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XXXI Domenica del Tempo Ordinario anno A

Post n°180 pubblicato il 06 Novembre 2017 da IMMAGINIRCFO

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 23,1-12


In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbi” dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare “rabbi”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Il più grande tra voi sia vostro servo; chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato».


Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta

Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

Volume 9 - Capitolo 596  (2 aprile 1947)


Apostoli, discepoli e folla seguono compatti Gesù, mentre Egli torna di nuovo nel luogo della prima cinta che è quasi al riparo del muraglione di cinta del Tempio, là dove è un poco di frescura perché la giornata è molto afosa. Là, essendo il terreno sconvolto dagli zoccoli degli animali, sparso delle pietre che i mercanti e i cambiavalute usavano per tenere fermi i loro recinti e le loro tende, là non ci sono i rabbi di Israele, i quali permettevano che nel Tempio si facesse un mercato, ma che hanno ribrezzo a portare le suole dei loro sandali là dove malamente sono cancellate le orme dei quadrupedi che solo da pochi giorni sono stati sfrattati di là...

Gesù non ne ha ribrezzo e si rifugia là, in un cerchio folto di ascoltatori e riprende a parlare:

«Questo vi ho detto per ricordarvi la ragione d’essere di scribi e farisei, e come e perché si sono seduti sulla cattedra di Mosè, e come e perché parlano e non vane sono le loro parole. Fate dunque ciò che essi dicono. Ma non imitateli nelle loro azioni. Perché essi dicono di fare in una data maniera, ma poi non fanno ciò che dicono che si deve fare.

Infatti essi insegnano le leggi di umanità del Pentateuco, ma poi caricano di pesi grandi, insopportabili, inumani, gli altri, mentre per loro stessi non stendono neppure un dito, non a portare quei pesi, ma neppure a toccarli.

Loro regola di vita è l’esser visti e notati e applauditi per le loro opere, che fanno in maniera atta a esser viste, per averne lode.

E contravvengono alla legge dell’amore, perché amano definirsi separati e hanno sprezzo per coloro che non sono della loro sètta, ed esigono il titolo di maestri e un culto dai loro discepoli quali essi non danno a Dio.

Dèi si credono per sapienza e potenza, superiori al padre e alla madre vogliono essere nel cuore dei loro discepoli, e pretendono che la loro dottrina superi quella di Dio ed esigono che sia praticata alla lettera, anche se è manipolazione della vera Legge, inferiore alla stessa come più non lo è per questo monte rispetto all’altezza del Grande Ermon che tutta la Palestina sovrasta.

Ed eretici sono, credendo, come i pagani, alla metempsicosi e alla fatalità alcuni, negando gli altri ciò che i primi ammettono e, di fatto se non di effetto, ciò che Dio stesso ha dato per fede, definendosi unico Dio al quale va dato culto e dicendo il padre e la madre secondi a Dio soltanto, e come tali in diritto di essere ubbiditi più di un maestro che non sia divino.

Ché se ora Io vi dico: ”Colui che ama il padre e la madre più di Me non è atto al Regno di Dio”, non è già per inculcarvi il disamore ai parenti, ai quali dovete rispetto ed aiuto, né è lecito levare un soccorso ad essi dicendo: “È denaro del Tempio”, o ospitalità dicendo: “La mia carica me lo vieta”, o la vita dicendo: “Ti uccido perché tu ami il Maestro”, ma è perché abbiate l’amore giusto ai parenti, ossia un amore paziente e forte nella sua mansuetudine, il quale sa -senza giungere all’odio verso il parente che pecca e dà dolore non seguendovi sulla via della Vita: la mia- il quale sa saper scegliere tra la legge mia e l’egoismo famigliare e la sopraffazione famigliare.

Amate i parenti, obbediteli in tutto ciò che è santo. Ma siate pronti a morire, non già a dar morte ma a morire, dico, se essi vogliono indurvi a tradire la vocazione che Dio ha messa in voi di essere i cittadini del Regno di Dio che Io sono venuto a formare.

Non imitate scribi e farisei, divisi fra loro sebbene affettino di essere uniti.

Voi, discepoli del Cristo, siate veramente uniti, uni per gli altri, i capi dolci ai soggetti, i soggetti dolci coi capi, uni nell’amore e nel fine della vostra unione: conquistare il mio Regno ed essere alla mia destra nell’eterno Giudizio. Ricordate che un regno diviso non è più un regno e non può sussistere. Siate dunque uniti fra voi nell’amore per Me e per la mia dottrina. Assisa del cristiano, ché tale sarà il nome dei sudditi miei, sia l’amore e l’unione, l’uguaglianza fra voi nelle vesti, la comunanza negli averi, la fratellanza dei cuori. Tutti per uno, uno per tutti.

Chi ha, dia umilmente. Chi non ha, accetti umilmente e umilmente esponga i suoi bisogni ai fratelli, sapendoli tali; e i fratelli ascoltino amorosamente i bisogni dei fratelli, sentendosi ad essi veramente tali.

Ricordate che il Maestro vostro ebbe spesso fame, freddo e altri mille bisogni e disagi, e umilmente li espose agli uomini, Egli, Verbo di Dio. Ricordate che è dato un premio a chi è misericorde anche di un sol sorso d’acqua. Ricordate che dare è meglio che ricevere.

In questi tre ricordi il povero trovi la forza di chiedere senza sentirsi umiliato, pensando che Io l’ho fatto prima di lui, e di perdonare se sarà respinto, pensando che molte volte al Figlio dell’Uomo fu negato il posto e il cibo che si danno ai cani di guardia al gregge.

E il ricco trovi la generosità di dare le sue ricchezze, pensando che la moneta vile, l’odioso denaro suggerito da satana, causa dei nove decimi delle rovine del mondo, se dato per amore si muta in gemma immortale e paradisiaca.

Siate vestiti delle vostre virtù. Esse siano ampie ma note a Dio solo. Non fate come i farisei che portano le filatterie più larghe e le frange più lunghe e amano i primi seggi nelle sinagoghe e gli ossequi nelle piazze, e vogliono essere chiamati dal popolo: “Rabbi”.

Uno solo è il Maestro: il Cristo. Voi che in futuro sarete i nuovi dottori, parlo a voi, miei apostoli e discepoli, ricordate che Io solo sono il vostro Maestro. E lo sarò anche quando non sarò più fra voi. Perché solo la Sapienza è colei che ammaestra. Non fatevi perciò chiamare maestri, perché siete voi stessi discepoli.

E non esigete e non date il nome padre ad alcuno sulla Terra, perché uno solo è il Padre di tutti: il Padre vostro che è nei Cieli. Questa verità vi faccia saggi nel sentirvi veramente tutti fratelli fra voi, sia quelli che dirigono come quelli che sono diretti, e amatevi perciò da buoni fratelli. Né alcuni di quelli che dirigeranno si faccia chiamare guida, perché una sola è la vostra guida comune: il Cristo.

Il più grande fra voi sia vostro servo. Non è umiliarsi esser servo dei servi di Dio, ma è imitare Me che fui mite e umile sempre pronto ad avere amore ai fratelli miei nella carne di Adamo e ad aiutarli con la potenza che ho in Me come Dio. Né ho umiliato il divino, servendo gli uomini. Perché il vero re è colui che sa signoreggiare non tanto gli uomini quanto le passioni dell’uomo, prima fra tutte la stolta superbia.

Ricordate: chi si umilia sarà esaltato e chi si esalta sarà umiliato.

La Donna di cui ha parlato nel II delle Genesi il Signore, la Vergine di cui è parola in Isaia, la Madre-Vergine dell’Emmanuele, ha profetato questa verità del tempo nuovo cantando: “Il Signore ha rovesciato i potenti dai troni ed ha innalzato gli umili”.

La Sapienza di Dio parlava sul labbro di Colei che era Madre della Grazia e Trono della Sapienza.

E Io ripeto le ispirate parole che mi lodarono unito al Padre e allo Spirito Santo, nelle nostre opere mirabili, quando, senza offesa per la Vergine, Io, l’Uomo, mi formavo nel suo seno senza cessare di essere Dio. Siano norma a quelli che vogliono partorire il Cristo nei loro cuori e venire al Regno di Cristo.

Non vi sarà Gesù: il Salvatore; Cristo: il Signore; e non vi sarà Regno dei Cieli per coloro che sono superbi, fornicatori, idolatri, adorando se stessi e la loro volontà».

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

 
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XXX Domenica del Tempo Ordinario anno A

Post n°179 pubblicato il 28 Ottobre 2017 da IMMAGINIRCFO

Amerai il Signore Dio tuo
e il prossimo tuo come te stesso

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Dal Vangelo secondo Matteo 22,34-40

Allora i farisei, udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della legge, Lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, qual è il più grande Comandamento della Legge?». Gli rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei Comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due Comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».


 Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta 

Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

Volume 9 - Capitolo 596 - Pagina 387


Gesù entra nel Tempio ancor più affollato che nei giorni precedenti. È tutto bianco oggi, nella sua veste di lino. È una giornata afosa.

Va ad adorare nell’atrio degli israeliti e poi va ai portici, seguito da un codazzo di gente, mentre altra ha già preso le migliori posizioni sotto i porticati, e la maggioranza sono pagani che, non potendo andare oltre il primo cortile, oltre il portico dei Pagani, hanno approfittato del fatto che gli ebrei hanno seguito il Cristo per prendere posizioni di favore.

Ma un gruppo ben numeroso di farisei li scompagina: sono sempre arroganti ad un modo, e si fanno largo con prepotenza per accostarsi a Gesù curvo su di un malato. Attendono che lo abbia guarito, poi gli mandano vicino uno scriba perché Lo interroghi.

Veramente fra loro c’era stata prima una breve disputa, perché Gioele detto Alamot voleva andare lui ad interrogare il Maestro. Ma un fariseo si oppone e gli altri lo sostengono dicendo: «No. Ci è noto che tu parteggi per il Rabbi, benché tu lo faccia segretamente. Lascia andare Uria…».

«Uria no» dice un altro giovane scriba che non conosco affatto. «Uria, è troppo aspro nel suo parlare. Ecciterebbe la folla. Vada io».

E, senza ascoltare più le proteste degli altri, va vicino al Maestro proprio nel momento che Gesù congeda il malato dicendogli: «Abbi fede, sei guarito. La febbre e il dolore non torneranno mai più».

«Maestro, quale è il maggiore dei Comandamenti della Legge?».

Gesù, che lo aveva alle spalle, si volta e lo guarda.

Una luce tenue di sorriso gli illumina il volto, e poi alza il capo, essendo a capo chino perché lo scriba è di bassa statura e per di più sta curvo in atto di ossequio, e gira lo sguardo sulla folla, lo appunta sul gruppo dei farisei e dottori e scorge il viso pallido di Gioele seminascosto dietro un grosso e impaludato fariseo. Il suo sorriso si accentua. È come una luce che vada a carezzare lo scriba onesto.

Poi riabbassa il capo guardando il suo interlocutore e gli risponde:

«Il primo di tutti i Comandamenti è: “Ascolta, o Israele: il Signore Dio nostro è l’unico Signore. Tu amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze”. Questo è il primo e supremo Comandamento. Il secondo poi è simile a questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non vi sono comandamenti maggiori di questi. Essi rinchiudono tutta la Legge e i Profeti».

«Maestro, Tu hai risposto con sapienza e con verità. Così è. Dio è Unico e non vi è altro Dio fuori che Lui. Amarlo con tutto il proprio cuore, con tutta la propria intelligenza, con tutta l’anima e tutte le forze, e amare il prossimo come se stesso, vale molto di più di ogni olocausto e sacrificio. Molto lo penso quando medito le parole davidiche: “A Te non piacciono gli olocausti; il sacrificio a Dio è lo spirito compunto”».

«Tu non sei lontano dal Regno di Dio, perché hai compreso quale sia l’olocausto che è gradito a Dio».

«Ma quale è il sacrificio (olocausto) maggiormente perfetto?» chiede  svelto, a bassa voce, lo scriba, come se dicesse un segreto.

Gesù raggia d’amore lasciando cadere questa perla nel cuore di costui che si apre alla sua dottrina, alla dottrina del Regno di Dio, e dice, curvo su di lui:

«Il sacrificio perfetto è amare come noi stessi coloro che ci perseguitano e non avere rancori. Chi fa questo possederà la pace. È detto: i mansueti possederanno la Terra e godranno dell’abbondanza della pace. In verità ti dico che colui che sa amare i suoi nemici raggiunge la perfezione e possiede Dio».

Lo scriba Lo saluta con deferenza e se ne torna al suo gruppo, che lo rimprovera sottovoce di aver lodato il Maestro, e con ira gli dicono: «Che gli hai chiesto in segreto? Sei anche tu, forse, sedotto da Lui?».

«Ho sentito lo Spirito di Dio parlare sulle sue labbra».

«Sei uno stolto. Lo credi forse tu il Cristo?».

«Lo credo».

«In verità fra poco vedremo vuote le nostre scuole dei nostri scribi ed essi andar raminghi dietro quell’Uomo! Ma dove vedi, in Lui, il Cristo?».

«Dove no so. So che sento che è Lui».

«Pazzo!», gli voltano inquieti le spalle.

Gesù ha osservato il dialogo e, quando i farisei gli passano davanti in gruppo serrato per andarsene inquieti, li chiama dicendo: «Ascoltatemi. Voglio chiedervi una cosa. Secondo voi, che ve ne pare del Cristo? Di chi è figlio?».

«Sarà figlio di Davide» gli rispondono marcando il “sarà”, perché vogliono fargli capire che, per loro, Egli non è il Cristo.

«E come dunque Davide, ispirato da Dio, lo chiama “Signore” dicendo: “Il Signore ha detto al mio Signore: Siedi alla mia destra fino a che non avrò messo i tuoi nemici a sgabello ai tuoi piedi”? Se dunque Davide chiama il Cristo “Signore”, come il Cristo può essergli figlio?».

Non sapendo cosa rispondergli, si allontanano ruminando il loro veleno.

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

 
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XXIX Domenica del Tempo Ordinario anno A

Post n°178 pubblicato il 23 Ottobre 2017 da IMMAGINIRCFO

XXIX Domenica del Tempo Ordinario anno A

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Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 22,15-21

In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva ridotto al silenzio i sadducei, ritiratisi, tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nei suoi discorsi. Mandarono dunque a Lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di nessuno perché non guardi in faccia ad alcuno. Dicci dunque il tuo parere: È lecito o no pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché mi tentate? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Di chi è questa immagine e l’iscrizione?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

 Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta 

Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

Volume 9 - Capitolo 594 (1 aprile 1947)

Stanno per rientrare in città, sempre per la stessa stradicciuola remota presa la mattina avanti, quasi che Gesù non volesse essere circondato dalla gente in attesa prima di essere nel Tempio, al quale presto si accede entrando in città dalla porta del Gregge che è vicina alla Probatica.

Ma oggi molti dei settantadue lo attendono già al di là del Cedron, prima del ponte, e non appena Lo vedono apparire fra gli ulivi verde-grigi, nella sua veste porpurea, gli vanno incontro. Si riuniscono e procedono verso la città. Pietro, che guarda avanti, giù per la china, sempre in sospetto di veder apparire qualche malintenzionato, vede fra il verde fresco delle ultime pendici un ammasso di foglie vizze e pendenti che si spenzola sull’acqua del Cedron.

Le foglie accartocciate e morenti, qua e là già macchiate come per ruggine, sono simili a quelle di una pianta che le fiamme hanno essiccata. Ogni tanto la brezza ne stacca una e la seppellisce nelle acque del torrente.

«Ma quello è il fico di ieri! Il fico che Tu hai maledetto!», grida Pietro, una mano puntata ad indicare la pianta seccata, la testa volta indietro a parlare al Maestro.

Accorrono tutti, meno Gesù che viene avanti col suo solito passo. Gli apostoli narrano ai discepoli il precedente del fatto che vedono e tutti insieme commentano guardando strabiliati Gesù. Hanno visto migliaia di miracoli su uomini ed elementi. Ma questo li colpisce come molti altri non lo hanno fatto.

Gesù, che è sopraggiunto, sorride nell’osservare quei visi stupiti e timorosi, e dice:

«E che? Tanto vi fa meraviglia che per la mia parola sia seccato un fico? Non mi avete visto forse risuscitare i morti, guarire i lebbrosi, dar vista ai ciechi, moltiplicare i pani, calmare le tempeste, spegnere il fuoco? E vi stupisce che un fico dissecchi?».

«Non è per il fico. È che ieri era vegeto quando l’hai maledetto, e ora è seccato. Guarda! Friabile come argilla disseccata. I suoi rami non hanno più midollo. Guarda. Vanno in polvere», e Bartolomeo sfarina fra le dita dei rami che ha con facilità spezzato.

«Non hanno più midollo. Lo hai detto. Ed è la morte quando non c’è più midollo, sia in una pianta, che in una Nazione, che in una religione, ma c’è soltanto dura corteccia e inutile fogliame: ferocia ed ipocrita esteriorità. Il midollo, bianco, interno, pieno di linfa, corrisponde alla santità, alla spiritualità.

La corteccia dura e il fogliame inutile, all’umanità priva di vita spirituale e giusta. Guai a quelle religioni che divengono umane perché i loro sacerdoti e fedeli non hanno più vitale lo spirito. Guai a quelle Nazioni i cui capi sono solo ferocia e risuonante clamore privo di idee fruttifere! Guai agli uomini in cui manca la vita dello spirito!».

«Però, se Tu avessi a dire questo ai grandi d’Israele, ancorché il tuo parlare sia giusto, non saresti sapiente. Non ti lusingare perché essi ti hanno finora lasciato parlare. Tu stesso lo dici che non è per conversione di cuore, ma per calcolo. Sappi allora Tu pure calcolare il valore e le conseguenze delle tue parole. Perché c’è anche la sapienza del mondo, oltre che la sapienza dello spirito. E occorre saperla usare a nostro vantaggio. Perché, infine, per ora si è nel mondo, non già nel Regno di Dio», dice l’Iscariota senza acredine ma in tono dottorale. «Il vero sapiente è colui che sa vedere le cose senza che le ombre della propria sensualità e le riflessioni del calcolo le alterino. Io dirò sempre la verità di ciò che vedo».

«Ma insomma questo fico è morto perché sei stato Tu a maledirlo, o è un... caso... un segno... non so?», chiede Filippo.

«È tutto ciò che tu dici. Ma ciò che Io ho fatto voi pure potrete fare, se giungerete ad avere la fede perfetta. Abbiatela nel Signore altissimo. E quando l’avrete, in verità vi dico che potrete questo e ancor più.

In verità vi dico che, se uno giungerà ad avere la fiducia perfetta nella forza della preghiera e nella bontà del Signore, potrà dire a questo monte: “Spostati di qua e gettati in mare”, e se dicendolo non esiterà nel suo cuore, ma crederà che quanto egli ordina si possa avverare, quanto ha detto si avvererà».

«E sembreremo dei maghi e saremo lapidati, come è detto per chi esercita magia. Sarebbe un miracolo ben stolto, e a nostro danno!», dice l’Iscariota crollando il capo. «Stolto tu sei, che non capisci la parabola!», gli rimbecca l’altro Giuda. Gesù non parla a Giuda. Parla a tutti:

«Io vi dico, ed è vecchia lezione che ripeto in quest’ora: qualunque cosa chiederete con la preghiera, abbiate Fede di ottenerla e l’avrete. Ma se prima di pregare avete qualcosa contro qualcuno, prima perdonate e fate pace per aver amico il Padre vostro che è nei Cieli, che tanto, tanto vi perdona e benefica, dalla mattina alla sera e dal tramonto all’aurora».

Entrano nel Tempio. I soldati dell’Antonia li osservano passare. Vanno ad adorare il Signore, poi tornano nel cortile dove i rabbi insegnano. Subito verso Gesù, prima ancora che la gente accorra e si affolli intorno a Lui, si avvicinano dei saforim, dei dottori d’Israele e degli erodiani, e con bugiardo ossequio, dopo averlo salutato, gli dicono:

«Maestro, noi sappiamo che Tu sei sapiente e veritiero, e insegni la via di Dio senza tener conto di cosa o persona alcuna, fuorché della verità e giustizia, e poco ti curi del giudizio degli altri su Te, ma soltanto di condurre gli uomini al Bene. Dicci allora: è lecito pagare il tributo a Cesare, oppure non è lecito farlo? Che te ne pare?».

Gesù li guarda con uno di quei suoi sguardi di una penetrante e solenne perspicacia, e risponde: «Perché mi tentate ipocritamente? Eppure alcuno fra voi sa che Io non vengo ingannato con ipocriti onori! Ma mostratemi una moneta, di quelle usate per il tributo».

Gli mostrano una moneta. La osserva nel retto e nel verso e, tenendola appoggiata sul palmo della sinistra, vi batte sopra l’indice della destra dicendo:

«Di chi è quest’immagine e che dice questa scrittura?».

«Di Cesare è l’immagine, e l’iscrizione porta il suo nome. Il nome di Caio Tiberio Cesare, che è ora imperatore di Roma».

«E allora rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio date quel che è di Dio», e volge loro le spalle dopo aver reso il denaro a chi glielo aveva dato.

Ascolta questo e quello dei molti pellegrini che Lo interrogano, conforta, assolve, guarisce. Passano le ore. Esce dal Tempio per andare forse fuori porta, a prendere il cibo che gli portano i servi di Lazzaro incaricati a questo. Rientra nel Tempio che è pomeriggio. Instancabile.

Grazia e sapienza fluiscono dalle sue mani posate sugli infermi, dalle sue labbra in singoli consigli dati ai molti che Lo avvicinano. Sembra che voglia tutti consolare, tutti guarire, prima di non poterlo più fare.

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

 
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XXVIII Domenica del Tempo Ordinario anno A

Post n°177 pubblicato il 20 Ottobre 2017 da IMMAGINIRCFO

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 22,1-14

In quel tempo, Gesù, riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse: «Il Regno dei Cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

Volume 3 - Capitolo 206

Mentre il sole scompare anche col ricordo del suo rosso, in un primo stridere di grilli, incerto, solitario, Gesù si avvia in mezzo ad un prato falciato da poco e su cui l’erbe morenti fanno un tappeto di acuta e morbida fragranza. Lo seguono gli apostoli, le Marie, Marta e Lazzaro con quelli della sua casa, Isacco coi discepoli, e direi tutta Betania.

Fra i servi è il vecchione con la donna, i due che sul monte delle Beatitudini hanno trovato un conforto anche per i loro giorni.

Gesù si ferma a benedire il patriarca, che gli bacia piangendo la mano e che accarezza il bambino, che cammina a fianco di Gesù, dicendogli: “Te beato che lo puoi sempre seguire! Sii buono, sta’ attento, figlio. La tua è una gran ventura! Una gran ventura! Sul tuo capo è sospesa una corona… Oh! te beato!”.

Quando tutti sono a posto Gesù inizia a parlare.

“Udite. E capirete meglio come le sollecitudini, le ricchezze e le crapule impediscono l’entrata nel Regno dei Cieli.

Una volta un re fece le nozze di suo figlio. Potete immagi­nare che festa fosse nella reggia. Era il suo unico figlio e, giun­to all’età perfetta, si sposava con la sua diletta. Il padre e re volle che tutto fosse gioia intorno alla gioia del suo diletto, fi­nalmente sposo con la beneamata. Fra le molte feste nuziali fe­ce anche un grande pranzo. E lo preparò per tempo, vegliando su ogni particolare dello stesso, perché riuscisse splendido e degno delle nozze del figlio del re.

Mandò per tempo i suoi servi a dire agli amici e agli alleati, e anche ai più grandi nel suo regno, che le nozze erano stabilite per quella data sera e che loro erano invitati, e che venissero per fare degna cornice al figlio del re. Ma amici, alleati e gran­di del regno non accettarono l’invito.

Allora il re, dubitando che i primi servi non avessero parla­to a dovere, ne mandò altri ancora, perché insistessero dicen­do: “Ma venite! Ve ne preghiamo. Ormai tutto è pronto. La sala è apparecchiata, i vini preziosi sono stati portati da ogni dove, e già nelle cucine sono ammucchiati i buoi e gli animali in­grassati per essere cotti, e le schiave intridono le farine a far dolciumi, ed altre pestano le mandorle nei mortai per fare lec­cornie finissime a cui mescolano aromi fra i più rari. Le danza­trici e i suonatori più bravi sono stati scritturati per la festa. Venite dunque acciò non sia inutile tanto apparato”.

Ma amici, alleati e grandi del regno o rifiutarono, o dissero: “Abbiamo altro da fare”, o finsero di accettare l’invito, ma poi andarono ai loro affari, chi al campo, chi ai negozi, chi ad altre cose ancor meno nobili. E infine ci fu chi, seccato da tanta in­sistenza, prese il servo del re e l’uccise per farlo tacere, posto che insisteva: “Non negare al re questa cosa perché te ne po­trebbe venire male”.

I servi tornarono al re e riferirono ogni cosa, e il re avvampò di sdegno mandando le sue milizie a punire gli uccisori dei suoi servi e a castigare quelli che avevano sprezzato il suo invito, ri­servandosi di beneficare quelli che avevano promesso di veni­re. Ma la sera della festa, all’ora fissata, non venne nessuno.

Il re, sdegnato, chiamò i servi e disse: “Non sia mai che mio figlio resti senza chi lo festeggi in questa sua sera nuziale. Il banchetto è pronto, ma gli invitati non ne sono degni. Eppu­re il banchetto nuziale del figlio mio deve avere luogo. Andate dunque sulle piazze e sulle strade, mettetevi ai crocicchi, fer­mate chi passa, adunate chi sosta e portateli qui. Che la sala sia piena di gente festante”.

I servi andarono. Usciti per le vie, sparsisi sulle piazze, messisi ai crocicchi, radunarono quanti trovarono, buoni o cat­tivi, ricchi o poveri, e li portarono nella dimora regale, dando loro i mezzi per apparire degni di entrare nella sala del ban­chetto di nozze. Poi li condussero in quella, ed essa fu piena, come il re voleva, di popolo festante.

Ma, entrato il re nella sala per vedere se potevano aver ini­zio le feste, vide uno che, nonostante gli aiuti dati dai servi, non era in veste di nozze.

Gli chiese: “Come mai sei entrato qui senza la veste di nozze?”.

E colui non seppe che rispondere, perché infatti non aveva scusanti.

Allora il re chiamò i servi e disse loro: “Prendete costui, legatelo nelle mani e nei piedi e gettatelo fuori della mia dimora, nel buio e nel fango gelido. Ivi starà nel pianto e con stridore di denti come ha meritato per la sua ingratitudine e per l’offesa che mi ha fatta, e più che a me al figlio mio, entrando con veste povera e non monda nella sala del banchetto, dove non deve entrare che ciò che è degno di essa e del figlio mio”.

Come voi vedete, le sollecitudini del mondo, le avarizie, le sensualità, le crudeltà attirano l’ira del re, fanno sì che mai più questi figli delle sollecitudini entrino nella casa del Re.

E vedete anche come anche fra i chiamati, per benignità verso suo figlio, vi sono i puniti. 

Quanti al giorno d’oggi, in questa terra alla quale Dio ha mandato il suo Verbo! Gli alleati, gli amici, i grandi del suo popolo, Dio veramente li ha invitati attraverso i suoi servi, e più li farà invitare, con invito pressante, man mano che l’ora delle mie nozze si farà vicina. Ma non accetteranno l’invito perché sono falsi alleati, falsi amici, e non sono grandi che di nome perché la bassezza è in loro».

Gesù va elevando sempre più la voce, e i suoi occhi, alla lu­ce di fuoco che è stato acceso fra Lui e gli ascoltatori per illu­minare la sera, nella quale manca ancora la luna che è nella fase decrescente e si alza più tardi, gettano sprazzi di luce co­me fossero due gemme.

«Sì, la bassezza è in loro. Per tutto questo essi non com­prendono che è dovere e onore per loro aderire all’invito del Re. Superbia, durezza, libidine fanno baluardo nel loro cuore. E -sciagurati che sono!- hanno odio a Me, a Me, per cui non vogliono venire alle mie nozze. Non vogliono venire. Pre­feriscono alle nozze i connubi con la politica sozza, con il più sozzo denaro, con il sozzissimo senso. Preferiscono il calcolo astuto, la congiura, la subdola congiura, il tranello, il delitto.

Io tutto questo lo condanno in nome di Dio. Si odia perciò la voce che parla e le feste a cui invita. In questo popolo vanno cercati coloro che uccidono i servi di Dio: i profeti che sono i servi fino ad oggi, i miei discepoli che sono i servi da ora in poi. In questo popolo vanno scelti i turlupinatori di Dio che di­cono: “Sì, veniamo”, mentre dentro di sé pensano: “Neanche per idea!”. Tutto questo è in Israele.

E il Re del Cielo, perché il Figlio abbia un degno apparato di nozze, manderà a raccogliere sui crocicchi coloro che sono non amici, non grandi, non alleati, ma sono semplicemente po­polo che passa. Già -e per mia mano, per la mia mano di Fi­glio e di servo di Dio- la raccolta si è iniziata. Quali che sia­no, verranno… E sono già venuti. Ed Io li aiuto a farsi mondi e belli per la festa di nozze.

Ma ci sarà, oh! per sua sventura ci sarà chi anche della ma­gnificenza di Dio, che gli dà profumi e vesti regali per farlo apparire quale non è -un ricco e degno- vi sarà chi di tutta questa bontà se ne farà un approfitto indegno per sedurre, per guadagnare…

Individuo di bieco animo, abbracciato dal poli­po ripugnante di tutti i vizi… e sottrarrà profumi e vesti per trame guadagno illecito, usandoli non per le nozze del Figlio, ma per le sue nozze con satana.

Ebbene, questo avverrà. Perché molti sono i chiamati, ma pochi coloro che, per saper perseverare nella chiamata, giun­gono ad essere eletti. Ma anche avverrà che a queste iene, che preferiscono le putrefazioni al nutrimento vivo, sarà inflitto il castigo di essere gettati fuori della sala del Banchetto, nelle te­nebre e nel fango di uno stagno eterno in cui stride satana il suo orrido riso per ogni trionfo su un’anima, e dove suona eterno il pianto disperato dei mentecatti che seguirono il De­litto invece di seguire la Bontà che li aveva chiamati.

Alzatevi e andiamo al riposo. Io vi benedico, o cittadini di Betania, tutti. Io vi benedico e vi do la mia pace. E benedico te in particolare, Lazzaro, amico mio, e te, Marta. Benedico i miei discepoli antichi e nuovi che mando per il mondo a chiamare, a chiamare alle nozze del Re.

Inginocchiatevi ché Io vi benedica tutti.

Pietro, dì l’orazione che vi ho insegnata, e dilla stando qui al mio fianco, in piedi, perché così va detta da chi a ciò è destinato da Dio».

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

 
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XXVII Domenica del Tempo Ordinario anno

Post n°176 pubblicato il 08 Ottobre 2017 da IMMAGINIRCFO

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Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 21,33-43

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Ascoltate un'altra parabola: c'era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: "Avranno rispetto per mio figlio!". Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: "Costui è l'erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!". Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo». E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: "La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d'angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi"? Perciò Io vi dico: a voi sarà tolto il Regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta

 Corrispondenza nell'"Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta

Volume 9 - Capitolo 592 - Pagina 354

Il cielo appena imbianca al confine d'oriente, pur essendo ancor gremito di stelle. Le vie sono avvolte in una penombra più penosa del buio notturno che la luna temperava col suo candore. Ma il milite romano ha buoni occhi e, come vede Gesù avanzarsi verso la porta, gli va incontro.

«Salve. Ti ho atteso...». Si arresta titubante.

«Parla senza paura. Che vuoi da Me?».

«Sapere. Tu hai detto: "La pace che Io do permane anche nella guerra, perché è pace d'anima". Io vorrei sapere che pace è, e cosa è l'anima. Come può l'uomo che è in guerra essere in pace? Quando si apre il tempio di Giano si chiude quello della Pace. Non possono le due cose essere insieme nel mondo».

La voce di Gesù risuona piana e luminosa nella sua gioia di gettare un seme di luce nel pagano.

«Nel mondo, in verità, non possono essere pace e guerra insieme. Una esclude l'altra. Ma nell'uomo di guerra può esser pace anche se combatte la guerra comandata. Può essere la mia pace. Perché la mia pace viene dal Cielo e non la lede il fragor della guerra e la ferocia delle stragi. Essa, cosa divina, invade la cosa divina che l'uomo ha in sé, e che anima è detta».

«Divina? In me? Divo è Cesare. Io sono un figlio di contadini. Ora sono un legionario senza alcun grado. Se sarò prode, potrò forse divenire centurione. Ma divo no».

«Vi è una parte divina in te. È l'anima. Viene da Dio. Dal vero Dio. Perciò è divina, gemma viva nell'uomo, e di divine cose si alimenta e vive: la fede, la pace, la verità. Guerra non la turba. Persecuzione non la lede. Morte non l'uccide. Solo il male, fare ciò che è brutto, la ferisce o uccide, e anche la priva della pace che Io dono. Perché il male separa l'uomo da Dio».

«E cosa è il male?».

«Essere nel paganesimo e adorare gli idoli quando la bontà del vero Dio ha messo a conoscenza che c'è il vero Dio. Non amare il padre, la madre, i fratelli e il prossimo. Rubare, uccidere, esser ribelli, aver lussurie, essere falsi. Questo è il male».

«Ah! allora io non posso avere la tua pace! Sono soldato e comandato ad uccidere. Per noi allora non c'è salvezza?!».

«Sii giusto nella guerra come nella pace. Compi il tuo dovere senza ferocia e senza avidità. Mentre combatti e conquisti, pensa che il nemico è simile a te e che ogni città ha madri e fanciulle come la tua madre e le tue sorelle, e sii prode senza essere un bruto. Non uscirai dalla giustizia e dalla pace, e la mia pace resterà in te».

«E poi?».

«E poi? Cosa vuoi dire?».

«Dopo la morte? Che avviene del bene che ho fatto e dell'anima che Tu dici che non muore se non si fa il male?».

«Vive. Vive ornata del bene che ha fatto, in una pace gaudiosa, più grande di quella che si gode in Terra».

«Allora in Palestina uno solo aveva fatto il bene! Ho capito».

«Chi?».

«Lazzaro di Betania. Non è morta la sua anima!».

«In verità egli è un giusto. Però molti sono pari a lui e muoiono senza risuscitare, ma la loro anima vive nel Dio vero. Perché l'anima ha un'altra dimora, nel Regno di Dio. E chi crede in Me entrerà in quel Regno».

«Anche io, romano?».

«Anche tu, se crederai alla Verità».

«Cosa è la Verità?».

«Io sono la Verità, e la Via per andare alla Verità, e sono la Vita e do la Vita, perché chi accoglie la Verità accoglie la Vita».

(...) Gesù va lesto alla porta e si affretta per la via che conduce al Cedron e al Getsemani e da lì al campo dei Galilei.

Fra gli ulivi del monte raggiunge Giuda di Keriot, che sale anche lui svelto verso il campo che si desta. Giuda ha un atto quasi di spavento trovandosi di fronte Gesù.

Gesù lo guarda fisso, senza parlare.

«Sono stato a portare il cibo ai lebbrosi. Ma... ne ho trovati due a Innon, cinque a Siloan. Gli altri, guariti. Ancora là, ma guariti, tanto che mi hanno pregato di avvertire il sacerdote. Ero sceso alla prima luce per esser libero poi. Farà rumore la cosa. Un così gran numero di lebbrosi guariti insieme dopo che Tu li hai benedetti al cospetto di tanti!».

Gesù non parla. Lo lascia parlare... Non dice né: «Hai fatto bene», né altra cosa attinente all'azione di Giuda e al miracolo, ma fermandosi all'improvviso e guardando fissamente l'apostolo gli chiede:

«Ebbene? Che ha mutato l'averti lasciato libertà e denaro?».

«Che vuoi dire?».

«Questo: ti chiedo se ti sei santificato da quando ti ho reso libertà e denaro. E tu mi capisci... Ah! Giuda! Ricordalo! Ricordalo sempre: tu sei stato quello che ho amato più di ogni altro, avendone meno amore di quanto tutti gli altri mi hanno dato. Avendone anzi un odio maggiore, perché odio di uno che trattai da amico, del più feroce odio del più feroce fariseo.

E ricorda ancor questo: che Io neppure ora ti odio, ma, per quanto sta al Figlio dell'Uomo, ti perdono. Va', ora. Non c'è più nulla da dirsi fra Me e te. Tutto è già fatto...».

Giuda vorrebbe dire qualcosa, ma Gesù con un gesto imperioso gli fa cenno di andare avanti... E Giuda, chino il capo come un vinto, va avanti...

Entrano in città e salgono al Tempio e, adorato il Signore, Gesù torna nel cortile dove i rabbi tengono le loro lezioni. La gente gli si affolla intorno e una madre, venuta da Cintium, presenta il bambino che un male ha reso cieco, credo. Ha gli occhi bianchi come chi ha una vasta cateratta sulla pupilla o un'albugine.

Gesù lo guarisce sfiorando le orbite con le sue dita. E poi subito inizia a parlare:

«Un uomo comprò un terreno e lo piantò a vigneti, vi edificò la casa per i coloni, una torre per i sorveglianti, cantine e luoghi per torchiare le uve, e lo diede a lavorare a dei coloni nei quali aveva fiducia. Poi se ne andò lontano. Quando venne il tempo che i vigneti potevano dare del frutto, essendo ormai le viti cresciute sino ad esser fruttifere, il padrone della vigna mandò i suoi servi dai coloni per ritirare gli utili del raccolto fatto.

Ma i coloni circondarono quei servi e parte li presero a bastonate, parte li lapidarono con pietre pesanti ferendoli molto, parte li uccisero del tutto. Coloro che poterono tornare vivi dal padrone raccontarono ciò che era loro accaduto. Il padrone li curò e consolò e mandò altri servi ancor più numerosi.

E i coloni trattarono questi come avevano trattato i primi. Allora il padrone della vigna disse:

"Manderò loro il mio figliuolo. Certo essi avranno riguardo al mio erede".

Ma i coloni, vistolo venire e saputo che era l'erede, si chiamarono l'un l'altro dicendo:

"Venite. Riuniamoci per essere in molti. Trasciniamolo fuori, in un luogo remoto, e uccidiamolo. La sua eredità resterà a noi".

E, accogliendolo con ipocriti onori, lo circondarono come per fargli festa, poi lo legarono dopo averlo baciato e lo picchiarono forte e lo portarono con mille motteggi al luogo del supplizio e l'uccisero.

Ora ditemi voi. Quel padre e padrone che un giorno si accorgerà che il figlio ed erede del suo avere non torna, e scopre che i suoi servi-coloni, coloro ai quali aveva dato la terra ferace perché la coltivassero in suo nome, godendone per quanto era giusto e dandone quanto era giusto al loro signore, sono stati gli uccisori del figlio suo, che farà?».

E Gesù dardeggia le iridi zaffiree, accese come da un sole, sui convenuti e specie sui gruppi dei più influenti giudei, farisei e scribi, sparsi fra la folla. Nessuno parla.

«Dite, dunque? Voi almeno, rabbi di Israele. Dite parola di giustizia che persuada il popolo a giustizia. Io potrei dire parola non buona, secondo il vostro pensiero. Dite dunque voi, acciò il popolo non sia tratto in errore».

Gli scribi rispondono, costretti, così: «Punirà gli scellerati facendoli perire in modo atroce e darà la vigna ad altri coloni, che onestamente gliela coltivino, dandogli il frutto della terra avuta in consegna».

«Avete detto bene. Così è scritto nella Scrittura: "La pietra che i costruttori hanno scartata è divenuta pietra angolare. Questa è opera fatta dal Signore ed è cosa meravigliosa agli occhi nostri". Poiché dunque così è scritto, e voi lo sapete, e giudicate giusto che siano puniti atrocemente quei coloni uccisori del figlio erede del padrone della vigna ed essa sia data ad altri coloni che onestamente la coltivino, ecco, per questo vi dico: "Vi sarà tolto il Regno di Dio e sarà dato a gente che ne produca i frutti. E chi cadrà contro questa pietra si sfracellerà, e colui sopra il quale la pietra cadrà sarà stritolato"».

I capi dei sacerdoti, i farisei e scribi, con atto veramente... eroico non reagiscono. Tanto può la volontà di raggiungere uno scopo! Per molto meno altre volte Lo hanno avversato, e oggi che apertamente il Signore Gesù dice loro che verrà tolto ad essi il potere non scattano in improperi, non fanno atti violenti, non minacciano, falsi agnelli pazienti che sotto un'ipocrita veste di mitezza nascondono l'immutabile cuore di lupo. 

Si limitano ad accostarsi a Lui, che ha ripreso a camminare avanti e indietro ascoltando questo e quello dei molti pellegrini che sono raccolti nell'ampio cortile, e dei quali molti gli chiedono consiglio per casi d'anima o per circostanze famigliari o sociali, in attesa di potergli dire qualcosa dopo averlo ascoltato dare un giudizio ad un uomo su un'intricata questione di eredità, che ha prodotto divisione e rancore fra i diversi eredi a causa di un figlio del padre, avuto con una serva della casa ma adottato, che i figli legittimi non vogliono con loro né coerede nella spartizione delle case e dei terreni, volendo non avere più nulla in comune col bastardo, e non sanno come risolvere, perché il padre ha fatto giurare avanti la sua morte che, come sempre egli aveva fatto spartendo il pane all'illegittimo come ai legittimi in uguale misura, così essi dovevano ugualmente spartire l'eredità con lui in egual misura.

Gesù dice a colui che Lo interroga a nome degli altri tre fratelli:

«Sacrificate tutti un pezzo di terra, vendendolo, di modo da radunare il valore di denaro equivalente al quinto della sostanza totale, e datelo all'illegittimo dicendo: "Ecco la tua parte. Non sei defraudato del tuo, né si è fatto torto al volere di nostro padre. Va' e Dio sia con te". E siate abbondanti nel dare, anche più dello stretto valore della sua parte.

Fatelo con testimoni che giusti siano, e nessuno potrà in Terra, e oltre la Terra, alzare voci di rimprovero e scandalo. E avrete pace fra voi e in voi, non avendo il rimorso di aver disubbidito al padre vostro, e non avendo fra voi colui che, veramente innocente, vi è causa di turbamento più che se fosse un ladrone messo fra voi».

L'uomo dice: «Il bastardo ha rubato in verità pace alla nostra famiglia, salute alla madre nostra che morì di dolore, e un posto non suo».

«Non è lui il colpevole, uomo. Ma colui che lo ha generato. Egli non chiese di nascere per portare il marchio del bastardo. Fu la brama di vostro padre che lo generò per darlo al dolore e per darvi dolore. Siate dunque giusti verso l'innocente che sconta già duramente la colpa non sua. Né abbiate anatema per lo spirito del padre vostro. Dio lo ha giudicato. Non occorrono i fulmini delle vostre maledizioni. Onorate il padre, sempre, anche se colpevole, non per se stesso, ma perché rappresentò in Terra il Dio vostro, avendovi creato per decreto di Dio ed essendo il signore della vostra casa. I genitori sono immediatamente dopo Dio. Ricorda il Decalogo. E non peccare. Va' in pace».

Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta

 
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SEQUENZA

[Sion, loda il Salvatore,
la tua guida, il tuo pastore
con inni e cantici.
-Impegna tutto il tuo fervore:
egli supera ogni lode,
non vi è canto che sia degno.
-Pane vivo, che dà vita:
questo è tema del tuo canto,
oggetto della lode.
-Veramente fu donato
agli apostoli riuniti
in fraterna e sacra cena.
-Lode piena e risonante,
gioia nobile e serena
sgorghi oggi dallo spirito.
-Questa è la festa solenne
nella quale celebriamo
la prima sacra cena.
-È il banchetto del nuovo Re,
nuova Pasqua, nuova legge;
e l'antico è giunto a termine.
-Cede al nuovo il rito antico,
la realtà disperde l'ombra:
luce, non più tenebra.
-Cristo lascia in sua memoria
ciò che ha fatto nella cena:
noi lo rinnoviamo.
-Obbedienti al suo comando,
consacriamo il pane e il vino,
ostia di salvezza.
-È certezza a noi cristiani:
si trasforma il pane in carne,
si fa sangue il vino.
-Tu non vedi, non comprendi,
ma la fede ti conferma,
oltre la natura.
-È un segno ciò che appare:
nasconde nel mistero
realtà sublimi.
-Mangi carne, bevi sangue;
ma rimane Cristo intero
in ciascuna specie.
-Chi ne mangia non lo spezza,
né separa, né divide:
intatto lo riceve.
-Siano uno, siano mille,
ugualmente lo ricevono:
mai è consumato.
-Vanno i buoni, vanno gli empi;
ma diversa ne è la sorte:
vita o morte provoca.
-Vita ai buoni, morte agli empi:
nella stessa comunione
ben diverso è l’esito!
-Quando spezzi il sacramento
non temere, ma ricorda:
Cristo è tanto in ogni parte,
quanto nell’intero.
-È diviso solo il segno
non si tocca la sostanza;
nulla è diminuito
della sua persona.]
-Ecco il pane degli angeli,
pane dei pellegrini,
vero pane dei figli:
non dev’essere gettato.
-Con i simboli è annunziato,
in Isacco dato a morte,
nell'agnello della Pasqua,
nella manna data ai padri.
-Buon pastore, vero pane,
o Gesù, pietà di noi:
nutrici e difendici,
portaci ai beni eterni
nella terra dei viventi.
-Tu che tutto sai e puoi,
che ci nutri sulla terra,
conduci i tuoi fratelli
alla tavola del cielo
nella gioia dei tuoi santi.

 
 

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