"Non abbiamo qui una città stabile, ma cerchiamo quella futura" (Eb. 13,14). La città futura è la Gerusalemme nuova, descritta nei capitoli finali dell'Apocalisse e vista come la dimora della pace. C'è un inno bellissimo nella liturgia della Chiesa che comincia così: "Coelestis urbs Jerusalem, beata pacis visio". Città della Gerusalemme del cielo, tu sei uno stupendo spettacolo di pace! Ecco la nostra ultima icona: quella utopica. La più bella. Perché è l'icona della speranza. Di qui nasce tutta la forza che sostiene la nostra fatica di viandanti. Di qui si muove anche tutta la vergogna che ci deve fare arrossire ogni volta che l'ambiguità del nostro "martirio" ci fa tentennare di fronte alle "exousie" (onnipotenze) del mondo. Di qui trae origine un coraggio che si rinnova, nonostante la povertà delle realizzazioni, l'incompiutezza dei nostri disegni, e l'amarezza di dover constatare che, in fatto di pace, il "già" impallidisce sempre dinanzi al "non ancora". Ma non dobbiamo aver paura. Un giorno godremo nella loro interezza di tutte quelle realtà che qui sulla terra siamo chiamati a far spuntare allo stato germinale e che ci sforziamo di far maturare nei segni: la pace, la fraternità, la giustizia, la libertà. E' dalla Gerusalemme del cielo (nella quale entreremo 1' "ottavo giorno") che si deve scatenare l'empito entusiasta per ciò che agli occhi umani sembra incredibile, assurdo, irraggiungibile: la nonviolenza, il disarmo, l'unilateralità del disarmo, il perdono, la rinuncia evangelica, la povertà, la gratuità, la tenerezza... Ci accorgeremo finalmente che la pace non è un'aspirazione, ma è una persona: Gesù Cristo, l'Emmanuele, il Dio con noi ...
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il 23/02/2019 alle 17:21
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