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VIPERA AEMME - LA LEZIONE DEL MONDIALE

Post n°77 pubblicato il 13 Luglio 2010 da chevipera29

 

Alga MADIA

 

Il mondiale di Nelson Mandela è stato definito,  perché attraverso il suo uomo simbolo avrebbe raccontato al mondo la storia del Sudafrica, anche ai distratti più incalliti. Il mondiale di calcio in un paese difficile, ancora con forti contraddizioni al suo interno, un paese che tenta di mostrare al mondo la sua faccia migliore. E ci riesce, trasmettendo  emozioni. L’emozione di vedere Madiba,  con i suoi novantadue anni, 27 dei quali trascorsi in prigione per le sue idee anti apartheid ed il mondo ad applaudirlo. Non solo lo stadio di Port Elizabeth, il mondo intero ha risposto al suo  sorriso mentre salutava la folla. Un mondiale che inizia e finisce – non a caso – con un’unica frase: “say not to racism”. Non a caso perché mentre mostra il suo vestito più bello approfitta per chiedere aiuto al mondo: non spegnere i riflettori sui problemi del Sudafrica. Sugli occhi di quei bambini che aspettano dal mondo che li ha visti, guardati, osservati da vicino, l’aiuto che si meritano. Un mondiale che pare abbia dato anche una sensibilità sportiva, quella che al resto del mondo mancava. Una macchina organizzatrice oliata, degna di qualsiasi altro paese occidentale. Nessun accenno alla violenza, l’allarme sicurezza evidentemente sopravvalutato, niente coprifuoco ma solo tanta voglia di normalità. Ho tifato, dalla mesta uscita dell’Italia, per la Spagna e così anche durante la finale ho guardato la partita sperando vincesse. E ha vinto, come l’ormai mitico polpo Paul, aveva pronosticato. Ancora un pronostico azzeccato. Una partita dura con un numero enorme di ammoniti, un’espulsione, piena di falli diretti alla persona. Poche emozioni ma alla fine la Spagna per la prima volta nella sua storia calcistica porta a casa coppa e titolo mondiale. Ad applaudire i calciatori la famiglia reale spagnola, ma ciò che ha stupito, è che ad attendere il ritorno in campo della squadra per i festeggiamenti finali, c’era proprio la squadra avversaria. Come abbiamo visto fare solo nel rugby, una sorta di terzo tempo. Un finale inaspettato. Meglio, un doppio cordone umano ad attendere il passaggio dei vincitori; due ali di calciatori olandesi, con tutto il resto della panchina, ad applaudire e riconoscere la superiorità di chi vince, nonostante la durezza di tanti interventi volutamente fallosi durante questa finalissima. Cose dell’altro mondo verrebbe da dire. Stupisce perché non ci siamo abituati. Provo a cercare nella memoria il ricordo di un gesto di savoir-faire, di grande sportività, un modo di riconoscere il proprio avversario – sportivo, ma anche politico, ad esempio- come vincitore indiscusso. Un calcio non esaltante, dicono gli esperti, ma in fondo, qualche sana lezione di vita e di comportamento non ci ha fatto male.

chevipera@libero.it   

 
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