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Post n°34 pubblicato il 13 Settembre 2012 da L.Onely
 

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Antonio (Toti) Scialoja. Artista poliedrico conosciuto soprattutto per la sua opera pittorica,  la cui propensione artistica si manifesta assai presto nell'esercizio della poesia, del disegno e dell'illustrazione. Interrotti gli studi in giurisprudenza, nel 1937 decide di dedicarsi esclusivamente alla pittura. Abbandonati i modi espressionisti degli anni Quaranta, la pittura di Scialoja attraversa una brevissima stagione neocubista per poi divenire definitivamente astratta. Nel 1957 Scialoja elabora la sua particolare tecnica dello "stampaggio", con la quale dà figura alle "impronte", una delle forme maggiori dell'arte astratta europea dei tardi anni Cinquanta e Sessanta.

Scialoja è stato, oltre che pittore, scrittore, scenografo, docente, ma soprattutto un poeta innovativo e singolare nel panorama della poesia italiana del Novecento. Lo si può definire un giocoliere di parole: la parola, nucleo originario, elemento di base su cui si costruisce il componimento poetico, torna ad essere protagonista con la sua opera.

*

Di giorno quando i gatti sono intensi
pensi che il loro pelo offuschi i sensi.
Di notte quando i gatti sono immensi
si ricopre di pelo quel che pensi.

Chi mette la mosca per esca
dimostra che losca è la pesca:
se infatti la lasca ci casca
c'è caso che a sera finisca
non lasca ma labile lisca.

Cerco l'ago nel pagliaio
cerco l'ego nel migliaio
cerco l'ergo nel bisbiglio
cerco l'agro nell'intruglio
cerco il largo nel risveglio
cerco il drago nel vermiglio.

 

In mezzo ai rovi a Ninive
visitiamo rovine
sono bianche le spine
bianche in alto le nuvole.

Non cade neve a Ninive
non arrivano navi
tu che puoi farlo vivine
le inanità soavi.

Da "La mela di Amleto", 1984

*

Toti Scialoja - Speranze perduteScialoja ama logorare le parole e, allo stesso tempo, ama effettuare il processo inverso: usa parole logore, svilite dall'uso quotidiano e dà loro una nuova veste, dando loro una nuova importanza. Le sue poesie si costruiscono sulla ripetizione sonora: il ritmo è incalzante, a volte diventa ipnotico, incanta il pubblico infantile senza lasciare immune dal suo fascino anche quello adulto. I suoi versi sono anomali nella tradizione poetica italiana e sono piuttosto ascrivibili alla tradizione anglosassone del nonsense e del limerick, come ha giustamente riconosciuto - tra i primi - Italo Calvino.

*

La danza che specchia la speranza
la pazza che spezza la danza
la voglia che sciupa la guancia
la frangia che vela la voglia
la foglia che varca la soglia
la stanza che invoglia chi sogna
la sveglia che suona a distanza.

Nella raccolta intitolata Amato topino caro, stampata da Bornpiani nel 1971. Vi è scritto nella presentazione del libretto: “La struttura di queste poesie nasce da un metodo puramente linguistico au­tomatico, al modo dello scioglilingua, della filastrocca e del nonsense. Gioco fonemico che i bambini inten­dono d’istinto, che eccita la loro curiosità, li muove alla scoperta della parola nuova come incantevole meccanismo sonoro. Infatti l’ostacolo che rappresen­ta il vocabolo inatteso, nell’assonanza con gli altri, contribuisce a creare quei paesaggi di parole che liberano il bambino dalla soggezione al linguaggio e dentro i quali essi entrano ed escono con felicità e naturalezza”.

*

La zanzara dello Zambia
quando zompa su una zampa
da Kasempa alla Tanzania
mica danza, mica smania,
mica semina zizzania,
sente solo che uno zampi
rone brucia nella stanza.
*

La zanzara, per decenza,
ha una tunica di organza,
quando è sbronza vola senza
a zig zag per la Brianza.

Una volta spesi un gruzzolo
per andare a Veracruz
a veder sette zanzare
un po' vizze nella teca
ma di pura razza azteca.

"La poesia è un giuoco. E’ – anche – un giuoco. La poesia è sonorità, fonemi, altrimenti sarebbe prosa. La poesia è un altro modo di esprimersi, non attraverso le parole della prosa, cioè della conoscenza. E’ un modo di esprimersi, invece, attraverso le parole della non conoscenza, della follia, del sogno, dell’evasione, del nulla, del rapporto con la morte, con la vita.
     Le parole della poesia sono così, allora, perchè sono canto, sono suono. La poesia del resto è sempre stata un canto. E’ nata come un canto ripetuto, pieno di assonanze, perchè potesse essere memorizzato da chi lo ascolta, nelle cantilene, nelle novene. La poesia è come un “ora pro nobis” e, quindi, giuoca essenzialmente sull’alliterazione, sulla rima. E che cos’è la rima se non un giuoco fonetico? La rima è una specie di droga, di allucinogeno del pensiero del poeti. I concetti, i pensieri stessi allora, le immagini sorgono da questo bisogno di far rima. Penso che la bellezza di migliaia di momenti danteschi stia proprio in questa rima che inventa un mistero che altrimenti non sarebbe sorto."
[da un'intervista di Ivan Crico]

*

Ti ricordi gli stormiToti Scialoja
nei tramonti dei nostri bei giorni
quando i treni si fanno notturni
attorniavano Terni e dintorni?

Bei tramonti che accesero Terni
rispecchiandone il fuoco dei forni
mentre i cieli diventano inferni
taciturni se ruotano stormi.
 
Neri stormi sui monti di Terni
che di sera perdendo i contorni
frastornavano i nostri ritorni
con l’eterno stormire degli orni.
 
Son trascorsi gli autunni e gli inverni
sono andati e tornati gli storni
sulla Nera su Terni e Narni
sulle pere forate dai vermi.
 
da "I corvi di Orvieto", 1974/1976
*

Toti Scialoja - Il sonno grigio

La pittura tornerà a essere cosa - non oggetto. Oggetto vuol dire strumento. [...] Ma una "cosa" - usata proprio in questo termine confuso e generico - ma una cosa è contatto con l'umano, esprime non appena la si considera, racconta, trasmette. [...] Un fiore colto, una pietra raccattata, rimangono nella tua mano, finché non la getti, non la riabbandoni alla smemoratezza naturale, al flusso oscuro dell'universo. (Il sasso che ributti nel mare, dopo averlo accarezzato, diventerà distante da te e irraggiungibile, per sempre, come la più lontana delle stelle). Diventerà arte quella cosa toccata da te, che non sarà possibile più rigettare nel nulla, che per sempre avrà serbata e trasformata in forza naturale la tua impronta. Oggi la pittura opera direttamente sulla materia; e un quadro è prima di tutto una cosa, non utile se non per aver accolto la tua impronta spirituale. Quadri come tracce di vita, frammenti lungo il cammino, erbe bruciate dove accampasti il sonno, i lembi rimasti sugli spini. In ogni epoca i pittori si espressero con segni su superfici. Con segni su superfici i pittori oggi esprimono questa idea: che l'uomo sia spirito e terra insieme; parola e insieme sangue; e che sia umana non la sola effigie fisica dell'uomo ma ogni cosa che l'uomo riconosce e distingue, ogni cosa che immagina, ogni cosa "increata" non appena egli la nomini.  - [tratto da "L'Esperienza moderna" Rivista Culturale, Ottobre 1956]
*Toti Scialoja - Il sonno
La mosca si mischia alle mosche
la mosca s’infischia di mosche
di colpo si posa sul bricco
sul bistro sul nastro sul pacco
sul filtro sul feltro sul tappo
sul vischio sul testo sul raspo
sul disco sul tacco sul talco
sul peltro sul cesto sul tasto
sul desco cosparso di lische
di colpo si mischia alle mosche
*
Toti Scialoja - AccaloratoEra gruvi, gruvi era
il tuo cacio con i fori,
era brughi, brughi era
il tuo bosco con i fiori,
era frutti, frutti era
la speranza del tuo viaggio,
era preghi, preghi era
quel che avevi nello sguardo,
fu più rapida di un sorso
la tua anima di sorcio.
 
da "Pane coltello e piatto", 1973/1974
*
I giochi verbali delle prime raccolte, di fronte al mistero della morte, di una vita che giunta al suo termine si interroga su se stessa, vengono sostituiti dall’adozione di una forma metrica antica, nata dalla suggestione suscitata dalla lettura di un raro esempio pascoliano. La necessità di un altro ritmo, nell’urgenza d’incanalare in una forma il fluire delle memorie, si afferma imponendo un netto cambiamento di direzione. Il nitore assoluto, la struttura precisa diventano quindi – anche – una forma di resistenza all’oblio, al sfibrarsi del ricordo in cui tutto diventa indistinto. [da un bel post di Ivan Crico su La dimora del tempo sospeso]

*

Apparisti sulla soglia vestita di velluto viola
non annebbiata dal viola ma resa meno visibile
venivi soltanto avanti come quella che si rivela
confusa dal viola e il suo modo svenato di impallidire
col passo di chi attraversa qualunque promessa violata.

Così ti ho vista ad un tratto svincolata da ogni segreto
venire avanti in visita rivestita del tuo respiro
il viola esausto svaniva per istanti dentro il velluto
volgesti il volto attirata dal folgorante mazzo d’iris
sollevasti le braccia decapitata dagli iris.

*

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Toti  Scialoja
(Pittore di Parole - Roma 1914/1998)

 
 
 
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