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XXVI Domenica del Tempo Ordinario anno A

Post n°175 pubblicato il 03 Ottobre 2017 da IMMAGINIRCFO
 

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 21,28-32

«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, và oggi a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò. Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Dicono: «L’ultimo». E Gesù disse loro: «In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. E’ venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli.

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta
Volume 6 - Capitolo 407 - Pagina 319 (29 marzo 1946)

Gesù vi arriva in una fresca aurora. E sono belle queste fertili campagne del buon Nicodemo in queste prime luci del sole. Belle nonostante che molti campi siano già segati e mo­strino l’aspetto stanco dei campi dopo la morte dei grani che, a biche d’oro, oppure ancor stesi come salme al suolo, aspettano di essere portati sulle aie. E con loro muoiono i fiordalisi stel­lari e zaffirei, le violacee bocche di leone, le corolle minute del­le scabiose, il labile calice delle campanelle, le ridenti raggiere delle camomille e margheritoni, i violenti papaveri e i cento al­tri fiori che, a stelle, a pannocchie, a grappoli, a raggiere, ride­vano prima là dove ora è giallore di stoppie.

Ma, a consolare il duolo della terra spogliata dei grani, stanno le fronde degli al­beri da frutto, sempre più festose per i frutti che crescono e si spennellano di sfumature e che, in quest’ora, brillano di uno spolvero diamantifero per le rugiade non ancora arse dal sole.

I contadini sono già al lavoro. Lieti di essere prossimi alla fine del penoso lavoro della mietitura. E cantano falciando, e ridono allegri, incitandosi a chi è più svelto e chi è più esperto nel menare la falce o stringere i covoni… Schiere e schiere di contadini ben pasciuti, che sono lieti di lavorare per il padrone buono. E, ai margini dei campi, o dietro ai legatori, dei bimbi, delle vedove, dei vecchi, che attendono di spigolare e che at­tendono senza ansia, perché sanno che ce ne sarà per tutti, co­me sempre, «per ordine di Nicodemo», come spiega una vedo­va a Gesù che l’interroga.

«Egli sorveglia», dice, «perché di proposito siano lasciati steli e steli fuor dei covoni, per noi. E non contento ancora di tanta carità, dopo aver preso il giusto frutto in proporzione al seme, distribuisce il resto a noi. Oh! non aspetta già a far questo nell’anno sabatico! Ma sempre lo fa di beneficare il povero con le sue biade, e così fa con le ulive e coi vigneti. Per questo Dio lo benedice con raccolti di miracolo.

Le benedizioni dei poveri sono come rugiade sui semi e sui fiori, e fanno che ogni seme dia più spighe e non un fiore cada senza allegare a frutto. Quest’anno, poi, ci ha fatto sapere che tutto è nostro, perché anno di grazia. Di che grazia parli non so. Se non è perché si dice fra noi poveretti e fra i suoi servi felici che egli è, in segre­to, discepolo di Quello che si dice il Cristo, il quale predica l’amore ai poveri per mostrare amore a Dio… Forse Tu lo co­nosci, se sei amico di Nicodemo… Perché gli amici di solito hanno gli stessi affetti… Giuseppe d’Arimatea, ad esempio, è grande amico di Nicodemo, e anche di lui si dice che sia amico del Rabbi… Oh! che ho detto! Dio mi perdoni! Ho nuociuto ai due buoni della pianura!…». La donna è costernata.

Gesù sorride e chiede: «Perché, donna?».

«Perché… Oh! dimmi, sei Tu vero amico di Nicodemo e di Giuseppe, o sei uno del Sinedrio, uno dei falsi amici che nuo­cerebbero ai due buoni se avessero certezza che sono amici del Galileo?».

«Rassicurati. Sono vero amico dei due buoni. Ma tu sai molte cose, o donna! Come le sai?».

«Oh! tutti le sappiamo! In alto, con odio. In basso, con amore. Perché, anche se non Lo conosciamo, noi amiamo il Cri­sto, noi derelitti che Egli solo ama e che insegna ad amare. E tremiamo per Lui… Così perfidi i giudei, farisei, scribi e sacer­doti!… Ma io ti do scandalo… Perdona. È lingua di donna e non sa tacere… Ma è perché tutto il dolore ci viene da essi, i potenti che ci opprimono senza pietà e che ci obbligano a di­giuni non prescritti dalla Legge, ma imposti dalla necessità di trovare denari a pagare tutte le decime che essi, i ricchi, hanno messo sui poveri… Ed è perché tutta la speranza è nel regno di questo Rabbi che, se tanto è buono ora che è perseguitato, che sarà mai quando potrà essere re?».

«Il suo Regno non è di questo mondo, o donna. Egli non avrà né regge né armati. Non imporrà leggi umane. Non elar­girà denari. Ma insegnerà ai migliori a fare ciò. E i poveri tro­veranno non due o dieci, o cento amici fra i ricchi, ma tutti co­loro che credono nel Maestro uniranno i loro beni per aiutare i fratelli senza beni. Perché d’ora in poi non più sarà detto “pros­simo” il proprio simile, ma ”fratello”, in nome del Signore».

«Oh!…». La donna è stupita, sognante quest’era di amore. Carezza i suoi bambini, sorride, poi alza il capo e dice: «Allora mi assicuri che non ho nuociuto a Nicodemo… parlando con Te? Mi è venuto così spontaneo… I tuoi occhi sono così dolci!… Così sereno il tuo aspetto!… Non so… Mi sento sicura come fossi presso un Angelo di Dio… Ho parlato per questo…».

«Non hai nuociuto. Sta’ certa. Anzi hai dato al mio amico una grande lode, per cui Io lo elogierò, e più caro che mai mi sarà… Sei di questi luoghi?».

«Oh! no, Signore. Son di fra Lida e Bettegon. Ma quando c’è da aver sollievo si corre, Signore, anche se lunga è la via! Più lunghi sono i mesi d’inverno e di fame…».

 
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Post n°174 pubblicato il 03 Ottobre 2017 da IMMAGINIRCFO

«E più lunga della vita è l’eternità. Occorrerebbe avere per l’anima la sollecitudine che si ha per la carne, e correre dove sono parole di vita…».

«E lo faccio coi discepoli del Rabbi Gesù, quello buono, sai? L’unico buono dei troppi rabbi che abbiamo».

«Bene fai, donna», dice Gesù sorridendo, ma facendo cenno ad Andrea e Giacomo di Zebedeo, che sono con Lui mentre gli altri sono andati verso la casa di Nicodemo, di smetterla di fa­re tutto un armeggio per significare alla donna che il Rabbi Gesù è quello che le parla.

«Certo che faccio bene. Io voglio essere senza il peccato di non averlo amato e creduto… Dicono che è il Cristo… Io non Lo conosco. Ma credere voglio. Perché penso che guai verranno a quelli che non Lo vogliono accettare per tale».

«E se i discepoli suoi fossero in inganno?», tenta Gesù.

«Non può essere, Signore. Sono troppo buoni, umili e pove­ri, per pensare che siano seguaci di uno non santo. E poi… Ho parlato con gente guarita da Lui. Non fare il peccato di non credere, Signore! Ti danneresti l’anima… Infine… io penso che, se anche fossimo tutti ingannati ed Egli non fosse il Re promesso, certo santo e amico di Dio è, se dice quelle parole e guarisce anime e corpi… E stimare i buoni fa sempre bene».

«Bene hai detto. Persisti nella tua fede… Ecco là Nicodemo…».

«Sì. Con dei discepoli del Rabbi. Sono per le campagne, in­fatti, evangelizzando i mietitori. Anche ieri noi mangiammo il loro pane».

Nicodemo, in veste succinta, viene intanto avanti senza scorgere il Maestro e ordina ai contadini di non levare una spi­ga di quelle segate. «Per noi ne abbiamo, del pane… Diamo il dono di Dio a chi ne è privo. E diamolo senza timore. Poteva­mo avere le biade distrutte dal gelo tardivo. Non s’è perduto un seme. Rendiamo a Dio il suo pane dandolo ai suoi figli infe­lici. E vi assicuro che ancor più fruttuoso, al mille per cento, sarà il raccolto dell’anno prossimo perché, Egli lo ha detto, “misura traboccante sarà data a chi ha dato”».

I contadini, deferenti e lieti, ascoltano il padrone annuendo. E Nicodemo, da campo a campo, da schiera a schiera, ripete il suo ordine buono.

Gesù, semicelato da una cortina di canne presso un fossato divisorio, approva e sorride. Sempre più sorride quanto più Nicodemo si avvicina ed è imminente l’incontro e la sorpresa.

Eccolo che salta il fossatello per passare ad altri campi… Ed eccolo restare pietrificato di fronte a Gesù, che gli tende le braccia. Infine ritrova la parola: «Maestro Santo, e come, Tu benedetto, a me?».

«Per conoscerti, se ce ne fosse stato ancor bisogno, dalle pa­role dei più veri testimoni: coloro che tu benefichi…».

Nicodemo è in ginocchio, curvo fino al suolo, e in ginocchio sono i discepoli capitanati da Stefano e Giuseppe dell’Emmaus montana. I contadini intuiscono. Intuiscono i poveri e tutti so­no a terra, nello stupore venerabondo.

«Alzatevi. Fino a poco fa ero il Viandante che ispira fiducia… Ancora per tale vedetemi. E amatemi senza paure. Nico­demo, ho mandato i dieci che mancano alla tua casa…».

«Ho pernottato fuori per sorvegliare che fosse fatto un ordi­ne…».

«Sì. Per il quale ordine Dio ti benedice. Quale voce ti ha det­to che questo è anno di grazia, e non l’anno veniente, ad esem­pio?».

«…Non so… E so… Non sono profeta. Ma stolto non sono. E alla mia intelligenza si è unita una luce del Cielo. Maestro mio… volevo che i poveri godessero dei doni di Dio mentre Dio è ancora fra i poveri… E non osavo sperare di averti, a dar sa­pore soave e potenza santificatrice a queste biade, e alle mie ulive, e alle vigne e ai frutteti che saranno per i poveri figli di Dio, miei fratelli… Ma ora che ci sei, alza la tua mano bene­detta e benedici, acciò, col nutrimento alla carne, scenda in quelli che se ne pasceranno la santità che da Te emana».

«Sì, Nicodemo. Giusto desiderio che il Cielo approva». E Gesù apre le braccia per benedire.

«Oh! Attendi! Che io chiami i contadini», e con uno zufolo fischia tre volte, un fischio acuto che si spande per l’aria cheta e che provoca una corsa di mietitori, spigolatori, curiosi, da ogni parte. Una piccola folla…

Gesù apre le braccia e dice: «Per la virtù del Signore, per il desiderio del suo servo, la grazia della salute dello spirito e della carne scenda in ogni granello, in ogni acino, uliva o frut­to, e prosperi e santifichi coloro che se ne pascono con spirito buono, puro da concupiscenze e da odii, e desideroso di servire il Signore con l’ubbidienza alla sua divina e perfetta Volontà».

«Così avvenga», rispondono Nicodemo, Andrea, Giacomo, Stefano e gli altri discepoli… «Così avvenga», ripete la piccola folla sorgendo in piedi, perché si era inginocchiata per essere benedetta.

«Sospendi i lavori, amico. Voglio parlare a costoro».

«Dono nel dono. Grazie per essi, o Maestro!».

Vanno sotto l’ombra di un folto frutteto e attendono di esse­re raggiunti dai dieci mandati alla casa, che accorrono trafela­ti e delusi di non avere trovato Nicodemo.

Poi Gesù parla:

«La pace sia con voi. A voi tutti che mi state d’attorno Io voglio proporre una parabola. E ognuno ne colga quell’inse­gnamento e quella parte che a lui più si conviene. Udite.

Un uomo aveva due figli. Avvicinatosi al primo, disse: “Fi­glio mio, vieni a lavorare oggi nella vigna del padre tuo”. Un grande segno di onore era quello del padre! Egli giudicava il figlio capace di lavorare là dove fino ad allora il padre aveva lavorato. Segno che vedeva nel figlio buona volontà, costanza, capacità, esperienza e amore per il padre.

Ma il figlio, un poco distratto da cose del mondo, timoroso di apparire in veste di servo -satana fa uso di questi miraggi per allontanare dal Bene- temendo beffe e forse anche rappresaglie da nemici del padre, che su di lui non osavano alzare la mano, ma meno ri­guardi avrebbero avuto col figlio, rispose: “Non ci vado. Non ne ho voglia”.

Il padre andò allora dall’altro figlio, dicendogli ciò che aveva detto al primo. E il secondo figlio rispose subito: “Sì, padre. Vado subito”.

Però, che avvenne? Che il primo figlio, essendo di animo ret­to, dopo un primo momento di debolezza nella tentazione, di ribellione, pentitosi di avere disgustato il padre, senza parlare andò alla vigna e lavorò tutto il giorno fino alla più tarda sera, tornando poi soddisfatto alla sua casa con la pace nel cuore per il dovere compiuto.

Il secondo, invece, menzognero e debole, uscì di casa, è vero, ma poi si perse a vagabondare per il paese in inutili visite ad amici influenti, dai quali sperava avere utili. E diceva in cuor suo: “Il padre è vecchio e non esce di casa. Dirò che gli ho ubbidito ed egli lo crederà…”.

Ma, venuta la se­ra anche per lui e tornato alla casa, il suo aspetto stanco di ozioso, le vesti senza sgualciture e l’insicuro saluto dato al pa­dre, che l’osservava e lo confrontava col primo -tornato stan­co, sporco, scarmigliato, ma gioviale e sincero nello sguardo umile, buono, che, senza volere vantarsi del dovere compiuto, voleva però dire al padre: “Ti amo. E con verità. Tanto che per farti contento ho vinto la tentazione”- parlarono chiaramen­te all’intelletto del padre. Il quale, abbracciato il figlio stanco, disse: “Te benedetto, perché hai compreso l’amore!”.

Infatti, che ve ne pare? Quale dei due aveva amato? Certo voi dite: “Colui che aveva fatto la volontà del padre suo”. E chi l’aveva fatta? Il primo o il secondo figlio?».

«Il primo», risponde la folla unanime.

«Il primo. Sì. Anche in Israele, e voi ve ne lamentate, non sono quelli che dicono: “Signore! Signore!”, battendosi il petto senza avere nel cuore il vero pentimento dei loro peccati -tanto è vero che sempre più duri di cuore si fanno- non sono quelli che ostentano devoti riti per esser detti santi, ma in pri­vato sono senza carità e giustizia, non sono questi, che si ribel­lano, in verità, alla Volontà di Dio che mi manda, e l’impugna­no come fosse volontà di satana -e ciò non sarà perdonato- non sono questi quelli che sono i santi agli occhi di Dio.

Ma so­no quelli che, riconoscendo che Dio tutto bene fa ciò che fa, accolgono il Messo di Dio e ne ascoltano la parola per saper fa­re meglio, sempre meglio ciò che il Padre vuole, sono questi quelli che sono santi e cari all’Altissimo.

In verità vi dico: gli ignoranti, i poveri, i pubblicani, le me­retrici andranno avanti a molti che sono detti “maestri”, “po­tenti”, “santi”, ed entreranno nel Regno di Dio.

E giustizia sarà. Perché è venuto Giovanni ad Israele per condurlo sulle vie della Giustizia, e purtroppo Israele non gli ha creduto, l’Israele che si chiama da se stesso “dotto e santo”, ma i pubblicani e le meretrici gli hanno creduto. Ed Io sono venu­to, e i dotti e santi non mi credono, ma credono in Me i poveri, gli ignoranti, i peccatori. Ed ho fatto miracoli; e neppure a questo si è creduto, né viene pentimento di non credere in Me. Anzi, odio viene su Me e su chi mi ama.

Ebbene Io dico: “Benedetti coloro che sanno credere in Me e fare questa volontà del Signore in cui è salute eterna”. Aumen­tate la vostra fede e siate costanti. Possederete il Cielo perché avrete saputo amare la Verità.

Andate. Dio sia con voi, sempre».

Li benedice e congeda e poi, a fianco di Nicodemo, va verso la casa del discepolo per sostarvi mentre il sole è cocente…


Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

 
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XXV Domenica del Tempo Ordinario anno A

Post n°173 pubblicato il 24 Settembre 2017 da IMMAGINIRCFO

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 20,1-16a

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il Regno dei Cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».


Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta

Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

Volume 5 - Capitolo 329

(13 novembre 1945)


Gesù è salito su una cassa messa contro una parete. È perciò ben visibile a tutti. Il suo dolce saluto si è già sparso nell’aria ed è stato seguito dalle parole: «Figli di un unico Creatore, udite»; poi prosegue nel silenzio attento della gente.

«Il tempo della Grazia per tutti è venuto non solo ad Israele ma per tutto il mondo. Uomini ebrei, qui per ragioni diverse, proseliti, fenici, gentili, tutti, udite la Parola di Dio, comprendete la Giustizia, conoscete la Carità. Avendo Sapienza, Giustizia e Carità, avrete i mezzi di giungere al Regno di Dio, a quel Regno che non è esclusività dei figli di Israele, ma è di tutti coloro che ameranno d’ora in poi il vero, unico Dio, e crederanno nella parola del suo Verbo.

Udite. Io sono venuto da tanto lontano non con mire di usurpatore né con violenza da conquistatore. Sono venuto solamente per essere il Salvatore delle anime vostre. I domìni, le ricchezze, le cariche non mi seducono. Sono nulla per Me e non le guardo neppure. Ossia le guardo per commiserarle, perché mi fanno compassione, essendo tante catene per tenere prigioniero il vostro spirito impedendogli di venire al Signore eterno, unico, universale, santo e benedetto.

Le guardo e le avvicino come le più grandi miserie. E cerco di guarirle del loro affascinante e crudele inganno che seduce i figli dell’uomo, perché essi possano usarle con giustizia e santità, non come armi crudeli che feriscono e uccidono l’uomo, e per primo sempre lo spirito di chi non santamente le usa.

Ma, in verità vi dico, mi è più facile guarire un corpo deforme che un’anima deforme; mi è più facile dare luce alle pupille spente, sanità ad un corpo morente, che non luce agli spiriti e salute alle anime malate.

Perché ciò? Perché l’uomo ha perso di vista il vero fine della sua vita e si occupa di ciò che è transitorio. L’uomo non sa o non ricorda o, ricordando, non vuole ubbidire a questa santa ingiunzione del Signore e -dico anche per i gentili che mi ascoltano- del fare il bene, che è bene in Roma come in Atene, in Gallia come in Africa, perché la legge morale esiste sotto ogni cielo e in ogni religione, in ogni retto cuore.

E le religioni, da quella di Dio a quella della morale singola, dicono che la parte migliore di noi sopravvive, e a seconda di come ha agito sulla Terra avrà sorte dall’altra parte.

Fine dunque dell’uomo è la conquista della pace nell’altra vita, non la gozzoviglia, l’usura, la prepotenza, il piacere, qui, per poco tempo, scontabili per una eternità con tormenti ben duri.

Ebbene l’uomo non sa, o non ricorda, o non vuole ricordare questa verità. Se non la sa, è meno colpevole. Se non la ricorda, è colpevole alquanto, perché la verità deve essere tenuta accesa come fiaccola santa nelle menti e nei cuori. Ma, se non la vuole ricordare, e quando essa fiammeggia egli chiude gli occhi per non vederla, avendola odiosa come la voce di un retore pedante, allora la sua colpa è grave, molto grave.

Eppure Dio la perdona, se l’anima ripudia il suo male agire e propone di perseguire, per il resto della vita, il fine vero dell’uomo, che è conquistarsi la pace eterna nel Regno del Dio vero. Avete fino ad ora seguito una mala strada? Avviliti, pensate che è tardi per prendere la via giusta? Desolati, dite: “Io non sapevo nulla di questo! Ed ora sono ignorante e non so fare”? No. Non pensate che sia come delle cose materiali e che occorra molto tempo e molta fatica per rifare il già fatto ma con santità.

La bontà dell’eterno, vero Signore Iddio, è tale che non vi fa certo ripercorrere a ritroso la via fatta, per rimettervi al bivio dove voi, errando, avete lasciato il giusto sentiero per l’ingiusto. È tanta che, dal momento che voi dite: “Io voglio essere della Verità”, ossia di Dio perché Dio è Verità, Dio, per un miracolo tutto spirituale, infonde in voi la Sapienza, per cui voi da ignoranti divenite possessori della scienza soprannaturale, ugualmente a quelli che da anni la possiedono.

Sapienza è volere Dio, amare Dio, coltivare lo spirito, tendere al Regno di Dio ripudiando tutto ciò che è carne, mondo e satana.

Sapienza è ubbidire alla legge di Dio che è legge di carità, di ubbidienza, di continenza, di onestà. Sapienza è amare Dio con tutti sé stessi, amare il prossimo come noi stessi. Questi sono i due indispensabili elementi per essere sapienti della Sapienza di Dio. E nel prossimo sono non solo quelli del nostro sangue o della nostra razza e religione, ma tutti gli uomini, ricchi o poveri, sapienti o ignoranti, ebrei, proseliti, fenici, greci, romani…».

Gesù è interrotto da un minaccioso urlo di certi scalmanati. Li guarda e dice: «Sì. Questo è l’amore. Io non sono un maestro servile. Io dico la verità perché così devo fare per seminare in voi il necessario alla Vita eterna. Vi piaccia o non vi piaccia, ve lo devo dire, per fare il mio dovere di Redentore. A voi fare il vostro di bisognosi di Redenzione.

Amare il prossimo, dunque. Tutto il prossimo. Di un amore santo. Non di un losco concubinaggio di interessi, per cui è “anatema” il romano, il fenicio o il proselite, o viceversa, finché non c’è di mezzo il senso o il denaro, mentre, se brama di senso o utile di denaro sorgono in voi, “anatema” più non è…».

Altro rumoreggiare della folla, mentre i romani, dal loro posto nell’atrio, esclamano: «Per Giove! Parla bene costui!».

Gesù lascia calmare il rumore e riprende:

«Amare il prossimo come vorremmo essere amati. Perché a noi non fa piacere essere maltrattati, vessati, derubati, oppressi, calunniati, insolentiti.

La stessa suscettibilità nazionale o singola hanno gli altri. Non facciamoci dunque a vicenda il male che non vorremmo ci fosse fatto. Sapienza è ubbidire ai dieci comandi di Dio:

“Io sono il Signore Iddio tuo. Non avere altro Dio all’infuori di Me. Non avere idoli, non dare loro culto.

Non usare il Nome di Dio invano. È il Nome del Signore Iddio tuo, e Dio punirà chi lo usa senza ragione o per imprecazione o per convalida ad un peccato.

Ricordati di santificare le feste. Il sabato è sacro al Signore che in esso si riposò della Creazione e lo ha benedetto e santificato.

Onora il padre e la madre affinché tu viva in pace lungamente sulla terra ed eternamente in Cielo.

Non ammazzare.

Non fare adulterio.

Non rubare.

Non dire il falso contro il tuo prossimo.

Non desiderare la casa, la moglie, il servo, la serva, il bue, l’asino, né altra cosa che appartenga al tuo prossimo”.

Questa è la Sapienza. Chi fa ciò è sapiente e conquista la Vita e il Regno senza fine. Da oggi, dunque, proponete di vivere secondo Sapienza, anteponendo questa alle povere cose della Terra.

Che dite? Parlate. Dite che è tardi? No. Udite una parabola.

 
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Continua

Post n°172 pubblicato il 24 Settembre 2017 da IMMAGINIRCFO

Un padrone, allo spuntare di un giorno, uscì per assoldare degli operai per la sua vigna e pattuì con loro un denaro al giorno.

Uscito all’ora di terza nuovamente e pensando che i lavoratori presi ad opera erano pochi, vedendo sulla piazza altri sfaccendati in attesa di chi li prendesse, li prese e disse: “Andate nella mia vigna e vi darò quello che ho promesso agli altri”. E quelli andarono.

Uscito a sesta e a nona, ne vide altri ancora e disse loro: “Volete lavorare alle mie dipendenze? Io do un denaro al giorno ai miei lavoratori”. Quelli accettarono e andarono.

Uscito infine verso l’undecima ora, vide altri stare dimessi all’ultimo sole. “Che fate qui, così oziosi? Non vi fa vergogna stare senza fare nulla per tutto il giorno?”, chiese loro.

“Nessuno ci ha presi a giornata. Avremmo voluto lavorare e guadagnarci il cibo. Ma nessuno ci chiamò alla sua vigna”.

“Ebbene, io vi chiamo alla mia vigna. Andate e avrete la mercede degli altri”. Così disse, perché era un buon padrone ed aveva pietà dell’avvilimento del suo prossimo.

Venuta la sera e finiti i lavori, l’uomo chiamò il suo fattore e disse: “Chiama i lavoratori e paga la loro mercede, secondo che ho fissato, cominciando dagli ultimi, che sono i più bisognosi non avendo avuto nel giorno il cibo che gli altri hanno una o più volte avuto e che, anche, sono quelli che per riconoscenza verso la mia pietà hanno più di tutti lavorato; io li osservavo, e licenziali, che vadano al riposo meritato, godendo con i famigliari i frutti del loro lavoro”. E il fattore fece come il padrone ordinava, dando ad ognuno un denaro.

Venuti per ultimi quelli che lavoravano dalla prima ora del giorno, rimasero stupiti di avere essi pure un solo denaro e fecero delle lagnanze fra di loro e col fattore, il quale disse: “Ho avuto quest’ordine. Andate a lagnarvi dal padrone e non da me”. E quelli andarono e dissero:

“Ecco, tu non sei giusto! Noi abbiamo lavorato dodici ore, prima fra la guazza e poi al sole cocente e poi da capo nell’umido della sera, e tu ci hai dato come a quei poltroni che hanno lavorato una sola ora!… Perché ciò?”. E uno specialmente alzava la voce, dicendosi tradito e sfruttato indegnamente.

“Amico, in che ti faccio torto? Cosa ho pattuito con te all’alba? Una giornata di continuo lavoro e per mercede di un denaro. Non è vero?”.

“Sì. È vero. Ma tu lo stesso hai dato a quelli, per tanto lavoro di meno…”.

“Tu hai acconsentito a quella mercede parendoti buona?”.

“Sì. Ho acconsentito perché gli altri davano anche meno”.

“Fosti seviziato qui da me?”.

“No, in coscienza no”.

“Ti ho concesso riposo lungo il giorno e cibo, non è vero? Tre pasti ti ho dato. E cibo e riposo non erano pattuiti. Non è vero?”.

“Sì, non erano pattuiti”.

“Perché allora li hai accettati?”.

“Ma… Tu hai detto: ‘Preferisco così per non farvi stancare tornando alle case’. E a noi non parve vero… Il tuo cibo era buono, era un risparmio, era…”.

“Era una grazia che vi davo gratuitamente e che nessuno poteva pretendere. Non è vero?”.

“È vero”.

“Dunque vi ho beneficati. Perché allora vi lamentate? Io dovrei lamentarmi di voi che, comprendendo di avere a che fare con un padrone buono, lavoravate pigramente, mentre costoro, venuti dopo di voi, con beneficio di un solo pasto, e gli ultimi di nessun pasto, lavorarono con più lena, facendo in meno tempo lo stesso lavoro fatto da voi in dodici ore.

Traditi vi avrei se vi avessi dimezzata la mercede per pagare anche questi. Non così. Perciò piglia il tuo e vattene. Vorresti in casa mia venirmi ad imporre ciò che ti pare? Io faccio ciò che voglio e ciò che è giusto. Non volere essere maligno e tentarmi all’ingiustizia. Buono io sono”.

O voi tutti che mi ascoltate, in verità vi dico che il Padre Iddio a tutti gli uomini fa lo stesso patto e promette l’uguale mercede.

Chi con solerzia si mette a servire il Signore sarà trattato da Lui con giustizia, anche se poco sarà il suo lavoro per prossima morte. In verità vi dico che non sempre i primi saranno i primi nel Regno dei Cieli, e che là vedremo degli ultimi essere primi e dei primi essere ultimi. Là vedremo uomini, non di Israele, santi più di molti di Israele.

Io sono venuto a chiamare tutti, in nome di Dio. Ma se molti sono i chiamati pochi sono gli eletti, perché pochi sono coloro che vogliono la Sapienza. Non è sapiente chi vive del mondo e della carne e non di Dio. Non è sapiente né per la Terra, né per il Cielo. Perché sulla Terra si crea nemici, punizioni, rimorsi. E per il Cielo perde lo stesso in eterno.

Ripeto: siate buoni col prossimo quale esso sia. Siate ubbidienti, rimettendo a Dio il compito di punire chi non è giusto nel comandare. Siate continenti nel sapere resistere al senso e onesti nel sapere resistere all’oro, e coerenti nel dire anatema a ciò che merita, non anatema quando vi pare, salvo poi stringere contatti con l’oggetto prima maledetto come idea. Non fate agli altri ciò che per voi non vorreste, e allora…».

«Ma va’ via, noioso profeta! Ci hai danneggiato il mercato!… Ci hai levato i clienti!…», urlano i venditori irrompendo nel cortile… E quelli che avevano rumoreggiato nel cortile, ai primi insegnamenti di Gesù -e non sono tutti fenici, ma anche ebrei, presenti per non so che motivo in questa città- si uniscono ai venditori per insultare e minacciare, e soprattutto per cacciare… Gesù non piace perché non consiglia al male…

Egli incrocia le braccia e guarda. Mesto. Solenne.

La gente, divisa in due partiti, si azzuffa, in difesa e in offesa del Nazareno. Improperi, lodi, maledizioni, benedizioni, grida di:

«Hanno ragione i farisei. Sei un venduto a Roma, un amante dei pubblicani e meretrici», o di:

«Tacete, lingue blasfeme! Voi venduti a Roma, fenici d’inferno!»,

«Satana siete!»,

«Vi inghiotta l’inferno!»,

«Via! Via!»,

«Via voi, ladri che venite a far mercato qui, usurai», e così via.

Intervengono i soldati dicendo: «Altro che sobillatore! È sobillato!». E colle aste cacciano fuori tutti dal cortile e chiudono il portone.

Restano i tre fratelli proseliti e i sei apostoli con Gesù. «Ma come vi è venuto in mente di farlo parlare?», chiede il triario ai tre fratelli.

«Parlano in tanti!», risponde Elia.

«Sì. E non succede nulla perché insegnano ciò che piace all’uomo. Ma questo ciò non insegna. Ed è indigesto…». Il vecchio soldato guarda attento Gesù che è sceso dal suo posto e che sta zitto, come astratto.

Di fuori la folla continua ad azzuffarsi. Tanto che dalla caserma escono altre milizie e con esse lo stesso centurione. Bussano e si fanno aprire, mentre altri restano a respingere tanto chi grida: «Viva il Re d’Israele!», come chi lo maledice.

Il centurione viene avanti, inquieto. Assale con la sua collera il vecchio Aquila: «Così tuteli Roma, tu? Lasciando acclamare un re straniero nella terra soggetta?».

Il vecchio saluta con rigidezza e risponde: «Egli insegnava rispetto e ubbidienza e parlava di un regno non di questa Terra. Per quello Lo odiano. Perché è buono e rispettoso. Non ho trovato motivo di imporre il silenzio a chi non offendeva la nostra legge».

Il centurione si calma e borbotta: «Allora è una nuova sedizione di queste fetide marmaglie… Bene. Date ordine all’uomo di andarsene subito. Non voglio noie, qui. Eseguite e scortate fuori città non appena sarà sgombra la via. Vada dove gli pare. Agli inferi, se vuole. Ma mi esca dalla giurisdizione. Compreso?».

«Sì. Faremo».

Il centurione volta le spalle con un gran splendere di corazza e ondeggiare di mantello porporino, e se ne va senza neppur guardare Gesù.

I tre fratelli dicono al Maestro: «Ci spiace…».

«Non ne avete colpa. E non temete. Non ve ne verrà male. Io ve lo dico…».

I tre mutano colore… Filippo dice: «Come sai questa nostra paura?».

Gesù sorride dolcemente, un raggio di sole sul viso mesto: «Io so ciò che è nei cuori e nel futuro».

I soldati si sono messi al sole, in attesa, e sbirciano, commentando…

«Possono mai amare noi, se odiano anche quello lì che non li opprime?».

«E che fa miracoli, devi dire…».

«Per Ercole! Chi era quello di noi che era venuto ad avvisare che c’era l’indiziato da sorvegliare?».

«Caio fu!».

«Lo zelante! Intanto abbiamo perduto il rancio e prevedo che perderò il bacio di una fanciulla!… Ah!».

«Epicureo! Dove è la bella?».

«Non lo dirò certo a te, amico!».

«Sta dietro al cocciaio, alle Fondamenta. Lo so. Ti ho visto sere or sono…», dice un altro.

Il triario, come passeggiando, va verso Gesù e gli gira intorno, Lo guarda, Lo guarda. Non sa che dire… Gesù gli sorride per incoraggiarlo. L’uomo non sa che fare… Ma si accosta di più.

Gesù accenna alle cicatrici: «Tutte ferite? Sei un prode e un fedele, allora…».

Il vecchio milite si fa di porpora per l’elogio.

«Hai sofferto molto per amore della tua patria e del tuo imperatore… Non vorresti soffrire qualcosa per una più grande patria: il Cielo? Per un eterno imperatore: Dio?».

Il soldato scuote il capo e dice: «Sono un povero pagano. Ma non è detto che non arrivi anche io all’undecima ora. Ma chi mi intruisce? Tu vedi!… Ti cacciano. E queste sì che sono ferite che fanno male, non le mie!… Almeno io le ho rese ai nemici. Ma Tu, a chi ti ferisce, che dai?».

«Perdono, soldato. Perdono e amore».

«Ho ragione io. Il sospetto su Te è stolto. Addio, galileo».

«Addio, romano».

Gesù resta solo finché tornano i tre fratelli e i discepoli con delle cibarie. Che offrono, i fratelli, ai soldati, mentre i discepoli le offrono a Gesù. Mangiano svogliatamente, al sole, mentre i militi mangiano e bevono allegramente.

Poi un soldato esce a sbirciare sulla piazza silenziosa.

«Possiamo andare», urla. «Sono tutti andati via. Non ci sono che le pattuglie».

Gesù si alza docilmente, benedice e conforta i tre fratelli, ai quali dà appuntamento per la Pasqua al Getsemani, ed esce, inquadrato fra i soldati coi suoi discepoli mortificati che gli vengono dietro. E percorrono le strade vuote, fino alla campagna.

«Salve, galileo», dice il triario.

«Addio, Aquila. Ti prego, non fate del male a Daniele, Elia e Filippo. Io solo sono il colpevole. Dillo al centurione».

«Non dico nulla. A quest’ora non se lo ricorda neanche più, e i tre fratelli ci forniscono bene, specie di quel vino di Cipro che il centurione ama più della vita. Sta in pace. Addio».

Si separano. Tornando i soldati oltre le porte, Gesù e i suoi avviandosi per la campagna silenziosa, in direzione est».


Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

 
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XXIV Domenica del Tempo Ordinario anno A

Post n°171 pubblicato il 17 Settembre 2017 da IMMAGINIRCFO
 

 

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 18,21-35

https://image.slidesharecdn.com/2-150206104437-conversion-gate01/95/2-la-confessione-biblica-78-638.jpg?cb=1423241331

Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: «, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette. A proposito, il Regno dei Cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito. Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa. Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi! Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito. Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello».


Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

Volume 4 - Capitolo 278 - Pagina 372


Licenziati dopo il pasto i poveri, Gesù resta cogli apostoli e discepoli nel giardino di Maria di Magdala. Vanno a sedersi al limite di esso, proprio vicino alle acque quiete del lago, su cui delle barche veleggiano intente alla pesca.

«Avranno buona pesca» commenta Pietro che osserva.

«Anche tu avrai buona pesca, Simone di Giona».

«Io, Signore? Quando? Intendi che io esca a pescare per il cibo di domani? Vado subito e…».

«Non abbiamo bisogno di cibo in questa casa. La pesca che tu farai sarà in futuro e nel campo spirituale. E con te saranno pescatori ottimi la maggior parte di questi».

«Non tutti, Maestro?» chiede Matteo.

«Non tutti. Ma quelli che perseverando diverranno miei sacerdoti avranno buona pesca».

«Conversioni, eh?» domanda Giacomo di Zebedeo.

«Conversioni, perdoni, guide a Dio. Oh! tante cose!». 

«Senti, Maestro. Tu prima hai detto che, se uno non ascolta il fratello neppure alla presenza di testimoni, sia fatto consigliare dalla sinagoga. Ora, se io ho ben capito quanto Tu ci hai detto da quando ci conosciamo, mi pare che la sinagoga sarà sostituita dalla Chiesa, questa cosa che Tu fonderai. Allora, dove andremo per fare consigliare i fratelli zucconi?».

«Andrete da voi stessi, perché voi sarete la mia Chiesa. Perciò i fedeli verranno a voi, o per consiglio da avere per causa propria, o per consiglio da dare ad altri. Vi dico di più. Non solo potrete consigliare. Ma potrete anche assolvere in mio Nome. Potrete sciogliere dalle catene del peccato e potrete legare due che si amano facendone una carne sola.

E quanto avrete fatto sarà valido agli occhi di Dio come fosse Dio stesso che lo avesse fatto.

In verità vi dico: quanto avrete legato sulla terra sarà legato nel Cielo, quanto sarà sciolto da voi sulla terra sarà sciolto in Cielo.

E ancora vi dico, per farvi comprendere la potenza del mio Nome, dell’amore fraterno e della preghiera, che se due miei discepoli, e per tali intendo ora tutti coloro che crederanno nel Cristo, si riuniranno a chiedere qualsiasi giusta cosa in mio Nome, sarà loro concessa dal Padre mio.

Perché grande potenza è la preghiera, grande potenza è l’unione fraterna, grandissima, infinita potenza è il mio Nome e la mia presenza fra voi. E dove due o tre saranno adunati in mio Nome, ivi Io sarò in mezzo a loro, e pregherò con loro, e il Padre non negherà a chi con Me prega.

Perché molti non ottengono perché pregano soli,

o per motivi illeciti,

o con orgoglio,

o con peccato sul cuore.

Fatevi il cuore mondo, onde Io possa essere con voi, e poi pregate e sarete ascoltati».

Pietro è pensieroso. Gesù lo vede e gliene chiede ragione. E Pietro spiega:

«Penso a che gran dovere siamo destinati. E ne ho paura. Paura di non sapere fare bene».

«Infatti Simone di Giona o Giacomo di Alfeo o Filippo e così via non saprebbero fare bene. Ma il sacerdote Pietro, il sacerdote Giacomo, il sacerdote Filippo, o Tommaso, sapranno fare bene perché faranno insieme alla divina Sapienza».

«E… quante volte dovremo perdonare ai fratelli? Quante, se peccano contro i sacerdoti; e quante, se peccano contro Dio? Perché, se succederà allora come ora, certo peccheranno contro di noi, visto che peccano contro di Te tante e tante volte. Dimmi se devo perdonare sempre o se un numero di volte. Sette volte, o più ancora, ad esempio?».

«Non ti dico sette, ma settanta volte sette. Un numero senza misura. Perché anche il Padre dei Cieli perdonerà a voi molte volte, un numero grande di volte, a voi che dovreste essere perfetti. E come Egli fa con voi, così dovete fare, perché voi rappresenterete Dio in terra. Anzi, sentite. Racconterò una parabola che servirà a tutti».

E Gesù, che era circondato dai soli apostoli in un chioschetto di bossi, si avvia verso i discepoli che sono invece rispettosamente aggruppati su uno spiazzo decorato di una vasca piena di limpide acque. Il sorriso di Gesù è come un segnale di parola. E mentre Lui va col suo passo lento e lungo, per cui percorre molto spazio in pochi momenti, e senza affrettarsi perciò, essi si rallegrano tutti e, come bambini intorno a chi li fa felici, si stringono in cerchio. Una corona di visi attenti, finché Gesù si mette contro un alto albero e inizia a parlare.

«Quanto ho detto prima al popolo va perfezionato per voi che siete gli eletti fra esso. Dall’apostolo Simone di Giona mi è stato detto: “Quante volte devo perdonare? A chi? Perché?”. Ho risposto a lui in privato ed ora a tutti ripeto la mia risposta in ciò che è giusto voi sappiate fin da ora. Udite quante volte e come e perché va perdonato.

Perdonare bisogna come perdona Dio, il quale, se mille volte uno pecca e se ne pente, perdona mille volte.

Purché veda che nel colpevole non c’è volontà del peccato,

la ricerca di ciò che fa peccare,

e che il peccato è solo frutto di una debolezza dell’uomo.

Nel caso di persistenza volontaria nel peccato, non può esservi perdono per le colpe fatte alla Legge.

Ma per quanto queste colpe vi danno di dolore, a voi, individualmente, perdonate. Perdonate sempre a chi vi fa del male.

Perdonate per essere perdonati, perché anche voi avete colpe verso Dio e i fratelli.

Il perdono apre il Regno dei Cieli tanto al perdonato come al perdonante.

Esso è simile a questo fatto che avvenne fra un re ed i suoi servi. Un re volle fare i conti coi suoi servi. Li chiamò dunque uno dopo l’altro cominciando da quelli che erano i più in alto. Venne uno che gli era debitore di diecimila talenti. Ma il suddito non aveva con che pagare l’anticipo che il re gli aveva fatto per potersi costruire case e bene d’ogni genere, perché in verità non aveva, per molti motivi più o meno giusti, con molta solerzia usato della somma ricevuta per questo.

Il re-padrone, sdegnato della sua infingardia e della mancanza di parola, comandò che fosse venduto lui, la moglie, i figli e quanto aveva, finché avesse saldato il suo debito. Ma il servo si gettò ai piedi del re e con pianti e suppliche lo pregava: “Lasciami andare. Abbi un poco di pazienza ancora ed io ti renderò tutto quanto ti devo, fino all’ultimo denaro”.

Il re, impietosito da tanto dolore -era un re buono- non solo acconsentì a questo ma, saputo che fra le cause della poca solerzia e del mancato pagamento erano anche delle malattie, giunse a condonargli il debito. Il suddito se ne andò felice.

Uscendo di lì, però, trovò sulla sua via un altro suddito, un povero suddito al quale egli aveva prestato cento denari tolti ai diecimila talenti avuti dal re. Persuaso del favore sovrano, si credette tutto lecito e, preso quell’infelice per la gola, gli disse: “Rendimi subito quanto mi devi”.

Inutilmente l’uomo piangendo si curvò a baciargli i piedi gemendo: “Abbi pietà di me che ho tante disgrazie. Porta un poco di pazienza ancora e ti renderò tutto, fino all’ultimo spicciolo”. Il servo, spietato, chiamò i militi e fece condurre in prigione l’infelice perché si decidesse a pagarlo, pena la perdita della libertà o anche della vita.

La cosa fu risaputa dagli amici del disgraziato i quali, tutti contristati, andarono a riferirlo al re e padrone. Questi, saputa la cosa, ordinò gli fosse tradotto davanti il servitore spietato e, guardandolo severamente disse: “Servo iniquo, io ti avevo aiutato prima perché tu diventassi misericordioso, perché ti facessi una ricchezza, poi ti ho aiutato ancora col condonarti il debito per il quale tanto ti raccomandavi che io avessi pazienza. Tu non hai avuto pietà di un tuo simile mentre io, re, per te ne avevo avuta tanta. Perché non hai fatto ciò che ti ho fatto?”.

E lo consegnò sdegnato ai carcerieri perché lo tenessero finché avesse tutto pagato, dicendo: “Come non ebbe pietà di uno che ben poco gli doveva, mentre tanta pietà ebbe da me che re sono, così non trovi da me pietà”.

Così pure farà il Padre mio con voi se voi sarete spietati ai fratelli, se voi, avendo avuto tanto da Dio, sarete colpevoli più di quanto non lo è un fedele. Ricordate che in voi è l’obbligo di essere più di ogni altro senza colpe. Ricordate che Dio vi anticipa un gran tesoro, ma vuole che gliene rendiate ragione.

Ricordate che nessuno come voi deve saper praticare amore e perdono.

Non siate servi che per voi molto volete e poi nulla date a chi a voi chiede. Come fate, così vi sarà fatto. E vi sarà chiesto anche conto del come fanno gli altri, trascinati al bene o al male dal vostro esempio. Oh! che in verità se sarete santificatori possederete una gloria grandissima nei Cieli! Ma, ugualmente, se sarete pervertitori, o anche solamente infingardi nel santificare, sarete duramente puniti.

Io ve lo dico ancora una volta. Se alcuno di voi non si sente di essere vittima della propria missione, se ne vada. Ma non manchi ad essa. E dico: non manchi nelle cose veramente rovinose alla propria e all’altrui formazione. E sappia avere amico Dio, avendo sempre in cuore perdono ai deboli. Allora ecco che ad ognun di voi che sappia perdonare sarà da Dio Padre dato perdono.

La sosta è finita. Il tempo dei Tabernacoli è prossimo. Quelli ai quali ho parlato in disparte questa mattina, da domani andranno, precedendomi e annunciandomi alle popolazioni. Quelli che restano non si avviliscano. Ho trattenuto alcuni di loro per prudenziale motivo, non per spregio di loro. Essi staranno con Me, e presto li manderò come mando i settantadue primi.

La messe è molta e gli operai saranno sempre pochi rispetto al bisogno. Vi sarà dunque lavoro per tutti. E non basta ancora. Perciò, senza gelosie, pregate il Padrone della messe che mandi sempre nuovi operai per la sua mietitura. Andate, intanto. Io e gli apostoli abbiamo in questi giorni di sosta completato la vostra istruzione sul lavoro che avete da fare, ripetendo quello che Io dissi prima di mandare i dodici.

Uno fra voi mi ha chiesto: “Ma come guarirò in tuo Nome?”.

Curate sempre prima lo spirito. Promettete agli infermi il Regno di Dio se sapranno credere in Me e, vista in essi la Fede, comandate al morbo di andarsene, ed esso se ne andrà. E così fate per i malati dello spirito. Accendete per prima cosa la Fede. Comunicate con parola sicura la speranza. Io sopraggiungerò a mettere in essi la divina carità, così come a voi l’ho messa in cuore dopo che in Me avete creduto e nella misericordia avete sperato.

E non abbiate paura né degli uomini né del demonio. Non vi faranno male.

L’uniche cose di cui dovete temere sono la sensualità, la superbia, l’avarizia.

Per esse potrete consegnarvi a satana e agli uomini-satana, ché ci sono essi pure. Andate dunque, precedendomi per le vie del Giordano. E giunti a Gerusalemme, andate a raggiungere i pastori nella valle di Betlemme e con essi venite a Me nel posto che sapete, e insieme celebreremo la festa santa, tornando poi più corroborati che mai al nostro ministero. Andate in pace. Io vi benedico nel Nome Santo del Signore».

 

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

 
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Sacro Cuore di Gesù

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SEQUENZA

[Sion, loda il Salvatore,
la tua guida, il tuo pastore
con inni e cantici.
-Impegna tutto il tuo fervore:
egli supera ogni lode,
non vi è canto che sia degno.
-Pane vivo, che dà vita:
questo è tema del tuo canto,
oggetto della lode.
-Veramente fu donato
agli apostoli riuniti
in fraterna e sacra cena.
-Lode piena e risonante,
gioia nobile e serena
sgorghi oggi dallo spirito.
-Questa è la festa solenne
nella quale celebriamo
la prima sacra cena.
-È il banchetto del nuovo Re,
nuova Pasqua, nuova legge;
e l'antico è giunto a termine.
-Cede al nuovo il rito antico,
la realtà disperde l'ombra:
luce, non più tenebra.
-Cristo lascia in sua memoria
ciò che ha fatto nella cena:
noi lo rinnoviamo.
-Obbedienti al suo comando,
consacriamo il pane e il vino,
ostia di salvezza.
-È certezza a noi cristiani:
si trasforma il pane in carne,
si fa sangue il vino.
-Tu non vedi, non comprendi,
ma la fede ti conferma,
oltre la natura.
-È un segno ciò che appare:
nasconde nel mistero
realtà sublimi.
-Mangi carne, bevi sangue;
ma rimane Cristo intero
in ciascuna specie.
-Chi ne mangia non lo spezza,
né separa, né divide:
intatto lo riceve.
-Siano uno, siano mille,
ugualmente lo ricevono:
mai è consumato.
-Vanno i buoni, vanno gli empi;
ma diversa ne è la sorte:
vita o morte provoca.
-Vita ai buoni, morte agli empi:
nella stessa comunione
ben diverso è l’esito!
-Quando spezzi il sacramento
non temere, ma ricorda:
Cristo è tanto in ogni parte,
quanto nell’intero.
-È diviso solo il segno
non si tocca la sostanza;
nulla è diminuito
della sua persona.]
-Ecco il pane degli angeli,
pane dei pellegrini,
vero pane dei figli:
non dev’essere gettato.
-Con i simboli è annunziato,
in Isacco dato a morte,
nell'agnello della Pasqua,
nella manna data ai padri.
-Buon pastore, vero pane,
o Gesù, pietà di noi:
nutrici e difendici,
portaci ai beni eterni
nella terra dei viventi.
-Tu che tutto sai e puoi,
che ci nutri sulla terra,
conduci i tuoi fratelli
alla tavola del cielo
nella gioia dei tuoi santi.

 
 

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