Creato da gianni_zanichelli201 il 15/10/2013

Solamente io: Gianni

Pensieri in libertà...

 

 

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Post n°3 pubblicato il 18 Dicembre 2013 da gianni_zanichelli201

Lettera a mia moglie 

Amore mio,
mesi fa ti ho scritto una lettera che hanno letto in tanti: amici, estranei, curiosi. Gente che ha pianto con me la tua morte e gente che la sera del funerale era già scappata. Provo a darle un seguito.
Sei via da otto mesi e mezzo, tempo in cui sono successe cose che avresti condiviso con me. Sempre un po' in disparte, però, non amavi apparire. Un amico in radio mi ricordava l'altro giorno che una foto in cui siamo in gruppo, dopo una diretta mattutina, la scattasti tu. Quando lui ti propose di farti fotografare, dicesti che preferivi stare dietro l'obiettivo. Ti facevi fotografare solo da me o da Susi, ma quella era famiglia: la tua missione. Nel romanzo nuovo ho inventato una ragazza di quindici anni, l'ho chiamata Mirka. Anche lei non ama farsi fotografare. Dice che le foto in cui uno si mette in posa e viene bene poi le usano per la sua lapide: "Se vengo male in tutte le foto c'è il caso che non debba morire mai". Non ti è capitato - forse perché venivi bellissima in qualunque scatto, in vestaglia e ciabatte o in abito da sera - di non dover morire. Sai cosa mi riempie di tristezza? Il vuoto. Che cosa scema, paradossale. Ora fotografo casa, nella speranza di trovare un tuo riflesso sulla pellicola, un'ombra sul muro, un bicchere sporco di rossetto. Le stanze si aprono e chiudono e non c'è nessun fantasma a parte quello del bene che ci siamo voluti, e opprime, e da solo non so quanto riuscirò a sopportarlo. Ho conosciuto quei ragazzi che da ragazzi ci facevano sognare, e ballare abbracciati tutto un pomeriggio e baciarci fino a non aver più labbra e quando dico che li amo perché fanno parte della nostra storia qualcuno ride, qualcuno alza le spalle. Ma non importa. Ho parlato loro di te. A Red ho regalato l'Apocalisse: è stato buffo, caotico, indimenticabile. Siamo diventati amici, ogni tanto ci sentiamo. Lui mi chiama Franci di Narni, perché se no dice che si confonde col figlio di Facchinetti, siamo andati a mangiare insieme, avrei dato un braccio perché ci fossi anche tu. Un altro anno scolastico è finito, il più doloroso e difficile, hanno promosso gran parte dei nostri ragazzi: un discreto successo. Amici che si sposano, amici che si lasciano: è capitato anche questo. Susi gioca a basket come una veterana: ha classe ed è cattiva il giusto; va in seconda media, come sai. Bei voti, a parte matematica: la prof le ha dato sei. D'altronde, il sangue non è acqua. Di questi tempi facevamo le valigie. Tu eri previdente a metter dentro tutto quello che serviva e molto di più. Questa estate tocca a me farla, io e Susi andiamo un po' al mare. Metterò nel trolley cose doppie e dimenticherò qualcosa di importante: non ho il tuo talento. Poi riprenderà la scuola, e a novembre il libro nuovo. Tornerò a Siracusa e questo, già lo so, mi farà male. Fausta mi ospiterà di nuovo a Casa Dodò, dove siamo stati bene e dove ci siamo regalati l'ultima vacanza da soli. Non lo sapevamo che era l'ultima e ce la siamo goduta. Ti ricordi  che abbuffate di arancini e cassate? Eri bellissima, la chemio non ti aveva scalfito. Soffro di solitudine, è evidente a tutti. Non hanno ancora inventato qualcosa per trasformare la disperazione in energia; se esistesse un apparecchio così lo comprerei subito. Con la mia, sofferta in quattro anni di malattia e poi di perdita, potrei mandare avanti una centrale atomica. A consolazione, ho solo questa povera scrittura artigiana.  La nostra piccola casa ci ha costretto a sfruttare tutti gli spazi: nel tuo comodino, in fondo a un cassetto, ho trovato un reggiseno. C'è ancora il profumo della tua pelle: giuro, non è follia. Si è conservato là dentro per tutto questo tempo. Ho chiuso gli occhi e - anche se sulle foto non riesco a scovarti - mi sei tornata davanti magnifica e innamorata. Poi quando ho provato ad abbracciarti non c'eri già più

 
 
 

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Post n°2 pubblicato il 02 Novembre 2013 da gianni_zanichelli201

Il primo giorno di ora solare, il buio in anticipo rispetto a ieri; puoi guardare dentro le finestre dalle luci accese e vedere come vive la gente. Ad Alessandra piaceva, quando andavamo a zonzo per mano fino a sfiancarci, senza neanche una bicicletta per fare più veloce. Il sabato pomeriggio, qualunque cosa succedesse al mondo,esistevamo solo noi, appiedati e lenti, tra la periferia e il corso. Ci siamo invecchiati a camminare centinaia di chilometri, a guardarci innamorati. E comunque a lei piaceva sbirciare dentro le case. Non era invadente, le piaceva perchè la sua famiglia era rissosa, scollata. Voleva vedere se altrove fossero stati più fortunati. Il buio ci mangiava i piedi, a un certo punto. Allora per rassicurarci seguivamo chiazze di luce per terra, tuffate dai lampioni e dai negozi. Io cercavo di portarla al parco, su una panchina nascosta tra gli alberi, per trovare un passaggio tra tutti quei vestiti che aveva indosso e arrivare con la mano alla meraviglia del piccolo seno. Quando ci arrivavo era solo per sfiorarne la carne, si ritraeva sorridendo, si ricomponeva se sentiva lontano dei passi. Non ricordo nella mia vita un'emozione più urgente, più perfetta, di quello sfiorarle i capezzoli per un solo istante. Avevamo 17 anni.
Un poco più grandi salivamo in macchina alla casa di campagna disabitata. D'inverno si gelava, ci infilavamo a letto vestiti alle tre di pomeriggio, ci levavamo giusto le scarpe, le lenzuola erano fradicie. Aspettavamo che scendesse la notte collinare, alle quattro e mezza era già buio e ci toglievamo un indumento ogni venti minuti. Verso le sei eravamo pronti a far l'amore: ero ubriaco perso di lei. Guardarla era grandioso, credo di aver capito cosa sia la bellezza ammirando il suo corpo acerbo accanto al mio, ci guardavamo senza dir niente, finché il buio ci faceva scomparire l'una alla vista dell'altro. Allora veniva a sdraiarsi sopra di me, impacciata e tenera, e io pensavo che sarei potuto morire in quel momento senza nessun rimpianto. Facevamo un amore inesperto, senza malizia; una pausa e poi un'altra volta, più adulta, prima di rivestirci scaldando gli abiti davanti alla stufa elettrica. Nel buio sentivo la sua pelle dappertutto, la sua voce dirmi Ora stai fermo, tesoro, e tieni le labbra chiuse, il suo alito di primavera a un centimetro da me, la bocca che si schiudeva pudica a baciarmi.
In macchina, a scendere malinconicamente verso casa, sembrava un fiore stropicciato, le guance arrossate, gli occhi innamorati. Parlavamo di vita insieme, per sempre. Di non fare l'università, trovare un lavoro, per stare più presto accanto. Insisteva lei, soprattutto. Forse un presagio, chissà. Fretta di vivere. E io che non sospettavo che aveva già visto il suo sogno cadere in pezzi giovane e pretendeva allora e non domani il suo diritto alla felicità.

 
 
 

07.08.2013

Post n°1 pubblicato il 15 Ottobre 2013 da gianni_zanichelli201

Stamattina, calpestando l'ombra dei palazzi, nel tragitto infocato tra la radio e la macchina, ragionavo sulla sofferenza. Quella di mia moglie, che è stata privata della cosa cui più teneva: la sua famiglia; e la mia, che sono stato ingannato da chi credevo sincero sulla malattia e sul tempo che le restava da vivere. Un anno fa, di questi giorni d'agosto, ho intuito che eravamo alla fine: ben più tardi di altri che - sapendolo -  han deciso che non era il caso di dirmelo. Fino all'ultimo ho però sperato di sbagliarmi, ho sperato che quella debolezza invincibile, quella voce sottile, quegli occhi da uccellino fossero solo un effetto accettabile, passeggero, di farmaci risolutivi. Chi segue con affetto quanto scrivo (grazie davvero) sa che non mi tiro indietro a raccontare perfino l'intimità perché mi serve per inchiodare tutto alla memoria. Non voglio dimenticare. Vorrei soffrire meno, quello sì, ma vorrei ricordare ancora di più. Insomma, il tre agosto del 2012 io e Alessandra abbiamo fatto l'amore l'ultima volta. Lei era bellissima, a che serve che lo dica? Chi l'ha conosciuta lo sa e per gli altri, beh, giuro che lo era. Faceva caldo da morire, Susi era dai nonni: Perché non ti togli la maglia?; Sotto non porto niente; Appunto....
Ho ricordi di una dolcezza infinita, passammo tutto il pomeriggio a saziarci di noi e appena sazi subito tornava la fame: ero straziato dalla felicità. Dimenticai la malattia, quel pomeriggio, o almeno la coprii con la meraviglia della contemplazione del suo corpo perfetto. Il giorno dopo si sentì male: la corsa in ospedale, le analisi mentre urlava dal dolore e i medici di guardia giocavano a corteggiare le infermiere e si mettevano d'accordo su dove andare a cena. Poi la morfina, il dolore addormentato. La sera, in ospedale, mi dice Tesoro, mi accompagni in bagno? con tutte le flebo attaccate e io non sapevo che non doveva alzarsi dal letto. Mi svenne tra le braccia, distesa sul pavimento, urlai, vennero degli infermieri, più pronti e premurosi dei medici di prima. La rianimarono.
La fecero tornare a casa, l'indomani. Non ho saputo, potuto più sfiorarla: temevo di farle del male. Abbiam vissuto gli ultimi mesi come fratelli, non come moglie e marito. Le ho baciato la bocca, l'ultima volta, come la prima: che lei teneva gli occhi chiusi e le si arrossarono un po' le guance. Eravamo a scuola, davanti a una finestra che dà sul cortile interno. In quella passò la prof di matematica e si schiarì la voce e noi ci staccammo, vergognosi. L'ultima volta le guance gliele avevano colorate le addette al servizio funebre; intorno c'erano parenti in lacrime, qualcuno con cipolle al seguito per favorire la commozione, e il tavolo era di marmo, le pareti d'intonaco scrostato e c'erano troppi fiori a odorare di marcio. Poi l'ho baciata mille altre volte nella mia mente, l'ho abbracciata e le ho detto Ti amo e subito dopo Perdonami per tutte le volte che non sono stato il marito che voleva. Speriamo poche.
Ecco, a tutto questo pensavo, stamattina - un anno dopo - nell'ombra dei palazzi. A quale risarcimento possa esserci per una sofferenza così resistente, refrattaria a qualsiasi divagazione. Non riesco a immaginarne nessuno. E magari non ce n'é davvero nessuno: è tutto qui, tutto finito, tutto senza spiegazione. E penso a quelli che hanno la fortuna di invecchiare accanto a chi amano. Che più o meno soffrono tutti è una bugia che ti dicono per farti star meglio. La verità è che alcuni soffrono molto poco e arrivano assieme a novant'anni. Non che ce l'abbia con loro; è solo che tutte le preghiere che ho implorato, strillato, bisbigliato, mi pare di averle rivolte a un cielo che più vuoto di come appare non potrebbe essere.

 
 
 

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