OCCHI AL CIELO

Giano, il dio bifronte, come me. Contraddizione e complementarietà. Il racconto della mia strada, quella che sto costruendo verso i miei sogni. E di me.

 

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Post N° 401

Post n°401 pubblicato il 22 Giugno 2007 da GianoReloaded

Son passati due mesi oggi, che non son poi tanti, ma comunque a me sembran anni luce. L’emozione più grande rimane quella di mio padre alla partenza, e tutto sommato di emozioni mozzafiato non ce ne sono poi state tante. Però dentro di me son cambiate tante, tante cose in questi mesi, son passati pensieri di ogni genere, famiglia, lavoro, futuro amici e persino passato.

Personalmente del passato me ne son sempre un po’ sbattuto. Un po’ per l’abitudine a guardare avanti, un po’ perché credo sia inutile. Del passato ci si porta dietro qualche errore, diverse lezioni e molti ricordi. Ma quel che è stato è stato, si può andare a pescare qualcosa nel passato, ma non passarci sopra più di tanto perché non cambierà.

Penso a quand’ero bambino. Son cresciuto con mia nonna, i miei erano i classici lavoratori del nord, coppia sposata che a 30 anni ha il secondo figlio. Credo che il mio carattere abbia messo le basi in quegli anni. Io sono una persona introversa, riservata e con tratti di timidezza, anche se quando mi trovo con una persona sola mi trovo a mio agio perfettamente. Ricordo pomeriggi lunghissimi da mia nonna. Giocavo nel cortile immenso. Mio nonno morì quando avevo 8 anni, e non me ne resi conto, ma ricordo ogni giorno passato in piedi sul suo motorino attraversando la frazione lui si trovava con gli altri “veci” del paese per un bianco, io aranciata o ghiacciolo. E poi giocavamo sul cortile, tanto. Uno dei ricordi più limpidi è lui che mi rincorre urlando in mezzo a due fila del vigneto sopra il pollaio. Non ricordo se per scherzo o per cosa, ma me lo ricordo e mi manca. Era un uomo buono e giusto, dicono tutti che gli assomiglio, fisicamente e nel carattere, indubbiamente la persona più importante nella mia vita. Lui è l’esempio di quel che credo sia la morte, che non ci sia niente per noi, ma insegnamenti e lezioni per chi ci ha voluto bene e che intende seguirli. Dentro mi ha lasciato qualcosa di prezioso, e su questo conto tantissimo. Mio zio aveva invece cercato di insegnarmi a giocare a calcio, ma non deve essere stato un grande insegnante. Comunque ricordo che nei pomeriggi in cui era a casa o arrivava prima che mia mamma passasse a prendermi, giri e giri in macchina, su tutte le Golf che ha avuto, oppure nel porticato a smontare motori o a elaborare il motorino delle poste, visto che fa il postino. Per il resto ricordo che quando arrivava la legna la scaricavano nell’angolo del prato, su una grande catasta, io correvo subito lì, ci facevo un buco in mezzo e mi costruivo una piccola tana. Poi c’era il fienile, che mi ha sempre incuriosito perché solo dio sa cosa ci può essere accatastato li dentro, travi, pezzi di mobili, biciclette vecchie. Lì giocavo sempre con i gatti. I gatti non sono mai mancati lì, e da che ricordi ne saran passate 4 generazioni dal grigio e nero che chiamavo Oscar. Ogni 2 o 3 anni la femmina di turno partoriva, e allora sul fienile a giocare, e i gatti quando sono cuccioli sono una delle cose più vive di questo mondo. Quanto mi sono divertito quella notte che avevo uno dei cuccioletti in camera, che ad ogni piccolo movimento cercava di saltare per afferrare il piede o la mano di turno. Oppure i cani, due soli, ma che son sempre stati “miei”. Il cocker che c’è dai miei primi ricordi fino ai miei 17 anni, ed il bobi di adesso… un cane in casa mia non mancherà mai. Poi giocavo sempre su quella casa enorme, smontavo divani e costruivo castelli con i cuscini ed i teli. Mi vien da sorridere e da pensare che in fondo mi costruivo sempre fortezze o tane, e ci stavo bene, da solo. Però sotto la sua casa viveva anche un’altra bambina della mia età con cui son cresciuto. Era la più antipatica e bugiarda della scuola, ma non c’era nessun’altro, quindi volenti o no lenti…

Io abito in paese, mia nonna in una frazione e ai bei tempi in cui un paesino di tremila abitanti poteva permettersi due scuole elementari, io frequentavo quella più distante dai miei amici. A parte il mio migliore amico, che abita a 10 metri e con cui fino a 12 anni vite parallele, ma diverse. Lui figlio unico e viziatissimo, aveva la consolle dell’Atari e lo invidiavo tantissimo, a me che i regali erano sempre qualcosa di vicino a quel che chiedevo a babbo natale. Poi lui era più bravo a pallone, era più alto di me, che fino a 13 anni ero un rachitico mingherlino.

Poi potrei andare avanti a scrivere di queste sensazioni a lungo. E so che potrebbe pensare un momento di malinconia, ma è solo la riflessione di una sera. Se ci ripenso ora mi ritrovo spesso in queste situazioni. Quando viaggio in autobus con l’Ipod, quando mi butto a letto, quando mi trovo a mangiare/cenare da solo. La solitudine e’ una componente importante della mia vita. Lo so che è cinico, ma qui non sento la mancanza di nessuno, realmente l’unica cosa che mi tiene attaccato all’Italia è sapere i miei così in pensiero per me, così apprensivi come sempre. Anche essere in mezzo a questa città così sparpagliata e fitta mi sento sicuro di quel che posso fare, di quel che posso essere. In fondo sento di non aver bisogno di nulla, di bastarmi e di poter contare su di me per vivere.

Vivo (anche) così, qui.

 
 
 
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