Creato da jeffb0 il 13/03/2008

ILDOMINIOPERDUTO

RACCOLTA DI PENSIERI, PAROLE

 

 

MAGGIO PAZZERELLO

Post n°45 pubblicato il 04 Maggio 2009 da jeffb0
Foto di jeffb0

 

Mai affermato di essere una persona normale. Nemmeno lontanamente. Anzi, Dio o chi per Lui me ne liberi. Niente di grave quindi se durante questo 'ponticello', oltre a sbirciare le evoluzioni ragguardevoli di un tempo che sembra intenzionato a dimostrarci il concetto di eterogeneità con l'ausilio di esempi concreti, mi sono asserragliato nella mia confortevole cripta per ca@@#ggiare, adempiere al vecchio vizio conosciuto e verboso e recuperare il tempo smarrito nei patemi abitualmente feriali tramite pratiche ben più idonee. Per i profani, quindi, leggendo scrivendo, suonacchiando. Risparmio al lettore la quantità di voli pindarici della fantasia, per cui rimando, nella migliore delle ipotesi, ad incontri cartacei e non volatili come quelli messi attualmente a mia disposizione. Risparmio anche la quantità di pensieri non perfettamente onorevoli a cui mi sono abbandonato, che ho la benevolenza di autocensurare, ma si sa, l’età tra le altre cose provoca una diminuzione del livello di tolleranza, quindi perdonatemi sulla fiducia.

Fatto sta che insieme ai nuovi amici (tipo Llloyd Jones, Il libro della gloria, edizioni Einaudi, che consiglio anche ai non rugbyfili [lo so, come neologismo è orrendo, ma in fondo il blog è mio e ci scrivo QUELLO CHE PARE A ME!!!!...:-D]) ne ho reincontrati di vecchi, come l’Alessandro Piperno nazionale, che ho trovato ancora una volta splendido. Meraviglioso. Perché per una volta sotto la forma regale, inarrivabile, della sua prosa c’è ANCHE LA SOSTANZA, diciamolo. Eh sì, se non si fosse capito mi ci voglio gettare dentro di nuovo, a corpo morto, nella polemica, perché a me certe cose, come si sarà capito, proprio non vanno giù.

Cut.

Noi abbiamo necessità di una falange di scrittori armati di penne acuminate, che guardino la Vita in faccia e cerchino di indovinarne la combinazione, tentino di forgiare le chiavi per dischiuderla. Ci siamo stancati della mancanza di idee, del pressapochismo, della non-sostanza, della leziosità formale di chi nella vita non fa altro che strisciare e oltre a questo ha anche la pretesa di trasformare la modestia in un prodotto inutile, che va ad appesantire le già traboccanti scansie delle librerie. In Italia abbiamo avuto scrittori grandi. E’ indubbio. Non semplicemente Dante o Petrarca, che ormai sono miti incartapecoriti in un passato troppo lontano. Anche altri, che ci invidia tutto il mondo. Altri che cercavano. O quanto meno tentavano. Ed un pensiero che non mi esce dalla testa è che quando abbiamo avuto scrittori grandi eravamo migliori anche noi. Ne sono certo. Rimbocchiamoci le maniche, quindi, ognuno a modo suo. Smettiamola di trovare scuse. Il periodo forse è il migliore per ritornare alle Piccole Cose Buone. Fidatevi di me.

 

E a voi, miei diletti, appuntamento al solito, alla prossima.

 

R.

 

 
 
 

CA’ DE MANDORLI

Post n°44 pubblicato il 21 Aprile 2009 da jeffb0
Foto di jeffb0

 

Come al solito sono arrivato in macchina dalla statale che porta al mare, la numero nove, e ho parcheggiato relativamente lontano, così da godermi il tragitto di avvicinamento. Nel pomeriggio è piovuto un po’, ero in centro a fare un giretto e devo ammettere che in casi come questo i portici si dimostrano più che efficienti. Ma la pioggia non mi dispiace. Anzi, crea quel clima intimo che forse solo qui riesco ad apprezzare per intero. Entro e do’ un’occhiata in giro; Il locale è già pieno, dietro al bancone le bariste e il barista stanno spillando a pieno regime, i ragazzi si affollano anche all’esterno, chiacchierando in piccoli gruppi.

Ho fatto un lungo giro in macchina, prima di imboccare la deviazione che porta ai colli, avevo voglia di trasformare questa serata in una ricorrenza particolare. E credo di esserci riuscito, una volta in più mi sento a casa. Per iniziare con il piede giusto mi avvicino alle spine delle birre e me ne faccio servire una. Poi un altro sopralluogo a fianco, nella saletta con i tavoloni, e via, su, verso la pista da ballo, che come sospettavo è già affollata.

 

A volte mi piazzo nell’angolo più buio del locale (il che è tutto dire, visto che il piano superiore è per metà immerso nella completa oscurità) con una birra in mano, e cerco di capire cosa mi attiri così tanto in questo posto. Analizzo le mie sensazioni, le faccio scorrere tra le dita, le passo agli infrarossi ma non riesco mai ad afferrarlo fino in fondo. Non so, sapete, qui al piano terra c’è un grande camino, dentro ci potrebbero stare anche due persone sedute, mentre fino ad un paio di anni fa, nella sala a fianco, accanto ai tavoloni in legno, c’erano ancora gli anelli, intendo gli anelli per il bestiame, appesi alle pareti. Forse è per questo, perché è una vera e propria casa, non un semplice locale ma una grande, immensa anima collettiva calata in mezzo alla campagna. Forse, ma non solo. Ovvio, la città è a pochi passi, quindi l’impressione di solitudine è solo un’impressione e basta, ma l’illusione è realistica. Il cielo, poi, che quando usciamo, verso le quattro di mattina, è sempre meravigliosamente incombente, ricorda tanto quello del paese dove abitavo una volta, ha la stessa aria sospesa, non definita; Forse è anche per questo.

 

Quasi dieci anni, a farci i conti, quasi dieci anni che vengo qui, io, noi, un’intera generazione di ragazzi che si è spiata crescere settimana dopo settimana, e settimana dopo settimana ha preso le stesse abitudini, le stesse manie, e soprattutto ha condiviso le stesse emozioni, le stesse che ci richiamano anche adesso, adesso che forse non avremmo più l’età ma non riusciremmo comunque a staccarci in maniera indolore. Ci siamo sentiti parte della stessa grande famiglia, tutto qui, forse è questo il segreto; Abbiamo mantenuto la nostra autonomia e cercato di pensare con la nostra testa, proprio come figli che un giorno sarebbero andati per la loro strada. Poi non è successo, ma non è un dramma, perché qui abbiamo trovato tutto quello che cercavamo, e soprattutto la nostra identità, ed è questo che importa.

 

È ovvio, nel corso degli anni ci siamo ribellati a tanto potere su di noi, a tanto magnetismo, ma non è che sia servito a molto. Del resto questo è uno dei posti che hanno contribuito a plasmare il clima della Bologna notturna, anzi, meglio, che sono riusciti a ricreare il clima di Bologna alla notte anche qui, a una decina di chilometri di distanza, in aperta campagna, ed è difficile non restarne affascinati. La cosa bella è che nel tempo il locale si è trasformato attorno a noi, una volta c’era più ideologia, è vero, tanto che passare la serata a Ca’ de Mandorli era vista come una presa di posizione, da una parte o dall’altra, mentre adesso, assecondando la nostra generazione disillusa, le tinte si sono stemperate, ed è rimasto semplicemente “il” posto notturno per eccellenza, quello a cui resteremo legati per tutta la vita. Perché siamo diventati “grandi” soprattutto qui, inutile negarlo, perché sono le tante albe stiracchiate e sorvegliate in silenzio a farti maturare, sono le conversazioni e le confidenze sussurrate alle orecchie a farti capire, perché qui la musica, soprattutto dopo una certa ora, pesta alla grande, ed è questo che ti fa ricordare quello che sei, ti ricorda che qui lo puoi essere davvero, perché non esiste nessuna etichetta dietro alla quale nascondersi, e tutti sono liberi di esprimersi come meglio credono. Più che a scuola o sul lavoro, insomma, più che durante le partitelle di calcio al pomeriggio, e senz’altro più che durante la giornata.

E forse è per questo che noi Ca’ de Mandorli la amiamo e la odiamo con la stessa intensità. La amiamo come una parte di noi, come una parte della nostra personalità che abbiamo acquisito strada facendo, durante il percorso, e la odiamo perché sappiamo che forse dovremo lasciare tutto questo, tutto questo patrimonio di emozioni, in balia dell’aria.

 

Ancora una notte a Ca’ de Mandorli, dunque, fisso la pista e i ragazzi che ballano con una certa ritrosia, penso che è strano per me, io che ho sempre sfuggito i gruppi, le massificazioni, che non ne ho mai sentito il bisogno, né la necessità, qui invece mi sento affine, e so che la vicinanza è reale, effettiva, e non dipende dalla mia opinione; Anche se è fatta soprattutto di emozioni, insomma, anche se si suda e ci si dimena ad occhi chiusi. E forse proprio per quello. Mi sto già bevendo la quarta birra della serata, ma non credo di essermi mai sentito così lucido; Questa sera forse sono venuto da solo proprio per dimostrarmi che le mie sensazioni erano giuste, che avevo bisogno di sentirmi vicino alle persone, per sorridere, per ballare gli uni accanto agli altri e scacciare insieme la morte, i nostri fantasmi, per comunicare ad un livello superiore le nostre preferenze, quello che abbiamo dentro, quello che in noi non cambierà mai, non importa chi saremo, cosa faremo della nostra vita e chi diventeremo domani. La nostra vicinanza sarà sempre questa, e la casa persa nella campagna lo testimonierà. Anzi, ci cullerà come bambini, dolce e comprensiva, cercherà di farci capire che in fondo nella vita esiste anche una sfumatura di bellezza, irrevocabile, a dispetto delle nostre convinzioni, e una speranza, da distillare con pazienza, certo, rubando ore preziose al sonno, ma che come tutte le cose destinate a restare ci si appiccicherà addosso, e non ce ne riusciremo a liberare nemmeno volendo.

 

Scendo al piano terra dalla scaletta antincendio, incontro gli occhi della solita ragazza che mi consola con la sola sua presenza, guardo la gente seduta, anche fuori, anche nel parco, nonostante ormai sia quasi freddo, ormai si corra verso l’inverno senza soste, senza stazioni intermedie, e mi sento bene, in pace con me stesso. Dispenso sorrisi a tutti, e controllo il cielo, dove sembra che le stelle stiano scoppiando, tanto sono luminose. Per ora non voglio sentire altro, né pensare a nient’altro, so che questa notte mi addormenterò nella mia camera, nel mio letto, con il cuore pieno di gioia, e non voglio rovinare il momento. Per adesso è sufficiente. Per quanto riguarda domani, inizierò a pensarci una volta riaperti gli occhi.

 

Due ragazzi si baciano, seduti sul marciapiede, che immagino gelido. Io guardo le stelle a faccia in su e spero che il cielo, tutto intero, mi cada addosso.   

 

 
 
 

UN INVERNO PERENNE - BOOKTRAILER

Post n°43 pubblicato il 17 Aprile 2009 da jeffb0
 
 
 

LA FELICITA' INAFFERRABILE - SUL GRANDE AMICO DI ALAIN-FOURNIER

Post n°42 pubblicato il 17 Aprile 2009 da jeffb0
Foto di jeffb0

Oggi fa dannatamente caldo. Un caldo che mi fa pentire di non avere assecondato i miei desideri quando ne ho avuto la possibilità emigrando verso il nord. Ma non fa niente. Vorrà dire che mi consolerò leggendo e cercando di tirare le ore piccole, quando magari il clima si renderà più sopportabile. 

Lo so, qualcuno potrebbe farvelo credere ma sarebbe ingiusto e anche poco realistico sostenere che lo sviluppo della nostra vita sia costituito di fatti lineari e perfettamente consequenziali. In effetti tutti noi, a pensarci bene, conserviamo memoria di eventi straodinari o perfettamente ordinari che per chissà quali alchimie hanno avuto un'influenza decisiva sulle nostre vite. Per esempio io, nonostante gli anni trascorsi, che cominciano a diventare tanti, farò sempre fatica a dimenticare la prima volta in cui mi è capitato tra le mani il Grande Meaulnes (titolo originale Le Grand Meaulnes) di Alain-Fournier. Per due motivi, uno perché è legato ad un periodo biograficamente ed emotivamente intenso come quello delle scuole medie, due perché si è trattato di uno di quegli eventi capaci di modificare il corso della vita. Già, potrei tranquillamente affermare, senza paura di esagerare, che senza questo libro non sarei esattamente in questa stanza, seduto a questa scrivania, tentando di resistere al caldo. E la cosa mi stupisce, un po' perché sono assolutamente convinto della fondatezza dell'assioma che ha dato il la a questo paragrafo, un altro po' perché nelle vicende di Agostino (nell'originale Augustin) Meaulnes e del Narratore Seurel, prima compagni di banco al corso di studi superiori poi legati a doppia mandata da un segreto e da una speranza, quella cioè di rientrare nel sogno da cui sono stati sfrattati, che è insieme infanzia, felicità, illuminazione, quello che volete, c'è un po' tutto il senso, oltre che della storia, della giovinezza e della nostra vita. Il libro poi ha la forza arcana dei grandi capolavori, quella freschezza che sottende una complessità abissale, comune alle storie che sembrano essersi scritte da sole, come ad esempio il Don Quijote di Cervantes. La trama è esile, impalpabile, Agostino, fuggito da scuola quasi per scherzo, si smarrisce lungo la strada e capita al centro di una bizzarra festa di matrimonio, dove paiono regnare sovrani i desideri e i vezzi dei bambini. Il luogo della celebrazione è il Dominio, sorta di paradiso perduto dove tutte le fantasie sembrano avverarsi. Durante la festa Agostino conosce Yvonne, ragazza sognata e ambita forse ancora prima di esistere. La storia del libro sta tutta nella ricerca affannosa (che i francesi medievali chiamerebbero queste, quelli moderni quête) della Donna e del Dominio, il paradiso da cui il giovane è stato sfrattato, e nella concretizzazione (o meglio sarebbe dire non-concretizzazione) di questo sogno nella realtà. Il linguaggio è uno dei primi esempi di prosa impressionista, capace di rendere con poche pennellate un’epoca della vita, l’adolescenza, e uno scenario, quello della Francia centrale, in particolare il bacino dello Cher, mitici come raramente è successo di leggere. La congiuntura storica del libro, invece, uscito nel 1913 e destinato originariamente, forse è il caso di dirlo, ad un pubblico adolescente, è quello tipico degli anni che precedettero lo scoppio della prima Guerra Mondiale, fertile come pochi altri di capolavori immortali che accomunarono tutte le arti. Proprio Alain-Fournier fu uno dei caduti sul fronte, nel 1915, pochi mesi dopo l’inizio delle ostilità, e nella mia vita forse non ho maledetto abbastanza la stupidità di una generazione ricca di talento che andò al massacro traboccante di ideali e di voglia di cambiare il mondo, non ottenendo altro effetto, con la propria prematura uscita di scena, che di peggiorarlo. Di Agostino, Seurel, Yvonne, invece, e di tutti gli altri personaggi figli di una penna felicissima, che purtroppo non fece in tempo a completare altri romanzi, ho fatto amici di un cammino iniziato diversi lustri fa, che a volte sento il bisogno di salutare, quando hanno la compiacenza di venirmi a scovare qui, nel mio covo di dannato. 

A voi, invece, miei diletti, appuntamento alla prossima. 

R.

 
 
 

RINASCITA

Post n°41 pubblicato il 27 Marzo 2009 da jeffb0
Foto di jeffb0

Ho deluso molti tutto e tutti

Nella mia mente le cose inallineabili

In un equilibrio degno di schematizzazione,

A volte invidio il cristallino genio mozartiano

Capace di covare partiture definitive

Sotto metri di frivolezze,

Io che la vera ispirazione l’ho estratta

Faticosamente dall’asfalto, tra corpi in movimento

E alla ricerca di destinazioni,

 

Fuori dall’infanzia i sogni si sono fatti

Ostici

Ricordo ancora quei prati illuminati

Il grano dorato

La selva di illusioni che soltanto ragazzi

Potevano covare

Le visioni di amici predati

Dall’ambizione

Di scavarsi un futuro glorificato

Le stelle

 

Poi cos’è successo lo sa soltanto il tempo

Da qualche parte sarà deposta la chiave

Di questo anfibio annaspare

 

 

Quello che ci hanno promesso, quello che meritavamo,

Lo ricordate?

Non l’avevano additato illusori nelle mattinate

Di prigionia tra banchi e cattedre?

Una vita limpida e cristallina,

Giusta sostanziale e retta

Quella che mai potremmo avere,

Dispiace per questo paese alla deriva

Per la sua bellezza trasformata

In rimpianto

Per il cordoglio di uomini che un tempo

Sfilavano per il mondo imponendo

Una superiorità che affondava

Solo parzialmente le ragioni

Nella spada

Eppure ricordo (o forse è soltanto suggestione)

Di falangi incoronate d’alloro

Che portavano con loro il futuro

Le umane sorti e progressive

Ora quello che i miei occhi inadatti

Osservano è volubilità, compromesso,

Rimpianto, è veramente questo

Il territorio dove speravano di germogliare

I sogni dei nostri figli? O incancrenendosi

Nella nostra stessa mediocrità stiamo travestendo

Ogni frammento del futuro di un macilente

Colore di morte?

 

Ah! Quanti tramonti ho visto e quanti

Corridoi di teatri antichi ho attraversato,

Ma ora sono qui per parlarne,

Per tirarne le fila

Ho vagato senza stancarmi per il mondo,

Oltrepassato le Colonne d’Ercole,

Però è il qui e adesso che mi interessa,

I rimproveri degli insegnanti illuminati

Dalla giocosa incoerenza della giovinezza

La sensazione inossidabile di trovarsi

Sempre e comunque fuori posto, nessuna acqua

Capace di dilavare le colpe,

Poi la luce dei corridoi tra le colline

La bellezza di una patria scorticata

Da una storia che ne ha inquinato

Il sangue ma non la luce,

La mia patria nel cuore adorata

Amata e odiata tanto e sempre

 

Questa è la città della gente

Questa è la città delle notti

Scriveva nella sua stanzetta invasa

Dai fiumi dell’alba l’illusione

Di un adolescente curvato

Dal peso delle aspettative

 

 

Credo non sia troppo tardi

Per ricominciare

Forse è l’odore primaverile che ha invaso

La nottata invernale a farmelo sperare

Forse la brace che non smette di scoppiettare

Sotto la cenere

Non ci possiamo allontanare da quello

Che un sapere uniforme

Ha deciso a proposito dei nostri giorni

Né saldare tutti i debiti contratti per sogni irrealizzabili

Concepiti in parti illuminati

Dall’incombenza del mare che unisce

Tempi diversi nel nostro presente

Né dalla lucente forza dell’alba

Dalle dita rosate di queste parti

Quello che possiamo è intessere

Un coro da amplificare tramite l’aria

Perché tutti possano riscoprirsi omogenei

E riprendere a costruire insieme

Usando le armi dei nostri talenti

Un sogno che di limitato non abbia

Che la nostra permanenza

E fuggire dalle grotte di cristallo

Suggerendo all’aria una nenia imparata

Nelle notti di veglia di anni lontani

Un sogno unitario, coerente,

Che saldi passato e presente

Sotto la stessa luce

E tracci una rotta distinta verso

Quello che di buono ha saputo

Anche per questa notte dipingere

L’orizzonte. Passano passiamo passeremo

Ma almeno ci sia lasciato

In questo recinto di spazio

L’autonomia per determinare di nuovo

Il nostro futuro, come nelle serate

Dei nostri anni migliori, un futuro

Ricalcato sui passi del passato,

Dal sapore del grano dorato

Fiorito nella notte di tormenti

Che attendo di vedere rigoglioso

Come la primavera, tra pochi mesi,

Appena davanti all’orizzonte.

 

 
 
 

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