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Una proposta di etica medica

Post n°11 pubblicato il 23 Gennaio 2015 da GreenLyrics
 

Il tema dell'etica medica è molto complesso e ricco di sfaccettature che richiedono una costante riflessione volta alla comunicazione di scelte individuali sacrosante e approcci e credenze legate alla religione e alla società a cui si fa riferimento. Si passa molto tempo a capire e ad imparare a rispettare le credenze di ogni persona incontrata nel corso della vita.

Forse quanto si chiede agli ambienti di cura è solo una maggiore comprensione verso la propria moralità e il proprio bene, perseguibile a partire da condizioni psico-fisiche più o meno gravi. Può darsi che risulti difficile prendersi cura di tutti i pazienti allo stesso modo, senza che vi siano trattamenti preferenziali o che si prediliga il convenzionale approccio chirurgico o farmaceutico alle medicine alternative. L'ambiente non offre quasi mai un supporto per esplorare insieme possibili strade di cura da percorrere, senza che poi un dito inquisitorio verso la scelta e l'esperienza personale del paziente che collide sul sistema.

E se invece la scelta dipendesse solo ed esclusivamente dal paziente? se l'ambiente ospedaliero si sforzasse di elaborare nel paziente una capacità analitica verso la sua condizione clinica e le possibili variabili terapeutiche o anche solo palliative per il suo dolore?

Ogni volta su una cura pende una taglia: è la scommessa di perdere o vincere la vita.

Nei luoghi reputati adatti alla pratica e alla ricerca della cura ci dovrebbe essere una mutua interdipendenza fra medici e pazienti, in quanto una parte ha bisogno dell'altra per esser lì.

Ciò potrà mai essere davvero una realtà esperibili da noi cittadini, nei prossimi anni? Me lo auguro perchè c'è la voglia di pensare che un individuo ha bisogno di amore e di assistenza in un luogo dove i professionisti del settore "salute" possano massimizzare la sua felicità.

Patch Adams ha scelto queste parole per definire questo nuovo sistema di cura e di terapia:«definiamo "salute" il massimo benessere, vibrante di felicità. É focalizzato sui rapporti del paziente o della paziente con se steso o con se stessa, con l'alimentazione, l'attività fisica, la fede, la famiglia, gli amici, gli hobby, la natura, lo stupore, la curiosità, la creatività, il servizio, la comunità e la pace. [...] Metteremo insieme uno staff così eterogeneo che tutti i pazienti potranno trovare almeno una persona che li ama e li capisce. alimentereo amicizie profonde fra chi fornisce le cure e chi le riceve. La meraviglia e la curiosità saranno l'aria che respireremo. I pazienti saranno incoraggiati a esprimersi in qualsiasi forma artistica sceglieranno. Avranno occasione di fare scoperte da soli o con altri, e ognuno avrà innumerevoli occasioni per trovare modi di aiutare gli altri. Riassumendo, estenderemo la nostra comunità felice, divertente, cooperativa, amorevole e creativa per il beneficio delle persone di qualsiasi provenienza. Quest'atmosfera aumenterà la salute e allevierà la sofferenza in modo unico, facendo diventare la pratica della medicina una gioia in questo ambiente» (Cfr. Patch Adams, Salute, Urra Edizioni, Milano 2004, pp. 142-143)

Sarebbe bello che i professionisti della sanità facciano dei passi avanti per trasformare la medicina da una gerarchia di potere e prestigio personale, in un'attività volta al benessere e alla salute del prossimo che ha bisogno di essere incoraggiato ad avere fiducia nella propria guarigione. Ho sentito molte storie di persone che non fidandosi della sanità pubblica tendono ad evitare la propria cura, e rimandano continuamente i consueti controlli ambulatoriali per tenere d'occhio la propria patologia. E non parlo solo di persone anziane!

Forse dovevano solo essere rassicurati da persone capaci di sorridere oltrechè manifestare il proprio sapere scientifico e specialistico. Siamo persone, fatte di carne e di ossa, di sentimenti e di organi sensibili che devono essere messi sullo stesso piatto della bilancia per far sì che la nostra cura avvenga in modo naturale e duraturo. E soprattutto che sia pensata per il nostro bene, e che possa creare nuove dosi di fiducia per un ambiente medico in crisi.

LH

 
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Libertà come a-létheia

Post n°10 pubblicato il 18 Gennaio 2015 da GreenLyrics
 

La Libertà è A-létheia, in quanto essenza della verità che si mostra come un lasciar-essere libero e svelato dell'ente; esso è ciò che è e questo mantiene un profondo senso ontologico. Trovo interessante riportare un passo tratto dal testo Dell'essenza della verità del filosofo Martin Heidegger sull'importante questione del "lasciar essere"; ponte sull'attualità recente:

«Abitualmente noi parliamo di lasciar-essere o lasciar stare quando, per esempio, ci asteniamo da un'impresa progettata."Noi lasciamo essere o noi lasciamo stare qualcosa" significa: non ce ne occupiamo più, non ci diamo più da fare per essa. Lasciar-essere qualcosa ha qui il significato negativo di desistere da qualcosa, di rinunciare a qualcosa, di trascinarla nella più completa indifferenza. Il senso, invece, che qui conferiamo all'espressione "lasciar essere l'ente" non si riferisce al tralasciare o all'indifferenza, ma al suo contrario. Lasciar-essere significa: affidarsi all'ente. Questo affidarsi all'ente non significa perdersi in esso, ma recedere davanti all'ente, in modo che questi si manifesti per ciò che è e come è».

Saper mantenere una distanza dalle cose, e una capacità critica di libera accettazione degli eventi sembra cosa banale e semplice, per certi versi. Eppure accade a tutti noi di voler disporre delle cose in modo autarchico, forgiandole come "dovrebbero essere" e non come appaiono di per sè. Lasciare a loro la scelta e il diritto di essere liberamente ciò che da principio sono? difficile sia a dirsi che a farsi. La vita non permette errori o contrattempi. Tuttavia se a disporre delle cose, situazioni e relazioni è continuamente l'arbitrio umano si mette da parte, in un vincolo del "forse", la loro reale presenza e il loro naturale sviluppo.

L'ideale prefissato limita la libertà, e la incardina ad un circolo vizioso di necessità richieste:

«la libertà non è, come intende il senso comune, l'arbitrio imprevedibile che nella scelta si butta ora da un lato ora dall'altro, così come non lo è l'indipendenza di fare o non fare qualcosa. La libertà non è neppure la semplice disponibilità per una richiesta o una necessità. La libertà è prima di tutto ciò (prima della libertà "negativa" e di quella "positiva") nel concedersi allo svelamento dell'ente in quanto tale» (Cfr. M. Heidegger, Dell'essenza della verità).

Molti di-mostrano l'incapacità a lasciar essere le cose per come sono. Essi cercano di imporre la propria personalità e fisicità sull'insieme di eventi che possono essere un punto di ancoraggio per le proprie ansie e insicurezze. In effetti, non rassicura pensare che il mondo possa ubbedire alla nostra volontà e ai propri desideri. Siamo figli di una generazione che non è libera perchè non si permette di essere - anche - insicura e fragile. La natura non si ascolta, e la libertà della manifestatività emotiva diventa un sinonimo di debolezza interiore.

Si cerchi di dare alla libertà il suo spazio:-) Per ritrovare la compattezza nel - e del - mondo.

 

LH

 

 
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Scopo e significato: un legame trasparente, possibile e non

Post n°9 pubblicato il 17 Gennaio 2015 da GreenLyrics

Cosa sia il significato e il senso delle cose se lo era chiesto già il filosofo della logica Gottlob Frege, e ispirato ci scrisse anche un saggio brillante ma di difficile comprensione per i non addetti ai lavori. I ricordi fanno rivivere ancora un rapporto difficile con le sue parole, apparentemente unite e chiare. Ero uno studente alle prime armi di fronte a impavide aporie. Il significato delle cose dove risiede? è utile un trattato o un libro noto come classico.

Immagino che la sua portata semantica abbia a che fare con il nostro personalissimo modo di comprendere la vita e il suo svolgimento. Il significato rimanda anche al modo in cui le cose accadono liberamente, al di là del loro effettivo risultato. Il nostro modo di intenderlo è collegato con il nostro Io e la nostra Weltanschaaung (visione del mondo), non con il ruolo delle cose. Se la nostra comprensione "cosale" dipende anche dall'esperienza avuta sinora, il significato delle cose e delle nostre priorità nel qui ed ora non può che esservi collegato

Ma se il significato riguarda concetti aperti e si lega alla nostra personalità ed esperienza, il senso che dovrebbe esservi racchiuso non mantiene un legame diretto con uno scopo "x".

Avere uno scopo chiaro in mente può portare ad elaborare una comprensione maggiore dei significati delle cose che possono contornarne la fattibilità, o quantomeno la sua pensabilità. Ma se non si ha uno scopo (o non si è in grado di individuarne uno) i significati saranno certamente meno utili. Un esempio diretto è che la mappa più precisa che ci sia, è inutile se non si desidera andare da nessuna parte per rimanere comodamente sul proprio divano.

Caso diverso è se non si è ancora certi della meta che si vuol raggiungere, pur essendoci la voglia e la volontà di partire per "andare al di là" del proprio confine urbano. Si presenta un punto focale: dipende da noi il senso offerto al significato e allo scopo presente nelle cose.

Cose semplici possono essere molto significative e cose inspiegabili (e prima che ci accadessero, apparentemente inesistenti in quanto ignari della nostra possibilità di pensarle) possono proporsi come alti scopi di vita. Mi lego a due citazioni per ampliare la riflessione:

«Una mappa non è il territorio che essa rappresenta ma, posto che sia esatta, ha una struttura simile a quella del territorio, ed è in questo che risiede la sua utilità.»

- Alfred Korzybsky -

«Io abbraccio il comune, esploro e siedo ai piedi del famigliare, dell'umile. Di che cosa potremmo sapere davvero il significato? Il pasto nella pentola; il latte nel tegame; la ballata sulla strada; le notizie sulla nave»

- Ralph Waldo Emerson -

Nella nostra quotidianità se abbiamo uno scopo siamo più orientati al raggiungimento di un qualcosa che possa recare in noi soddisfazione, senso di appartenenza, significato di ideali, e così via. Ma non si può negare l'evidenza che, molte cose dotate di significato e di grande senso non rientrano affatto nella nostra volontà di esperirle sulla pelle, e mediante l'attività. Così come è possibile percepire che intorno a qualcosa che nutre la nostra curiosità, sia racchiuso un bacino di significato, anche se noi magari non riusciamo a coglierne il senso.

Probabilmente siamo anche contornati di molta "insignificanza", pur cercando di rimanere concentrati sui nostri scopi vitali da perseguire ogni giorno, con tanta pazienza e voglia di fare. Ed ecco che si arriva a comprendere che gli scopi, seppur idealizzati con la minima cura dei particolari con cui dovrebbero materializzarsi, non danno certezze per vite ricche e significanti. Anche perchè uno scopo non può durare per sempre, per via della costante tensione che spinge l'essere umano al cambiamento e all'abbandono di elementi che hanno segnato la sua esistenza. I modi con cui hanno impresso segni, sensi o un significati sono i più diversi. Cosa è importante fare? probabilmente operare la loro chiarificazione, secondo una libera messa a fuoco che segua una prospettiva. Una continua analisi di tutto è inutile.

Si apra allora l'orizzonte alle esperienze e a scopi possibili, ai significati inaspettati o fin troppo chiari nelle cose e nell'insieme di espressioni che caricano l'emotività dell'animo umano. Non esiste un'unica strada da percorrere.

Molti filosofi, a partire da Eraclito fino a Lao Tzu, hanno detto che il cambiamento è l'unica costante della vita e tutti possono avere "alti e bassi". Ciò è legittimo e si deve ri-conoscere.

In quanto legati ad intenzioni ed esperienze, impariamo ad accettare e comprendere (nel senso di cum-prendere, prendere con noi, per poi fare un piccolo spazio nella nostra sensibilità) le cose che ci accadono. Non siamo dei super uomini capaci di governare tutto.

Gli avvenimenti che ci accadono sono più o meno piacevoli o tristi ma la loro caratteristica ontologica è la possibilità di accrescere la libera evoluzione del nostro animo , operando cambiamenti semantici per ciò che si può intendere con le parole di senso e di significato.

Non è possibile sapere prima la vasta gamma di sfumature presenti nei fatti, e forse non è neanche necessario. Ma mgari accettando il ruolo dei sensi, la mente ci saprà ringraziare.

 

LH

 

 

 

 

 

 

 
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Scuola sta a solutidine come alunni ad incoscienza?

Post n°8 pubblicato il 17 Gennaio 2015 da GreenLyrics

Un libro appena pubblicato svela con molto chiarezza e amara verità cosa accade nel panorama scolastico dei nostri giorni, e delle certezze che sfumano senza neanche chiedere il permesso di evaporare. Gli occhi sono appannati di fronte alla meraviglia, e delusi fanno finta di nulla, più che altro creano l'immancabile parvenza del frustato ottimismo quotidiano.

«Non respira, non conta più nulla, arranca, è povera, marginalizzata, i suoi edifici crollano, i suoi insegnanti sono umiliati, frustrati, scherniti, i suoi alunni non studiano, sono distratti o violenti, difesi dalle loro famigie, capricciosi e scurrili, la sua nobile tradizione è decaduta senza scampo. E' delusa, afflitta depressa, non riconosciuta, colepvolizzata, ignorata, violentata dai nostri governi che hanno tagliato le sue risorse e non credono più nell'importanza della cultira e della formazione che essa deve difendere e trasmettere. E' già morta? E' ancora viva? Sopravvive? Serve ancora a qualcosa oppure è destinata ad essere un residuo di un tempo ormai esaurito? E' questo il ritratto smarrito della nostra Scuola». Queste sono le parole usate dal noto psicoanalista e filosofo morale Massimo Recalcati.

Egli ci spiega che un tempo la figura dell'insegnate era oggetto di rispetto da parte della classe, ed era dotata «di peso simbolico e di autorità a prescindere dai contenuti che sapeva trasmettere». In soldoni, era un'evidenza che il simbolismo di figura sovraumana che la circondava, prevalesse su chi realmente fosse poi il responsabile della materia da impartire.

Oggi invece l'insegnate non gode di vita semplice, e lotta con se stesso nel momento in cui «si deve confrontare con la propria solitudine, con un vuoto di senso entro il quale è costretto a misurare la propria parola». Tuttavia si sentono ancora molte storie variegate sulla scuola, e su chi cerca di portarla avanti nel migliore - o peggiore - dei modi possibili.

Il centro nevralgico delle conversazioni è il desiderio di equilibrio, rispetto e responsabilità verso il ruolo e i doveri che ogni categoria di utenti e titolari di cattedra dovrebbero manifestare. Non serve certo gettare anni di crisi (economica, valoriale, personale, civica) nel dimenticatoio, ma sarebbe d'aiuto sondare il limite che attraversa il sapere che si desidera ricevere dal proprio banco di scuola; o magari dalla cingolante cattedra tarlata.

Un insegnante garante del proprio ruolo sociale e missionario (oserei dire) per il prossimo, non è affatto «colui che possiede il sapere». La figura del bravo mentore è incarnata da chi «sa entrare in un rapporto singolare con l'impossibilità di sapere tutto il sapere». E da chi è capace di elaborare un confronto critico con la propria fragilità. Non si può far tutto; sempre.

Ma è compito critico degli alunni - e delle loro famiglie - sviluppare un senso critico verso sistemi che non funzionano e che hanno abbandonato il loro spiraglio di salvezza depositato nella tradizione umanistico-scientifica italiana. Ciò è possibile! basta curiosare, leggere, fare domande e soprattutto non avere paura di una cosa che oggi è quasi una minaccia: l'umiltà.

 
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La commissione europea e la sua idea iniziale di "scuola"

Post n°7 pubblicato il 15 Gennaio 2015 da GreenLyrics

Nel mese di Dicembre del lontano 1991, la Commissione europea decise di pubblicare un memorandum sull'insegnamento superiore. In questo documento era presente una raccomandazione per le Università, che dovevano comportarsi come vere e proprie imprese.

Non della creazione e libera circolazione del sapere sociale e della conoscenza teorica, bensì delle regole della concorrenza e del mercato.

Lo stesso documento esprimeva l'augurio che gli studenti fossero trattati come clienti, in quanto stimolati continuamente a consumare servizi piuttosto che ad apprendere davvero. I corsi universitari e dell'istruzione superiore lasciavano più spazio ai parametri di propedeuticità per il "capitale umano" e il "mercato del lavoro", piuttosto che alle necessità e alle curiosità presenti nelle menti dei giovani studenti. Il risultato non è stato affascinante.

Passano 730 giorni e le idee dei politici alimentano ancora il fuoco del loro istinto delirante. Nel mese di Settembre del 1993 la stessa Commissione esordisce con un nuovo atto che prese il nome di Libro verde sulla dimensione europea dell'educazione. Qui si diceva che, fin dalla scuola secondaria bisognava formare le «risorse umane per le necessità specifiche dell'industria» e favorire «una maggiore adattabilità dei comportamenti al fine di rispondere alla domanda del mercato della manodopera».

Ebbene, lo zoom nel nostro presente proietta in maniera molto chiara queste immagini di proposte alcuanto scabrose ed inefficaci, rispetto alle priorità e alle aspettative della popolazione italiana, delle famiglie e degli studenti stessi che oggi fanno sempre più fatica ad avere fiducia nel sistema scolastico. Ma la scuola siamo noi, responsabili in prima linea di quanto si sceglie di farvi "accadere". Il caso può riguardare la fisica delle particelle, ma la meccanica celeste non deve entrare - sempre e comunque - negli assetti legati all'istruzione.

Dovremmo chiederci com'è possibile che dopo l'ennesima offesa alla libertà di pensiero e di libera parola, si ceda ancora al fascino della tentazione della vulgata, del generalismo che porta a considerare l'umanismo e la letteratura discipline secondarie (o magari addirittura terziarie, o facoltative se fosse possibile) rispetto alle materie tecniche e scientifiche? Quest'ultime mantengono ancora il loro potere occulto di "offrire garanzie" per la mente umana? Possono certamente far maturare intelletti ingegnosi e brillanti, capaci di poter trovare un lavoro in un paese che punta a ri-sollevare le sorti dell'impresa? io non ne sono certa, ma lo si sente dire spesso da un Fonzy che si esprime con sorrisi e toni altisonati...

Forse sarebbe meglio farsi un esame di coscienza, riflettere prima di parlare ed imparare a osservare come l'homo oeconomicus è una realtà, ma non è fatto solo di scale di bisogni da soddisfare, e la sua ragion d'essere seppur votata al profitto, lo oltrepassa e può sognare.

Homo significa altro, le sue conquiste e la sua pazienza ne sono l'autentica dimostrazione.

 

LH

 

 

 

 
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