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Creato da graphitis il 27/11/2008

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Racconto

Post n°1 pubblicato il 27 Novembre 2008 da graphitis
 

CIELI VERDI  di Nicolò Gueci

“Che ci farà con tutti quei barattoli? I pelati?”

“Di questi tempi? E poi perché li tiene in terrazza?”

“Se è per questo, li porta dentro e fuori in continuazione”.

“Sembrano vuoti”.

“Cesira dice che ogni giorno va al lago a prendere bottiglioni d’acqua”.

“Sta a vedere che conserva acqua del lago”.

Col passare del tempo, le file di barattoli crebbero e “lo Spagnolo”pareva occupato tutto il giorno a portarli dentro e fuori. L’argomento, nelle chiacchiere delle comari, ormai era ridotto ad un sospirare e toccarsi la tempia col dito. Non che Ramon Da Silva desse segni di squilibrio: era sempre gentile, salutava le signore con un lieve inchino levando il cappello di panama,  faceva la spesa, vestiva ordinatamente, sorrideva ai bambini. Qualche volta, quando era in pensiero, gli sfuggiva un “Gracias” o  “Buenos dias”: perciò il suo nomignolo.

 

Così lo conoscevano da anni; da quando era fuggito dall’Argentina. Qualcuno diceva che era un professore in pensione, qualche altro che era un democratico perseguitato dai dittatori. Ma queste cose, che senso hanno in un paesino, soprattutto se il forestiero passa il suo tempo a leggere e passeggiare in riva al lago? A volte lo si vedeva fino a tardi seduto al microscopio, quando il caldo lo obbligava a tenere il balcone aperto.  “Un biologo” – dissero, e lo lasciarono nel suo mistero e alle sue strane abitudini.

 

Un giorno gli portarono una bombola, come quelle per saldare. Tutti pensarono che fosse d’ossigeno e che avesse difficoltà di respirazione. Ma Ramon Da Silva era più arzillo che mai. Fece sistemare la bombola in terrazza e la difese dal sole con una coperta. Il tempo era sereno, anche se il servizio meteorologico annunciava temporali, e “lo Spagnolo” era sempre più indaffarato coi suoi barattoli.

L’afa cresceva e toglieva il respiro. Da Silva osservava il barometro, l’igrometro, prendeva appunti, guardava verso l’orizzonte e allineava barattoli.

“Che dice, dottore? Cambia il tempo?”
“Speriamo, speriamo!”
“I turisti non saranno contenti”.
“Ma la terra ha bisogno d’acqua. Non vede come soffre?”
“Se è per questo, anche noi non si respira”. 

A sera la foschia era cresciuta, all’orizzonte lampi lontani. Era luna piena, ma se ne vedeva appena il chiarore tra lo strato di nubi. Una vicina che si era affacciata alla finestra a prendere una boccata d’aria, al mattino aveva una novità da raccontare.

“Lo Spagnolo, sapete? È stato tutta la notte in terrazza. E sapete che faceva? Lanciava palloncini”.
“Che dici?”
“Non l’avessi visto coi miei occhi! Quella bombola. Gonfiava palloncini e li faceva volare”.
“Che gli dia di volta il cervello?”
“Vi dico: palloncini su palloncini. Sarò stata un’ora a guardarlo. Poi mio marito, che ha visto pure lui, mi ha tirato via: Lascia stare quel matto e vieni a letto”.

I temporali erano rimasti lontani, ma il cielo era ancora coperto. Ramon Da Silva di tanto in tanto usciva in terrazza con un palloncino sgonfio in mano, tenendolo con precauzione come una provetta, lo gonfiava, lo legava e lo faceva levare verso il cielo, seguendolo con un binocolo finché poteva.

“Me lo dai un palloncino?” – gli chiese una bambina.
“Anche a me”. “Anche a me”.

Lo Spagnolo scese trattenendo per il filo tre palloncini colorati. Erano veramente grandi.
“Attenti a non volare anche voi!”
I bambini corsero via felici e parevano più leggeri.

La bombola d’idrogeno ormai era vuota.  Ne ordinò un’altra. “È urgente!” – raccomandò; e si avviò verso il lago.

“Dovremmo dirlo al medico” – disse una donna preoccupata.
“Che male c’è a lanciare palloncini? Fossero tutti matti e gentili come lui!”
“Forse sono esperimenti” – disse un’altra.
“Che esperimenti?”
“Che so? Come vanno i venti”.
“Ma non ci attacca un bigliettino? Forse manda messaggi”.
“No, niente bigliettini. E questa è la cosa strana”.
“Forse il biglietto è dentro il palloncino”.

Dentro i palloncini c’erano alghe unicellulari. Sulle nubi - pensava Da Silva - troveranno umidità e temperature basse e si diffonderanno spontaneamente, trasformando l’anidride carbonica. Ramon Da Silva immaginava una piantagione d’alghe che circola nell’atmosfera ad alta quota, filtra i raggi del sole e riduce l’effetto serra. Perché queste invasioni d’alghe nei mari? – rifletteva Da Silva. Forse la Terra si difende, reagisce alla distruzione delle foreste.

Poi dovette sospendere i lanci, tranne qualcuno di prova per calcolare quando il palloncino sarebbe scoppiato e a quale altezza, perché era tempo di sole e di bagni.

Passò più di un mese senza una nuvola e la terra era assetata. Da Silva quasi non ci pensava più, e considerava tutta l’impresa con umorismo: chi fa castelli in aria, chi pianta foreste d’alghe nel cielo. Finché un giorno non lesse di un fenomeno strano: in India era piovuta una pioggia densa e verde, ricca di alghe microscopiche. Ramon Da Silva sembrò impazzire dalla gioia e forse impazzì davvero, perché all’improvviso scomparve e nessuno seppe per dove fosse partito.

Cesira disse che non poteva giurarlo, ma le era parso di vedere lo Spagnolo in alto, nel cielo, piccolo che sembrava una formica, appeso ad un grappolo di palloncini.

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