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falliti i sicari dell'economia, in bolivia, entrano in gioco gli sciacalli
Post n°867 pubblicato il 28 Marzo 2008 da kudablog
Tag: america, sud del mondo
mi riferisco ai termini di John Perkins, secondo il quale prima si tenta di convincere i governanti dei paesi ricchi di risorse prime a svenderle a USA e Europa attraverso piani di "sviluppo" del Fondo Monetario Internazionale o della Banca Mondiale. Se ciò non riesce allora si organizzano scioperi, manifestazioni e colpi di stato. L'ultimo stadio sono naturalmente i generali e gli eserciti. Questo modello è stato usato più e più volte in tutte le parti del mondo. Indonesia, Bolivia, Venezuela, Panama, Colombia, sono praticamente di proprietà delle multinazionali targate USA, se non fosse che ultimemamente si sono scelti dei governanti che, seppur con i propri difetti, sono stati capaci, in alcuni casi, di riportare sotto il controllo nazionale le loro risorse. I casi più eclatanti sono stati quello del Venezuela di Chavez e della Bolivia con Evo Morales. I sicari dell'economia con loro hanno fallito. Sono scesi in campo allora gli sciacalli, gli esperti di colpi di stato e sommosse, tutte Made in CIA. Sull'esempio del Golpe contro il Cile di Allende (11 settembre 1973) anche il Venezuela ha conosciuto un lungo scipero dei trasportatori che venivano stipendiati dalle compagnie petrolifere e dai servizi americani per non lavorare, causando il blocco del paese. Lo sciopero si concluse con un Golpe e scontri di piazza stimolati da cecchini con passaporti colombiani (fedeli agli USA). Chavez si consegno ai golpisti (11 aprile 2002). Immediatamente gli USA si affrettarono a riconoscere il nuovo governo, seguiti a breve intervallo dalla Spagna, i due paesi che più avevano sofferto le nazionalizzazioni dei pozzi petroliferi venezuelani. Il golpe fallì, dunque, grazie al vastissimo appoggio popolare ed all'esiguità del gruppo dei militari golpisti, formato soprattutto da alti ufficiali, mentre il grosso delle forze armate venezuelane era rimasto fedele a Chávez ed alla nuova costituzione. Tutto questo può aiutare a capire cosa sta succedendo in Bolivia. Morales ha riportato sotto il controllo dello stato lo sfruttamento dei grandi giacimenti di gas naturali che erano stati regalati dai precedenti governi alle aziende USA. Nel 1° maggio 2006, il presidente Evo Morales emanò un decreto che imponeva la nazionalizzazione di tutte le riserve di gas naturale: «lo stato riprende la proprietà, il possesso e il totale e assoluto controllo» degli idrocarburi (la Bolivia posside la seconda riserva più grande di gas naturale in Sud America dopo il Venezuela, 747,2 milioni di metri cubi). Non gli è mai stato perdonato. Le prvincie più ricche, i cui politici sono finanziati da Washington, Madrid e Parigi, hanno iniziato una campagna secessionista, che ha portato alla fine del 2007 a un'indipendenza di facciata. Ma il nodo più grosso si sta giocando ora visto che Morales si deve guardare anche dalle proteste degli autotrasportatori alleati con le industrie produttrici di olio commestibile e soya. Le strade del Paese sembrano paralizzate. Centinaia di lavoratori hanno bloccato le sedi delle dogane di Santa Cruz, Cochabamba, Puerto Suarez e Yacuiba per protestare contro il decreto presidenziale che proibisce temporaneamente di esportare questi prodotti. Migliaia di automobili sono protagonisti dei blocchi stradali. E anche in questo caso il faccia a faccia fra produttori di olio, trasportatori e esecutivo sembra essere solo l'inizio di una lunga trattativa fra le potenti lobby imprenditoriali boliviane e il governo di Morales, che dal giorno in cui è entrato in carica ha visto abbattersi su di sé critiche, polemiche, minacce e manifestazioni. Il mio timore è che si stia preparando un Golpe anche contro Morales, colui che sta salvando la Bolivia dal tracollo economico e sta dando nuove speranze a milioni di indios e poveri latinoamericani.
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