Tutto è iniziato così, come cominciano tante storie. Lo studio, il lavoro, gli affetti le cause. Il trasferimento l’esito finale. Alla fine ti trovi in un posto sconosciuto o quasi senza sapere bene il perché. Incarnando una delle costanti della nostra età adulta in questa fine di secondo millennio, l’itineranza. Un bacio al passato ed eccoci qua, disadattati ma vivi. E allora le giornate scorrono lente o veloci a seconda delle occupazioni, ma la costante è la nostalgia, che già è fondante, caratteristica, nella nostra natura, ma che qui gode di un’inesauribile fonte di alimentazione.
Quando sono arrivato nella mia nuova casa quello che mi ha più colpito è stata la velocità, o meglio la sua assenza, tutto scorreva talmente lento, come un vecchio fiume dal letto maestoso, che i primi anni mi sono sentito sempre e costantemente fuori tempo. Buffo, come forse sapete venivo dalla Città dei Portici, non che sia Milano, ma insomma un po’ di fretta ipocondriaca aveva attecchito nella vita di tutti. Anche noi giovani ne eravamo stati contagiati. Poi la sensazione di essere sfrattati dalla tua patria, triste, latente. Inspiegabile. Perdere i punti di riferimento, gli amici, dire addio alla vita che hai amato per riscoprirti nella Terra di Mezzo, né carne né pesce. Non ritrovarla nemmeno nelle poche inutili escursioni notturne. Ecco, la notte, la notte forse sì, la notte forse ha lo stesso sapore, questa notte stregata che prendiamo per mano e a cui offriamo dei doni. Ma siamo adulti, la notte è tale solo quando sei giovane, lo sanno tutti, ormai il nostro regno, nostro malgrado, è il giorno, e tutto quello che di operoso porta con sé. Dio ci liberi dal peccato derivato da questo tradimento. Allora via a lavorare a testa bassa, visto che "è il nostro momento", la mente e il corpo grondante di idee immense ed inconfessabili che non fanno arrivare da nessuna parte, visto che questo tempo non sfama i suoi figli, li illude con l’opulenza soddisfatta e geriatrizzata e poi li lascia rantolanti, derelitti e bastonati per colpe non loro. Finché sarà così non esisterà futuro, italia mia piccola, provinciale, figlia illegittima di un passato grande.
Ma non era di questo che volevo parlare. Perché c’è altro, ci sono i risvegli dorati dal sole, c’è la vita che continua malgrado la nostra rabbia e l’insoddisfazione. C’è quel piccolo angolo della mente dove chiunque sia strappato al proprio letto, ai propri affetti e ad un percorso di vita lineare per sfidare l’ignoto si rifugia, immancabilmente, per sopravvivere. C’è la speranza di un domani migliore, quello per cui ci allontaniamo tutti i giorni dai nostri limiti, cerchiamo di oltrepassarli. E allora si accetta la sfida, perché diversamente non ci potremmo chiamare uomini, e si incede, contro il sonno e la sofferenza. Ma non siamo nemmeno macchine, e a volte un'artigliata adunca ci stringe la gola e rischia di levarci ogni respiro. Allora ritroviamo la solita terapia, quella che non ci abbandona mai e cui forse dobbiamo la nostra presenza quaggiù. L’incantesimo fatto di parole ci sveglia ancora nelle nostre stanze notturne, ci sussurra soluzioni, e noi non possiamo che obbedire e trasformarlo in parole, per renderlo intelligibile. E' dono e dannazione insieme. Ma è anche la nostra natura, e sappiamo quanto abbiamo lottato per accettarla. Allora si aprano i sipari e fluiscano le immagini, perché solo loro ci fanno sentire vive. Solo loro ci disegnano fedelmente, lontano dalle maschere, dalle armature, dalla polvere della vita. Solo loro.
Inviato da: jeffb0
il 21/05/2008 alle 17:49
Inviato da: paolaaa_86
il 21/05/2008 alle 15:42
Inviato da: jeffb0
il 20/05/2008 alle 12:01
Inviato da: fatamorgana1976
il 20/05/2008 alle 11:34
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il 17/03/2008 alle 16:45