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Le cose in cui credo.

Post n°43 pubblicato il 27 Febbraio 2011 da ilpensieroscomodo

Devo ammettere che tutti noi abbiamo bisogno di credere in qualcosa. Più che mai adesso, alla luce di quello che sta accadendo alla nostra generazione (laddove per "nostra" intendo dire quella degli attuali ventenni). A prescindere dalle esperienze personali, più o meno positive, dall'educazione ricevuta, dalle persone frequentate, è innegabile che il minimo comune denominatore delle nostre vite è l'ineluttabilità della precarietà. Ma questa è un'altra storia...

Qualcosa in cui credere. Si fa presto a pensare ad un dio, uno qualsiasi, tanto è uguale. Ma non è solo quello. E' qualcosa di ancor, se possibile, più profondo di quello.

Non vorrei scimmiottare il passaggio di Radiofreccia in cui il protagonista elenca le cose in cui crede. Anzi, in realtà probabilmente sarà così, ma è logico che lo sia. La sua concezione della vita l'ho fatta mia, l'unica variabile sono le cose in cui credo. Che vorrei buttare giù, qui, adesso.

E allora inizio col bene e col male. Si, credo che ci sia un bene e un male. E credo che tutti abbiano la più totale percezione del fatto che esista un bene ed un male. Ciò che cambia è il metro che viene utilizzato per stabilirlo. Un cristiano avrà i suoi dieci comandamenti, un satanista magari gli opposti. Un buddista non farà nulla, perchè questo è bene. C'è chi ha la morale dalla sua, chi l'etica, o l'estetica.

Io non credo in un dio. O meglio, non mi pongo il problema. Cioè, sostanzialmente, può darsi anche che ci sia, lassù, da qualche parte, ma non ho i mezzi per poterne essere sicuro. E allora accetto questa condizione rimanendo nel dubbio. Qualcuno direbbe che sono agnostico. Per semplicità, lo faccio anch'io.

Il non accettare l'esistenza di un dio è un serio problema per chi deve, necessariamente, trovare un metro di giudizio per stabilire cosa è bene e cosa è male. Pensandoci bene, i credenti non si pongono il problema, seguono fideisticamente ciò che la loro religione (e fede) gli impone. Per noialtri è diverso. Dobbiamo capirlo da noi.

La religione è dottrina: dio impone, i fedeli accettano supinamente. Chi è dall'altra parte della staccionata, invece, le regole se le sceglie da solo. C'è da dire che la questione, per essere precisi, dovrebbe essere affrontata da un altro punto di vista: non è il singolo che si fa le regole, quelle esistono diperse, la scelta sta in quali seguire. Ma è un'inezia formale: la sostanza è la stessa.

E allora diventano importanti i principi inculcati dai propri genitori. Tra questi vi può essere anche la religione, ma il resto è etica e e morale. L'importanza di questi principi non è assoluta, poichè ci sarà pur stato un assassino con genitori modello. Però, in una certa misura, contano.

Poi però si cresce e, a quel punto, tutti principi inculcati possono venire rinnegati, se non modificati o accantonati, almeno temporaneamente. Sono le esperienze di vita che formano le persone, le portano a cambiare, in un certo qual modo le "plasmano" sulla base di ciò che erano.

Ognuno ha il suo metro per decidere ciò che è bene o è male. Il valore morale di una persona dipende da quanto questo metro sia consono ai principi universalmente conosciuti. E' lapalissiano.

Tuttavia, esistono altri tipi di persone i quali metri di giudizio non corrispondono ai principi universalmente conosciuti, però riescono a rispettarli sempre, quindi, almeno per loro, fanno del bene. Il loro problema non è fare i conti con la proprio coscienza, ma con quella degli altri.

D'altro canto, c'è però chi ha un suo metro, non lo rispetta, però, agli occhi degli altri, sta nel giusto, poichè non rispettando i suoi principi, rispetta quelli universalmente riconosciuti. Non saprei, a quel punto, se è meglio doversi ritrovare a fare i conti con gli altri o con la propria coscienza. Di certo non si sta bene se la propria coscienza non è a posto.

Un'altra riflessione da farsi è sul perchè fare del bene. Qualcuno ha detto che fare del male significa ignoranza, perchè sapere cosa è giusto impedisce il fare del male. Non sono tanto d'accordo, perchè c'è chi accetta tacitamente di fare del male, in maniera del tutto cosciente, pur ricavandone beneficio. Si potrebbe obiettare sulle prospettive, sull'importanza relativa di costi e benefici (ubi maior...) ma lasciamo stare. Il punto è un altro: andando per analogie, i cristiano hanno un paradiso. Fare del bene li porta lì. E gli altri? Probabilmente la coscienza, di cui prima, è ciò che, più di ogni altra cosa, può far male a qualsiasi persona, in qualsiasi contesto. Stare a posto con la propria coscienza è il paradiso dei non credenti.

Infine, più che del bene e del male attivo, ossia procurato, c'è quello passivo, ossia ottenuto. Per essere chiari, quello che ci può capitare.

Le cose accadono, per qualcuno si tratta di finalismo, per altri di meccanicismo. Però le cose accadono. Ed anche per le cose che accadono si possono classificare con "bene" e "male".

Di tutte le cose difficili da accettare, quelle che non si capisce perchè siano avvenute sono le peggiori. Non potrei, se fossi cristiano, accettare il volere di Dio. Sarebbe troppo riduttivo per la mia personalità. Beh, a dire il vero, anche per questo non sono cristiano. Ma, anche questo, è un altro discorso...

Queste righe buttate qui nascono da qualcosa di pazzesco che mi è capitato ieri. Ero in auto, ho beccato qualcosa di simile ad una pietra. Svuoto la coppa dell'olio per terra, devo fermarmi. Riesco a tornare a casa e a farmi trainare. A quel punto, pur essendo trainato, riesco comunque a forare uno pneumatico.

Da cristiano avrei potuto interpretare il tutto come volere di Dio. Lo ammetto, non mi sarebbe bastato. Ed è qui il punto del discorso (per la verità partito molto da lontano, ma, perdonatemi, questo è quasi uno sfogo sconclusionato).

Immagino che molti di voi abbiano seguito la fantastica serie televisiva My name is Earl. Spettacolare.

L'idea di fondo era semplice. Il protagonista, bastardo incallito, viene a conoscenza del karmah, elemento della filosofia orientale per cui il bene e il male alla fine si compensano, nel senso che, in sostanza, più bene fai, più ne ricevi e viceversa. Allora, folgorato, lui cambia e capisce che, facendo del bene laddove prima aveva fatto del male le cose iniziano a girare per il verso giusto.

E adesso vorrei precisare: io non posso credere assolutamente ad una cazzata del genere. Non esiste. E' inconcepibile. Però ho una mia personalissima concezione del karmah: credo nell'equilibrio tra bene e male, ma nel senso che ognuno di noi ha a che fare con qualcosa di bello e qualcosa di brutto, ma in maniera omogenea.

A questo punto ci potrebbe essere l'obiezione del bambino nato senza braccia e senza mani, al quale è morto un genitore e la cui famiglia è finita nel lastrico. Ok, ci sto. Anche questa è una cazzata. Nemmeno vincere al superenalotto e scoparsi Belen Rodriguez potrebbe compensare tale catastrofe.

La conclusione è una: le cose accadono, a qualcuno peggio che ad altri. Le cose stanno così.

Alla fine, tutto sommato, ciò che conta è la coscienza. Si possono fare le cose peggiori, avere le migliori fortune o le peggiori sfortune. Ma, in fondo, poco prima di dormire, quando si è nel proprio letto, o, alla peggio, su una panchina in un parco o in una stazione, c'è poco da fare: quella dannata vocina interiore te la fa pagare. Ed è quella vocina la prima cosa in cui credo sul serio.

Il Pensiero Scomodo.

 
 
 
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