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Il principe e la schiava - Jalaludin Rumi

Post n°153 pubblicato il 30 Settembre 2008 da Una.donnaconlagonna
 

Un principe persiano, col suo seguito di cortigiani, stava facendo una battuta di caccia. La preda era or­mai raggiunta quand'ecco, improvvisamente, l'atten­zione del principe fu attratta da lievi movimenti furti­vi, provenienti da un cespuglio. Egli fermò il cavallo e scoprì che dietro il fogliame si celava una donna.
«Cosa fai qui? Chi sei?» le domandò il principe. Intimidita, la donna rispose che era una schiava. «Sono libera per miracolo. Vi prego, non fatemi del male!»
Una gamba della fanciulla era stretta da una cate­na, che le rendeva difficili i movimenti. Il principe si avvicinò alla donna, e fu quasi abbaglia­to dalla sua incantevole bellezza. La pelle della schiava era straordinariamente liscia, il suo portamento mae­stoso ed elegante, come quello d'una regina.
«Non puoi restare qui. La foresta è piena di insi­die» disse il principe alla schiava.
Insisté poi perché la ragazza lo accompagnasse al palazzo, e promise di ricompensarla. Per molti giorni il principe non si separò dalla schia­va, e trascurò i favori delle altre cortigiane. Sembrava vivere soltanto per lei: mentre ne contemplava lo sguar­do assente, l'uomo provava un piacere indescrivibile. Ma una tale felicità non doveva durare a lungo.
Un giorno la ragazza cominciò ad accusare strani sintomi. La sua salute, che tanto contribuiva a ren­derla bella ed affascinante, sembrava abbandonarla sempre più, di giorno in giorno. "Cosa può esserle accaduto? Perché soffre così? De­vo fare qualcosa per aiutarla" diceva tra sé il principe.
Poiché le condizioni della ragazza si facevano preoccupanti, l'uomo decise di consultare i migliori medici della regione. «Dovete assolutamente scoprire che malattia ha. E guarirla. Per me questa donna è la luce degli occhi, il senso della vita»
«Non preoccupatevi, maestà. Conosciamo ogni ma­lattia e non tarderemo a individuare, anche in questo caso, il rimedio opportuno» promettevano i dottori. Tuttavia, malgrado la loro perizia e competenza, essi non riuscirono a capire che tipo di malattia avesse la ragazza. Non esistendo una diagnosi, era impossibile prescrivere una terapia. Il principe era disperato. Nel frattempo la malat­tia sembrava peggiorare, e la ragazza era sempre più scarna. Il principe era un sincero devoto dell'islamismo, e nella sua preghiera quotidiana supplicava Dio di soc­correre la giovane schiava. Finalmente Àllah ascoltò la sua richiesta, e inviò al palazzo reale un medico importante, uno scienziato famoso per aver guarito ogni malattia esistente sulla faccia della terra.
«Maestà, chiedo di visitare l'ammalata! Stamatti­na Dio mi ha esortato a recarmi qui, perché risolves­si il caso che vi preoccupa tanto» disse il medico.
L’uomo fu condotto nelle stanze della ragazza, ed emise subito la diagnosi. «I miei illustri colleghi, che prima di me hanno vi­sitato questa giovane, non sono riusciti a comprenderne le condizioni. Hanno fatto mille ipotesi, tutte inattendibili. In realtà, la situazione è semplice e complessa nello stesso tempo, perché questa ragazza soffre del­la malattia d'amore. Sta ora al principe determinare la gravità, o la leggerezza, del caso... Prima che fosse condotta a questa corte, la ra­gazza s'era probabilmente innamorata di qualcuno. Ora, l'assenza dell'amato ha prodotto in lei questo stato di turbamento e prostrazione.»
Il principe era sbigottito, poiché la notizia gli giun­geva del tutto inattesa. Tuttavia, tenne conto delle in­dicazioni del medico, e aprì un'inchiesta sul caso. Dopo accurate indagini, gli investigatori scoprirono che l'oggetto delle attenzioni della ragazza era un giovane orafo di Samarcanda. La schiava lo aveva vi­sto un giorno, in piazza del mercato, e dà allora ave­va provato una fortissima attrazione per quest' uo­mo, desiderandolo ardentemente giorno e notte. Ma la ragazza era molto riservata, e non aveva parla­to al principe della sua passione. Non sarebbe stato bel­lo ripagarne le attenzioni con rivelazioni incresciose. Il principe era disperato, e soffriva nel vedere la ra­gazza deperire di giorno in giorno. D'altra parte non voleva nemmeno perderla, per cederla a un altro.
«Cosa posso fare?» domandò l'uomo allo scienziato che aveva individuato la natura della malattia. «Benché sia spiacevole per voi, maestà, non c'è al­tro da fare che esaudire i desideri della ragazza. So che ne siete innamorato, ma credetemi... Se la sua sa­lute vi sta a cuore, potrete restituirgliela solo così. As­secondate le volontà della vostra schiava, permetten­dole di godere della compagnia del suo amante, e attendete gli sviluppi della situazione» rispose il medi­co, che era anche un saggio, e sapeva quel che diceva.
Il principe dovette ammettere che il medico aveva ragione: la ragazza stava deperendo sempre più e non c'era tempo da perdere. «Andate a Samarcanda, prelevate l'orafo Tal dei Tali, e conducetelo qui il più in fretta possibile» or­dinò il principe ai suoi uomini. Essi obbedirono, e condussero l'orafo al palazzo. «Cosa volete da me? Perché mi avete portato qui? Non ho fatto nulla di male, e non ho mai offeso il principe!» chiedeva angosciato il giovane.
Il principe apparve al cospetto del prigioniero, dicendogli: «Non hai nulla da temere. Devi soltanto obbedire ­ai miei ordini, e sposare la fanciulla che ora ti pre­senterò.» L'orafo temeva un inganno, ma quando vide la futura sposa abbandonò ogni dubbio, e fu ben lieto di assecondare il suo sovrano. «Questa fanciulla è incantevole, maestà. Benché, co­me vedo, sia molto malata. Ma perché volete che io...» Il principe lo interruppe: «Non preoccuparti. E sposala subito, prima che sia troppo tardi»
La malattia aveva profondamente prostrato la ra­gazza, intaccandone la bellezza. Tuttavia, restava an­cora in lei un fascino sottile, che l'orafo poté percepi­re e a cui non riuscì a sottrarsi. Subito dopo la celebrazione delle nozze, la coppia visse giorni felici. Come per incanto la schiava si riprese dalla malattia; riacquistando i tratti gentili d'un tempo. In ogni momento di intimità, i due amanti si scambia­vano frasi appassionate. Un dolce richiamo sensuale li spingeva l'uno nelle braccia dell'altro. Non c'è che dire: diagnosi e terapia erano proprio azzeccate!
Ma un uomo era molto infelice: il principe, triste e afflitto, camminava nella sua stanza senza darsi pa­ce. La sua solitudine era un fardello insopportabile: proprio ardua da sopportare, in contrapposizione al­la felicità della schiava e dell'orafo, finalmente uniti.
"Sapevo che mi sarei sentito così. Ho fatto male ad assecondare i desideri della mia schiava" pensava il principe... Dopo circa sei mesi, il medico che si era rivelato il più accorto ebbe un'idea. «Principe, ho trovato un modo per alleviare la vo­stra solitudine. D'altra parte, qualcuno ne soffrirà.» Lo scienziato, che era, anche un 'alchimista, pre­parò nel suo laboratorio una droga potente. La sera stessa, mentre cenava con la coppia di amanti, versò il filtro nel boccale dell'orafo. Il giovane accusò una strana stanchezza, e dovette ritirarsi nella sua stanza. Dopo pochi istanti, la pozio­ne agì: la vittima cominciò a perdere forza e vitalità, ma senza soffrire. I muscoli si fecero meno turgidi e s'afflosciarono, mentre il viso del giovane cambiava.
«Cosa mi sta accadendo? Sono diventato improv­visamente... vecchio! Ho moltissime rughe! Non so­no più io!» constatò amaramente l'orafo. Ormai stentava a riconoscesi, e infatti sembrava proprio un'altra persona. Nel frattempo la cena era terminata, e la giovane sposa entrò nella sua camera per abbracciare come ogni notte l'incantevole marito. Ma quella volta ebbe una spiacevole sorpresa.
«E... tu chi sei? Dov'è mio marito?» La giovane vide nella stanza uno sconosciuto, dal­l'aspetto sgradevole, e a stento seppe trattenere un moto di disgusto. «Sono io l'uomo che cerchi.. Però sono cambiato, e non so perché! Ti prego di ,credermi!» rispose lo sventurato. Dopo un attimo di sbigottimento, la ragazza prese atto della situazione. Il mostro ripugnante che aveva davanti era proprio suo marito, l'orafo di Samarcanda che un tempo aveva destato nel suo cuore un'ardente passione.
L’alchimista era riuscito nel suo intento: d'ora in poi la vita della coppia non sarebbe stata più la stessa. Il decadimento fisico dell'orafo ebbe gravi conse­guenze. In brevissimo tempo gli sguardi d'amore del­la ragazza scemarono, fino a svanire del tutto. Malgrado ciò nel cuore della schiava stava nascen­do una piacevole sensazione.
"Non so proprio cosa mi stia succedendo. È come se entrassi in un nuovo mondo" pensava la giovane. È difficile descrivere cosa provasse la ragazza. In certi momenti si sentiva attratta dal principe. Que­st'ultimo, che non aveva mai smesso di desiderarla, le andò incontro, per amarla. La giovane comprese improwisamente la propria situazione. "Tutta la mia esistenza è trascorsa invano. Non so­no che una ragazza frivola, interessata alle bellezze mondane, e all'esteriorità. "Per questo mi sono invaghita del giovane orafo: era stata la sua bellezza a turbarmi. "Ma ora capisco che dietro la vita materiale ce n'è un'altra, e sarà il principe a farmela conoscere!
"Ora posso aprirmi a una nuova esistenza. Sento per la prima volta che non sono attratta dalla bellez­za fisica, bensì dall’interiorità di quest'uomo!" con­fessò a se stessa la ragazza.
Da quel momento fu sinceramente interessata alla persona del principe, al suo mondo interiore e alle fre­quenti solitudini. La bellezza della ragazza divenne più sottile, fino ad assumere sembianze uItraterrene. E solo in quell'istante la giovane capì di non essere più una schiava. Era libera per sempre, ormai.

Tratto da   "Il canto del derviscio. Parabole della sapienza Sufi"

 
 
 
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