Creato da Janus_13 il 05/12/2006

Janus Reloaded

Sulla via di Damasco

 

 

3° Capitolo : QUASI PERFETTO 3°Parte

Post n°12 pubblicato il 18 Gennaio 2007 da Janus_13
 

Getto la sigaretta a terra vicino allo scarico fognario. Il fumo sale lentamente costruendo piccole spirali che scompaiono nell’aria in pochi secondi.
Rimango a fissarla per qualche minuto, cercando di farmi ipnotizzare dalla danza confusa e convulsa di fuoco e tabacco. E ammoniaca. E mercurio. E le altre duecentomilasostanzetossiche terribilmente letali. Chissà perché quello che mi piace è nocivo alla mia salute.
La musica scompare all’improvviso. Due secondi di silenzio tra la fine di una canzone e l’inizio della successiva. Due secondi di silenzio interminabile, pesante come un macigno.

Poi, finalmente il silenzio viene squarciato.
Ma non dalla musica.
Da qualcos’altro, qualcosa che non saprei come bene definire.

Un breve lamento, una sorta di mugolio. Basso e sofferente. Non so nemmeno se sia umano. Disperato, ma famelico. Come se avesse… fame. Sì fame, una fame oscura e lacerante.

E proviene esattamente dal vicolo che il barbone mi aveva indicato.

Il sangue diventa ghiaccio nelle mie vene mentre nella mia mente il solo suono che riesco a udire è quello del mio cuore, che ha cominciato a battere all’impazzata. Per un istante non riesco a muovere nemmeno un muscolo. Poi mi volto lentamente. Sto tremando.
Proprio come quel barbone.
Ma da quella parte non c’è nulla, proprio nulla.
La musica riparte all’improvviso.
I due secondi più lunghi della mia vita.
Mi tolgo gli auricolari istintivamente, mentre mi accorgo che un grido di paura e sorpresa è uscito dalla mia bocca. 

Merda, Alice.

E dire che credevo di non essere un tipo suggestionabile.
Respiro. Anche se una parte di me continua a cercare una conferma. Continua ad ascoltare per capire se quel lamento c’era realmente o se la mia fantasia oggi ha cavalcato un po’ troppo.

Silenzio, solamente silenzio.

Non c’è nulla, proprio nulla. 

Uno grido lacera nuovamente quell’orrendo silenzio, facendomi sobbalzare.
Un canto di metallo che stride riempiendo l’aria. Mi volto di scatto. E’ semplicemente arrivato l’autobus e io non me ne ero neppure accorta. Tiro un sospiro di sollievo, che scioglie completamente la tensione accumulata.
Cazzo, se continuo così mi farò venire un infarto per le tre del pomeriggio.

Salgo senza pensarci due volte, sedendomi accanto ad una vecchietta che sta leggendo una rivista di cucina dietro ad un paio di occhiali spessi.
Ha uno scialle di lana bianco sulle spalle e un’aria terribilmente rassicurante, una specie di “Nonna da cliché”. Appena mi vede mi accoglie con un largo sorriso per poi tornare alla sua amata rivista.
Normalmente mi metterei a sedere in fondo al mezzo, cercando il posto più isolato di tutti, ma credo di aver bisogno di un’iniezione di normalità per riprendermi.
Sarei anche disposta ad ascoltare la ricetta della torta di mele vanigliate o del tacchino con ripieno di castagne.

No, non esageriamo. Non sono COSI’ disperata.
Meglio tornare a fracassarsi i timpani. Reinfilo gli auricolari e accendo la musica a tutto volume.  

Vorrei chiudere gli occhi e riaprili davanti al liceo. Cestinare questi brutti cinque minuti e borbottare un liberatorio “vaffanculo”.
Ma non sono il tipo che accetta volentieri i propri limiti. E la paura è un limite. Quando l’autobus passa davanti al vicolo indicato dal barbone, mi volto per vedere se qualcosa è cambiato.
Solito vicolo, soliti bidoni dell’immondizia, solita cartaccia a terra, un ragazzo in mezzo alla strada. 

No… questo non c’era.
Lo guardo.
Avrà più o meno la mia età, forse qualche anno in più, sicuramente meno di venti.

Capelli lunghi, scuri, nemmeno un’ombra di barba, vestito completamente di pelle con tanto metallo tra borchie e catene che farebbe esplodere un metal detector. Sta barcollando visibilmente, avanzando incerto sulle gambe.
Ad ogni passo le spalle si muovono in maniera convulsa, quasi dovesse lottare per mantenere l’equilibrio e non cadere, arrancando.
Lo sguardo è fisso, perso nel vuoto, ma c’è qualcosa in quegli occhi che proprio non mi convince. Sono totalmente inespressivi. Nessuna fatica, nessun dolore, nessuna emozione, niente di niente.

Strafatto di eroina. Che peccato. Ma perché tutti i ragazzi che mi piacciono sono dei completi coglioni o sono drogati ? Qualcuno deve avermi fatto il malocchio. Peccato che io non creda a queste cazzate. Sarebbe stata un’ottima spiegazione.

Liceo Lincoln. Sono arrivata.

-continua-

 
 
 

3° Capitolo : QUASI PERFETTO 2° Parte

Post n°11 pubblicato il 16 Gennaio 2007 da Janus_13
 

Nessun rumore, nessuna voce, nessuna televisione accesa che dice che il mondo sta per esplodere o impazzire o entrambe le cose.
Sul tavolo solo un foglietto bianco, sporcato solamente da qualche linea d'inchiostro.
"Siamo andati a trovare mia madre all'ospedale. Torniamo stasera. Tua madre ha tentato di dirtelo ieri sera, ma stavi dormendo e non credo tu abbia capito. La colazione è già pronta, spero non si sia raffreddata troppo. Baci, Arthur"
Sorrido. Sempre premuroso il "mio" pelatino. "ha tentato di dirtelo ieri sera" ? Missione decisamente fallita, "frau" mamma.
Io non mi ricordo di essermi nemmeno svegliata.
Probabilmente ci ho pure parlato. Spesso mi capita di non ricordare nulla al mattino quando sono molto stanca.
E più che stanca, ieri ero moribonda.

Nel silenzio più totale metto sulla tavola le fette di pane tostato e succo d'arancia.
Nessun fottutissimo stramaledetto odore di caffè stamattina.
Già sento i miei neurorecettori fare festa all'interno della scatola cranica per la ritrovata libertà dall'oscura nuba che li infestava.
Forse dovrei dire loro di non illudersi, che domani i vapori del caffè torneranno a tormentarli, che la loro felicità è solamente effimera.
Ma perchè non farli godere di questo breve momento ?
Spero solo la situazione non degeneri in disordine di ordine pubblico. Mi dispiacerebbe se si mettessero a sfasciare le vetrine dei miei ricordi.
Potrei però sfruttare la situazione a mio vantaggio, incanalare la pubblica indignazione verso quei ricordi di cui farei volentieri a meno, come ad esempio la sbronza che ho preso l'anno scorso a casa di Thomas.
Sono rimasta tutta sera cercando di convincere il "water-close" che ero stata io a recitare nel film "L'Esorcista".
E il lavandino.
E anche il cestino della biancheria, mi pare.
Alla fine della serata li avevo ampiamente convinti ed erano così felici di aver conosciuto una celebrità.
Thomas era molto meno felice, chissà perchè.
Non mi ha più richiamato da quella sera. Poverino, si sarà spaventato a pensare di avere un rapporto con una "stella" del mio calibro.

Dopo aver voracemente consumato la colazione, esco di casa.
Una meravigliosa giornata, fa addirittura caldo nonostante sia oramai ottobre inoltrato.
Mi infilo gli auricolari. Dopo una breve cernita degli mp3 a disposizione, sono lacerata dall'indecisione.
Slipknot, Deftones o Disturbed ? Questo è il problema.
Alla fine opto per i primi. Non posso resistere al fascino di un gruppo di bamboloni mascherati.
Batman, il mio eterno sogno erotico, si offenderebbe se lo facessi.

Non ho voglia nemmeno di correre.
Camminerò tranquillamente fino alla fermata dell'autobus.
E ora un piccolo quiz di matetica: se per percorrere la distanza che intercorre tra casa e la fermata dell'autobus Alice impiega mediamente cinque minuti camminando MOLTO lentamente ed essendo lei in anticipo di ben quindici minuti al passaggio del primo mezzo, riuscirà a non arrivare in ritardo ?
La risposta è : Sì! E dovrei anche riuscire a smentire uno dei corollari della legge di Murphy, quello che dice che l'autobus arriva sempre appena ti sei accesa la sigaretta.
Sì oggi è proprio una giornata perfetta.

Non faccio neppure in tempo a dare alla luce questo pensiero, che qualcosa mi sbatte violentemente a terra.
Alzo lo sguardo imprecando pronta a cercare il soggetto verso cuiincanalare la lunga serie di maledizioni che la mia bocca sta facendo uscire da quando ho toccato il terreno.
Poi mi blocco.

Davanti a me c'è un uomo. Avrà forse quarant'anni, i vestiti sono logori e strappati, la lunga barba bianca è sporca e unta.
Una fila di denti gialli, storti e radi spuntano da sotto un deforme labbro leporino. Si volta verso di me, con uno sguardo folle, tremando come una foglia.
E' pallido, terribilmente pallido. Lo vedo mentre, continuando a camminare all'indietro, certa di dirmi qualcosa.
Balbetta qualcosa di incomprensibile, indicando con insistenza un punto alle mie spalle.
"S-Scappa" urla all'improvviso, un grido talmente forte che riesce a coprire completamente l'assolo di batteria che sta risuonando nelle mie orecchie.
Detto questo, si mette a correre, come se avesse il diavolo alle spalle.
Mi volto nella direzione che indicava, ma non c'è nulla.
Proprio nulla.
A parte due bidoni della spazzatura. E quelli non fanno molta paura.
"Alcolizzato del cazzo !" gli urlo, mentre mi rialzo.

Stavo dicendo ? Sì oggi è proprio una giornata perfetta, QUASI perfetta ora.
Vorrei tanto scrollarmi di dosso l'inquietudine di quest'incontro, archiviarlo come "Incontro/scontro accidentale con tizio strano in evidente stato di ebbrezza". Ma non so.
C'era qualcosa di terribile in quello sguardo. Lui era sinceramente spaventato.
No, non era spaventato. Era terrorizzato.
Come se fosse sfuggito per un soffio a qualcosa che non si riesce a spiegare con le parole, come se stesse cercando di svegliarsi da da un tremendo incubo nel quale era caduto.
Rimango in silenzio per qualche secondo, pensando a cosa avesse potuto sconvolgerlo così.
I bidoni della spazzatura ? D'accordo forse è un paio di giorni che non passano a svuotarli, ma non è poi così spaventoso...
Chissà lui cosa ha creduto di vedere.
Anche i barboni si fanno d'acido adesso, evidentemente.

Arrivo alla fermata dell'autobus, fissando il solito pannello luminoso, pregando che non dica nulla.
Che stia lì buono, buono senza profetizzare nessun guasto meccanico, sciopero generale o qualche altra piaga biblica che possa farmi arrivare in ritardo.
Come al solito, alla fermata non c'è nessun altro.
Mi accendo la tanto sospirata sigaretta, ma non riesco nemmeno a gustarmela.
Normalmente io sto benissimo da sola, anzi i miei problemi iniziano quando devo dividere il mio preziosissimo spazio vitale con qualcuno.
Ma stamattina uno strano senso di inquietudine mi sta sibilando all'orecchio.
Cerco di non pensare al barbone.
Ma dovunque guardo, vedo i suoi occhi... fissi, vitrei, spalancati.

Come quelli di un morto.

-Continua-

 
 
 

Capitolo 3 : QUASI PERFETTO 1° Parte

Post n°10 pubblicato il 12 Gennaio 2007 da Janus_13
 

         7 giorni fa


6:00 AM. E come ogni giorno, la sveglia comincia a suonare.
Apro gli occhi, cercando a tentoni di spegnerla, facendola cadere a terra, esattamente come ogni giorno.
La novità sta nel fatto che riesco a non riaddormentarmi.
Rimango ancora per un istante nel caldo tepore delle coperte, consapevole del fatto che tra pochi istanti dovrò iniziare a correre come al solito.
Poi mi alzo di scatto. Non sono fatta per i lunghi addii, meglio troncare subito la relazione tra me e il letto così, senza una parola, senza guardarsi indietro.
Non credo che il letto soffrirà della mia mancanza, io sicuramente sì.
Mi mancherà tanto.

Mi stiro, incredula. Non ho nemmeno mal di testa stamattina. E' una data da segnare sul calendario per i posteri.
"Oggi Alice si è svegliata senza mal di testa". Chissà, lo potrebbero ritrovare in un futuro lontano i miei nipoti e condividere con me la gioia di quest'istante.
Ma non credo avrò mai dei nipoti. Prima dovrei avere dei figli e ci vuole un bel coraggio a mettere al mondo qualcuno oggi come oggi.
E se anche avanzando con l'età, un giorno il mio orologio biologico dovesse definitivamente impazzire e volessi diventare madre, dovrei prima trovare qualcuno che mi sopporti.
Anzi no, dovrei trovare qualcuno che IO possa sopportare per più di cinque minuti. Impresa impossibile.
"Cancellazione della sega mentale in corso" dice il cervello. Sì decisamente la mia materia grigia adora cazzeggiare.

Guardo la mia stanza, solito casino. L'unico modo di uscire e di entrare è seguire un percorso preciso, una specie di sentiero di guerra cercando di schivare accuratamente le colonne di libri che sbarrano la strada.
Dovrò convincermi a mettere a posto questo buco, prima o poi. Amo l'espressione "prima o poi": è piena di belle speranze e di buoni propositi, zittisce i sensi di colpa anche se nel profondo del tuo io sei perfettamente consapevole che non farai un cazzo, ne prima ne poi.
Entro in bagno e subito lo sguardo cade sullo specchio. Non faccio nemmeno tanto schifo stamattina.

Mi infilo sotto la doccia e quasi non riesco a respirare per la sorpresa. Acqua... calda ? Che cosa diavolo sta succedendo ? Non che mi lamenti, ovvio. Per una volta che ho un risveglio normale.
E' solo che non sono più abituata a non essere sommersa da cataclismi.
Torno velocemente nella mia camera. Accendo la radio. Il dj dalla voce impostata annuncia il prossimo disco. "Svegliami quando settembre sarà finito".
Fantastico.
Settembre è il mese che odio di più di tutti. E' il mese in cui papà se ne è andato e il solo pensiero è come una pugnalata al cuore.
Ma non cambio stazione.
Sì sono una fottuta masochista, ma ogni tanto fa bene piangere un po'.

Guardo la scrivania, ancora piena delle sue fotografie, delle nostre fotografie, delle mille lettere che gli ho scritto in questi anni.
Non ne ho spedita neppure una, forse perchè dovrei uccidere un postino per recapitare la lettera in paradiso. E mi dicono che è ancora reato uccidere qualcuno.
Sorrido, tra le lacrime.
E' da tanto che non gli scrivo una lettera.
Mi siedo, scansando un paio di maglioni appoggiati pigramente sulla sedia di alluminio e prendo tra le mani la penna.

"Ciao papà.
E' da tanto che non ti scrivo ma, come spero avrai visto, ho avuto tanto da fare.
Qui le cose vanno bene. Ho preso un A in algebra. Sì sto diventando una secchiona. Mamma sta bene. Art anche.

Solo... solo che è difficile andare avanti senza di te.
Lo so, me lo hai sempre detto -Mai arrendersi-.

Solo che non c'è giorno in cui non ti pensi papà, in cui non vorrei aprire la porta di camera mia e ritrovarti lì sulla soglia.
Mi manchi.
Mi manca tutto di te.
Le nostre partite a baseball, le serate davanti al televisore quando mi addormentavo sdraiata su di te, le passeggiate con mamma il sabato.
Mi manca il tuo sorriso, il profumo del tuo dopobarba, la tua risata contagiosa.
E mi manca mamma. Come era quando c'eri anche tu.
A volte mi chiedo se io e lei potremmo mai essere felici anche se tu ora non ci sei più.
O per lo meno se un giorno finiremo di sbranarci come belve.
So che non ti piace il fatto che io e lei litighiamo in continuazione, ma non ci posso fare nulla.
Una parte di me non le perdonerà mai di non essere rimasta a piangerti per tutta la vita. Lo so che è una cosa da egoisti e Art è un brav'uomo.
E mi vuole bene. Ma lui non è te, papà. E non lo sarà mai.

Non so cosa darei per riaverti qui.
Ma non si ritorna dalla morte, purtroppo. Anche se lo vorrei tanto.
Devo scappare adesso, altrimenti arriverò ancora in ritardo e sai quanto il preside Collins ci tiene alla puntualità.
Ti voglio bene. Non dimerticarlo mai.

Tua,
Alice"

Infilo la lettera nella busta e la metto insieme a tutte le altre.
Chissà se riesci a leggerle da lassù.
Mi asciugo le lacrime.
Basta piangere.
Il mondo non ha bisogno di una Alice triste e piagnucolosa.
A dire la verità, non credo proprio che il mondo abbia bisogno di una sarcastica rompiballe come me, nemmeno al top della forma.

Mi vesto velocemente, mi infilo sulla testa il tuo cappello, zaino in spalla e scendo al piano di sotto.
Oggi non ho nemmeno voglia di scivolare sul corrimano. Sono troppo di buon umore e non ho voglia di litigare.
E' tutto perfetto, quasi perfetto.

Un silenzio innaturale avvolge la cucina.

-Continua-


 
 
 

Riflessioni

Post n°9 pubblicato il 05 Gennaio 2007 da Janus_13
 

Ciao a tutti, come avrete notato ultimamente ho pochissimo tempo per scrivere causa lavoro. Per fortuna dalla prossima settimana la situazione dovrebbe gradualmente migliorare.

E' da un po' che ci sto pensando.
Ora alcuni di voi penseranno "ma è pazzo", "seee come no sogna".

Pensavo che ho scoperto che mi piace un sacco scrivere. Davvero tanto.
Pensavo che forse non faccio poi così schifo come credevo. Rileggendo le poche pagine che ho scritto, sono piaciute anche a me. Di solito non è così. Di solito quando rileggo qualcosa che ho scritto ho l'impulso di buttare tutto via, nella spazzatura.

Pensavo che mi piacerebbe un sacco se "Alice in Deadland" diventasse un libro vero e proprio.
Magari uno abbastanza pazzo che mi pubblica lo trovo, anche se conosco nessuno nell'ambito dell'editoria e a quanto ne so servono conoscenze per entrare in quel giro.

Insomma, vorrei avere un parere...
Onestamente, sinceramente, schiettamente...
Pensate potrebbe funzionare ?
Così almeno mi tolgo subito l'illusione. 

 
 
 

Capitolo 2 : DOMANI 2° Parte

Post n°8 pubblicato il 28 Dicembre 2006 da Janus_13
 

Iz mi guarda stranito. E' il mio compagno di banco dai tempi delle medie. L'archetipo  dark-outcast : capelli sparati di un nero finto, occhi chiarissimi, magro come un chiodo, vestito solamente di nero.
Il classico tipo sfigatino che nessuno si caga al liceo, nessuno a parte me. Non che io concorra al premio di popolarità della scuola, ovvio.
Chiaramente Iz non è il suo nome. Si chiama Isahia, ma lui odia il suo nome e non riesco a dargli torto. Sì, i suoi genitori sono dei veri bastardi.
"Hey Al" mi dice guardandomi con la sua classica espressione da misonorimastitreneuronieunomiserveperrespirareeilsecondoperfarepipì "per un attimo temevo ti avessero rapito gli alieni".
"Non ti preoccupare. Se mi dovessero rapire, non mi porterebbero lontano. L'astronave precipiterebbe immediatamente per un guasto" gli rispondo con un mezzo sorriso.

Lezione di algebra con equazioni di secondo grado. Una metafora della vita. Ovvero come possono cambiare le cose se ad una serie di numeri ed operazioni assolutamente piatte e razionali inserisci una variabile.
E non una variabile qualsiasi, ma una che ha due soluzioni, entrambe corrette e giuste. Il problema è che non sempre le due coincidono.
Come si applica questo alla vita di tutti i giorni ? In nessun modo.
Ti aiuterà a trovare un lavoro, a fare soldi o a condurre una vita decente ? Assolutamente no.
A cosa serve praticamente ? A un cazzo.
E' chiaramente una delle mie materie preferite.

Faccio finta di non sentire i commenti delle oche sedute dietro di me che cominciano a ridere e starnazzare alle mie spalle.
Judith, Eleanor e Micaela. Novelle parche, solo che invece di avere un occhio e un dente in comune, queste hanno un cervello da spartirsi in tre.
Se non altro è un cervello buono, nuovo, ancora avvolto nell'imballaggio originale, sicuramente mai usato.
Le classiche persone il cui problema più arduo con cui si devono scontrare ogni giorno è se il colore dello smalto per le unghie si intona con la camicetta e continuare le proprie funzioni vitali senza doversi ripetere "inspira, espira".
Senza contare l'allacciarsi le scarpe, operazione che solitamente richiede grande sforzo intellettuale ai primati, figuriamoci a loro. Forse è per questo che usano stivaletti.
Sarebbe troppo stressante dover affrontare tutte le mattine "due e dico due" scarpe da allacciare.

Mi volto verso il mio compagno, sbirciando tra i suoi appunti. Come al solito sta disegnando. Che io ricordi non ha mai seguito una lezione intera. Si annoia. Ha talento ma non si applica. Un po' come me.
Sul foglio bianco, a fianco dell'equazione non risolta, un angelo sta prendendo forma. Rimango incantata a guardare la matita che delinea le ombre sulle grandi ali color graffite.
Talmente reali che quasi mi sembra di vederle muovere, come se si preparasse a volare fuori dal quaderno da un momento all'altro.
Iz è chinato sul foglio, con la lingua arricciata che spunta tra le labbra. Lo fa sempre quando disegna. Dice che lo aiuta a concentrarsi, ma l'effetto che ottiene è semplicemente quello di essere terribilmente buffo. Sorrido.
Nonostante tutte le sue stranezze, lui è stato l'unico a starmi sempre vicino in questi anni senza mai chiedere niente in cambio. Senza mai aspettarsi nulla da me. Senza mai giudicarmi. Anche quando dopo la morte di papà non sono stata esattamente miss simpatia.
Non mi hai mai detto stronzate come "il tempo cura tutti i dolori", "tuo padre rimarrà sempre con te", "ti sono vicino" o tutte le altre cazzate che le persone ti dicono in questi casi, con quel mezzo sorriso di circostanza saccente dipinto sul volto.
Lui mi è stato vicino coi fatti. E' l'unico che possa definire amico.
Le persone vanno e vengono, i sentimenti anche. Ma so che non mi libererò tanto facilmente di Iz. Non che io lo voglia, ovvio.
E' solo che a volte vorrei essere una persona diversa. Smettere di fare la dura, almeno con lui. Per una sola volta vorrei abbracciarlo e dirgli semplicemente "grazie".
Ma non ci riesco.
Domani... sì domani ci riuscirò.

Il suono acuto della campanella che suona per indicare la pausa pranzo mi perfora la testa come un trapano. E l'emicrania torna istantaneamente, neanche l'avessero spedita col dhl.
"Un diamante è per sempre" diceva quella vecchia pubblicità. Fanculo. Qui di per sempre c'è solo il mio mal di testa.
E sembra che il mondo intero si diverta a stuzzicarlo.
Comincio a sospettare di sapere cosa spinge i ragazzi ad alzarsi la mattina, fare colazione, imbracciare il fucile semiautomatico appena acquistato in un qualsiasi supermercato e andare a scuola con un programma preciso da campagna elettorale : più piombo per tutti.
Forse è quella fottuta campanella.

Cerco di trascinarmi fuori dalla scuola, con l'agilità e la prontezza di riflessi di un bradipo con evidenti lesioni cerebrospinali.
Mi gira la testa. E lo stomaco comincia a dare i primi segnali di voler fare espatriare al di fuori dell'esofago la colazione.
Cazzo, non sarò mica incinta ?
Poi faccio mentalmente i conti a quanto risale l'ultima scopata degna di tale nome. Quando mi accorgo di stare frugando nella memoria storica, abbandono l'idea.
Infiammazione cervicale, suppongo. Fantastico. Questa mi mancava.

Mi siedo sulla solita panchina nel cortile. "Tutto bene Al ?" dice Iz sedendosi di fianco a me.
"Ceeerto. Perchè ? Non vedi che sono in forma smagliante ?" rispondo sorridendo. La sua espressione si fa perplessa "A me non sembra", bufunchia.
"Heeeey Iz ? Sarcasmo... ironia... conosci ? Il solito mal di testa condito da scazzamento e sindrome premestruale".
A quella parola, la sua faccia si fa seria per un attimo, girandosi per frugare nello zaino, visibilmente imbarazzato.
La parolina magica. Gli uomini sono terrorizzati da quella parola. Retaggio atavico, credo.
Sono certa che potrei fare una rapina in banca, per poi essere arrestata e portata in tribunale. Ma se ci fosse un giudice maschio, basterebbe dire "avevo le mestruazioni" alla domanda "perchè l'ha fatto" e sarei immediatamente rilasciata con tanto di scuse ufficiali da parte del dipartimento.

La solita folla di decerebrati, rincoglioniti e oche giulive sfila davanti a noi.
E chiaramente tra questi c'è anche lui: Jordan, classico bellone con un ego inversamente proporzionale alle misure dei suoi due cervelli con cui sono uscita un paio di volte l'anno scorso.
E giuro, ha un ego spropositato. Non so se mi spiego.
E 30 secondi netti sono un tempo degno di un pit stop di formula indy.
Ride con i suoi amichetti talmente virili da far sembrare le twisted sisters delle icone di eterosessualità. "Guarda, la panchina dei morti viventi" dice indicandoci.
Automaticamente, come il cane che scodinzola non appena vede il padrone, il mio dito medio si alza. "Fanculo Jordan" gli urlo sfoderando il mio sorriso più falso e tagliente.
"Sì fanculo" fa eco Iz, guardandomi con la tipica espressione del bambino in cerca di approvazione dalla madre.
Sì, se non ci fosse bisognerebbe proprio inventarlo.

Il pomeriggio passa tra le lezioni di letteratura, chimica e attività ricreative, l'unica ora in cui io e il mio inseparabile "Robin" ci dividiamo.
Lui ha optato per disegno. Sta preparando un fumetto col quale spera di partecipare ad un concorso. La storia di un vampiro di nome Malcom.
Glielo censureranno sicuramente.
Troppi nudi femminili.
Io invece ho scelto fotografia. Papà andava pazzo per la fotografia, ne faceva a migliaia. Un'altra cosa che ho ereditato sicuramente da lui. Sulla pellicola, i momenti rimangono lì eterni, congelati, immobili. Non vengono scalfiti dalle parole, dalle persone, dal tempo. Nessuno li può rovinare.
Forse è semplice ricerca di certezze. Sì, Freud ci andrebbe a nozze con me. Direbbe qualche stronzata sulla mia infanzia e sul mio presunto complesso di Elettra con un'aria supponente, aggiustandosi gli occhialetti tondi e spessi seduto comodamente sulla sua poltrona di pelle nera.
Peccato sia morto. Mi toccherà affidarmi ad un medium per togliermi la soddisfazione di mandarlo all'inferno. Se non c'è già, ovvio.

La stramaledettissima, fottuta campanella ci tiene a sottolineare che le lezioni sono finite, almeno per oggi. Fantastico.
Esco lentamente. Tanto dovrò aspettare come al solito venti minuti prima di trovare un autobus "vivibile", dove si riesca a respirare e non si rischi di essere strattonati e spintonati per tutto il viaggio.
Iz mi sta aspettando fuori dal cancello, a bordo della sua bicicletta verde acido. Sì, BICICLETTA VERDE ACIDO. Forse è per questo che è ancora vergine. Lui non ha mai voluto prendere la patente. Dice che non gli serve. Cazzate. Secondo me ha paura, anche se non lo ammetterà mai.
Non che l'automobile sia più pericolosa della bicicletta a parer mio. Specialmente se è lui a pedalare. E poi, quando è ora è ora. Che tu sia a piedi, in auto o in aereo. Quindi tanto vale fare meno fatica possibile e affidarsi a un motore che lavori per te.
"Hey Al" dice avvicinandosi "stasera vieni al cinema ? Esce Sangue Nero, quel film di cui ti parlavo" "Iz, stasera non riesco" e appena finita la frase, riesco a leggere la delusione dipinta sul suo volto.
Ci andrei più che volentieri al cinema con lui. Ma sono ridotta ad un rottame marcescente e non credo di riuscire a fare altro che entrare in casa, mangiare qualcosa e infilarmi sotto le coperte con un bel libro, magari uno con tante figure in modo da ridurre al minimo lo sforzo.
Stoicamente, "Robin" tenta di cancellare quell'espressione dal viso. Non vuole farmi sentire in colpa. Normalmente mi incazzerei come una iena tenuta a pane e acqua da un mese. Nessuno può trattarmi come una bambina, ma lui è troppo dolce.
"Fa lo stesso" borbotta, abbozzando un sorriso "Domani sera va bene ?" dico quasi senza volere.
Sorride. Un sorriso vero, sincero, quasi sorpreso. "Sì è perfetto. A domani Al!" urla spingendosi sui pedali e partendo come un razzo giù per il marciapiede.
"Sì a domani" dico sottovoce tra me e me stessa avvicinandomi alla fermata dell'autobus.

Mi siedo sulla panchina, tenendo gli occhi fissi sul tabellone. Non so, forse mi aspetto un "Servizio sospeso per grave caso di sfiga conclamata". Oramai ci sono abituata.
E' che stasera proprio non riuscirei a tornare a piedi, se non strisciando come un moribondo nel deserto del Sahara.
Poi con la coda dell'occhio vedo lei. Non so come si chiami, ma ci incontriamo praticamente tutti i giorni qui. Avrà forse un anno in meno di me, non particolarmente filiforme con lunghi capelli rossi raccolti in una coda di cavallo, occhi verde scuro che mi guardano timidamente dietro a un paio di occhiali sottili.
L'abbigliamento è particolare, forse un po' antiquato. Ricorda vagamente il look di mia madre e giurerei che la gonna è dello stesso modello di una che lei comprò quando io ero piccolissima.
Come cazzo fa a portare la gonna ? Io non ci sono mai riuscita. Mi sento una deficente senza i miei jeans quattro taglie più grandi.
Sembra simpatica, forse un po' troppo timida. Magari si è trasferita da poco e non ha amici. Evidentemente ho la faccia da "S.O.S. Nerds".
La vedo mentre si mordicchia le labbra nervosamente. Vorrebbe parlarmi forse, ma qualcosa la frena. Problemi di socializzazione. Per fortuna arriva l'autobus. Oggi non sarei stata molto socievole. Decisamente.
Domani se sarò messa meglio, forse ci scambierò due chiacchere.

Il viaggio è traumatico. Spero di arrivare a casa prima che la testa mi possa esplodere o prima di svenire per il fetore che il vecchio ciccione maleodorante seduto di fianco a me spande nell'aria.
Mi appoggio al vetro, tenendomi una mano sul collo nella vana speranza che quel fottuto dolore cervicale possa essere arginato in qualche modo.
Missione fallita.

Scendo alla fermata di casa, oramai ridotta ad uno straccio.
Ho bisogno di un antinfiammatorio, un antidolorifico, un antichecazzotiparebastachequestofottutomalesparisca.
Devo arrivare solamente alla porta di casa, entrare e fare razzia dei medicinali. Tutto il resto può aspettare.
E come da copione, appena messo il piede in casa, la voce della belva "mia madre" raggiunge subito le mie orecchie.
Mi devo ricordare di comprare un paio di tappi per le orecchie così almeno posso riuscire a sopportarla per più di cinque minuti consecutivi.
Corro in cucina, afferro un paio di sandwiches a caso nel frigo, mi verso un bicchiere di latte mentre trangugio un paio di pastiglie a caso dal mobiletto dei farmaci.
Speriamo di avere scelto bene. Normalmente mi metterei a cercare di capire quale è il flacone giusto, ma qui è questione di sopravvivenza.
Devo raggiungere la mia stanza prima che arrivi il mostro "mia madre". Altrimenti potrebbero crescermi spontaneamente un paio di coglioni e immediatamente raggiungere la massa critica.
Collasserebbero su se stessi implodendo e creando un buco nero. L'intera umanità sarebbe spazzata via. Devo sbrigarmi. Ne va della vita di miliardi di esseri viventi.
Sì sto proprio male se mi vengono in mente queste immagini.
Devo correre a letto. Mi arrampico sulle scale cercando di non rovesciare il latte come al solito ed entro nella mia camera mentre sento l'arpia che ulula quando si accorge che la sua preda è fuggita.

Spero solo che domani arrivi presto.

 
 
 

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