Creato da: enrico.passani il 26/05/2010
Racconti tra le Apuane e il Mare Tosco-Ligure

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« L'Angelo SeneseOra che sono vecchio. »

La Collina degli Dei

Post n°155 pubblicato il 29 Ottobre 2013 da enrico.passani

 


ANNAMARIA


Vedi Sabine, raccontare di sé è il culto sciocco della monotonia
personale. Significa sopravvalutare il proprio ego, crederlo contenitore di valori universali, propinare ad altri, storie che non sono storie.
In questo senso, sono le donne ad essere le migliori protagoniste di ciò che noi chiamiamo amore, dunque di qualsiasi storia. Perché loro amano soprattutto la vita, nel bene e nel male.
Ricordo quando Annamaria, prese l'abitudine di raggiungermi al laboratorio teatrale. Per sottrarla agli sguardi volgari del personale di scena, sempre pronto a misurare e commentare l'anatomia di una donna, la portavo nel mio ufficio: ambiente spartano, due seggiole e un tavolo ingombro di schizzi e disegni.
Sedeva accavallando le gambe, mettendo in rilievo la linea morbida delle cosce velate dall'ombra trasparente delle calze., fissandomi in silenzio. I suoi occhi erano un enigma verde celato nel profondo di un lago.
Inevitabilmente chiudevo la porta a chiave. Fuori dal laboratorio erano quasi tutti pomeriggi di sole, di una primavera precoce ed intensa. Facevamo l'amore su una sedia, senza perderci in preliminari. Le calze non erano collant e non c'era bisogno che si sfilasse le slip, la penetravo scostando la fettuccia delle mutandine, avvertendo con i palpiti del piacere la fastidiosa abrasione del suo orlo.
Dopo, era da scemi e falsi sentirsi imbarazzati mentre
l'accompagnavo alla macchina, attraversando la piccola folla di: pittori, attrezzisti, falegnami, che dirigevo.
In una circostanza, ci sorprese a cose finite Luigi, il regista dello spettacolo con cui allestivo la scenografia. Lei era appena sgusciata via con un sorriso dall'ufficio.
Quella donna ti distruggerà -, commentò serio, senza aggiungere altro. Da amico, stentava a capire, conoscendo la mia convivenza con Annamaria, la necessità fisica di questi incontri pomeridiani, commentati con sarcasmo nell'ambiente del teatro.
- Alzai le spalle: - sono di razza montanara -, tanto per
rispondere con una frase qualsiasi.. Come potevo, senza vergognarmi di brutto, raccontare quella passione cieca che ci spingeva a prolungare la trama erotica della notte con una "sveltina" tra i rumori, gli odori di colla, vernice e legno del capannone teatrale?
Avrei dovuto confessargli che soltanto dopo, mentre rifiatavo, e lei s'asciugava con il mio fazzoletto l'interno delle cosce dei nostri fluidi per non macchiare almeno le calze, s'attenuava in me il sospetto di non poterla mai possedere totalmente..


Giacomo smette di parlare, china la fronte nascondendo mezza faccia nel bavero rialzato della giacca, come per un'improvvisa vergogna o brivido di freddo. Racconta il passato come se lo rivivesse nell'attualità odierna.
Chiedo - Perché ti fermi?-. Giustifica così la sospensione. - Volevi che ti parlassi di ciò che nella mia vita aveva lasciato un segno? Adesso non capisco perché ho iniziato proprio con la storia di un'ossessione amorosa. Provo l'imbarazzo del vecchio guardone che spia dai buchi della memoria il tempo che fu per nostalgia senile. Perché poi rivelarlo ad una scultrice tedesca, che ha già consumato, come il sottoscritto, quasi una vita. Sei venuta tra i cavatori per scolpire il marmo o ascoltare storie erotiche?
- Tu racconti, io ascolto Punto e basta! - Ribatto con decisione.
L'accenno alla "vita quasi consumata" mi fa arrabbiare. Suppongo che non lo dica per cattiveria, che cerchi, assumendo un'aria da cinico, d'esorcizzare una vecchiaia che accetta malvolentieri il rapporto fisiologico con il tempo trascorso..
- Riprendo dall'erotismo, per fagli un'analisi di quello che ho
ascoltato. Era nel nostro patto.
- L'episodio erotico è un classico del genere amoroso, neppure raro. L'hai descritto con il ritmo giusto, buona l'ambientazione. T'è venuta la fregola di scrivere un romanzo autobiografico Bene, va avanti, questo inizio con il sesso è potente, vitale, senza rimpianti e falsi pudori.-
L'anziano amico mi guarda negli occhi, non vi scorge indizi di morbosità. Un po' mi vergogno della ragnatela di rughe. sulla faccia. Se m'avesse toccato il petto durante la narrazione, avrebbe percepito sotto la sua mano l'accelerazione del cuore.. Il mio volto tedesco non tradisce emozione, invece, tra le cosce si sta attenuando un calore inaspettato.
Prosegue educatamente, non troppo convinto.
Ero ancora ubriaco di sonno, la mattina che Annamaria annunciò con voce sgraziata: - voglio recitare ! -.
- Bene -, convenni, ancora non m'aspettavo il peggio, - iscriviti
ad un corso, ce ne sono tanti in città -.
- Fai presto tu a dirlo -, il tono aveva un sottofondo isterico.
- Non posso a ventott'anni tornare sui banchi di scuola come una scolaretta. Bello mio, la giovinezza non dura sempre. Voglio recitare subito, con questo viso, con questo corpo, magari nel tuo prossimo allestimento... perché fai quella faccia? M'accontento di una particina, qualche battuta, così per stare in scena, per respirare anch'io la famosa polvere del palcoscenico. Cosa ti costa chiederlo al tuo caro amico Luigi. Insomma, non ti sto domandando la luna! -.
- Nel cervello mi fermentava tutta la gelosia che le avevo sempre
nascosto.. Attese una risposta, zitta e minacciosa, mentre pensavo.
- E no, bella mia! Non ti lascerò scopare dietro le mie spalle, nei camerini con quelli stronzi degli attori. Immagino quante te ne faresti in sei mesi di tournée.. Scordati di rendermi cornuto tra le quinte -.
Presi tempo, cercai di buttarla sulla morale del mestiere.
- Come faccio a chiedergli questo, sapendo che centinaia di giovani usciti dall'accademia d'arte drammatica sono disoccupati -.
Parlavo fingendo di non accorgermi dei suoi occhi incattiviti, ormai privi di mistero.
- L'amicizia con Luigi non c'entra niente. Il rapporto di lavoro tra
scenografo e regista è delicato, si fonda su un equilibrato rispetto della reciproca autonomia artistica. Non voglio violarlo per farti lavorare, togliendo il pane di bocca ad una vera attrice. -.
Mi sforzai a modulare un tono dolce, convincente, duro da renderlo credibile in pigiama, con gli occhi pesti, la bocca amara, la capigliatura aggrovigliata.
- Il mese scorso t'andava d'aprire una boutique. Perché non lo fai?
Sono disposto a finanziarti -.
- Merda! Non m'interessa più. Sono già stata in una boutique, non
ricordi? E' lì che mai pescata e illusa; adesso voglio realizzarmi nel teatro. T'entra in quella testa di marmo?! -. Quella bocca ben disegnata sputava fuori un'anima volgare. Avevo provato a tamponare il suo malumore abbozzando un altro progetto. . Inutile.
Con la faccia ridisegnata dalla rabbia, cercò d'imitare la mia parlata, ripetendo beffarda: - il rapporto tra scenografo e regista è ...delicato...non voglio violarlo ..togliendo il pane di bocca ad una vera attrice.... -...
La guardavo basito, mentre si protendeva verso di me, premendo le dita sul bordo del tavolo di cucina, dove stavo seduto, con la tazza del caffè ormai freddo: Due seni arroganti, sfuggiti alla prigione di seta della vestaglia a fiori, mi puntano addosso i capezzoli. Non osai toccarli, anzi per sfuggire la tentazione, nascosi le mani sotto il piano .di formica. Lei non si preoccupava della cintola sciolta, che non teneva più la stoffa avvolta al corpo: Tentava, scuotendo la testa, d'allontanare l'ombra scura sul volto dei lunghi capelli, come fosse una ragnatela.
- Che cosa vuoi farmi credere che tu e i tuoi amici di scena avete
un'etica? Se l'avete è attaccata al vostro cazzo. Quando mai siete andati a letto solo con la vostra morale! -, la voce le s'incrinò, raschiò la gola.
- Non ti sei accorto, quando andiamo a cena con i bastardi dei tuoi compagni, come sbirciano le mie cosce sotto la gonna? -.
Certo che me n'ero accorto. Perciò non la volevo inserire nell'ambiente, evitavo il più possibile di frequentare i colleghi fuori del lavoro. Inoltre mi dilaniava la gelosia . Tardi per rimediare.
- Di colpo si raddrizzò per spalancare la vestaglia: - Toh! Guardale
anche tu per l'ultima volta queste cosce, non le violerai più, non godrai più con me....-.
Non la lasciai finire la frase: - vaffanculo, brutta troia! -. Qualcuno stava suonando al citofono.

 

Fa una pausa, ride: - Ma tu Sabine, oggi non vuoi proprio lavorare? -.
- No, oggi no. Mi piace troppo ascoltare.. Hai promesso Giacomo di
non lasciare nessuna storia a metà, io rappresento il pubblico dei tuoi lettori futuri. Oppure, prova ad immaginarti nelle sembianze di un satiro delle pitture pompeiane, che per vanità o sadicamente racconta con realismo le sue avventure amorose ad una vecchia Afrodite Celeste tedesca, protettrice delle caste nozze (come furono le mie, nella preistoria della giovinezza.): L'Afrodite tedesca t'invidia -.
La tua invidia è sprecata. Quando Annamaria mi lasciò per mettersi con un impresario di provincia, una mezza tacca che gravitava ai margini dell'ambiente del teatro, quel distacco fu un vero patimento.
Restai intossicato dal suo ricordo, come chi esce troppo in fretta dalla dipendenza di una droga.
Mai m'ero illuso sull'autenticità del suo amore: Chi se ne fregava dei sentimenti! Quando stringevo tra le mani l'opulenta rotondità del suo culo, pensavo d'avere in mano una parte della vita del mondo. Tra le sue cosce scordavo i miei fantasmi interni. Le permettevo di condurre la cadenza amorosa assecondando il suo ritmo, perdendomi nel linguaggio orgasmico che proveniva dalle radici profonde della sua anatomia. Una lingua segreta sussurrata con parole spezzate da brevi esclamazioni, gemiti di gola ed altre sonorità che, avrei voluto decifrare in ogni bacio, ogni volta che cercavo, presuntuosamente, durante la penetrazione, di spingermi al limite della sua carne, per scoprire la sorgente di quelle voci.
Alla fine, sembrava in pace con se stessa, senza più ombre nascoste nell'anima. Anch'io mi liberavo dall'arcana paura di un misterioso buio esistenziale, simile a quello che provai da bambino, quel giorno nel mio paese, quando mi persi in un ala del castello.
In pieno panico girovagavo nella semioscurità dei soffitti a volta, fino a che la fioca luce di una scala ellittica di pietra, mi fece emergere nel sole accecante del torrione.
Ecco, per dirla semplicemente, senza l'aiuto della mitologia, ogni scopata con Annamaria era la luce del torrione, la fine di quel viaggio nella semioscurità dell'esistenza.
Come vedi cara, più che un satiro vesuviano, vagolavo come un paziente di Freud.
La botta dell'abbandono fu dura da sopportare. Quarant'anni fa non era così di moda sdraiarsi sul lettino dello strizzacervelli, per elaborare una depressione da lutto sessuale..

 

Dopo il debutto dello spettacolo a cui avevo lavorato, pensai di smaltire rabbia e rimpianto tornando al mio paese, proprio lassù, vedi Sabine, dove c'è la neve.
-. Seguo la sua mano che m'indica un punto delle Apuane. Le cime
delle montagne sono innervate, malgrado la tiepida influenza del mare, a pochi chilometri.. Per chi ci osserva, siamo due anziani svaniti che fissano le montagne, seduti su poltrone di vimini nel giardino di Giacomo.. Ci scalda il timido sole dei primi giorni d'aprile.
Senza farmene accorgere, osservo il suo profilo virile: un tipo originale. Avrei voluto incontrarlo da giovane, quando la mia testa era tutta bionda e gli ormoni mi lubrificavano il grembo, indurendomi i capezzoli, ogni qualvolta percepivo lo sguardo di qualche maschio interessante.
In casa sua ha alcune foto di donne, che ho trascurato d'osservare. Ho preferito studiare quella di un Giacomo con molti anni di meno, in cornice sopra un tavolo. Nel suo sguardo si coglie una determinazione che con l'età non ha perso.
Due settimane prima, visitando una mia esposizione di piccoli bronzi, m'aveva comprato una scultura da interno, per un regalo di nozze. M'ero irritata nell'ascoltarlo sentenziare: - Si nota che lei è tedesca, nelle sue si sente l'influenza di Klinger e dell'espressionismo berlinese -.I
In seguito, riflettendo approfonditamente riconobbi la validità di quel giudizio critico. .
Attraverso frequentazioni comuni, siamo diventati da poco amici. Come capita tra artisti, abbiamo immediatamente imbastito un sodalizio spirituale, scambiandoci reciproche confidenze, senza azzardare giudizi morali sul privato. All'incirca, so che ha moglie, figli lontani, che presto sparirà da qui, in fuga dalla piccola provincia, per riprendere a mescolarsi con la folla di una grande città, per imbastire un'ultima relazione di cuore.
Prima che ciò avvenga, desidero ascoltare altre sue
confidenze.
E' nata in me la voglia di ripercorrere parte del suo passato attraverso le trame di un racconto in cui si mescolano paesaggi, aspirazioni ideali. e pulsioni sessuali.
In parte, resto ancora una luterana inibita da un'educazione ipocrita che m'impedisce di parlare liberamente di sesso.. M'affascina il vizio della sincerità che ha Giacomo, il suo addentrarsi nei particolari intimi, senza nascondersi dietro il paravento di una falsa pudicizia. .
Prima che si raffreddi la sua voglia: di narrarsi, domando - Al paese che hai fatto? -. Riprende, senza farsi pregare.
Mentre percorrevo la strada che s'inoltrava tra i boschi, s'attenuava la rabbia dell'amante tradito. Smisi di ripetere: "Annamaria, figlia di puttana! Annamaria, troia schifosa!", ossessivamente, come in autostrada. Frasi in parte pensate, in parte urlate a vuoto...
Nel mio paese, dominato dal castello malaspiniano, ritrovai un'aria conosciuta d'abbandono, un profumo familiare di mentuccia e rosmarino. L'autunno era ancora contaminato da un'estate profonda. Avevo l'intenzione di restare almeno per due settimane. M'attendevano lunghi, noiosi, pomeriggi di spaziale luminosità, un orizzonte di montagne, di minuscoli borghi semicoperti da faggi, squarci di prati con casolari di pietra, lontani.

 

 
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