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VIPERA AEMME - UNA STORIA DI AMORE E DI IMPOSSIBILE SOPPORTAZIONE

Post n°79 pubblicato il 14 Luglio 2010 da chevipera29
Foto di chevipera29

Era stanco, ma talmente stanco che gli pareva di essere sempre stato in quella condizione. La stanchezza gli pervadeva il corpo dopo essersi  impossessata della mente. Fuori il mondo che guarda, che urla, che offende, che ride, che si diverte, che vive. Dentro lui. Lui che non si sentiva più parte di quel mondo da tempo. Semplicemente ne era fuori. Non gli apparteneva. Decise così di andare via, di togliere il disturbo a quel mondo che non lo voleva, che non lo percepiva più come suo, e forse non si sarebbe neanche mai accorto della sua mancanza: tutto preso com’era, quello strano mondo, dai suoi problemi, dal suo grande egoismo, al punto di non fargli aprire gli occhi per comprendere che anche altri avevano a loro volta dei problemi, più o meno gravi e nessuno ne era mai stato esonerato. Lui questo nonostante la sua stanchezza lo percepiva, percepiva che una buona parte del suo mondo non lo accettava più. Faceva caldo e la casa di riposo dove alloggiava aveva delle grandi finestre su un giardino pieno di piante, di fiori colorati, che un giardiniere innaffiava con cura tutte le mattine. Ma da quei finestroni d’estate entrava il sole e rendeva la sua stanza inaccessibile a chiunque per il troppo calore e l’aria condizionata era solo negli spazi comuni. Voleva stare solo, voleva non dover sorridere forzatamente a nessuno. Alle signore che lo guardavano a volte con uno sguardo ammiccante e compiaciuto. Anche loro si aspettavano da lui un sorriso. Non serviva a nulla. Nulla gli avrebbe ridato più la sua donna, quella che quello stesso mondo gli aveva tolto e che non avrebbe riavuto mai più. Mise un po’ di quel profumo che aveva ricevuto a Natale dai suoi tre nipoti e che da allora non aveva più rivisto. Uscì sulla strada, in tasca non più di 20 euro, una camicia intrisa di sudore ed un cappello di paglia che lo riparava dal sole, per quel che poteva. Camminò a lungo, senza una meta e pensava a sua figlia, quella che lo andava a trovare quasi una volta a settimana (qualche volta però proprio non poteva). Pensava che quel mondo era troppo distante e stancante per lui perché ne comprendesse ciò che non gli andava più di capire. Ciascuno preso da se stesso, dall’analisi dei propri problemi, dal pensiero di far soldi. Lavoro e carriera. Continuava a camminare senza meta e non  aveva fretta di tornare in quella che qualcuno osava chiamare “casa”. Si fermò a mangiare un gelato, con tanta panna. Una storia, questa, di disperazione e di amore: di quell’amore che pochi hanno il privilegio di vivere. Una storia come tante ma che in estate, qualcuno, dato il gran caldo, proprio non riesce a trovare sopportabile. Lui, in quella casa non ci tornò mai più.

chevipera@libero.it

 
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