VASCO ROSSI

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Creato da blasco0082 il 20/01/2008

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ANTICIPAZIONE "LA STORIA SIAMO NOI"

Post n°168 pubblicato il 21 Novembre 2008 da blasco0082




VASCO
ROSSI



QUANDO
SCENDEVO DAL PALCO E PIANGEVO



 



Gli tiravano freccette di carta e
lo prendevano in giro. Poi, dall’umiliazione è passato alla rabbia: il Blasco
racconta a “LA STORIA SIAMO NOI” la sua vita di rockstar. Senza dimenticare,
incalzato da due fan speciali, gli anni bui.



 



EMILIO MARRESE



 



Tutto
cominciò quando gli tirarono addosso delle freccette di carta. “In piazza a
Vicenza” racconta Vasco Rossi. “Dopo un concerto del Psi vado su a cantare. Dei
ragazzi seduti al bar bevevano tranquillamente, facevano delle freccette di
carta e ce le tiravano. Mentre cantavo non sapevo come reagire. Mi sono
vergognato talmente tanto… Avevo 26 anni, facevo il dj, guadagnavo soldi, avevo
la macchina, un sacco di donne. Ma questa umiliazione era talmente grossa che
volevo sprofondare e sparire. Sono sceso dal palco alla fine e ho detto: “Io
questo mestiere non lo faccio neanche se me lo ordina il medico”. Poi, stavo andando
a casa in macchina da solo e a quel punto lì è scattato nella testa un
meccanismo: a quel punto ho detto no, adesso mi incazzo come una bestia. Mi è
venuta una rabbia… Io ero uno tranquillo. Da lì è cominciata la storia dei miei
concerti rock, perché dopo è stata sempre una guerra. Dopo, scendevo veramente
dal palco e facevo a botte, quando mi prendevano in giro. Tante volte sono
tornato a casa piangendo dai concerti, però quando ero sul palco non piangevo e
nessuno lo vedeva. Vedevano sempre la rockstar. Poi la sofferenza la scaricavo
cercando di scrivere delle canzoni più forti”. Benedetti quei bulletti
vicentini. Se gli avessero tirato delle lattine di birra, quella sera di trent’anni
fa, chissà cosa sarebbe diventato più di così, Vasco Rossi, la leggenda vivente
del rock italiano.



Questo e altro il Blasco lo ha
raccontato a LA STORIA SIAMO NOI di Giovanni Minoli, che gli ha dedicato uno
speciale a cura di Caterina Stagno, in onda mercoledì 26 alle 23.30 su RaiDue.
L’adolescenza,
Sanremo, il successo, la droga, le donne, la famiglia, la politica, Dio: tutto
Vasco Rossi, dalla V alla I, stimolato anche dalle domande dei suoi fan
speciali Valentino Rossi ed Eros Ramazzotti.



La
rabbia è sempre stata il suo additivo naturale. L’anno dopo le freccette di
Vicenza, suo padre morì improvvisamente al lavoro, sul suo camion. “È stato uno
shock terrificante. Però lui è entrato dentro di me con tutta la sua forza e io
sono diventato ancora più determinato, ancora più convinto. E dopo non
scherzavo più, dopo non ce n’era per nessuno, e veramente gli altri mi sembrava
che giocassero, mentre io no, io non giocavo più. A Sanremo, nell’82, io ero
già convinto, determinato a colpire quella platea televisiva in quei tre
minuti. Avevo perfettamente in testa cosa volevo fare. Non ero affatto fuori di
testa come pensavano tutti: erano fuori di testa tutti gli altri, tutti un po’ preoccupati
del vestito o di chi vinceva,, mi sembravano bambini dell’asilo. Io non potevo
scherzare, io dovevo arrivare, e sarei arrivato”.



La
rabbia era anche quella che si portava da Zocca, dov’è nato sull’Appennino. “Sono
arrivato in città e sembrava che l’avessi scritto in fronte che ero di
montagna, per cui ero considerato uno come oggi gli extracomunitari. Addirittura
nella scuola c’era una sezione per i montanari, la H”.



Altri
additivi invece lo hanno portato a farsi 22 giorni di carcere, nell’84. Ma la
sua dipendenza era iniziata prima. “Quando mi arrivò la cartolina del servizio
militare, improvvisamente, avevo dei problemi di cervello (…) Mi hanno
fortunatamente dato l’articolo 29, cioè incompatibilità per farmacodipendenza, perché
a quei tempi avevo già cominciato a prendere delle pastiglie che si usavano per
dimagrire a base di anfetamina. Con una al giorno, stavo molto bene, molto
magro, andavo fortissimo, non mi fermavo mai, stavo da dio, avevo trovato la
soluzione alla mia vita. Il problema è che dopo, per smettere, è stata
durissima (…). È quello che dico a mio figlio più grande: tanto vale che
cominci a provare adesso a divertirti senza sostanze, perché tanto prima o poi
dovrai smettere comunque. Nella vita sinceramente mi è sempre piaciuto frequentare
i limiti di tutto. Ma la libertà ha un senso se è comunque all’interno di un
limite, perché sennò non è libertà: è caos”.



La famiglia, dunque: “Non ne potevo
più di quella vita lì. Ho detto: adesso mi prendo il lusso di farmi una famiglia,
che per una rockstar è un bel lusso.
(…) A quel punto lì è
ovvio che non ti puoi più innamorare di qualcun altro. Devi metterti un po’ da
parte, insomma. Se dovesse finire il progetto con Laura, sicuramente non ne
faccio più un altro con un’altra. Torno da solo. Cambio la macchina, ma non la
donna”.



Vasco
non crede in Dio (“Credo che la vita non sia un dono, ma un caso”), non sa
nuotare (“Galleggio, come nella vita”) e non ha mai pensato di tuffarsi in
politica: “Non mi butterò mai in politica: mi sono già buttato abbastanza. Nel rock”.

 
 
 
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