di Marcello Veneziani
La beatificazione del Papa e la folla dei devoti a Roma, l’intervento in Libia e il compleanno d’Italia, il matrimonio nella famiglia reale inglese in mondovisione, il rinato patriottismo Usa dopo la morte di Bin Laden. Quattro eventi planetari in una sola settimana hanno riacceso in forme diverse le luci su un’antichissima trinità: Dio, patria e famiglia. Era da tempo che non si rivedevano insieme.
Che fine hanno fatto Dio, patria e famiglia? Sono stati per secoli l’orizzonte di vita e di senso dei popoli, poi si sono ritirati nel ruolo di bandiera ideale per movimenti conservatori e tradizionali. Ora sanno di arcaico e finito, servono più per etichettare posizioni antiquate altrui che per rivendicare le proprie. Con che cosa furono sostituite? Potremmo rispondere con nulla, o con il nulla eretto a orizzonte. O, storicamente, che furono sostituite con libertà, eguaglianza e fratellanza. O più semplicemente che furono barattate con l’individuo, i suoi diritti e la libertà sovrana di sentirsi cittadino del mondo, senza legami a priori. Sembra impossibile pensare a Dio, patria e famiglia. Chi li vive non li pensa e chi li pensa li ritiene già morti. Eppure Dio, patria e famiglia occupano ancora il pensiero supremo di metà umanità e la loro orfanità è avvertita come un vuoto dall’altra metà. Dio, patria e famiglia popolano i pensieri reconditi, i ricordi e i rimorsi più forti, animano l’arte,il sogno e la letteratura,resistono come nostalgia e sentimenti. Perché occupano rispettivamente la sfera del pensiero e della fede, della vita pubblica e civile, della vita intima e sentimentale. Si chiamano in modi diversi; per esempio senso religioso, senso comunitario e senso delle radici. L’uomo ha tre dimensioni originarie, che sono la sua umanità, la sua natura e la sua cultura: la dimensione verticale che ci spin-ge a tendere verso l'alto, la dimensione orizzontale che porta a situarci in una comunità e la dimensione interiore che induce a ritrovarsi nelle origini. In questo triplice viaggio verso il cielo, la terra e le radici, ci imbattiamo in figure e presagi che richiamano Dio, patria e famiglia. E se fosse necessario ripensarli e riviverli nel nostro presente e nel futuro prossimo? Se nascessero dalla loro scomparsa la presente disperazione, il cinismo e gli abusi, le paure e le chiusure? Se avessimo bisogno di quell’orizzonte per essere uomini e per legarci davvero tra noi? Davanti alla tabula rasa bisogna tornare all’abc.
Come si possono pensare oggi Dio, patria e famiglia con la sensibilità del presente, senza tornare al passato? In primo luogo attraverso la libera scelta, nessun automatismo imposto da natura o storia, autorità o legge. Ma una libera e radicale scommessa tra caso e destino, tra libertà di assegnare significato o no all’origine, ai nostri legami, al nostro senso del sacro e del divino. Abbiamo bisogno di dare un senso alla vita, riconoscendovi un disegno intelligente; poi di avvertire un luogo come la nostra casa, la nostra matrice; quindi di nutrire legami speciali di comunità e tradizione.
In secondo luogo dobbiamo risalire dalla buccia al midollo, all’essenza di quel senso religioso, comunitario e delle origini. Con amore totale per la verità, costi quel che costi, non cercando coperture retoriche e rassicuranti bugie. È onesto pensare che le forme storiche, lessicali e rituali in cui si manifestano Dio, patria e famiglia possano morire e mutare. Ma il tramonto di alcune fedi secolari, di convinzioni e strutture, non significa la fine di quegli orizzonti e del nostro bisogno. È importante distinguere tra le forme che passano e i contenuti che restano; capire cosa salvare, cosa rigenerare e cosa lasciar morire.
In terzo luogo, oggi Dio, patria e famiglia vanno pensate non solo in loro presenza ma anche in loro assenza, attraverso la loro mancanza, e gli effetti che questa produce. Non possiamo negare che si tratta di princìpi sofferenti, sempre più cagionevoli e incerti. Non possiamo chiamarci fuori, fingere una purezza che non abbiamo; dobbiamo saper riconoscere che nella loro penuria ci siamo dentro anche noi, fino al collo; scontiamo anche noi cadute e incoerenze. Non ci sono incontaminati guardiani dell’ortodossia e dell’osservanza; anche noi esitiamo e spesso voltiamo le spalle. Dunque, nessuna pretesa di superiorità e di purezza rispetto agli altri; sia questa ragione di realismo e umiltà popolare.
In quarto luogo va tenuto a mente che nessuno può imporre il monopolio, il primato, l’esclusiva, del suo Dio, della sua patria e della sua famiglia. Amare Dio, patria e famiglia non vuol dire negare quelli degli altri; ma rispettarli tutti, a partire dai propri. Se neghi il Dio, la patria e la famiglia degli altri, neghi i tuoi. Se neghi ogni dio, ogni patria e ogni famiglia, neghi l’umanità, la dignità e l’identità tua, altrui e del mondo da cui provieni. Chi rinfaccia gli orrori compiuti in nome di Dio patria e famiglia, confonde la malvagità umana con i pretesti in cui è stata rivestita nei secoli. Anche la libertà, l’uguaglianza, la fraternità e i diritti umani sono stati usati per imporre il terrore giacobino, le dittature comuniste, il fanatismo ateo; contro Dio, patria e famiglia.
Infine, i corollari: via la cupa ortodossia, meglio l’ironica leggerezza. Via la scolastica ripetitiva, meglio l’educazione popolare a quei principi. Via il superbo individualismo o la sua variante settaria, meglio iscriversi nell’alveo popolare di un comune sentire e di una tradizione provata dall’esperienza.
Non so se questo basterà per rigenerare nel tempo presente e in quello che viene l’amor patrio,familiare e divino. Ma non vedo altro all’orizzonte che meriti di suscitare passioni ideali e nulla che ricordi davvero la storia e la vita autentica, la cultura e la natura dell’uomo. Se fosse questo il compito ideale e civile, politico e morale di oggi? Pensateci, perlomeno. Per non morire nemocristiani, cioè figli di nessun cristo.
www.ariannaeditrice.it