Creato da Janus_13 il 05/12/2006

Janus Reloaded

Sulla via di Damasco

 

 

Capitolo 2: DOMANI 1°Parte

Post n°7 pubblicato il 18 Dicembre 2006 da Janus_13
 

8 giorni fa

"Alice... svegliaaaa"

Cazzo, no... è già mattina.
La voce stridula di quel mostro chiamato "mia madre" ruggisce il suo richiamo animalesco dalle scale.
Che palle.
Mi guardo intorno, mentre gli occhi cercano di abituarsi alla luce.
Io odio la luce.

Che casino che c'è nella stanza.
Sembra che ci sia stata una squadra di pallacanestro.
Magari, almeno mi sarei alzata con un sorriso invece di questo cazzo di mal di testa perenne.
Mi alzo, cercando di schivare i vestiti e i libri un po' sparsi dappertutto sul pavimento.

"Aliiiiiceeeeee"
Il predatore "mia madre" ricomincia col suo ululato, preludio di un frantumamento di coglioni servito con sciroppo d'acero e fette di pane tostato.
Se li avessi i coglioni, ovvio.
"Arrivo ma'" le urlo dalle scale. Ma l'istinto mi dice che tornerà alla carica tra poco.
E poi mi chiedono perchè soffro di emicrania.
Io odio il rumore.

Un doccia rigorosamente gelata perchè lo scaldabagno è rotto e di corsa a mettere un po' di logica nella mia giornata.
Un paio di pantaloni a caso, purchè neri e larghi, la mia felpa verde portafortuna (che ne ho tanto bisogno), il cappello da baseball di papà sulla testa e via, giù ad affrontare la belva "mia madre".

Arrivo in cucina, scivolando sul corrimano come al solito. A 12 anni lo facevo perchè mi divertiva. Ora lo faccio solamente perchè la fa incazzare.
Non è che mi stia proprio sulle palle, è che immagino sia normale inimicizia femminile. Ecco perchè non ho amiche femmine.

Le donne si sbranano tra loro, come se seguissero un istinto primordiale.
Avete mai visto 4 donne ad un tavolo giocare a poker ? No, perchè ci sarebbero almeno 3 omicidi. Gli uomini sono molto più lineari, semplici, e anche un po' allocchi.
La compagnia giusta.
E poi a dire la verità, i rapporti tra noi si sono un po' induriti dopo la morte di papà, quattro anni fa.
Non che sia colpa sua. Il cancro non risparmia nessuno, nemmeno un figo come papà.

In cucina l'odore di caffè si alza dalla tavola apparecchiata come se ci fosse a colazione il re di Chissenefrega.
Riesco quasi a vedere la nuvola nerastra alzarsi dal bricco.
Io odio il caffè. E ancora di più odio il suo odore. Mi da sui nervi.

La tv accesa sul notiziario parla della crisi economica e del prezzo del petrolio che continua a salire.
Coperto dal giornale, Arthur sta dando una scorsa alla cronaca locale. Appena mi sente arrivare, abbassa la prima pagina sfoderando uno dei suoi migliori sorrisi.
Art è il mio patrigno. Solitamente nei film il patrigno è un alcolizzato, che picchia la moglie, molesta le figliastre e finisce solitamente con la testa fracassata in un disperato tentativo di difesa.
Ma questa è la vita reale e Art è molto diverso da un personaggio del cinema. E' un uomo gentile, educato, sorridente, non beve, non fuma, non bestemmia, lavora come ricercatore per una grossa azienda farmaceutica e quello che è più importante, non ha mai preteso che lo chiamassi "papà".

"Buongiorno Alice" mi dice piegando il giornale di fianco al suo solito piatto di uova e pancetta.
Come cazzo faccia a mangiare quella roba alle sette di mattina credo rimarrà uno dei grandi misteri della vita umana come chi siamo, dove stiamo andando e soprattutto perchè continuiamo a farci così tante domande di merda che non portano proprio a niente.
"Ciao Art" gli rispondo sedendomi. Lei è lì che mi porge il pane tostato col suo solito sguardo incazzato, ricambiato.

Succo d'arancia, due fette di pane tostato.
La mia colazione fin da bambina.
Solo che allora papà mi raccontava raccontava storie divertenti e mamma rideva sempre.
Ed io ero felice di svegliarmi al mattino.

La sento che comincia a inveire sul mio modo di vestire, sulla mia camera sempre in disordine, su come combino sempre disastri.
Fanculo.
Mi infilo le cuffie e giù di Rage against the Machine a tutto volume.
E lei si incazza ancora di più.
Art come al solito fa finta di non sentire niente. Le prime volte provava a mettersi in mezzo. Poi ha capito che è meglio stare da parte quando le due belve di casa ringhiano.

Mi alzo, schiocco un bacio sulla pelata di Art che mi sorride ed esco.
Si vede che l'Arpia "mia madre" ci rimane male perchè non la saluto.
Alcune volte penso di essere proprio una stronza, che in fondo mia madre non è così male, che vorrei solo dirle "ti voglio bene" e darle un bacio come facevo anni fa.
Domani... sì domani lo farò.
Oggi non ne ho voglia, ho le palle girate.

Esco di corsa di casa, con lo zaino sulle spalle e vado alla fermata dell'autobus.
Dopo 10 minuti di attesa, sul pannello luminoso appare la simpatica scritta "Servizio sospeso per guasto meccanico del mezzo".
Guardo il cielo e mi lascio scappare un "ma ce l'hai con me ?". Non mi aspetto la risposta a una domanda tanto retorica.
Se facessero una gara mondiale di sfiga, arriverei seconda. Già, se arrivassi prima che sfiga sarebbe ?

Comincio a camminare, frugando nelle tasche per cercare una fottuta sigaretta.
Se mi vedesse mia madre mi strangolerebbe con le sue stesse mani, senza contare che è illegale per me fumare.
Almeno fino alla maggiore età, ovvero ancora per tre mesi.
Ma le leggi sono fatte per essere infrante no ? Altrimenti, dove è il divertimento ?
E poi chi se ne fotte.

Continuando a fantasticare sul mio perfetto e utopico mondo anarchico in cui ognuno può fare quel cazzo che vuole fino a che non rompe le palle al prossimo, guardo l'orologio.
Fanculo... dovrei essere tra tre minuti a scuola e contando che ci sono almeno altri 3 isolati da fare mi servirebbe raggiungere la velocità di curvatura spazio-tempo per arrivare in orario.
Il che vuol dire che si deve applicare la 1° legge della fisica di Alice : vista l'impossibilità della muscolatura umana di raggiungere una velocità paragonabile a quella della luce o superiore, sono fottutamente in ritardo.
Con tutti i rompimenti di coglioni che ne conseguiranno.
Che bella giornata.

Arrivo davanti al liceo con 27 minuti di ritardo.
Battuto il record personale precedentemente fissato sui 29 minuti.
Se continuo così, alla fine dell'anno potrò gareggiare alla maratona.
Certo che se la sfiga continua ad accanirsi così per tutto l'anno, non ci arriverò mai alla fine.

Dopo i canonici 16 minuti di cazziata da parte del preside che ci tiene a ripetermi che sono una fallita e che la puntualità è tutto, arrivo in classe.
I primi tempi cercavo di spiegargli che non è colpa mia. Ma neppure io al posto suo crederei che può esistere una tanto sfigata.

-Continua-

 
 
 

Capitolo 2

Post n°6 pubblicato il 15 Dicembre 2006 da Janus_13
 

Quasi finito il 2° capitoletto di Alice in Deadland. So che molti di voi mi odieranno :D perchè il primo capitolo è in media res.

A presto

 
 
 

Un altro John Lee Hooker

Post n°5 pubblicato il 12 Dicembre 2006 da Janus_13
 

Le luci della città filtrano nel mio studio e mi trovano ancora qui, tra tutti i miei vecchi ricordi.
Seduto nella mia poltrona continuo a guardare fisso nel vuoto, cercando qualcosa che non arriva.
Come se quel qualcosa potesse scuotermi dall'apatia in cui mi sono rinchiuso.
Mie unici compagni, le tre bottiglie oramai vuote e un bicchiere a metà.

Un altro John Lee Hooker. 1/3 Bourbon 1/3 Scotch 1/3 Birra. Ma ho finito il Bourbon e verso al suo posto Whiskey del Tennessee.
Spero il buon vecchio John Lee non se la prenda per questa licenza poetica.
Anche se qui di poetico c'è ben poco.

Fossi in "Casablanca", il barman mi servirebbe il drink e io mi accenderei una sigaretta ascoltando le note del pianista.
Aspetterei fino alla fine prima di dirgli "Suonala ancora Sam".
Ma io non sono Rick Blaine. E questo non è un film.

Apro il cassetto della scrivania, cercando qualcosa per pulire qualche goccia di birra che è caduta sul tavolo.
O forse per cercare il motivo che mi tiene qui, in questa stanza... al buio e in silenzio.

Lentamente dal cassetto spunta il mio distintivo. "Jonathan Francis Coleman - 47esimo distretto - Dipartimento di polizia di Hell City".
Ricordo come fosse ieri il mio primo giorno di lavoro. L'orgoglio di mostrare quel distintivo, la convinzione di poter fare qualcosa per gli altri, la sicurezza che chiunque, nel suo piccolo, può fare qualcosa per rendere il mondo migliore.
Lo riguardo adesso, dieci anni dopo. Non è così brillante come un tempo, intaccato dalle macchie del tempo e non solo.
Quanti criminali ho visto entrare e uscire di prigione il giorno dopo per un cavillo burocratico, perchè parenti di qualche pezzo grosso o per "questioni di forza maggiore".
Li ho visti uscire per poi ridere di noi appena fuori dalle sbarre.
No. Oramai non ci credo più in quel distintivo.

Bevo in un sorso tutto il bicchiere e torno al cassetto.

Due volti mi fissano dentro una cornice nera. Due ragazzi giovani, felici nel giorno del loro matrimonio. Sotto di loro una scritta a pennarello. "Nei giorni belli e in quelli brutti. Nella luce e nel buio. In salute e in malattia. Per sempre. Jessica Cassidy"
Jess. Sembrano passati secoli. Quando l'uno era il mondo dell'altra e mi bastava guardare i suoi occhi per sapere che non avevo bisogno di altro.
Quando rimanevamo svegli fino al mattino per parlare del futuro, dei nostri sogni, della vita che avevamo davanti.
Perchè non riesco più a parlare con te ?
Perchè non riesco più a piangere e a ridere con te ?
Non ti sento più. Non riesco più a sentirti vicino, anche quando dormi accanto a me, quando pranziamo insieme.
Sei distante. O forse lo sono io.
Ti ho persa. Mi hai perso. Anche se non te ne sei ancora accorta, anche se ti aggrappi disperatamente a me, non è rimasto più nulla.

Sento le lacrime scendermi dalle guance, ma le asciugo subito. "Gli uomini non piangono John" diceva sempre il mio vecchio. Ma io vorrei tanto farlo.
Sposto la foto, anche se gli occhi sembrano non volersi muovere da quella fotografia.

Mi verso un altro bicchiere. Dietro alla foto il numero 104 di Capitan America. Un pezzo da collezione.
Da piccolo adoravo Capitan America. Lui combatte per la giustizia e la libertà, aiuta i deboli e gli indifesi, arresta i malvagi e senza neppure versare una goccia di sangue... lui sa sempre qual'è la cosa giusta da fare.
Non come me.

Io ho una predisposizione naturale solo per sbagliare.

Comincio a sfogliare il vecchio giornalino, ridendo come un bambino. Ma sto mentendo a me stesso. Perchè vorrei tanto urlare invece.

Qualcuno bussa alla porta.
"Che c'è ?" dico e il sorriso muore sulle mie labbra. Chi vuoi che sia John ? "John... sono io... Jess... posso entrare ?" la sua voce è rimasta la stessa di quando ci siamo conosciuti al liceo. Ma c'è qualcosa che quindici anni fa non c'era. Dolore e paura.
"Jess... lasciami in pace per favore" quel 'per favore' esce più come una minaccia che come una richiesta. Non avrei mai voluto risponderle in quel modo. Ma è diventato naturale cercare di allontarla.
"John non ti fa bene rimanere da solo... lasciami entrare... ti prego" risponde lei. Riesco quasi a vedere i suoi occhi anche attraverso la porta.
Anche se la voce si tinge di speranza, so che si sta sforzando di trattenere le lacrime... al di là di quella porta che diventa ogni giorno sempre più spessa.
"LASCIAMI IN PACE" grido, scagliando contro la porta il bicchiere che si infrange in mille pezzi.
Dio... non avrei mai voluto farlo... ma non posso farne a meno.
La sento piangere.
Ma non mi alzo.
Vorrei tanto correre da lei, abbracciarla, dirle che si aggiusterà tutto.
Ma non posso.
Non riesco.
Qualcosa mi blocca qui.
Tutto quello che riesco a fare è borbottare un "al diavolo il bicchiere" e attaccarmi direttamente alla bottiglia.

E' proprio vero.
Quando pensi di avere toccato il fondo, puoi sempre metterti a scavare.

Solo un foglietto è rimasto nel cassetto. Un piccolo cartoncino rosso.
Una calligrafia malferma ed incerta.
"Buon natale papà. Ti voglio bene. Erik"

Lascio cadere la bottiglia cercando di portarmi le mani alla bocca per non gridare.
Ero sicuro di avere portato in soffitta tutte le cose di nostro figlio, come ci aveva detto di fare il terapista.
Evidentemente non era così. Avevo dimenticato quel piccolo, minuscolo pezzo di carta.
Tremo, mentre la mano cerca di afferrarlo tra le mani, delicatamente, quasi potessi fargli male.
E riesco solamente a ripetere "mi manchi Erik".
Tra le lacrime.
All'infinito.

 
 
 

Prefazione

Post n°4 pubblicato il 09 Dicembre 2006 da Janus_13
 

Grazie a tutti intanto. Il secondo racconto, oramai ultimato, è invece del filone "Hell City Blues", una serie di racconti ambientati in una città corrotta e violenta che è la quintessenza di qualsiasi megalopoli americana. Una città talmente "reale" che potrebbe essere Detroit, Los Angeles, New York, Dallas. Ma non è nessuna di queste. Come al solito sarò molto felice di leggere ogni vs commento. A presto.

 
 
 

Capitolo 1 : DUE

Post n°3 pubblicato il 07 Dicembre 2006 da Janus_13
 

Oramai sono rinchiusa in questa stanza da 3 giorni, senza nessun contatto con l'esterno.
Continuo a fissare quella fottuta porta, secondo dopo secondo, pregando non so più nemmeno chi che regga o che qualcuno risponda ai miei messaggi.
Ma non risponde nessuno.

Li sento.
Colpiscono la porta, incessantemente. A differenza mia, loro non si rompono le palle, non si stancano, non devono dormire.
Loro vogliono soltanto una cosa. Mangiarmi, divorarmi, consumarmi. E non sto parlando di sesso.
La testa mi pesa come un macigno. Sono stanca, cazzo se sono stanca. Faccio fatica anche a respirare.

Perchè sono qui ?

No, devo smettere di guardare quella strafottuta porta.

Cerco di alzarmi, ma non riesco. Non ho più forza. Inciampo e ricado come fossi una marionetta a cui hanno tagliato di colpo i fili.
Sento una risata, una risata che mi gela il sangue nelle vene. Isterica, carica di paura e di rabbia.
Poi mi accorgo che sono io a ridere. Certo chi altro potrebbe essere visto che sono l'unica persona viva in tutto il palazzo ?

Rido.
Anche se vorrei tanto piangere.
Ma ho finito le lacrime ieri.

Mi guardo intorno. Faccio fatica anche a muovere la testa.
Il monitor del computer sulla scrivania mi dice "Errore di connessione 0x412. Rete non disponibile. Riprovare più tardi. Qualora il problema permanga, contattare l'assistenza. Grazie"
Contattare l'assistenza ? Lo farei volentieri, ma il cellulare mi dice "Errore di rete". Fanculo a tutti.
Sono quasi 40 ore che sono tagliata fuori dal mondo.
Quando mi sono chiusa qui per scappare da loro, il computer funzionava. Ho mandato decine di email, centinaia di messaggi. Aiuto. Ma da quel poco che ho letto da Google, non sono l'unica che ha questo problema.
Lo chiamano contagio. Dicono che si sta espandendo con velocità impressionante in tutto il continente.

Che stronzate.
Loro non sono malati. Ne fisicamente, ne mentalmente. Sono semplicemente strafottutamente morti, anche se per qualche ragione camminano ancora.
E hanno fame.

Come faccio a dirlo ? Ho sparato a uno di loro tre volte in pieno petto. Credete che si sia fermato ? Credete sia uscita una sola goccia di sangue dalle carni spappolate ?
No. E a casa mia, anche i malati e i pazzi sanguinano se li colpisci con un proiettile.
E poi... quel tanfo.
Oramai mi sono abituata a quell'odore dolciastro e nauseante di putrefazione.
Ci si abitua a tutto nella vita.
E la puzza è il problema minore in questo momento.

Torno a guardare la porta. L'armadio che le ho messo davanti è ancora lì, per il momento.
E' solo questione di tempo.
Niente è per sempre.
Figuriamoci una piccola porta di legno sbarrata solo da un armadio. Prima o poi riusciranno ad entrare.
Ma forse sarò fortunata, forse farò in tempo a morire disidratata prima.
La gola mi brucia da morire, lo stomaco si contorce tra fitte lancinanti e le labbra si spaccano ad ogni piccolo movimento.
Dicono che la morte per disidratazione sia una delle peggiori, ma è sempre meglio così che essere sbranati da quei mostri, come quel ragazzino che sedeva di fianco a me sull'autobus.
Le sue urla mi rimbombano ancora nelle orecchie. E quegli occhi... non credo riuscirò mai a scordarli.

Abbasso lo sguardo. La pistola che ho preso "in prestito" al cadavere della guardia giurata al primo piano è ancora lì tra le mie mani.
E pensare che prima di una settimana fa non sapevo nemmeno come si prende in mano un'arma.
Si impara a fare tutto quando la posta in gioco è la tua pelle.
Istinto di sopravvivenza. Puro e semplice.
Apro il tamburo. Conto i proiettili rimasti. Uno.. Due.
Che presa per il culo.

Me ne fossero rimasti di più proverei ad uscire.
Ne avessi solo uno, sarebbe chiaro cosa mi rimarrebbe da fare: infilarmi la pistola in bocca, assaggiare per un istante il freddo metallo sul palato e BOOM... premere il grilletto.
Pochi per combattere. Troppi per gettare la spugna.
Che numero di merda il due.
La mia solita fortuna.

Alzo gli occhi in alto.
Cazzo.
Hanno ragione. Se vuoi nascondere qualcosa, mettila in alto. Tanto nessuno ci guarda mai, in alto.

Mi accorgo solo adesso che il soffitto è un grande specchio.
Che cazzo se ne fanno di uno specchio sul soffitto di un ufficio.
Normalmente rimarrei ore a fantasticare sul perchè, pensando a chissà cosa succede la notte tra queste mura.
Adesso ho altro per la testa.
Il mio fan club è qui fuori. Stanno battendo contro la porta, mugulando. E tutti vogliono me.
Non sono così egocentrica. So che se ci fosse qualcun altro oltre a me probabilmente non avrei tutti questi "ammiratori", ma "fortunatamente" sono l'unico pezzo di carne viva nel raggio di chilometri, probabilmente.

Guardo il mio riflesso per un istante.
Sono orribile.
Non che sia mai stata una modella, ovviamente, ma non ero affatto male.
Adesso assomiglio più ad uno di "loro" che ad una donna.
Quasi istintivamente cerco di mettermi a posto i capelli sporchi e arruffati.
Che diavolo sto facendo ? Rido.
Non mi è mai fregato un cazzo del mio aspetto e adesso, in questo incubo di merda, mi preoccupo del trucco e capelli ?
Perchè deve essere un incubo. Deve.
 
Poi uno schianto mi riporta alla realtà.
Se di realtà si può parlare.
La serratura è saltata. La porta si apre di qualche centimetro e da dietro spuntano una mezza dozzina di braccia che si contorcono, che mi cercano, che mi vogliono.
Quanti saranno là fuori ? Dieci ? Venti ? Non ha più molta importanza.
I mugulii sono scomparsi. Ora li sento urlare, eccitati come bestie.
E' questione di secondi. Minuti forse. L'armadio non li potrà fermare a lungo.
Presto riusciranno ad entrare.

Potrei alzarmi. Potrei cercare di richiudere quella porta.
Ma sono stanca.
Troppo stanca.

Afferro forte la pistola tra le mani.
Respiro.
E faccio l'unica cosa che è sensato fare in tutta questa follia.

Svegliati Alice, cazzo svegliati.

BANG

-Continua ?-

 
 
 

AREA PERSONALE

 

TAG

 

ARCHIVIO MESSAGGI

 
 << Giugno 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
          1 2
3 4 5 6 7 8 9
10 11 12 13 14 15 16
17 18 19 20 21 22 23
24 25 26 27 28 29 30
 
 

FACEBOOK

 
 
Citazioni nei Blog Amici: 7
 

ULTIME VISITE AL BLOG

in3sist3nt3bride68lolyta2002RitrattoDiUnEmozioneti.vorrei.sollevareArdat_LiliLaSacerdotesssapetalinudila_sognatrice_82DaviLicious
 

ULTIMI COMMENTI

è scomparso.
Inviato da: ba_rm
il 01/11/2007 alle 23:09
 
Ecco il nuovo blog. Chiaramente ci metterò qualche giorno a...
Inviato da: janus_reborn
il 19/05/2007 alle 11:06
 
Ciao a tutti. Sono sempre io, Janus. Nulla accade mai per...
Inviato da: janus_reborn
il 19/05/2007 alle 10:17
 
ehi.....
Inviato da: vera.sm
il 18/05/2007 alle 10:43
 
Amico,spero la tua assenza prolungata sia dovuta a qualcosa...
Inviato da: principessa.yashoda
il 11/05/2007 alle 19:43
 
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963