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Un blog creato da L.Onely il 03/07/2012

In Xenetia

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.14.

Post n°15 pubblicato il 09 Luglio 2012 da L.Onely
 

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David  Ho

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*

Artista "digitale". David Ho è un artista-illustratore che ama giocare con il dolore, la disperazione e l'isolamento, prendersene gioco e trattare questi temi con ironia,  mostrandoci, attraverso dei toni grigi e metallici, la sottile linea che separa il mondo dei sogni idilliaci da quello degli incubi più oscuri.

Uno dei suoi lavori più conosciuti è la serie di Candice che narra le vicende del fantasma di una ragazzina "unica".
Candice era una bambina che viveva da sola con la madre. Era sola ed isolata la maggior parte del tempo. Sua madre non aveva mai tempo per lei perché sempre al lavoro. Il suo posto preferito per giocare era la sua casa sull'albero. Un giorno sfortunato, lei era arrampicata sull'albero e cadde. Senza nessuno che la vide e la soccorse, Candice rimase lì per ore rivolta verso la luce del sole e alla fine morì. La sua ultima memoria sulla terra fu questa visione di una silhouette di un corvo che girava intorno a lei. Dopo la sua morte, Candice fu inviata per incontrare il re dell'inferno, Yen Luo Wang. L'imperatore dell'inferno ha intuito qualcosa di unico in Candice e dopo attento calcolo la mandarono nel nostro mondo come un fantasma. Inizialmente Candice era molto triste, provava rancore e invidia verso il mondo dei vivi - perché dovrebbero queste persone divertirsi così tanto mentre lei poteva solo guardare - ma poi impara a fare i conti con la sua prematura dipartita, trovando una gioia crudele a spaventare la gente.

David Ho artist

David Ho artist

 

 

 

 

 

Riuscito ed apprezzabile questo video che sposa immagini di alcuni lavori di David Ho con la musica dei Radiohead.

*
Nato nel New Jersey, laureato in Sociologia e in Storia dell’Arte, Ho sostiene che il suo lavoro gli serve - anche - come psicanalisi: egli vede l’arte come mezzo per raggiungere, anche solo per brevi istanti, uno stato di grazia superiore, lo stesso che permette a certe civiltà preziosi balzi in avanti.

David Ho artist  David Ho artist

 
 
 

.13.

Post n°14 pubblicato il 09 Luglio 2012 da L.Onely
 

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Louis Treserras - Fleur coupée ...

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Ho  tanto sognato di te che tu perdi la tua realtà.
C’è ancora tempo per raggiungere questo corpo vivente
e per baciare su questa bocca la nascita della voce che mi è cara?
Ho tanto sognato di te che le mie braccia abituate,
nello stringere la tua ombra, a incrociarsi sul mio petto,
forse neppure si piegherebbero al contorno del tuo corpo.

E che, davanti all’apparenza reale di ciò che mi assilla
e governa da giorni e da anni, senza dubbio diventerei un’ombra.
Oh altalene sentimentali!
Ho tanto sognato di te che indubbiamente non è più
il momento di svegliarmi. Dormo in piedi,
con il corpo esposto a tutte le apparenze della vita
e dell’amore e di te, la sola che conti oggi per me,
mi sarebbe più difficile toccare le labbra
e la fronte di quanto non mi sarebbe più difficile
toccare le labbra e la fronte del primo venuto.

Ho tanto sognato di te, tanto camminato, parlato,
dormito con il tuo fantasma che forse, e tuttavia,
non mi rimane che essere fantasma tra i fantasmi
e cento volte più ombra dell’ombra che passeggia
e passeggerà allegramente sul quadrante solare della tua vita.

*
Ho tanto sognato di te _ Robert Desnos

*

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.12.

Post n°13 pubblicato il 08 Luglio 2012 da L.Onely
 

*

Più di così,
sì molto più ancora
si può restare in silenzio
Per ore,
con lo sguardo immobile dei cadaveri,
si può fissare il fumo di una sigaretta
la forma di una tazza
un pallido fiore sul tappeto
un vago tratto sul muro
Con le rigide dita
si può scostare la tenda
e guardare fuori la pioggia che batte,
il bimbo e l’aquilone dipinto
sotto il porticato
e il vecchio carro
attraversare chiassoso la piazza deserta
Vicino alla tenda
si può restare immobili
senza vedere, senza sentire
Con la voce aliena e artefatta
si può gridare forte
“Io amo”
Tra le braccia vigorose di un uomo,
si può essere una donna sana e bella
Con il corpo dalla pelle tesa
con i seni duri e pieni
si può inquinare
nel letto di uno sbronzo, un randagio, un folle
la purezza di un amore
Si può beffare con astuzia
ogni incomprensibile enigma
e accontentarsi di un cruciverba
Si può essere felici
di una risposta banale di cinque o sei lettere,
sì, una risposta banale
Ci si può inginocchiare,
tutta la vita, a testa bassa,
innanzi a un santuario freddo
Si può vedere Dio in una tomba ignota
Si può credere in Dio
Per una piccola moneta
Si può lentamente marcire
come un vecchio predicare
nelle piccole stanze di una moschea
Si può, come lo zero,
nelle divisioni e nelle moltiplicazioni,
restare sempre immutati
si può considerare il tuo sguardo di rancore
il bottone scolorito di una vecchia scarpa
e come l’acqua prosciugarsi nel proprio fossato
Si può nascondere timidamente
in fondo a un vecchio baule,
come una buffa istantanea in bianco e nero,
la bellezza di un attimo
Si può appendere
nella cornice vuota di una giornata
l’immagine di un condannato, vinto crocefisso
si possono coprire,
dietro le maschere, le crepe del muro
o aggiungere ancora altre inutili figure
Si può guardare al proprio mondo
con gli occhi vitrei della bambola meccanica
Si può dormire in una scatola di panno ruvido
con il corpo riempito di paglia
tra pizzi e perline
e a ogni volgare pressione delle dita
gridare invano
“oh, come sono felice”.

La bambola meccanica

* * *

E questa sono io,
una donna sola
sul margine di una stagione fredda,
adesso che comprendo l’essenza sporca della terra
e la semplice triste disperazione del cielo
e l’impotenza di queste mani di cemento.
. . .

Libererò infine i versi
e sarò così, libera dallo scorrere dei numeri
e dal mezzo delle forme rinchiuse geometriche
troverò riparo fra le distese superfici del sentire.
Sono nuda, e nuda, e nuda,
come i silenzi tra le parole d’amore sono nuda
e di tutte le ferite sono mie le ferite d’amore
d’amore, d’amore, d’amore.
. . .
Sempre tutta questa distanza,
tra la finestra e lo sguardo.
Perché non ho guardato?
Come nel tempo in cui un uomo passava accanto agli alberi bagnati.

Perché non ho guardato?
Forse mia madre aveva pianto quella notte,
quella notte che io venni al dolore e lo sperma prese forma
quella notte che andai in sposa alle acacie
quella notte che le moschee di Isfahan brillavano
d’azzurre mattonelle.
E quella persona, che era la mia metà,
quella notte ritornò dentro il mio seme.
E io la vedevo nello specchio
che come specchio era puro, e luminoso,
e mi chiamò d’improvviso
e così andai,
io, in sposa alle acacie…
. . .

Da dove vengo io?

Dissi a mia madre:
E’ finita, accade sempre prima che tu ci possa pensare,
dobbiamo spedire le condoglianze al giornale.

Buongiorno mia strana solitudine,
qui ti cedo la mia stanza.
Perché le nere nuvole di sempre
sono i profeti dei versetti nuovamente purificati.
E nel martirio di una candela
c’è un segreto luminoso
che conosce bene quella fiamma ultima fiamma che resiste.
 

Crediamo pure
crediamo pure all’inizio della stagione fredda
crediamo pure alla rovina dei giardini del sogno
alle falci riverse ed intonse,
e ai grani imprigionati.
E guarda adesso, come nevica…
. . .

 da Crediamo pure all’inizio della stagione fredda

* * *

Ho peccato, peccato, quanto piacere
nell’abbraccio caldo e ardente ho peccato
fra due braccia ho peccato
accese e forti di caldo rancore, ho peccato.

In quel luogo di buio silenzio appartato
nei suoi occhi colmi di segreti ho guardato,
nel palpito del petto furioso il mio cuore
tremava nei suoi occhi di desiderio in preghiera.

In quel luogo di buio silenzio appartato
accanto a lui al suo fianco sconvolta
la sua bocca desiderio versava tra le labbra mie,
scappata, io, dalle pene del folle mio cuore.

Gli sussurrai piano piano la melodia dell’amore:
ti voglio, ti voglio, anima mia
ti voglio, ti voglio, abbraccio che infiamma
ti voglio, amore mio pazzo.

Il desiderio nei suoi sguardi fiamme avvampava,
il vino nero nella coppa tremava e danzava.
Il mio corpo sul tenero letto
sul suo petto ubriaco oscillava.

Ho peccato, peccato, quanto piacere
accanto all’estatico fremito di un corpo.
Oddio, mio Dio, che cosa ho mai fatto
in quel luogo di buio silenzio appartato?

Peccato

 *

Quando la mia fede era impiccata alle fragili corde della giustizia
e in tutta la città
facevano a pezzi il cuore dei miei occhi
quando soffocarono con il fazzoletto nero della legge
gli occhi infantili del mio amare
e dalle tempie pulsanti della mia speranza
sgorgavano fiotti di sangue,
quando la mia vita ormai non era più nulla,
nulla, se non il tic-tac di un orologio,
capii che dovevo amare, amare, amare follemente.

*

Forugh Farrokhzad
(poetessa. iraniana. appassionata. ribelle. libera. morta nel 1967. 32 anni)

 

*

*

 
 
 

.11.

Post n°12 pubblicato il 07 Luglio 2012 da L.Onely
 

*

Sono le cinque del pomeriggio: da ora fino al momento di dormire sarò solo, perché ai miei amici ho detto che sono stanco e non voglio vedere nessuno. La signorinella a cui ho strenuamente riservato queste ore di libertà non si è neanche data la pena di telefonare per dirmi che non veniva.
Scopro con malinconia che il mio egoismo non è poi così grande, visto che ho dato ad altri il potere di farmi soffrire.
Signorinella, dare questo potere è dolce. Vederlo usare è malinconico.
Le favole sono fatte così. Una mattina ti svegli e ti dici: "Era solo una favola..." Sorridi di te: ma nel profondo non sorridi affatto. Sai bene che le favole sono l'unica verità della vita.
L'attesa. I passi leggeri. Poi le ore che scorrono fresche come un ruscello sui ciottoli bianchi tra due rive erbose.
I sorrisi, le parole senza importanza così piene d'importanza.
Ascolti la musica del cuore: è bello, bellissimo per chi è capace di sentire...
Ovviamente vuoi tante cose.
Vuoi cogliere tutti i fiori e tutti i frutti.
Vuoi respirare tutti i prati.
Giocare.
Ma è davvero giocare? Non sai mai dove il gioco cominci né finisca, però sai che mette tenerezza. E che sei felice.
Non mi piace il clima interiore che ha rimpiazzato la mia primavera: un misto di delusione, aridità e risentimento. Fluttuo in un tempo vuoto in cui non ho più niente da sognare. La cosa più triste quando hai un dispiacere è chiederti "vale la pena...?"
Vale la pena avere questo dispiacere per chi non si preoccupa neppure di avvisare? Certamente no.
Allora non hai neanche il dispiacere, ed è più triste ancora.
Oggi non c'è nessun piccolo principe, né ci sarà più. Il piccolo principe è morto. Anzi, è diventato scettico. Un piccolo principe scettico non è più un piccolo principe. Non le perdono di averlo rovinato.
Non ci saranno più neanche lettere, né telefonate, né segni di vita.
Sono stato imprudente, non pensavo che continuando così avrei rischiato di farmi male.
E invece il roseto mi ha trafitto mentre coglievo una rosa.
Il roseto dirà: che importanza avevo per te? Io mi succhio il pollice sanguinante e rispondo: "nessuna, roseto, nessuna". Niente ha importanza nella vita. (Nemmeno la vita.) "Addio, roseto".

*

Lettera a una sconosciuta _ Antoine de Saint-Exupéry

*

    "Aspetterò la notte, se posso vivere ancora, per andarmene poco a poco sulla strada che attraversa il nostro villaggio, avvolto nella mia amata solitudine, per capirvi perché io debba morire" (da uno degli ultimi articoli pubblicati di Saint- Exupéry. Come un epitaffio)


Antoine (Pizzicalaluna) de Saint-Exupéry

*

 

 
 
 

.10.

Post n°11 pubblicato il 06 Luglio 2012 da L.Onely
 

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Cirque   Calder

[ In_CanTe_Volé ]

*
Un vero e proprio "teatro" in miniatura contenuto inizialmente in due valigie (finì però per essere contenuto in cinque) che rappresenta il circo in tutte le sue figure artistiche, animali compresi.

*

A. Calder

 
"Impossibile trovare un contrasto più grande di quello che c'è fra Calder, un uomo che pesa novanta chili; e le sue creazioni mobili, delicate, trasparenti. Simile a un tronco d'albero in moto, stimola tante discussioni, si muove come il vento: non è nato per passare inosservato! Sorridente e curioso fluttua nell'aria come se facesse parte della natura stessa. Lasciato a sé in un appartamento è un vero pericolo per ogni oggetto fragile. Il suo posto è piuttosto all'aperto, all'aria, al vento, al sole".  Fernand Léger

 

Alexander Calder
(1989-1976)
“Io non sono uno scultore, sono un ingegnere”

A. Calder

*

*

 
 
 

.09.

Post n°10 pubblicato il 06 Luglio 2012 da L.Onely
 

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Luca Lacche photo - Untitled


Manchi da quasi un anno... Entrare ti faceva paura...
E quando lo hai fatto, il vuoto un tempo implorante,
poi disdegnato, sùbito ti ha preso in odio
e con ostinazione esige che tu sconti
la tua presenza con la tua presenza...
Qui tutto va a tua infamia:
il linoleum, le fascine per accendere il fuoco, la mosca rinsecchita,
la muffa del pane, l'aceto forte delle crepe
e l'acetosella delle macchie e la concia del tempo rattrappito
e le ragnatele che sbavano dai roccoli degli angoli
e giù giù il silenzio, dove brilla
solo nel fondo, proprio lì, la luna...
Ma in mezzo a tutte queste cose (con crudele
certezza, con la più comune e dunque più segreta
e come perpetua certezza) scorgi all'improvviso
una tazza da caffè con tracce di rossetto
dove per l'ultima volta, posandosi, si strinsero
le labbra di chi ti ha lasciato...

 

In cucina _ Vladimír Holan

*

 
 
 

.08.

Post n°9 pubblicato il 05 Luglio 2012 da L.Onely
 

*


Daìta  Martinez
*
*

 

*

dilata
le acque
l'infanzia delle mani

e { nuda }

si apre
una foglia
di gabbiani.

: un soffio di pietra, le ali :

*

 

. una macchia così il garofano

i m i t a
si
i m i t a

linguaggio l’avamposto dallo
straccio una bambola pettina
fili a smontare dal grembiule
il giorno bucato alla serranda
fatta scendere di spilli educati
storti cancellando la struttura
nei ricordi schiacciati a colpire

nel
c a s s e t t o
p o i

un rigo d’aria nasconde l’aiuola .

*

(al solito posto)

 

al crepuscolo

in viale intento

a narrare l’una.

 

due fiati & un paltò.

 

verbi equi–distanti

stropicciati da corpi

di celeste ingenuità.

 

(al solito posto)

*

Daìta  Martinez
poet(ess)a - palermitana

*

*

 
 
 

.07.

Post n°8 pubblicato il 05 Luglio 2012 da L.Onely
 

*

*

*

Lo so. So che non incontrerò mai più niente né nessuno che m’ispiri della passione. Lo sai, mettersi ad amare qualcuno, è un’impresa. Bisogna avere un’energia, una generosità, un accecamento… c’è perfino un momento, al principio, in cui bisogna saltare un precipizio: se si riflette non lo si fa. Io so che non salterò mai più.


La Nausea _ J.P. Sartre

*

 

 
 
 

.06.

Post n°7 pubblicato il 04 Luglio 2012 da L.Onely
 

*

Avrei voluto non avere visto dell’uomo, la prima volta che entrò nel negozio, nient’altro che le mani; lente, inti midite e goffe, con movimenti senza fiducia, affilate e ancora non scurite dal sole, quasi a voler chiedere scusa per il loro gestire disinteressato. Mi fece alcune domande e prese una bottiglia di birra, in piedi all’estremi tà più in ombra del bancone, con il viso – sullo sfondo del calendario, dei sandali e dei salami imbiancati dagli anni – rivolto verso l’esterno, verso il sole dell’im brunire e il viola sfumato delle montagne, mentre aspetta va l’autobus che lo avrebbe lasciato davanti ai cancelli dell’alber go vecchio.
Avrei voluto non avergli visto altro che le mani, mi sarebbe bastato vederle quando gli diedi il resto dei cento pesos e le sue dita strinsero i biglietti, cercarono di ordinarli e, subito, per improvvisa decisione, li appallottolarono e li nascosero con pudore in una tasca della giacca; mi sarebbero bastati quei movimenti sopra il legno pieno di fessure riempite di unto e di sudiciume per capire che non si sarebbe curato, che non aveva nessuna idea da cui trarre la volontà di curarsi.
In genere mi basta vederli, e non ricordo di essermi mai sbagliato; ho sempre formulato i miei pronostici prima di sapere l’opinione di Castro o di Gunz, i medici che abitano in paese, senza altri dati, senza avere bisogno di altro che di vederli arrivare al negozio con le loro valigie e le loro quote diverse di vergogna e di speranza, d’ipocrisia
e di sfida.
...
Li guardo, nient’altro, a volte li ascolto; l’infermiere non lo capirebbe, e forse neppure io lo capisco del tutto; intuisco l’importanza che ha per loro quello che hanno lasciato, l’importanza che ha quello che sono venuti a cercare, e confronto una cosa con l’altra.
.
..
Non è che ritenga impossibile curarsi, ma non crede nel valore, nell’importanza di curarsi.

... ... ...

Non posso dire se l’avevo vista prima o se la scoprii in quel momento,
appoggiata allo stipite della porta:
una parte della sottana, una scarpa, un lato della valigia
che entravano nel fascio di luce delle lampade.
Può darsi che io non l’abbia vista neppure allora,
nel momento in cui cominciò l’anno,
e che abbia solo immaginato, non ricordo,
la sua presenza immobile situata con esattezza
fra la baldoria e la notte.

*

Gli addii _ Juan Carlos Onetti

* 

Juan Carlos Onetti  (1909 - 1994)

*

*

 
 
 

.05.

Post n°6 pubblicato il 04 Luglio 2012 da L.Onely
 

 

"Se ora le dicevo ‘addio per sempre’ era perché volevo assolutamente che tornasse entro una settimana; se le dicevo ‘sarebbe pericoloso vederti’, era perché volevo rivederla; se le scrivevo: ‘hai avuto ragione, saremmo infelici insieme’, era perché vivere separato da lei mi pareva peggiore della morte. "

 

 

da “La fuggitiva” _ Marcel Proust

 
 
 

.04.

Post n°5 pubblicato il 04 Luglio 2012 da L.Onely
 

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A n i m a r i s

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 theo jansen work

*

 

*

Theo Jansen, nato nel 1948, ha studiato Fisica all’Università di Delft in Olanda dal 1968 al 1975. In seguito ha abbandonato l’Università per divenire un artista.

Nel 1980 decide di costruire un disco volante, accessoriato di luci lampeggianti ed in grado di emettere sinistre sonorità.

Dal 1990 ha cominciato a lavorare su una nuova creazione artistica che prevede la realizzazione di “creature” capaci di camminare.

Theo ha battezzato il genere delle proprie creature fantastiche come animaris.

Una volta realizzate le sue creature, Theo le abbandona sulle spiagge olandesi, dove cominciano a vivere una vita propria, fagocitando ed immagazzinando vento ... che come il soffio primordiale gonfia di vita i leggerissimi meccanismi in bambù.

*

theo jansen work

*

Theo Jansen

 
 
 

.03.

Post n°4 pubblicato il 04 Luglio 2012 da L.Onely
 

Ci sono libri che si posseggono da vent’anni senza leggerli, che si tengono sempre vicini, che uno si porta con sé di città in città, di paese in paese, imballati con cura, anche se abbiamo pochissimo posto, e forse li sfogliamo al momento di toglierli dal baule; tuttavia ci guardiamo bene dal leggerne per intero anche una sola frase. Poi, dopo vent’anni, viene un momento in cui d’improvviso, quasi per una fortissima coercizione, non si può fare a meno di leggere uno di questi libri d’un fiato, da capo a fondo: è come una rivelazione. Ora sappiamo perché lo abbiamo trattato con tante cerimonie. Doveva stare a lungo vicino a noi; doveva viaggiare; doveva occupare posto; doveva essere un peso; e adesso ha raggiunto lo scopo del suo viaggio, adesso si svela, adesso illumina i vent’anni trascorsi in cui è vissuto, muto, con noi. Non potrebbe dire tanto se per tutto quel tempo non fosse rimasto muto, e solo un idiota si azzarderebbe a credere che dentro ci siano state sempre le medesime cose.


Da 'La provincia dell’uomo' _ Elias Canetti 

 
 
 

.02.

Post n°3 pubblicato il 03 Luglio 2012 da L.Onely
 

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Paul  Octavious Image

*

Paul  Octavious Image

*

Paul  Octavious

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.01.

Post n°2 pubblicato il 03 Luglio 2012 da L.Onely
 

 

Ascolta, il più lontano uccello del mondo canta.

La notte è fluida, estesa, integra.

I gerani

e le fronde più chiassose di stagione, ascoltano la luna.

Le scale sono di fronte al palazzo

la porta ha il lume in mano

e la brezza è in profusione,

ascolta, lontano, la strada chiama i tuoi passi.

I tuoi occhi non sono l’ornamento dell’oscurità.

Scuoti le palpebre, indossa le scarpe, e vieni.

Vieni fin dove le ali di luna toccano le tue dita

dove il tempo si siede con te sulla roccia d’argilla

E i salmi notturni, chiamano a se, come un canto, il tuo corpo.

Lì, troverai il vecchio pio che ti dirà:

la miglior cosa è giungere a un sguardo irrorato da vicenda d’amore.

  

Notte di buona solitudine  _  Sohrab Sepehri

*

Sohráb Sepehri works

Opera di Sohráb Sepehri

 
 
 
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