Creato da Fratus il 08/08/2006
Commentiamo la società
 

 

BANCAROTTA, LA STRADA PER UNA NUOVA ITALIA

Post n°448 pubblicato il 25 Novembre 2011 da Fratus

Nessuno avrebbe detto il contrario ed infatti Monti riscuote gran successo in campo internazionale; ieri doppia fiducia, dal presidente Sarkozy e del cancelliere Angela Merkel, che ovviamente hanno giudicato molto positivo l’incontro con il nostro primo ministro.

Sarkozy ha specificato una volontà da parte della Francia e della Germania nel sostenere il governo Monti, e ci mancherebbe altro. Lo scopo è quello di dare la necessaria fiducia con "le prime economie dell' Europa, determinate e impegnate a fare di tutto per sostenere e garantire la solidità dell'Euro".

Certo, per la Germania sarebbe un gran problema se l’Euro saltasse, la loro moneta (il Marco) sarebbe troppo forte e le esportazioni salterebbero con conseguente crollo del fatturato tedesco. La Francia ha la necessità di restare nella scia della Germania visto che al contrario avrebbe una moneta debole e quindi le materie prime costerebbero troppo…

Interessi differenti che uniscono le due prime potenze europee.

Ma all’Italia conviene tutto questo? Conviene davvero stare in Europa? Cosa succederebbe se andassimo in bancarotta? Sarebbe così tremendo?

Guardiamo l’Argentina… Oggi ha una crescita incredibile e siamo in tempi di crisi. Facciamo saltare il sistema Italia, azzeriamo i debiti e poi… LIBERI.

Certo è un qualcosa di drastico, ma molto probabilmente nel medio termine sarebbe meglio per tutti i cittadini.

Senza più debito pubblico.

 
 
 

A NATALE REGALA CULTURA, INFORMATI SULL'ANTIEVOLUZIONISMO

Post n°447 pubblicato il 25 Novembre 2011 da Fratus

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CITTADINANZA AI FIGLI DI IMMIGRATI?

Post n°446 pubblicato il 23 Novembre 2011 da Fratus
 

Bravo Maroni, l’ex Ministro dell’interno ieri ha risposto per le rime all’ennesima proposta scellerata del presidente della repubblica italiana Giorgio Napolitano, che, figlio della cultura comunista di stampo internazionalista , propone la cittadinanza per nascita.

In Italia vi è un campanilismo esasperato figlio del periodo risalente ai comuni e, ancora oggi, ci si differenzia tra bergamaschi e bresciani, tra napoletani e Romani, tra messinesi e catanesi etc…

Dare la cittadinanza ai figli di immigrati solo perché nati su suolo italiano non è accettabile.

Non è italiano.

Maroni ha dichiarato:

«L’idea di dare la cittadinanza a chiunque nasca in Italia è uno stravolgimento dei

principi contenuti nella costituzione».

Certo che sentire uno dei maggiori esponenti della Lega difendere la costituzione fa un po’ tristezza, ma in questo caso ben venga…

Dobbiamo opporci ad ogni tentativo di “regalare” lo status di cittadino italiano ai figli di immigrati nati su suolo italiano,  riconoscere il diritto di cittadinanza equivarrebbe attribuire pieni diritti civili e soprattutto diritti politici.

La regola da seguire è quella del diritto romano, lo status civitatis, che distingueva il cittadino romano (in questo caso italiano) dal non romano.

Oggi ogni persona che entra nel nostro territorio è un uomo libero ma non dobbiamo assolutamente permettere che i suoi figli siano considerati italiani. Non dobbiamo seguire il processo che consigliavano sociologi come Thomas Marshall.

Noi di Sintesi sosteniamo la cittadinanza per sangue, il sangue rappresenta la storia, la tradizione, la cultura e soprattutto la famiglia. Non crediamo in una società senza tradizioni e senza patria. Sosteniamo e difendiamo l’appartenenza alla comunità da cui proveniamo e la conseguente difesa della terra su cui nasciamo. Una terra un popolo, un popolo una tradizione.

 
 
 

L'AMMUCCHIATA AL POTERE

Post n°445 pubblicato il 16 Novembre 2011 da Fratus
 

Per quanto possa essere ingenuo ho sempre pensato che le ammucchiate facessero semrpe riferimento al sesso. Mi sono dovuto ricredere e, se da una parte, la ricerca della trasgressione, del piacere, del proibito da parte dell’uomo è stata cosa comune lo è stato anche la ricerca del potere. Il potere è inseguito dagli uomini come lo sono le belle donne.

Il potere è sempre stato motivo di grandi scontri, divisioni, lotte, morte, violenza ma mai di ammucchiate. Ci siamo riusciti noi italiani. I nostri governanti si sono messi al servizio del grande capitale internazionale sperando che domani, finita la crisi economica planetaria, i potenti del mondo, la grande finanza che ha generato questa crisi e ora vuole imporre i suoi uomini alle nazioni, permetta loro di governare. La volontà di governare da parte dei nostri partiti politici non nasce dal fatto di promuovere un progetto di società nuova, differente, ma solamente per interessi di bottega.

Ecco perché l’ammucchiata. Si sono resi tutti disponibili solo per avere, nel prossimo futuro, la benedizione da parte dei poteri forti internazionali a governare. Dal PD al FLI sino al PdL tutti a dire si al Governo Monti, uomo che rappresenta il potere finanziario mondiale in Italia.

Anche Vendola ha dato il suo assenso e lui non ha manco i parlamentari.

Il governo Monti mette d’accordo i comunisti di Vendola con il FLI di Fini e l’UDC di Casini. Il PD vota insieme al PdL. Si, grazie a Monti questo è possibile. La maschera dove nascondersi per legittimare davanti ai propri elettori questa scelta scellerata è la responsabilità nazionale… questo ci viene raccontato. Chi non partecipa all’ammucchiata va contro l’interesse dell’Italia. Ma noi sappiamo che non è così.

La Lega è l’unica che ha resistito alla tentazione e, allora, dopo qualche anno, tornerà all’idea della secessione… che a questo punto non è un desiderio è auspicabile.

Pronti tutti, l’ammucchiata è cominciata e ora sono ….. nostri

 
 
 
 Testacoda Incontri con soggetti poco ordinari 

 

Indignados, scioperi contro le banche, critica della politica come casta indiscriminata. Professor Tarchi, tira aria di rivoluzione o è normale disincanto democratico? «Nel modello di democrazia come si è sviluppata nell'ultimo cinquantennio c'è una contraddizione sottile messa in luce in particolare da uno dei grandi nomi sul populismo Margaret Canovan. Il paradosso della democrazia rappresentativa sta nel fatto che nel termine democrazia è implicita l'idea del volere popolare, quindi dell'autogoverno della popolazione. Lo strumento rappresentativo però, che era stato presentato inizialmente come il modo migliore per articolare ordinatamente questa capacità di autogoverno del popolo, è diventato il metodo per tenere lontano di fatto l'uomo comune, il soggetto dalla gestione politica». La democrazia diventa antidemocratica...

«Più che altro c'è un abuso del termine democrazia che andrebbe ridimensionato, perché oggi ci troviamo di fronte a quelli che, senza nessun tipo d'intento polemico, potremmo definire "regimi liberali", dove regime è termine neutro, come noi in scienza politica usiamo l'espressione regimi autoritari, totalitari, democratici. Modelli nei quali il meccanismo di governo è fortemente elitario ma in cui c'è una richiesta continua di consenso di quelle decisioni che la élite politica prende».

 Flusso di consenso, direbbe Bauman.

«La creazione dell'opinione attraverso i flussi comunicativi ci riporta piuttosto un altro studioso, Armani, che ha definito la nostra "democrazia dell'audience". Quello che si cerca è l'applauso da parte di un pubblico che accetti di vedersi confrontare sulla scena i vari soggetti politici che propongono programmi che poi hanno pesi diversi ma che in definitiva vuole essere premiato all'applausometro».

 Quando crolla l'audience?

«Finché le condizioni economiche e sociali consentono, per usare un'espressione della mia generazione, di vivere al di sopra dei propri mezzi con il debito pubblico, i meccanismi clientelar^ le logiche di scambio tra gruppi d'interesse, partiti allora non c'è un'incrinatura forte nel rapporto tra la cosiddetta società civile e la società politica. Ma quando viene meno qualche elemento di questa specie di piattaforma di sicurezza molti cominciano a domandarsi: "Ma perché devo starmene qui in silenzio mentre là sopra si fanno i fatti loro e non pagano il prezzo della crisi come lo pago io?". Questo spiega, ad esempio, in maniera sensata e scientifica quello che tante volte si rappresenta in forma polemica e piuttosto abborracciata, la nascita della mentalità populista. Perché la base è proprio questa, la rivendicazione del diritto-dovere di incidere sulle decisioni in quanto la legittimità del governo è sulla base del consenso popolare. E quindi l'idea che i partiti e i governi devono rendere conto in maniera più trasparente e meno episodica delle loro azioni è alla base stessa della legittimità democratica. Quindi prendere tutto questo come espressione semplicemente di un fastidio verso la democrazia secondo me è assolutamente errato. D'altra parte...».

 D'altra parte? «Mi chiedo: ma la cosiddetta società civile ha poi davvero il diritto di autoassolversi in questi malfunzionamenti del nostro sistema politico? Io penso di no. Perché se è vero che l'inefficienza, le logiche di scambio clientelare, la mancata trasparenza nei rapporti con la pubblica amministrazione, se tutto questo si è verificato si deve anche a una sorta di acquiescenza di questa pubblica opinione che per lungo tempo si è accontentata di queste logiche di scambio, che ha ritenuto che si potesse ricavare comunque qualche vantaggio dal fatto che il sistema non guardava all'efficienza ma alla conquista di spazi di consenso in una logica di do ut des. Quindi da questo punto di vista da quale pulpito viene la predica?».

E i giovani che si indignano oyunque? «È evidente che siamo di fronte a un tipo di reazione di massa che non ha un movente ideologico, a differenza di altri momenti. Il problema è sempre quello però che investe la vita dei movimenti collettivi. Ovvero, questi movimenti sorgono quasi sempre spontaneamente sulla base di stati d'animo collettivi e dunque implicano passionalità, impegno, in genere sono mossi da studenti o comunque da giovani che hanno tempo ed energie da dedicare, conquista soprattutto un movimento di questo tipo una visibilità mediale molto acuta. Per cui finisce per fare prevalere un momento di pura espressività senza che vi sia la riflessività. Senza pretendere da questi movimenti delle analisi economicamente ortodosse vorrei capire se vi è dietro questo tipo di spinte quantomeno la delineazione di un modello di società alternativo partendo dal piano dei comportamenti individuali e collettivi o se vi sia soltanto lo sfogo umorale. Perché esso è legittimo ma è un grido di protesta che si risolve in se stesso. Pensi al 1968». Politicamente, un fallimento. «Sì, però ha trascinato con sé una modifica sostanziale del costume. Io non vedo traccia negli indignados di questo aspetto. Quale è il messaggio dal punto di vista del costume, della mentalità comportamentale che emerge da queste spinte? Certamente non si può pensare che sia positivo lo sfasciamento sistematico di certi obiettivi simbolici, quando si dice noi rifiutiamo la logica delle banche che succhiano il sangue al popolo, si è poi disposti per interrompere questo circuito per esempio a ridiscutere la mentalità del consumismo, ovvero c'è l'idea che si possa - come taluni dicono - vivere meglio con meno? E se sì, come si esprime tutto questo perché se questo tipo di spinta non c'è è semplicemente la rivendicazione di un miglior posto a tavola ma non si mettono in discussione la tavole né le pietanze che vengono servite, né il contesto nel quale questo avviene e così via, allora...».

È pensabile un modello di democrazia che superi quella liberale? «L'epoca è dominata da uno Zeitgeist nel quale domina la profezia di Fukuyama, per cui siamo arrivati allo stadio estremo della pensabilità di un modello di pensabilità politica. Dopo la democrazia liberale non c'è più niente che possa andare in questa direzione ulteriore. Se stiamo dentro quest'orizzonte naturalmente non si può pensare che la via della mobilitazione di piazza sia una risposta efficace, anche se io da tempo rifletto su un punto che mi pare piuttosto critico».

Quale? «Si è detto qualche decennio addietro che c'era il rischio che la democrazia come "regime di opinioni", per citare Sartori, legittimato attraverso la politica dalla prova delle elezioni e la dialettica parlamentare era sfidata dalla "videopolitica", dalla sorta di un contropotere che nel caso specifico era quello che veniva esercitato attraverso l'uso dei sondaggi attraverso il classico richiamo a cui tutti hanno fatto ricorso, al foglietto di carta in cui c'è scritto anche se avete vinto le elezioni oggi i sondaggi ci dicono che il 59 per cento dei cittadini non è d'accordo con quello che fate mentre la nostra proposta, eccetera. Ebbene, oggi ho l'impressione che si stia pensando da più parti che vi sia un altro modo per correggere la via parlamentare come forma di democrazia e sia la democrazia non dell'audience ma della "mobilitazione in piazza" per cui contano i numeri di quanti si riescono a mobilitare e questa grande esaltazione delle primavere arabe ha contribuito a mettere in circuito questa sensazione, che è pericolosa perché in fondo fa pensare che la vox populi sia solo quella di coloro che hanno tempo, voglia e risorse per poter scendere in piazza per manifestare più o meno rumorosamente. Ma non dimentichiamo un dato: noi viviamo in società complesse e popolate, e quand'anche si portino trecentomila, cinquecentomila persone in una piazza di un Paese come l'Italia, ce ne sono cinquantanove milioni e mezzo che in piazza non ci sono andati».

Non c'è alternativa a questo sistema, dunque? «L'idea che si debba ricorrere a questo strumento perché la classe politica resta rappresentativamente tutta corrotta, tutta inefficiente e tutta incapace, crea lo scadimento verso gli aspetti più pericolosi del populismo, uno sbocco preoccupante di quello che chiamava disincanto democratico. Anche perché nel nostro tempo dopo la democrazia nell'orizzonte dei valori che vengono condivisi dalla mentalità collettiva c'è solo la tecnocrazia».

Una tentazione ricorrente, il governo dei tecnici puri. «Scartata la carta di altre soluzioni, che hanno fallito storicamente, come tutte quelle di ordine gerarchizzante che erano caratteristiche dei regimi autoritari o totalitari, diamo tutto in mano ai tecnici perché sono loro gli unici che ci possono traghettare fuori dal disastro. Tutto questo è pericolosissimo. Perché in questo modo con una sorta di espropriazione della politica ci si mette in mano senza mediazioni al gioco puro degli interessi. Economici in prima battuta, i quali sono suscettibili a logiche che non sono democratiche affatto, si arriva al paradosso che la postdemocrazia diviene una negazione piena delle premesse del discorso democratico e diventa un'accentuazione foltissima del gioco più o meno libero oppure più o meno oligopolistico dei centri di potere economico».

Ultima domanda. Quali sono i temi politici su cui si dividerà la società del futuro? L'ambientalismo? «No. L'ambientalismo è stato assorbito da tutte le forze politiche, perché era un elemento positivo e spendibile. Chi del resto è contro l'ambiente? I clivage del futuro saranno le forme di organizzazione della società multiculturale, che subiscono l'immigrazione di massa. Come si governeranno, queste società? Con il multiculturalismo o il monoculturalismo. Oggi la discussione è ancora rozza, tra xenofobi e xenofili, ma si raffinerà. Un altro importante clivage sarà la bioetica, che mette in campo il nodo centrale della modernità compiuta in cui l'individuo è l'unico padrone di se stesso e del proprio habitat che vuole e deve decidere a piacere. Saremo divisi tra sostenitori dell'ordine naturale e di quello supernaturale». •

PROF DI POPULISMO

Marco Tarchi (Firenze, 11 ottobre 1952) è professore ordinario presso la Facoltà di Scienze Politiche "Cesare Alfieri" dell'Università di Firenze e viene considerato uno dei maggiori studiosi europei di populismo. Iscritto al Fronte della gioventù negli anni Settanta con vari incarichi di responsabilità fino a una contestata candidatura alla segreteria nazionale, venne espulso dal Msi dopo che la satira sul periodico «La voce della fogna» era considerata troppo pesante nei confronti della classe dirigente del partito e insieme ad altri militanti, in seguito al rapimento di Aldo Moro si era schierato contro l'introduzione della pena di morte voluta dal suo partito. È considerato l'ideologo della cosiddetta Nuova Destra italiana, riconducibile alle idee del filosofo francese Alain de Benoist che puntava a innovare il dibattito politico e culturale nella destra italiana. Un'esperienza metapolitica che termina nel 1994 quando Tarchi dichiara di non ritenere più valida la dicotomia destra/sinistra. Dirige il mensile «Diorama letterario» e il quadrimestrale di cultura politica «Trasgressioni».

 Marco Tarchi dirige i periodici «Diorama letterario» e «Trasgressioni»

 

Indignatevi, ma senza consumare

Post n°444 pubblicato il 15 Novembre 2011 da Fratus
 

IL Intelligence in Lifestyle intervista Marco Tarchi

  
 
 

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