premio Saint Vincent di giornalismo. A queste vigliaccate risponderà il mio legale. Ma sappi che non è certo per questo che lascio la conduzione delle 20. Thomas Bernhard in “Antichi Maestri” scrive decine di volte una parola che amo molto: rispetto. Non di ammirazione viviamo, dice, ma è di rispetto che abbiamo bisogno. Caro direttore, credo che occorra maggiore rispetto. Per le notizie, per il pubblico, per la verità. Quello che nutro per la storia del Tg1, per la mia azienda, mi porta a questa decisione. Il rispetto per i telespettatori, nostri unici referenti. Dovremmo ricordarlo sempre. Anche tu ne avresti il dovere.

Da il Fatto Quotidiano del 22 maggio

 
 
 
 

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