Creato da shubala il 26/07/2009
Letteratua e arte indiana

SPOSA INDIANA

 

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INFANZIA IN MALABAR

 

 

Era il compleanno di qualcuno ad Ambazhathel, quando ci fu il ciclone. Ettan, il mio fratello maggiore, ed io eravamo stati invitati alla festa. Malathikutty ci condusse al santuario del serpente prima di pranzo. Rimanemmo ad osservare Meenakshi Edathi mentre preparava latte e banane per i serpenti.

Meenakshi Edathi era una parente lontana della famiglia Ambazhathel. Essendo povera, dipendeva dalla loro generosità. Era una donna molto scura, di mezza età, che passava tutto il suo tempo tra la casa e il cortile senza mai fermarsi e con il viso che perennemente aveva l’espressione di chi chiede perdono. Meenakshi Edathi aveva alcuni doveri piuttosto triviali in quella casa, come per esempio accogliere l’oracolo al suo passaggio con del dolce, accendere le lampade quando scendeva l’oscurità, fare il burro per i bambini e fare disegni con la crema di riso il giorno di Nira. Tutte le altre incombenze erano svolte dagli altri servitori. Comunque, la famiglia non sarebbe potuta vivere felice nemmeno un giorno senza Meenakshi Edathi, perchè era la sola che sapesse esattamente quanto riso doveva essere bollito per le esigenze della famiglia o quanti mundu dovevano essere mandati a lavare o quando i bambini avevano bisogno di un lassativo.

Io le chiesi: “Perché il serpente non viene?”

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http://digilander.libero.it/shubala/KAMALA%20DAS%20WEB.doc

 

KAMALA DAS

 

KAMALA DAS

 

IL RITO DELLA SUTEE

 

IL SACRIFICIO VIVENTE

 

LA VALLE DEL GANGE 1828

 

La piccola Tani disse: “No, Dwarki, non posso! Io amo questa vita. Amo ogni cosa: osservare i giochi dei bambini, lavare la mia piccola Urmi, cucirle i vestitini, quando non sto preparando da mangiare oppure sono occupata con la pulizia della casa. Amo vedere le bolle dell’acqua nel vassoio di bronzo, quando verso l’acqua dal pozzo che si trova vicino all’albero di bambù. Provo una gioia senza nome quando coloro le mie unghie con la tonalità adatta e quando indosso i miei abiti migliori e mi trucco gli occhi, affinché Gunga dal piede sfortunato bruci d’invidia, lei il cui cuore brucia arido come una fascina di legna secca. Ed ora tutto questo deve finire? No, non posso!”.Le sorelle stavano mano nella mano, completamente identiche nell’aspetto esteriore. I paesani dicevano: “Non si sono mai viste delle gemelle così identiche”. Però un osservatore attento avrebbe potuto notare che erano differenti nel carattere e nell’espressione. Dwarki era la moglie di un uomo, che era stato esiliato nelle Isole Andamane per attività sovversiva.

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http://digilander.libero.it/shubala/CORNELIASOARABJIWEB.doc

 

RITRATTO DI DONNA INDIANA

 

Donna indiana

 

MEMORIE DI UNA PRINCIPESSA

 

 

Nel 1910, quando mia madre compì il suo diciottesimo compleanno, mio nonno la informò che avevano combinato per lei il matrimonio con il Maharaja Scindia di Gwalior, che era uno dei più importanti principati dell’India. Gwalior si trovava nell’India centrale e il Maharaja, che aveva circa quart’anni, era amico di mio nonno. Il Maharaja aveva già una moglie, ma era sterile e il sovrano voleva assolutamente un erede. Nel 1909 si era recato a Londra e lì aveva incontrato mia madre, la cui bellezza e vivacità non era passata inosservata nell’alta società. Al suo ritorno in India il Maharaja contattò mio nonno per chiedergli la mano di sua figlia: furono consultati gli astrologi, furono stilati gli oroscopi e, dopo la discussione sui giorni propizi per il matrimonio, fu accettato il fidanzamento. Mia madre, dal canto suo, accettò la decisione dei suoi genitori senza ribellione e protesta. I matrimoni combinati erano- e ancora sono- così accettati nella maggior parte della società indiana che l’idea di sposarsi per amore è considerata una dubbia e rischiosa idea occidentale, di cui non ci si può fidare soprattutto nel caso dei giovani. I genitori sanno che cosa è meglio per i loro figli, in modo particolare riguardo a qualcosa di così importante come il matrimonio....

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http://digilander.libero.it/shubala/GAYATRIDEVIWEB.doc

 

UNA PRINCIPESSA INDIANA

 

gayatri devi

 

karuthamma

 

DONNA INDIANA

 

DONNA INDIANA

 
 

 

 

La vita matrimoniale della donna indù di alta casta nel diciannovesimo secolo, Pandita Ramabai Sarasvati

Post n°46 pubblicato il 11 Febbraio 2010 da shubala
Foto di shubala

Pandita Ramabai Sarasvati

 

  Non è semplice stabilire quando finisce l’infanzia di una ragazza indù e inizia invece la vita matrimoniale. Il più antico sistema matrimoniale, risalente a 500 anni prima dell’era cristiana, asserisce che dodici anni è l’età minima per contrarre matrimonio nel caso di una ragazza appartenente ad un alta casta, mentre l’età massima si situa intorno ai diciotto anni. Tra i dieci tipi di matrimonio, che vengono sanzionati dalla legge, ce ne è uno secondo il quale basta che due innamorati si giurino fedeltà per rendere la loro unione istantanea, senza bisogno di nessuna cerimonia religiosa e nemmeno di testimoni. Anticamente tutte le caste  e le classi sociali potevano scegliere questo tipo di unione, il che ci dimostra che vi erano casi, e non rari, in cui l’età della sposa non differiva di molto da quella dello sposo e sia gli uomini che le donne possedevano la piena libertà di scegliere il proprio compagno. In quest’epoca una donna aveva la possibilità, senza il rischio di essere derisa oppure di venir ostracizzata dal suo contesto famigliare e sociale di appartenenza, di scegliere liberamente il proprio compagno. Il Svayamvara, ossia il processo di scelta dello sposo, era una procedura piuttosto comune fino all’undicesimo secolo e, ancora adesso, anche se in modo molto ridotto, viene seguita da un ristretto numero di persone. Ho conosciuto personalmente una donna, residente a Bombay, che aveva sposato un brahamano secondo questa procedura. Però, essendo la prima moglie dell’uomo ancora viva, quest’ultimo non poteva riconoscerla come sua sposa secondo il rito religioso, in quanto la sua seconda sposa apparteneva ad un’altra casta, anche se la loro unione risultata di fatto a tutti gli effetti legittima in quanto rispettava i dettami della legge indù. Oggi però questi sono casi molto rari, perché le bambine vengono promesse in spose tra i cinque e gli undici anni e questo è un costume che viene seguito dai brahamani in quasi tutta l’India. In questo caso la scelta degli sposi viene affidata o ai famigliari oppure ai loro guardiani legali. Nel nord del subcontinente solitamente un servo della famiglia ha il compito di selezionare gli sposi, sia bambini che bambine, perché è considerato troppo umiliante per la famiglia e per i suoi guardiani cercare di persona le proprie nuore o i propri generi. Anche se nel codice di Manu è scritto chiaramente che ventiquattro anni è l’età minima per la sposo, oggi il costume impone che bambini di dieci o undici anni siano sposati a bambine di sette o otto anni. Anche i ragazzi non hanno alcuna voce in capitolo nella scelta delle loro spose e, solo se rimarranno vedovi, potranno nella scelta della loro nuova sposa esprimere una preferenza. Anche se gli antichi legislatori hanno sostenuto che la scelta migliore per una giovane sia quella di essere data in matrimonio molto giovane, tuttavia hanno proibito alla famiglia e ai guardiani di scegliere uno sposo che non sia adeguato in termini di bontà del carattere, educazione e presenza fisica. Molte leggi però sono rese inefficaci dal costume prevalente. Se una giovane infatti rimane nubile dopo l’età massima per contrarre matrimonio, sulla sua famiglia ricade una pesante vergogna. Anche se nessuna legge indù sancisce una tale credenza, il popolo ritiene che una donna non possa raggiungere la salvezza se rimane nubile. Per questo motivo non bisogna meravigliarsi del fatto che la maggior parte dei genitori viene presa dall’ansia quando le loro figlie superano gli otto anni di età e ancora rimangono nubili. Le ragazze, appartenenti a famiglie povere, anche se sono di alta casta, non ricevono solitamente molte proposte matrimoniali. D’altro canto però, anche se la ricchezza ha il suo spazio in India proprio come negli altri paesi, tuttavia non può nulla di fronte alla differenza di casta. Un uomo di alta casta infatti non accetterà mai di sposare una ragazza che appartiene ad una casta inferiore, anche se è milionaria. Se però si colloca all’interno della stessa casta, la ricchezza ha più valore dell’educazione, della bellezza e dell’onore. Infatti, i genitori cercano dei generi di famiglia agiata e, se lo sposo è troppo giovane per mostrare di possedere delle buone qualità spirituali e caratteriali, i suoi futuri suoceri non la considerano una questione importante perché preferiscono che la loro figlia viva in condizioni economiche agiate piuttosto che con un marito di buon carattere, ma continuamente preoccupato da problemi economici.  Questo costume è stato seguito per così tanto tempo che le famiglie, più preoccupate per il loro buon nome e per la salvezza religiosa, hanno di fatto tralasciato di preoccuparsi per il destino della giovane sposa.

Per questo motivo le fanciulle povere, le cui famiglie non riescono a trovare uno sposo ricco ed adeguato, vengono promesse a uomini di età avanzata. Nel caso invece in cui il futuro genero sia un giovane di casta elevata, la famiglia dovrà dargli in dono una cospicua somma di denaro e dovrà trattarlo con umiltà e rispetto, al fine di assicurare il matrimonio della loro figlia. Le famiglie che hanno la possibilità di assicurarsi un genero giovane e ricco, tuttavia non tralasciano mai di consultare l’oroscopo di entrambi gli sposi al fine di conoscere il futuro delle loro figlie e in modo particolare sono ansiosi di sapere se diventerà una vedova. Se l’oroscopo invece afferma che lo sposo sopravviverà alla sposa, è considerato molto soddisfacente, in caso contrario invece sarà cercato come sposo un ragazzo con un oroscopo ugualmente sfortunato, nella ferma convinzione che i guardiani dei due pianeti combatteranno uno contro l’altro, conducendo o alla vittoria di quello del marito oppure alla tragica morte di entrambi gli sposi. Un amico mi ha raccontato che una volta una famiglia ha rifiutato trecento oroscopi, e quindi anche trecento possibili generi, fino a quanto non ne ha trovato uno che si allineava in modo soddisfacente con quello della sorella della sposa. Senza dubbio a causa di questa credenza molti giovani vengono rifiutati, e altri invece vengono scelti unicamente sulla base del loro oroscopo e non delle loro qualità. In questi casi purtroppo molto spesso l’oroscopo diviene una fonte di miseria piuttosto che di prosperità. Abbastanza frequentemente inoltre accade che i padri diano in spose le loro figlie a dei perfetti sconosciuti senza cercare di conoscere il loro carattere o la loro posizione sociale, perché basta che la persona li informi (senza alcun testimone) della loro casta, del loro clan di appartenenza e della località in cui abitano. Sono personalmente venuta a conoscenza di alcuni matrimoni che sono stati organizzati nel modo seguente. Quando un uomo si trovava in pellegrinaggio religioso insieme a sua moglie e alle due figlie, rispettivamente di nove e di sette anni, si fermarono in una cittadina per un paio di giorni. Una mattina, mentre l’uomo si stava lavando nel sacro fiume di Godavari, si avvicinò un uomo di bell’aspetto. Il padre, dopo aver terminato le abluzioni e aver terminato le sue preghiere, chiese allo straniero chi fosse e a quale casta appartenesse. Dopo essere venuto a sapere che era un vedovo e da dove veniva, l’uomo gli offrì in sposa sua figlia di nove anni. Tutto venne stabilito in meno di un’ora; il matrimonio fu solennizzato il giorno dopo e l’uomo portò via la bambina a circa 900 miglia lontano dalla sua casa. Il padre lasciò la cittadina il giorno dopo il matrimonio senza sua figlia e continuò il pellegrinaggio a cuore leggero. Fortunatamente la bambina in quel caso era caduta in buone mani e fu trattata con grande cura al di là di ogni aspettativa, anche se questo non giustifica il comportamento inqualificabile di suo padre.

Quando si avvicina il momento di solennizzare il matrimonio, l’affetto della madri indù verso le loro figlie frequentemente non conosce confini, perché sanno che in pochi giorni le loro figlie saranno tolte dai loro abbracci affettuosi. Quando vanno a visitare le future suocere delle loro bambine, domandano loro con ansia di essere indulgenti e affettuose con le piccole estranee proprio come se fossero le loro stesse figlie. La madre del futuro sposo il più delle volte promette di essere una buona madre anche per la bambina. Nel giorno stabilito per le nozze la famiglia affida la bambina alla famiglia dello sposo, presso la quale i due giovani saranno uniti in matrimonio dai sacerdoti che pronunciano le formule sacre e solennizzano la cerimonia alla presenza dei testimoni, della famiglia e degli amici dello sposo.

Quando il matrimonio è concluso è considerato indissolubile. Il matrimonio è l’unico sacramento che viene amministrato alla donna indù di alta casta con la recitazione delle formule dei Veda. Presumibilmente i testi sono introdotti in onore dell’uomo a cui viene unita in matrimonio, perché nessun sacramento può essere amministrato all’uomo senza la recitazione delle sacre formule.

La fanciulla non è considerata solo proprietà del marito ma anche dei suoi parenti più stretti, perché gli antichi testi dichiarano che la sposa è affidata alla famiglia del marito e non solo al marito. Dopo il matrimonio la sposa appartiene al clan del marito e assume anche il suo cognome. In alcune parti dell’India alcune famiglie proibiscono alla sposa di essere chiamata con il nome, che le hanno dato i suoi genitori, come se fosse qualcosa privo di personalità.

  Quando viene chiesto a molte bambine per scherzo se vogliono sposarsi presto, la maggior parte risponde affermativamente, perché spesso vedono le loro sorelle, le cugine o le compagne di gioco sposarsi e l’occasione viene da loro ricordata con piacere. Anche le famiglie più povere infatti tentano di organizzare i matrimoni al meglio delle loro possibilità e i bambini sono coloro che si divertono più di tutti: abiti dai colori brillanti, bellissime decorazioni, musica, canzoni, fuochi d’artificio, frutta e dolci. Spesse volte la giovane sposa viene portata in processione sul dorso di un elefante elegantemente decorato e non c’è nulla che eccita di più a fantasia dei bambini.

 
 
 

La vita matrimoniale della donna indù di alta casta nel diciannovesimo secolo, II parte

Post n°45 pubblicato il 11 Febbraio 2010 da shubala
Foto di shubala

decorato e non c’è nulla che eccita di più della fantasia dei bambini.

  Ma queste povere innocenti non sanno che cosa le aspetta dopo il matrimonio. Non sanno che dovranno dire addio alla loro casa, alla loro madre, al divertimento e alla libertà. Molto spesso le bambine desiderano sposarsi quando in casa non sono trattate bene dai propri parenti. Altrimenti non avrebbero nessun altro motivo per desiderare il matrimonio in quanto, quando avviene, hanno appena superato l’infanzia. Quando infatti il matrimonio viene solennizzato la bambina viene affidata a sua suocera che ne assume il pieno controllo fino a quando non è grande abbastanza per iniziare a vivere con il suo sposo. Dobbiamo ricordare che sia nel nord che nel sud dell’India il termine “matrimonio” indica una sorta di fidanzamento irrevocabile. C’è poi una seconda cerimonia che conferma il matrimonio sia dal punto di vista religioso che da quello sociale ed avviene quando la sposa raggiunge la pubertà. In alcuni casi, prevalentemente in Bengala, è concesso alla sposa di rimanere nella casa della sua famiglia fino a quando non raggiunge i tredici o i quattordici anni.

  La famiglia patriarcale è una realtà in tutti i paesi orientali e specialmente in India e molto spesso quattro generazioni si trovano a vivere sotto lo stesso tetto. La casa è solitamente distinta in due parti, il cortile interno e quello esterno. Le finestre sono poche e per la maggior parte delle volte oscurate, anche se il quartiere degli uomini è molto più confortevole ed illuminato. Le donne e gli uomini non hanno nulla in comune, in quanto il quartiere riservato alle donne si trova nella parte più interna della casa dove regna sovrana l’oscurità. La giovane sposa di fatto viene portata nella casa non di suo marito ma di suo suocero come il meno importante dei suoi membri e occupa la posizione più umile all’interno della famiglia. Non le è permesso di ridere né di parlare davanti a suo suocero e agli altri membri maschi della famiglia di suo marito. Nell’India del nord, dove le donne indossano il velo, è costume che le giovani spose, o generalmente le donne, si coprano il volto o corrano in un’altra stanza, quando i parenti maschi del marito entrano in una stanza. Nel sud dell’India invece, dove le donne non indossano il velo, per rispetto verso gli anziani rimangono in piedi fino a quando quest’ultimi non lasciano la stanza.

  Le suocere tengono occupate le nuore nei lavori domestici per dare loro un’ educazione in termini di economia domestica. Queste bambine di nove o dieci anni lavorano duramente per tutto il giorno nella speranza di ricevere una buona parola dalle loro suocere. È però tradizione che la piccola venga rimproverata per ogni minimo errore, ma se il lavoro è ben fatto viene accettato in silenzio, perché ogni forma di lode o di incoraggiamento potrebbe viziare la bambina ed indebolire la sua forza morale. Gli errori invece molto spesso vengono interpretati come offese intenzionali, e le fanciulle, quando vengono aspramente rimproverate dalle loro nuove famiglie, non possono far altro che piangere amaramente in silenzio. In queste ore disperate sentono la mancanza della loro madre. Non tutte le suocere agiscono però in questo modo, perché ce ne sono molte che invece si comportano con gentilezza e affetto verso le fanciulle e considerano le spose dei loro figli come figlie. Altre invece, essendo state a loro volta vittime di un trattamento ostile da parte delle loro famiglie, diventano piuttosto dure di cuore e a volte invitano anche il proprio figlio a rimproverare la sua sposa. Ho spesse volte visto giovani spose rimproverate, picchiate e umiliate di fronte al vicinato alla presenza dei loro stessi mariti, che non mostrano verso di loro nessun segno di amore. Infatti, la sposa non può interagire con lo sposo se non dopo la seconda cerimonia, di cui abbiamo parlato precedentemente e che di solito avviene dopo la pubertà. Anche allora poi i giovani non devono mostrare, quando si trovano in pubblico, nessun segno di attaccamento. In questo tipo si situazione gli sposi solitamente non sviluppano nessun tipo di affiatamento o di attaccamento nel corso della loro vita matrimoniale.

Nonostante tutto però in India ci sono molte coppie che si amano e si stimano e, dove la relazione matrimoniale è illuminata dal reciproco amore, la sposa può solo lamentarsi dell’assenza di libertà di pensiero e di azione, ma dal momento che non ha mai conosciuto che cosa sia la libertà è contenta di rimanere nella sua situazione.

  Solitamente gli uomini passano le loro serate con gli amici o in casa oppure fuori di casa. I bambini godono della compagnia dei genitori alternativamente passando dal quartiere degli uomini a quello delle donne. I bambini di una giovane coppia però non ricevono mai nessuna dimostrazione di affetto, quando si trovano alla presenza degli adulti, perché un senso di modestia impedisce ad un giovane padre di parlare liberamente ai suoi figli. Le donne solitamente mangiano dopo gli uomini e le spose, come regola, mangiano quello che il loro signore si è degnato di lasciare nel piatto.

 
 
 

Ramayana, mitologia indiana

Post n°44 pubblicato il 09 Febbraio 2010 da shubala
Foto di shubala

Ramayana

 

 

  Moltissimo tempo fa, all’epoca degli eroi, esisteva il regno di Oudh, alla cui famiglia apparteneva Rama, erede al trono, coraggioso e bellissimo. Rama divenne lo sposo di Sita, la figlia del Re Janaka, la più pura tra i figli del l’uomo. Rama aveva ricevuto la sua educazione intellettuale e sportiva nella foresta, come era costume dell’epoca, insieme a suo fratello Lakshamn.

  Dopo che Rama tornò a casa e venne celebrato il suo matrimonio con Sita, sorsero dei problemi tra suo padre ed una delle regine più giovani, Kaikeyi, che desiderava che Bharata, il proprio figlio, ereditasse il trono, e per questo motivo sosteneva che una volta il re aveva promesso di concederle qualsiasi cosa avesse desiderato.

  Quando gli venne raccontato di questo contenzioso, che stava amareggiando la vecchiaia di suo padre, Rama fece voto di rinunciare al trono e di ritirarsi nella foresta per quattordici anni, in quanto voleva accontentare la sua matrigna e concedere a Bharata, il suo fratello minore, il potere e il trono. Sita, quando seppe del voto del marito, stette dalla sua parte, anche se le venne consigliato di non abbandonare il suo stato principesco. Anche Lakshaman non volle abbandonare Rama e così tutti e tre si ritirarono nella grande foresta.

  Poco dopo però giunse anche Bharata, il quale informò Rama che il loro padre era morto per il dispiacere e il torto che aveva arrecato al suo figlio maggiore, e lo pregò di ritornare come legittimo erede al trono. Rama però rifiutò dicendo che il suo voto sarebbe terminato dopo quattordici anni, dopo i quali sarebbe ritornato e avrebbe assunto il potere regale. Allora Barata, dispiaciuto, tornò a Oudh, portando con sé i sandali di Rama e dichiarando di essere solo il vice-reggente di suo fratello e di governare in suo nome.

  Nella foresta la vita di Sita, Rama e Lakshaman si svolgeva come quella degli anacoreti: divennero abili nel lavorare il regno e gli animali selvatici rispondevano al loro richiamo. Rama e Lakshman però non dimenticarono mai il loro essere cavalieri e per questo motivo erano sempre pronti con la spada e l’arco per difendere coloro che si trovavano in pericolo. Durante una di queste spedizioni per caso recarono offesa ad una grande orchessa, attirando su di sé le ire di Ravana dalle dieci teste, re dell’isola di Lanka o Ceylon.

  Un giorno Sita si trovava da sola nella foresta, perché Lakshaman era andato a cercare Rama, ma prima di andare aveva disegnato tre cerchi magici intorno a Sita e le aveva detto di non uscirne. Il sole non era ancora tramontato, quando apparve un brahmano, coperto di cenere e con i capelli arruffati, chiedendo l’elemosina.

  Sita, dicendo che era tardi e che lei era sola, lo implorò di andare via, ma l’uomo le assicurò che sarebbe andato via solo se gli avesse dato un poco di cibo. Sita, anche se piena di presagi negativi, tuttavia presa da pietà verso il pover’uomo, uscì dal suo cerchio incantato. Immediatamente dopo però il Brahamino si rivelò essere Ravana stesso, che rapì Sita per portarla nel suo regno. Durante il viaggio però Sita lasciò cadere i suoi gioielli per indicare il cammino a coloro che sarebbero venuti a cercarla.

  Per anni Sita rimase prigioniera in Lanka, mentre Rama e Lakshman, attraversando i luoghi più impervi dell’India del Sud, cercano di raggiungerla. Alla fine riuscirono nell’impresa, aiutati da Hanuman, il generale-scimmia, che supportò Rama con l’obbedienza di un bambino e il genio di un uomo.

  Quando arrivò il momento per Rama e Sita di tornare a Oudh, regnarono per quasi un anno nella più completa felicità. Poi però accade una grande crisi, perchè le persone cominciano a dubitare dell’onestà di Sita, che volontariamente si ritirò in una distante foresta vivendo la vita di una reclusa sotto la cura di Valmiki, un vecchio eremita, mentre Rama sedette solo sul trono di Oudh fino alla fine dei suoi giorni.

  I suoi sudditi desideravano che si sposasse di nuovo, ma Rama, che sapeva che nessuna donna poteva prendere il posto di Sita, chiese di forgiare una statua d’oro a sua immagine per porla al suo fianco dopo un’elaborata cerimonia.

  Intanto Sita, subito dopo il suo arrivo nella foresta, partorì due gemelli e Valmiki li educò come principi e insegnò loro il suo grande poema, il Ramayana. Inoltre lasciò credere loro che la madre era morta. Quando i ragazzi raggiunsero i venti anni di età, vennero a sapere che si sarebbe tenuto un grande festival religioso alla corte di Ayodhya. L’eremita si preparò a parteciparvi, portando con sé i due giovani e Sita.

  Quando i due giovani recitarono davanti al re il Ramayana, Rama li riconobbe come suoi figli e dopo aver convocato Valmiki gli parlò di Sita. Quando il vecchio si ritirò, Sita avanzò e di fronte a suo marito rimosse il velo dal suo viso. Quando però i due si guadarono di nuovo dopo venti anni di lontananza e di continua nostalgia, il dubbio del popolo ancora si manifestò: “Che sia provata con il fuoco!”.

  Sita, incapace di sopportare questo nuovo insulto, lanciò un grido di morte. Il terreno sotto i suoi piedi si aprì in due e tra le braccia di Madre Terra scompare per sempre dal mondo degli uomini. Rama, invece, dopo aver abdicato a favore dei figli, si ritirò di nuovo nella foresta e scompare per sempre.

 

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LA LUCE BLU DI MUHAMMAD BASHEER PARTE PRIMA

Post n°43 pubblicato il 10 Ottobre 2009 da shubala
 
Foto di shubala

 

Questo è il racconto di uno degli avvenimenti più strani che mi sia mai capitato. Non è stato solo un incidente. E’ meglio definirlo qualcosa al di fuori dell’ordinario, qualcosa di soprannaturale. Ho tentato di dargli una spiegazione logica, ma non ci sono riuscito. Forse tu potresti essere capace di farlo…

Questo è ciò che mi è accaduto.

L’anno, il mese e il giorno non hanno importanza. A quel tempo ero alla ricerca di una casa. Non era niente di nuovo, perché io sono sempre alla ricerca di una casa. Non avevo mai trovato, infatti, una casa o una stanza che mi piacesse veramente e nella quale fossi a mio agio. Trovavo mille difetti in ogni luogo in cui andavo ad abitare. Ma con chi mi potevo lamentare? Se non mi piaceva, potevo andarmene. Ma andare dove? E così vivevo scontento e pieno di risentimento. In quante stanze, in quante case non mi ero trovato bene! Non era però colpa di nessuno. Quelle case e quelle stanze non mi piacevano e così le ho lasciate. Qualcun altro sarebbe andato ad abitare lì al posto mio. Questo è tipico delle case in affitto.

In quei giorni vi era una certa scarsità di case in affitto. Quello che una volta poteva essere affittato per dieci rupie al mese, adesso costava cinquanta. Quando però mi misi in cerca di una casa, ne trovai una che sembrava incontrare tutte le mie esigenze. Era una casa piccolina, lontana dal rumore della città.. Mi piacque subito. Al piano di sopra c’erano due stanze e un balcone. Al piano di sotto c’erano quattro camere e il bagno. C’era anche la cucina e l’acqua corrente. Mancava solo l’elettricità. Davanti alla cucina c’era un pozzo e vicino, in un lato del cortile, un lavatoio. Il pozzo era molto vecchio ed era circondato da un basso muricciolo di pietra. Il cortile era pieno di alberi. Ero sorpreso e felice nello stesso tempo. Perché nessuno fino a quel momento aveva preso in affitto quella casa? Mi sembrava di aver avuto la fortuna di aver conquistato una donna graziosa in un luogo in cui ve ne era penuria. Avrei dovuto coprirla con un velo! Questo è il sentimento che quella casa destava in me. Ero veramente eccitato. Chiesi in prestito del denaro, pagai due mesi di affitto e la chiave fu finalmente mia. In breve, mi trasferì e il giorno stesso del mio trasferimento comperai una lampada a petrolio.

Lavai il pavimento e pulì tutte le stanze, la cucina e il bagno. Da ogni parte vi era dello sporco e moltissima polvere. Dopo aver finito, mi lavai. Mi sentivo molto contento. Uscì e mi sedetti sul muretto del pozzo. Ero felice. Potevo sedere e sognare. Potevo alzarmi e passeggiare tra gli alberi. Avevo intenzione di coltivare nel cortile un bel giardino: cespugli di rose e gelsomini. Mi chiesi se dovessi assumere un cuoco, ma poi pensai che sarebbe stato un fastidio inutile.  La mattina, dopo il bagno, sarei andato al tea shop per riempire il mio termos di tè, poi mi sarei messo d’accordo con il ristorante per farmi portare il pranzo a mezzogiorno. Avrei chiesto di mandarmi anche la cena. Poi dovevo andare dal postino e dirgli che mi ero trasferito lì. Dovevo anche chiedergli di non dire a nessuno che la casa non era più disabitata.. notti di solitaria bellezza, giorni di solitaria bellezza.. Avrei potuto dedicare moltissimo tempo alla scrittura.

Pensando a tutte queste cose guardai nel pozzo. Non si poteva vedere se vi era dell’acqua. Vi erano molti cespugli che coprivano l’apertura. Presi una pietra e la gettai nel pozzo. Ci fu un eco e uno splash. Si, nel pozzo vi era l’acqua.

Erano le undici del mattino. La notte prima non ero riuscito a chiudere occhio. Mi ero messo d’accordo con il ristorante e, dopo avevo incontrato il padrone di casa, avevo impacchettato il giradischi e i dischi, il mio baule, le mie carte, i miei libri,, la sedia pieghevole, la libreria: tutti i miei beni terreni. All’alba ero andato via con tutti miei averi….

Aprì la porta della mia nuova casa e chiusi in cancello. Posi la chiave nella tasca e camminai con un certo orgoglio. Pensai: con quale canzone dovrei inaugurare la mia prima notte in questa casa? Posseggo più di mille dischi in inglese, in arabo, in hindi, in urdu, in tamil e in bengali, ma non ho niente in malayalam. Ci sono alcuni cantanti che cantano molto bene in malayalam. Si possono comprare dischi della loro musica, ma le incisioni non sono buone… Pensai a circa dieci o venti dischi e alla fine mi decisi. C’è una canzone che inizia con “Qui viene il viandante” (Door desh ka rahnewala aya). Chi la cantava, un uomo o una donna? Decisi di andare a vedere….

Prima incontrai il postino e parlai con lui. Quando gli dissi della casa in cui ero andato ad abitare, disse impaurito: “In quella casa è avvenuta una morte violenta.. nessuno può vivere lì. Per questo motivo la casa è rimasta disabitata per così tanto tempo”.

Una casa dove era avvenuta una morte violenta? Chiesi: “Che tipo di morte violenta?”

“Non c’è un pozzo nel cortile? Qualcuno vi si è gettato. Da quel giorno in quella casa non c’è stata più pace. Molte persone vi sono andate ad abitare. La notte le porte si chiudono da sole e l’acqua inizia a scorrere…”

Le porte si chiudevano da sole con un tonfo! L’acqua scorreva dai rubinetti! Impressionante. Mi ricordai che i rubinetti erano stati chiusi. Il padrone di casa mi aveva detto che le persone erano solite scavalcare il muro e fare un bagno, così aveva chiuso i rubinetti. Avrei dovuto chiedergli perché anche i rubinetti all’interno della casa erano stati chiusi, ma in quel momento non mi era sembrato importante.

Pensai: splendido e ho pagato due mesi in anticipo! Che cosa posso fare?. Poi dissi: “Oh non è nulla di serio. Me ne occuperò con un incantesimo. Comunque, portami le lettere che mi arrivano nella mia nuova casa”.

Lo dissi con molto coraggio, ma io non ero né coraggioso né codardo. Avevo paura di quello che normalmente quasi tutte le persone temono. Forse dovevo essere considerato un codardo. E tu che cosa avresti fatto…

Camminavo lentamente e mi chiedevo che cosa mai dovessi fare. Non ero mai andato in cerca di questo tipo di situazioni per il gusto di sperimentare qualcosa fuori dall’ordinario. Però, quando un’esperienza di questo tipo arriva senza che sia stata cercata, come ci si deve comportare? Entrai nel ristorante e bevvi del tè. Non avevo però voglia di pranzare. Mi sentivo bruciare le viscere. Parlai con il principale del cibo che mi doveva essere portato a casa. Quando gli diedi l’indirizzo della casa, mi disse: “Posso mandarti il pranzo, ma non la cena..! Il ragazzo delle consegne si rifiuterà sicuramente.. una donna si è suicidata gettandosi nel pozzo. Il suo fantasma adesso infesta la casa. Non hai paura?”.

Metà della mia paura se ne andò. Dopo tutto il fantasma non era una donna? Dissi: “Non è nulla di serio. Ho un incantesimo adatto per questo tipo di fantasmi…”

In realtà, non conosco nessun incantesimo, ma era una donna e metà della mia paura se ne andò. Dopo essere uscito dal ristorante andai in banca, dove erano impiegati un paio di miei amici. Gli raccontai tutto. Si arrabbiarono molto con me: “Hai fatto una vera stupidaggine. Quella casa è infestata da un fantasma. Attacca specialmente gli uomini”

Così il fantasma odiava gli uomini. Molto bene!

“Perché non ti sei consigliato con noi prima di prendere in affitto quella casa?”

“Che ne sapevo allora? Dimmi una cosa. Perché quella donna si è suicidata gettandosi nel pozzo..?”

“Per amore. Si chiamava Bhargavi. Aveva ventun’ anni. Aveva appena superato l’esame di baccalaureato. Amava profondamente un ragazzo, che però ha sposato un’altra donna. La notte stessa del matrimonio Bhargavi si è suicidata gettandosi nel pozzo”.

La maggior parte della mia paura mi abbandonò. Così questa è la ragione della sua animosità contro gli uomini?

“Bhargavi non mi farà nulla”

“Perché?”

“Possiedo un potente incantesimo”

“Staremo a vedere..”

Non dissi nulla e tornai a casa. Aprì le porte e le finestre. . poi scesi e mi sedetti vicino al pozzo.

A bassa voce dissi: “Bhargavi Kutty. Non ci siamo mai incontrati prima d’ora. Sono venuto ad abitare qui. Penso di essere un buon uomo e uno scapolo. Ho udito molte lamentele contro di te, Bhargavi Kutty. Pare che tu non permetta a nessuno di venire a vivere in questa casa. Apri i rubinetti dell’acqua corrente di notte. Chiudi le porte con un tonfo. Prendi gli uomini per la gola e cerchi  di ucciderli.. Queste sono le cose di cui ho paura. Che cosa dovrei fare adesso? Ho pagato due mesi anticipati e questo posto mi piace veramente tanto. Mi piacerebbe molto lavorare qui. Vorrei scrivere alcune storie. Permettimi di domandarti una cosa. Ti piacciono i racconti? Se ti piacciono, potrei leggerti tutti i miei racconti. Posso? Io non voglio discutere con te Bhargavi.. perché tra di noi non c’è alcuna ragione d’inimicizia. Ho gettato una pietra nel pozzo senza pensarci. Perdonami. Mi senti, Bhargavi Kutty? Ho con me un bel grammofono e circa 200 dischi. Ti piace la musica?”

Detto questo rimasi in silenzio. A chi stavo parlando? Ad un pozzo pronto ad inghiottire ogni cosa? Agli alberi, alla casa, all’atmosfera, alla terra, al cielo, a chi? Stavo forse parlando alla mia mente disturbata? Mi dissi che stavo parlando ad una creatura della mia mente, Bhargavi. Non l’avevo mai vista. Era stata una donna di ventun’ anni. Aveva amato un uomo profondamente. Avrebbe voluto vivere come la moglie di quest’uomo, come la compagna di una vita. Quel sogno per; rimase tale. Si sentì rifiutata….

 

 
 
 

LA LUCE BLU DI MUHAMMAD BASHEER PARTE SECONDA

Post n°42 pubblicato il 10 Ottobre 2009 da shubala
 
Foto di shubala

Dissi: “Bhargavi Kutty, non avresti dovuto agire in quel modo. Non pensare però che ti stia rimproverando. L’uomo, che tu amavi così tanto, non ti voleva abbastanza bene. Amava un’altra donna più di te e così l’ha sposata. Così la vita è diventata amara per te. La vita però non è sempre piena di amarezza. Lascia andare. La storia non si ripeterà più.. Barghavi Kutty non pensare che ti stia rimproverando. Sei veramente morta per amore? L’amore è l’alba della vita eterna. Eri solo una ragazza molto giovane, non sapevi nulla della vita. Questo è quello che prova la tua inimicizia verso gli uomini. Hai conosciuto solo un uomo, che ti ha fatto del male. Ma è giusto forse guardare a tutti gli uomini attraverso degli occhiali deformanti? Se non avessi commesso il suicidio e avessi continuato a vivere, avresti capito che il tuo atteggiamento era sbagliato. Ci sarebbero stati uomini che ti avrebbero chiamato dea e ti avrebbero adorato. Ma come ho già detto, nel tuo caso la storia non si ripeterà ancora. Non dovresti attaccarmi.. Questa non è una sfida, ma una richiesta. Se questa notte mi strangoli a morte, non ci sarà nessuno a domandarti il perché oppure che cercherà di vendicarti, perché io non ho nessuno al mondo….Bhargavi Kutty, non capisci la mia situazione? Stiamo entrambi qui, perché io intendo rimanere in questa casa. La casa e il pozzo ora mi appartengono di diritto, ma tu puoi utilizzare le quattro stanze al piano di sopra e il pozzo e possiamo dividere il bagno e la cucina. Va bene?”.

Ero soddisfatto. Non successe nulla. Scese la notte. Andai a cenare e tornai a casa con il termos pieno di tè. Accesi la torcia e la lampada. La stanza era completamente illuminata. Scesi con la torcia al piano di sotto e rimasi per un poco nelle tenebre. Avevo intenzione di chiudere i rubinetti. Aprì tutte le finestre, poi andai vicino al pozzo e alla cucina, ma poi decisi di non chiudere a chiave i rubinetti. Chiusi invece le porte e andai al piano di sopra. Bevvi il tè, accesi una sigaretta e sedetti su una sedia per un poco. Stavo per iniziare a scrivere, ma mi sembrò che qualcuno mi stesse osservando da dietro la sedia.. Bhargavi!

Dissi: “Non mi piace quando qualcuno mi osserva mentre scrivo”

Mi voltai.. C’era qualcuno?

Comunque non me la sentì di continuare a scrivere. Mi alzai e camminai avanti e indietro. Non c’era un filo di vento. Fuori anche le foglie degli alberi erano immobili. Però, quando guardai meglio fuori dalla finestra, vidi una luce. Non saprei dire se la luce era blu, o rossa o gialla perché la vidi solo per un istante. In quel momento pensai di essere stato vittima di un illusione ottica. Non ero sicuro di quello che avevo visto. Camminai avanti e indietro per lungo tempo. Poi mi fermai per un poco di fronte alla finestra. Tentai di leggere, ma non riuscivo a concentrarmi. Allora decisi di andare a dormire presto. Spensi la lampada, ma mi venne voglia di ascoltare un poco di musica. Accesi di nuovo la lampada, aprì il grammofono e lo accesi. Quale canzone scegliere? Tutt’ intorno vi era silenzio, anche se c’era un ronzio, che risuonava nelle mie orecchie. C’era un emozione, una vibrazione che mi attraversò. Poi rimase sospesa nell’aria in un silenzio terrificante,che avrei voluto rompere in mille pezzi. Quale canzone avrei dovuto scegliere? Cercai tra i miei dischi e alla fine scelsi un disco di Paul Robeson. Misi il disco e una voce maschile e sonora cominciò a cantare: “Joshua ha combattuto la battaglia di Gerico”. Poi misi la canzone, cantata da Pankaj Mullick, Tu dar na Surabhi (Surabhi tu non hai nulla da temere)

Poi la voce femminile e morbida di M. S. Subbulakshmi: Katinile varum geetam, (La canzone si libra nell’aria).

Quando anche questa canzone finì, sentì un senso di pace e sedetti per un poco in silenzio. Poi decisi di chiamare il grande Saigal, che cantò a voce bassa con dolcezza e pathos Soja Rajakumari… (Dormi principessa, vai a dormire e fai sogni meravigliosi).

Anche quella canzone finì. Dissi: “Va bene. Ricominceremo domani”. Chiusi il grammofono. Spensi la lampada, accesi una sigaretta e mi sdraiai. Vicino a me c’era la mia torcia elettrica e il mio orologio. Ascoltai. Potevo udire solo il ticchettio dell’orologio. Passarono le ore e i minuti. Non avevo alcuna paura. Non c’era nulla di nuovo per me. Nei miei venti anni di vita solitaria ci sono state molte esperienze a cui non saprei dare una spiegazione. La mia attenzione andava dal passato al presente. Ero in attesa di udire una porta sbattere, aprirsi un rubinetto oppure di essere preso per il collo. Rimasi in ascolto fino alle tre di notte.. non udì nulla. Non sentì nulla. Calma assoluta. Mi addormentai e mi svegliai la mattina dopo alle nove. Non era successo nulla.

“Grazie molte, Barghavi Kutty. Ora capisco una cosa. Le persone si lamentano di te senza alcuna ragione. Ma lasciali pure parlare….”.

 
 
 
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