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Donne

Post n°42 pubblicato il 04 Ottobre 2006 da Una.donnaconlagonna

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Fulgida diva del cinema hollywoodiano degli anni d'oro, Joan Crawford possedeva un'intrigante sensualità e una coinvolgente carica drammatica: sullo schermo ha portato principalmente personaggi di donne indipendenti e sfrontate, legate ai sani valori americani ma che non si lasciano mettere i piedi in testa, e che usano il loro sex-appeal e la loro disinvoltura per farsi strada nella vita e nel lavoro. In fondo la vera Joan Crawford è stata proprio questa.
Nasce come Lucille Fay Le Sueur a San Antonio, Texas (USA), il 23 marzo 1904. Alta e di bell'aspetto, debutta molto giovane come ballerina, partecipa poi a Broadway nella commedia musicale "Innocent Eyes" quindi, in seguito alla vittoria di un concorso di danza, viene scritturata ad Hollywood, che la lancia come diva negli ultimi anni del cinema muto. Dopo qualche piccola parte in film di scarso rilievo, è con "Le nostre sorelle di danza" (Our Dancing Daughters, 1928) di Harry Beaumont, che Joan Crawford gioca la sua carta vincente: in questo film dà la più riuscita versione della giovane ballerina dell'età del jazz determinata a vivere la vita come meglio crede.
Ormai è una stella: ha ventiquattro anni, un contratto di tre anni con la Metro Goldwyn Mayer, ed è ormai avviata a diventare il perfetto prodotto dello studio system hollywoodiano. Per entrare nel bel mondo di Hollywood sposa il giovane attore Douglas Fairbanks jr., riuscendo a partecipare così alle feste mondane tenute a Pickfair, dominio di Fairbanks sr. e della moglie Mary Pickford.
Col tempo Joan Crawford acquista una notevole eleganza e un più raffinato charme, ma soprattutto perfeziona la sua recitazione, rendendola maggiormente ricca di sfaccettature. Sullo schermo decide di presentarsi con le labbra carnose sottolineate pesantemente da abbondante rossetto, gli splendidi occhi truccati in modo tale da farli risultare più grandi, il resto del volto reso simile ad una maschera classica.
Nasce così una nuova, matura Joan Crawford, pronta per interpretare quei personaggi femminili che la renderanno ancor più famosa, ossia di donne romantiche e audaci, che la sua sofferta sensibilità interpretativa riesce a rendere delle eroine tragiche.
Negli anni '30 è, dopo
Greta Garbo, la prima diva della MGM, amata sia dal pubblico maschile che da quello femminile. Tra i suoi migliori ruoli di questo periodo ricordiamo quello della disinibita stenografa che si lascia corteggiare da un barone ladro (interpretato da John Barrymore) nel romantico "Grand Hotel" (Grand Hotel, 1932) di Edmund Goulding, della ragazza capricciosa e incostante che, abbandonata all'altare, riesce quasi a sbagliare matrimonio due volte nel gustoso "La donna è mobile" (Forsaking All Others, 1934) di W.S. Van Dyke, uno dei numerosi film in cui fa coppia col divo Clark Gable, della vivace ballerina che si trova a dover affrontare l'ostilità dei parenti del suo neo-marito nel melodramma "Ossessione del passato" (The Shining Hour, 1938) di Frank Borzage, e della profumiera opportunista che ruba il marito ad una donna dell'alta borghesia nel satirico "Donne" (The Women, 1939) di George Cukor.
Nei primi anni '40 è ancora sulla breccia quando interpreta la donna segnata da un incidente d'infanzia che le ha deformato il viso nel suggestivo "Volto di donna" (A Woman's Face, 1941) di George Cukor, ma presto si rende conto che alla MGM non si tiene più molto conto di lei, soprattutto per via della sua età "avanzata" e dello scadente richiamo al botteghino che sta cominciando ad avere il suo nome.
Così l'attrice abbandona la Metro per la Warner Bros.
Qui ottiene grande successo con la sofferta interpretazione della donna divorziata alle prese con i problemi di una figlia adolescente nel coinvolgente noir "Il romanzo di Mildred" (Mildred Pierce, 1945) di Michael Curtiz, per cui riceve il premio Oscar come Migliore Attrice Protagonista. Sarà questa una grande occasione per la sua carriera, grazie alla quale è riuscita a dimostrare appieno le sue straordinarie doti interpretative, rappresentando il dolore con toni estremamente realistici.
Diventa così sempre di più un modello per le donne americane, per lo stile e la tenacia con cui sullo schermo affronta i drammi della vita, uscendone sempre vincitrice. Non appena la televisione comincia ad invadere il terreno dello spettacolo, gli spettatori dei suoi film vanno assottigliandosi, ma nel 1952 l'attrice dà nuova prova di vitalità interpretando un thriller, "So che mi ucciderai" (Sudden Fear) di David Miller, e quando torna alla MGM si esibisce nel musical "La maschera e il cuore" (Torch Song, 1953) di Charles Walters, in cui, oltre a recitare, fa sfoggio di una silhouette ancora invidiabile.
Nel 1954 fa nuovamente centro con la sua interpretazione di Vienna, l'audace proprietaria di un saloon nel western "Johnny Guitar" (Johnny Guitar) di Nicholas Ray, un'opera insolita che segna una svolta nel genere. Dopo aver preso parte a qualche mediocre melodramma, Joan Crawford rivive un nuovo momento di successo internazionale interpretando l'ex-star del cinema paralitica vittima delle angherie della folle sorella nel truculento "Che fine ha fatto Baby Jane?" (What Ever Happened to Baby Jane?, 1962) di Robert Aldrich, accanto alla sua storica nemica,
Bette Davis.
Il film riporta il suo nome all'attenzione di Hollywood e del pubblico.
Negli anni seguenti l'attrice viene impiegata in una serie di film del terrore di medio livello, tra cui ricordiamo almeno "Cinque corpi senza testa" (Strait Racket, 1963) e "Gli occhi degli altri" (I Saw What You Did, 1966), entrambi di William Castle. Nel 1970, dopo una breve partecipazione al mediocre horror "Il terrore di Londra" (Trog), Joan Crawford si ritira dalle scene per seguire la campagna pubblicitaria della Pepsi Cola, di cui era un importante dirigente Alfred Steele, il suo quarto e ultimo marito.
Da tempo vittima di problemi nervosi e di dipendenza da alcolici, nell'ultimo periodo l'attrice ha una crisi mistica che la spinge a dedicarsi attivamente ad una setta religiosa.
Il 10 maggio 1977 Joan Crawford muore a causa di un cancro.
L'anno dopo la sua morte, la figlia adottiva Christina, amareggiata per esser stata esclusa dal testamento, scrive un inquietante libro rivelatorio dal titolo "Mammina Cara" (in originale "Mommie Dearest"), che dà della Crawford un'immagine di donna e di madre poco edificante. In breve tempo il libro diventa un best-seller, e nel 1981 ne viene realizzata trasposizione cinematografica per la regia di Frank Perry, che si avvale della splendida interpretazione di Faye Dunaway nella parte di Joan Crawford.
Testo originale a cura di Andrea Giampietro

 
 
 
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