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Italia: l'origine dell'anomalia. (Parte III)

Post n°44 pubblicato il 01 Marzo 2011 da ilpensieroscomodo

 

 

Tangentopoli: la fine della Prima Repubblica.

I più giovani ne hanno sicuramente sentito parlare, ma nessuno di loro ha vissuto sulla propria pelle l’onda di disgusto provocata dalle verità trapelate a partire dal 1992, riguardo il sistema di corruzione, concussione e finanziamento illecito dei partiti. Lo scandalo susseguente quel periodo di rivelazioni sempre più scottanti a proposito di un mondo sporco e corrotto, ma al tempo stesso classe dirigente di un popolo che tacitamente aveva (ed ha ancora…) sempre tollerato questi comportamenti, fu di proporzioni pari solo a quello che, dieci anni prima, aveva seguito lo scandalo P2. Tangentopoli e Mani pulite sono i due termini con i quali si descrive il susseguirsi delle vicende che riguardarono quel periodo della storia italiana.

Tutto ebbe inizio il 17 febbraio 1992. Mario Chiesa, membro del PSI (Partito Socialista italiano), si ritrovò con un mandato d’arresto per corruzione: aveva costretto l’imprenditore Luca Magni a versargli il 10% di un appalto da Magni ottenuto grazie all’intercessione di Chiesa. Si trattava di 140 milioni di lire di allora, la tangente richiesta era dunque di 14 milioni. Tuttavia, Chiesa si ritrovò colto in flagranza di reato, grazie all’operato dei carabinieri, guidati da un magistrato divenuto poi molto famoso, Antonio Di Pietro.

Dato che Mario Chiesa era un esponente di livello minore del PSI, venne tirato in causa il leader del partito, Bettino Craxi, altro nome passato agli annali, poi vedremo come. Il leader del PSI pensò bene di negare l’esistenza della corruzione a livello nazionale, asserendo che Mario Chiesa era “un mariuolo isolato”.

Nonostante il fatto che Craxi minimizzò l’accaduto, l’eco nelle televisioni fu fortissima, creando un senso generale di sdegno. Non ho vissuto quel periodo ma, da fonti certe, so che l’opera di martellamento della Tv a proposito di queste vicende è paragonabile a quella, tutt’ora in corso, riguardo l’omicidio di Sarah Scazzi e la scomparsa di Yara. Questo è un particolare da ricordare bene, sarà utile per comprendere la conclusione della mia analisi.

L’arresto di Chiesa, nonostante la premura di Craxi nel minimizzare, equivalse all’apertura del vaso di Pandora. Dopo aver negato, inizialmente, il reato, Chiesa fu inchiodato da prove schiaccianti da parte di Antonio Di Pietro. A quel punto, non gli restò che confessare. E lui lo fece.

Mario Chiesa non si limitò a confessare quel singolo reato. L’ormai ex membro del PSI portò alla luce il fatto che ogni appalto pubblico era caratterizzato da corruzione e tangenti, in un sistema ormai consolidato.

Nel 1992 si era in piena campagna elettorale. Antonio Di Pietro decise di mantenere segrete le indagini, per non inquinare il clima politico. Non ci riuscì, tant’che alcuni partiti, tipo la Lega Nord (allora nacque il celeberrimo “Roma ladrona”), cavalcò l’onda del risentimento dell’opinione pubblica italiana verso i propri rappresentanti per nascere e crescere come forza politica. Il risultato delle elezioni fu l’aumento dell’astensione, segno di sfiducia del popolo, ed una prima mazzata alla DC (Democrazia Cristiana) e al PSI.

Dopo le elezioni di marzo del 1992, si formò un nuovo governo, con la coalizione formata da DC, PSI, PSDI (Partito Socialista democratico Italiano) e PLI (Partito Liberale Italiano). C’è da precisare che, dalla nascita della Repubblica, i democristiani avevano sempre avuto un ruolo di primo piano nelle vicende politiche italiane, a testimonianza della grande influenza della Chiesa nella vita politica italiana.

Dopo la nascita del nuovo governo, partì una serie di arresti al compimento delle indagini per corruzione. Ne furono vittime molti esponenti politici che, perdonate il gioco di parole, vennero colpite in maniera esponenziale. La logica era questa: chi veniva arrestato, perdeva appoggi politici, in quanto il suo partito avrebbe avuto la propria immagina lesa dal suo operato; a quel punto, ai politici lasciati soli, non restò che confessare tutto, accusando altri politici, sia per vendetta, sia per averne benefici in sede processuale. Per la prima, e forse unica volta, si era instaurato un circolo virtuoso nella politica italiana.

Nel maggio di quell’anno venne eletto Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, leader dei “moralizzatori”. La sua candidatura venne premiata a sorpresa, grazie soprattutto all’omicidio di Giovanni Falcone (nel prossimo numero si spiegherà quest’altra agghiacciante storia). Il neo Presidente decise di non assegnare incarichi di governo a personaggi coinvolti in processi. Il primo a subire le conseguenze di questa decisione fu Bettino Craxi, che dovette lasciare l’incarico di Presidente del Consiglio a Giuliano Amato.

Ma non era finita lì. Nei mesi successivi si susseguirono le indagini e l’arresto dei politici coinvolti venne sistematicamente sbattuto in prima pagina dai giornali e urlato nei telegiornali. Le elezioni amministrative del dicembre del 1992 sancirono un’altra disfatta per la DC e il PSI. Amato, ancora premier , affermò che chiunque fosse stato raggiunto da un avviso di garanzia sarebbe stato costretto a lasciare il proprio incarico. Tra i tanti, anche Bettino Craxi, segretario del PSI.

Le indagini svelarono un fenomeno ancora più infame: non solo i fondi frutto della corruzione venivano utilizzati per finanziare i partiti, ma anche i singoli politici ne beneficiarono. Larini, ministro della giustizia e socialista, dimettendosi, accusò Craxi e Martelli di essere i destinatari dei fondi neri, impedendo in questo modo a Martelli di succedere a Craxi nella segrteria del partito socialista.

Nel giugno del 1993, nelle successive elezioni amministrative, la DC ebbe un altro tracollo e il PSI praticamente sparì. La Lega si insediò in parecchie regioni del nord, ancora cavalcando il disgusto per le vicende snocciolate dai media.

Sempre nel 1993 ci fu un terribile tentativo di passare un colpo di spugna. Si trattava di un decreto, a firma Conso (di cui si sentirà parlare a proposito della trattativa Stato-Mafia), che depenalizzava il finanziamento illecito ai partiti. Scalfaro, Presidente della Repubblica, si rifiutò di firmare il decreto, dichiarandolo incostituzionale. Fu l’inizio della fine per il governo Amato.

La perdita di consenso lo costrinse a dimettersi. Per la prima volta nella storia della Repubblica si formò un governo tecnico con a capo Carlo Azeglio Ciampi, governatore della Banca d’Italia. Il suo obiettivo fu quello di fare una nuova legge elettorale e rilanciare l’economia.

Il 30 aprile del 1993 la Camera negò l’autorizzazione a procedere verso Bettino Craxi, evitandogli il processo. L’opinione pubblica reagì malissimo per quella difesa del simbolo di Tangentopoli. Ci furono manifestazioni e contestazioni. Anche alcuni membri del governo tecnico si dimisero in segno di protesta.

Quasi in contemporanea, partirono gli attacchi ai magistrati. Già, attraverso giornali di partito, minacce di organizzazioni mafiose ed accuse puntualmente cadute nei vari processi si cercò di abbattere la figura di Di Pietro e dei suoi collaboratori del pool Mani Pulite. Partì la macchina del fango, non forte come quella attuale, poi proveremo a spiegare perché.

Il processo Enimont, trasmesso in diretta televisiva, ebbe un audience senza precedenti. Seppur coinvolti esponenti di secondo piano, politici di prima grandezza vennero tirati in causa. Emblematica l’immagine di Arnaldo Forlani mentre gli colava saliva dalla bocca. Venne assurta come immagine simbolo dell’efferatezza dei politici di allora.

Craxi decise di riferire in Parlamento. Non negò l’evidenza, tentò piuttosto una giustificazione del tipo “così fan tutti”. Ma ormai era un uomo finito.

Le indagini invasero anche l’imprenditoria e le forze dell’ordine. Furono arrestati giudici e anche coinvolte aziende come Fininvest, dell’allora imprenditore Silvio Berlusconi. Il quale decise di entrare in politica. Vincendo le elezioni del marzo del 94, dopo aver cavalcato anch’egli l’onda mediatica da lui alimentata attraverso le sue televisioni ed i suoi giornali.

Berlusconi, da presidente del Consiglio, decise di proporre a Di Pietro e Navigo, altro membro di spicco del pool, due incarichi ministeriali, ma loro due rifiutarono.

Il 13 luglio fu emanato il decreto Biondi. Un decreto che favoriva gli arresti domiciliari ai sospettati di corruzione. Fu chiamato decreto salvaladri. La reazione dei giudici fu quella di dover accettare la Legge, ma chiesero di essere assegnati ad altri incarichi a causa del conflitto interiore di dover combattere contro il crimine e i politici stessi. La Lega e Alleanza Nazionale (partito di Fini), minacciò di togliere il proprio appoggiò al governo se non fosse stato ritirato il decreto. E così fu.

Cosicchè il 28 luglio venne arrestato Paolo Berlusconi, fratello di Silvio. Nonostante l’estremo tentativo di salvataggio.

Il tentativo del primo governo Berlusconi di inquinare le indagini, accusando più volte i giudici dei più svariati reati, si concluse con la caduta dello stesso. La Lega aveva tolto il suo appoggio.

Nei mesi successivi si moltiplicarono le inchieste contro i giudici di Mani Pulite. Era chiaro che la politica aveva reagito a quel duro attacco, cercando di contrastarlo con nuovo vigore. Fino al 1996, Di Pietro fu costretto a difendersi da accuse che caddero l’una dopo l’altra. Inconsistenti.

Cosicché, il fenomeno Tangentopoli, poté concludersi lentamente.

 

La fine di Tangentopoli.

Un attacco così forte alla partitocrazia italiana non aveva precedenti. Le rivelazioni dei vari pentiti causò la distruzione di alcuni partiti e il ridimensionamento di altri, facendo coniare il termine Seconda Repubblica per descrivere la situazione venutasi a creare dopo i fatti degli anni tra il 1992 e il 1994. Ma in che modo si concluse Tangentopoli?

Il trionfo dei giudici fu solo apparente. Il mondo politico che, attraverso i decreti Conso e Biondi, aveva cercato di arginare la repulisti generale, aveva trovato una soluzione bipartisan per dirimere la questione. Dall’estrema destra, all’estrema sinistra, passando per il centro, tutti i partiti erano stati scoperti nel loro modo di fare, tra corruzione e concussione. E così, come quando si deve votare l’aumento dello stipendio o quando si deve decidere a proposito di processi di singoli parlamentari, tutti i partiti hanno fatto quadrato, difendendo le proprie poltrone e il proprio status, creando leggi ad hoc per ripristinare la normalità.

Il governo di centrosinistra, capeggiato da D’Alema, emanò una serie di provvedimenti che causarono il rallentamento dei processi. E negò nuovi equipaggiamenti ai magistrati. Queste abili mosse, sostenute anche dall’opposizione di destra, causarono una serie di prescrizioni di reato, salvando parecchi dei politici indagati. E salvando la faccia a quelli che sarebbero potuti essere coinvolti. Nel capitolo finale si discuterà anche delle conseguenze di quelle leggi.

Craxi, simbolo di Tangentopoli, si diede alla latitanza. Pur di non affrontare il processo scappò a Tunisi, dove è, da qualche anno, morto. Cesare Previti, altro uomo simbolo di Tangentopoli, avvocato di Berlusconi, riuscì ad evitare il processo, essendo deputato, nonostante Berlusconi al momento fosse all’opposizione. Nel 2007, ad ogni modo, la Cassazione ha ratificato la condanna per corruzione per Previti. Il buon Previti, ad ogni modo, è ancora parlamentare.

 

Il conto di Tangentopoli.

Il costo della corruzione fu teorizzato dall’economista Mario Deraglio. L’effetto della corruzione e delle tangenti aveva causato un aumento vertiginoso del Debito pubblico. Il rapporto deficit/Pil sforò il limite del 105%. L’Italia nel 1992 rischiava la bancarotta. Per intenderci, si poteva finire a gambe all’aria come in Argentina, in Grecia e in Irlanda. Il governo Amato, per contrastare il declino aumentò le tasse in maniera vertiginosa e prelevò forzatamente il 6 per mille di tutti i conti correnti italiani. Quella manovra venne considerata il vero e proprio scontrino finale di Tangentopoli.

Gustavo Marigliano.

 
 
 
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