Creato da iside1988 il 06/07/2013

Ishtar

il rigeneratore, la trance, l'harmonia oppositorum, i dissoi logoi, l'amore sacro e profano, il desiderio, la passione, l'ubriachezza desta e rigeneratrice...la vita...

 

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Lo spirito armonico mediterraneo

Post n°6 pubblicato il 30 Luglio 2013 da iside1988
 

Canto, musica e danza sono gli ingredienti basilari di questo discorso su alcune danze popolari del sud Italia che mi porterà a scavare nelle loro più arcaiche origini. Queste probabilmente, sono da ricercare nel mondo classico o pre-classico, come d’altronde tante altre manifestazioni culturali odierne del mondo mediterraneo. Vedremo, 
inoltre, come esse possano essere dei veri e propri rituali, alla stregua di quella 
sorta di rituale che era lo spettacolo teatrale in Grecia. In effetti, con il culto 
del teatro queste danze hanno molto in comune, non soltanto per l’ampio uso 
della cosiddetta mousiké costituita appunto, dalla triade canto-musica-danza, 
ma anche per il concetto di enthousiasmos collegabile ai riti in onore del dio 
dell’ebbrezza, dell’unione degli opposti vita e morte, ossia Dioniso ma dove, 
soprattutto, gli abitanti della polis avevano modo di riflettere, confrontarsi con 
le proprie passioni e ottenere per mezzo degli esempi dei grandi eroi del mito, 
la catarsi. A quest’effetto del teatro ellenico, ampiamente conosciuto, ne 
aggiungerei un altro, ovvero l’effetto di rilassamento e ulteriore purificazione 
ottenuto grazie al “pensiero armonico”. Strettamente collegato al mondo 
mediterraneo (dove il mare omonimo con il suo moto ondoso che collega le 
terre che vi si affacciano, permette l’accoglienza del diverso portando con sé un certo grado di liberalismo mentale). 
Il pensiero armonico potrebbe essere quindi, tra le altre cose, uno degli 
elementi costitutivi ideologicamente di rituali come lo spettacolo teatrale nel 
mondo classico oltre che altre manifestazioni dominate dalle tre arti menzionate sopra. 
Per una prima comprensione di esso bisogna analizzare l’etimologia della 
parola“armonia”. Vi ritroviamo il greco harmozèin: connettere, unire. 
Esso nasce dal rapporto anticamente molto forte con la natura (physis). I greci 
modellavano su di esso il proprio agire: i cicli della natura come l’alternarsi 
delle stagioni, il ciclo lunare ecc... venivano osservati e poi imitati con riti che 
li celebravano così come aveva già fatto il mito. 
Lo spirito armonico, perfettamente rappresentato, non dal cerchio e nemmeno 
come vuole il pensiero storiografico per cui tutto tende ad un fine senza 
possibilità di ritorno, dalla retta. Il suo simbolo che, se vogliamo, mette 
insieme i significati dell’uno e l’altro approccio, è la spirale. Stiamo parlando 
di un simbolo che vuole riassumere il significato del ciclo della physis e del 
suo eterno vivere-morire-rinascere, inteso non come ritorno dell’identico, 
bensì come ritorno dell’analogo. Il pensiero armonico mette in campo, per 
prima cosa, l’eterno scorrere del tutto, il “panta rei di Eraclito” a cui si 
aggiunge “l’imprescindibile aspetto dinamico dell’harmonia oppositorum”. 
Sono manifestazioni culturali che potrebbero derivare da un 
mondo mediterraneo antico, dunque, dominato da questo pensiero armonico, 
che potrebbe influenzare ancora oggi molti aspetti della vita dei paesi che 
affacciano su quest’affascinante mare. Se il lettore mi darà ragione, si potrà 
intravedere una sorta di sopravvivenza del rituale dionisiaco-coreutico-
musicale. Luoghi come l’ex Magna Graecia che, ricordiamo, comprende oltre 
la Sicilia, le Puglie e parte della Campania, hanno meglio preservato l'essenza 
ultima delle manifestazioni rituali e mitiche del pensiero armonico. 
In effetti, si può notare la continuità con lo spirito di un antico mondo mediterraneo, di alcune danze che, sembrano poter fungere da fil rouge ricongiungente le pratiche di iatromusica e iatrodanza (terapeutiche) elleniche (come il dionisismo, l'orfismo e il coribantismo greco) alle danze popolari di buona parte del sud Italia. 
La pizzica salentina, alcune tarantelle irpine (la tarantella Montemaranese, in 
particolare) la tammurriata campana, sono forme coreutico-musicali 
apparentemente differenti l'una dall'altra ma, in realtà, imparentate per la loro 
connotazione mitico-rituale. Esse sono, soprattutto, frutto di una cultura tutta 
mediterranea che, a sua volta, potrebbe affondare le radici, come già sostenuto 
poc'anzi, in una cultura fondante per i popoli che affacciano sul mare nostrum. 
Forme di terapia psichica e di cura che permettono il distaccarsi momentaneo 
dalla quotidianità e dai suoi problemi per entrare in un mondo-altro grazie a 
ciò che, in potenza, ciascuno di noi potrebbe ottenere, ossia una forma di 
trance. A me piace definirle“danze estatiche”. Questa definizione è giustificata e riconosciuta dai tanti 
cultori di suddette forme coreutiche, che d'altronde, permettono anche a questo grande repertorio culturale di sopravvivere. Parlando con danzatori di 
varia provenienza ed età, infatti, mi è stato confermato che danzando e 
liberando la mente dai pensieri, cosa che avviene sopratutto grazie al suono 
degli strumenti utilizzati per la musica a supporto di queste danze (vedi il 
suono caldo e ripetitivo del tamburello) e facendo sì che gli arti si muovano 
quasi meccanicamente senza concentrazione, è possibile raggiungere uno stato 
mentale simile, per molti aspetti, ad una trance. Potremmo trovare riscontro, 
giusto per fare un esempio, negli stessi studi demartiniani sulle “tarantate” 
salentine che riescono a danzare per ore accusando poco o nulla la stanchezza 
e, al termine della danza, non ricordano quello che hanno detto o fatto. Esse 
presentano tutte le caratteristiche analizzate da Rouget nel suo lavoro sulla 
trance (trance di possessione). 
Spesso si è riluttanti ad accogliere queste forme coreutiche nell’albo dell’arte 
o danza colta, optando a relegarle nel rango di quella minore o, in senso 
dispregiativo, folklorica. Benedetto Croce riflettendo proprio su questo, 
sostiene che la gente “incolta” produca un’arte che ritrae “sentimenti 
semplici” con “cose semplici” mentre l’arte individuale un sentire complesso 
e ricco di sfumature5. Ma se le cose di cui gli artisti popolari possono disporre 
sono semplici, i sentimenti (come i tarantati con la loro danza fortemente 
simbolica dimostrano) possono essere tumultuosi, profondi, complessi e ricchi 
di sfumature. Ciò che li differenzia in realtà è il fatto che si tratta di sentimenti 
condivisi e collettivi, non coincidenti con quelli soltanto individuali. Ci troviamo di fronte ad un’arte diversa che ha semmai come forza in più proprio 
il fatto di essere condivisa e di fare riferimento ad un inconscio collettivo le 
cui origini risalgono ad una remota età dell’oro. 
Analizzerò quindi innanzitutto la storia, le tecniche coreutiche e quelle 
strumentali e musicali senza basarmi unicamente su, quella che è considerata 
da molti etnomusicologi, la “Bibbia del tarantismo” che è La terra del rimorso 
di Ernesto De Martino.Più che “terra del rimorso”, il Salento si possa definire una “terra della rinascita” e queste forme coreutiche e musicali hanno, quindi, un retaggio culturale antico che si fa portavoce di un sistema di pensiero e riti che, se posti come 
modello di comportamento, potrebbero portare ad un nuovo “Umanesimo 
mediterraneo”. 

 
 
 
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