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CONFERENZA DELL’ARCHEOLOGO PROFESSOR MARIO FRAU

Post n°66 pubblicato il 12 Maggio 2011 da ninolutec
 


 

 

 

LA PREISTORIA NELLA
SARDEGNA MERIDIONALE

(Parte Terza)

 

 

Esempi di domus de janas a Sant'Antioco si trovano in località Serra Nuargia ma le due più conosciute si trovano in località Is Pruinis. Comunissime in tutta la Sardegna sono un esempio di arte funeraria probabilmente di derivazione orientale, rappresentano il più diffuso tipo di tomba ipogeica, cavità ricavate artificialmente nella roccia e destinate a sepolture collettive. Si rinvengono diversi tipi di domus de janas con diverse soluzioni architettoniche, si va da semplici cavità (pianta monocellulare) a complessi più elaborati con corridoi d'accesso, anticelle, e numerose nicchie (pianta pluricellulare). Spesso queste tombe venivano decorate con incisioni e dipinti che richiamavano nelle forme e nei colori le abitazioni dei vivi, segno inconfutabile della grande importanza che il regno dell'aldilà ricopriva nella cultura di questi antichi abitatori.

Accanto ai defunti, sepolti con il rito dell'inumazione venivano deposti oggetti e suppellettili della vita quotidiana: strumenti in pietra, in osso ed in metallo, collane ed altri oggetti ornamentali. La morte non era quindi la fine di tutto ma l'inizio di una nuova esistenza nella quale l'uomo poteva ritrovare l'ambiente e gli oggetti che conosceva nella vita precedente.

Le domus de janas in località Is Pruinis sono ricavate l'una affianco all'altra su un bancone calcareo affiorante sul piano di campagna. I due monumenti presentano due diversi tipi di ingresso, in un caso costituito da un lungo corridoio, nell'altro da un piccolo atrio sub-aereo. In entrambe le tombe seguono una anticella che da accesso a tre nicchiette sopraelevate. Alla cultura denominata San Michele di Ozieri risale la costruzione delle due domus de janas del territorio di Is Pruinis, scavate sul monte Is Baccas. Le grotte presentano una pianta quadrangolare, preceduta da un atrio e provvista di tre loculi sopraelevati dal pavimento e di ampiezza adatta a ricevere più sepolture, secondo schemi architettonici che riproducono la struttura di abitazioni e santuari. Di particolare interesse sono le colonnine antistanti i loculi che indicano chiari caratteri simbolici propri della mitologia mediterranea. E’ probabile che all’interno delle tombe si praticasse il rito dell’incubazione, pratica che consisteva nel dormire presso le tombe degli antenati in attesa di sogni rivelatori, anche in relazione a pratiche medico-sacrali. Nel periodo Calcolitico ed Eneolitico la presenza delle Culture di Monte Claro e del vaso campaniforme nel territorio del Sulcis, comportarono l’occupazione degli stessi spazi funerari, i defunti venivano quindi inumati nelle stesse grotte all’interno delle quali sono state rinvenute numerose ceramiche relative a tali culture. La visita a Sant'Antioco non può ignorare qualche reperto preistorico ed i diversi resti del periodo nuragico che troviamo sparsi per tutta l'isola. I primi segni dell'antica frequentazione umana a Sant'Antioco sono due menhir aniconici presumibilmente risalenti all'Eneolitico. Li incontriamo percorrendo la SS126, al chilometro 3, vicino allo stagno di Santa Caterina, sull'istmo che dall'isola madre porta a Sant'Antioco, a pochi  metri dalla ferrovia sulla sinistra, all'interno di un campo privato  recintato. Realizzati in roccia trachitica, vengono comunemente chiamati Su Para e Sa Mongia, ossia il frate e la suora. Questi due menhir sono rozzamente sbozzati, uno ha caratteristiche prettamente femminili, mentre  l'altro rappresenta sicuramente l'elemento maschile. Si suppone che lì vicino sorgesse un villaggio di capanne e che i due menhir testimoniassero la presenza degli dei nella comunità. Oppure che si tratti di quello che resta di un gruppo di pietre fitte. La leggenda popolare ha attribuito alle due pietre una storia curiosa fatta di amori illeciti e di punizione divina. Narra infatti la leggenda che la coppia di menhir sia quello che resta di due religiosi fuggiti per sottrarsi all'immancabile e severo castigo per il loro peccato, pietrificati dal potere divino e collocati in  quel punto come monito per coloro che si recavano a Sulci, ad indicare che in questa terra chi sbagliava doveva pagare per le proprie manchevolezze.  Reperti del periodo nuragico si trovano sparsi in tutta l'isola. Del periodo nuragico restano la fonte sacra di Funtana Cannai e numerosi nuraghi, purtroppo quasi tutti non ben conservati. Per visitare i più significativi, all'arrivo in città dal ponte sull'istmo, all'incrocio seguiamo sulla sinistra le indicazioni per le spiagge e prendiamo la SP76. Superate le Saline di Sant'Antioco e la spiaggia Canisoni, a 4,5 chilometri dalla città invece di deviare sulla sinistra lungo la costa verso Maladroxia, proseguiamo dritti verso la piana di Cannai, costituita da fertili terreni argillosi bruno rossastri di origine quaternaria, si  estende nella parte centro-meridionale dell'isola ed è solcata in direzione nord-sud da un torrente chiamato Rio Triga che ancora oggi in inverno è precorso da un poco d'acqua, e proprio in località Cannai devia  pian piano verso est, sino a disegnare un angolo retto, infilandosi nella piana di Maladroxia per sfociare nella spiaggia di sabbia nera vulcanica di Co 'e Quaddus. Si racconta che sino a cent'anni fa in località Cannai  ci fosse un bosco di sughere in cui trovavano rifugio e sostentamento dei cavallini selvatici come quelli della giara di Gesturi. Due chilometri dopo la deviazione per Maladroxia, sulla destra della strada troviamo il pozzo sacro di funtana Cannai, riconosciuta dalla soprintendenza ai Beni Culturali come fonte sacra nuragica. Il pozzo è  stato sicuramente riutilizzato sino a pochi decenni fa. Realizzato con pietre al massimo solo sbozzate, ha subito notevoli modifiche nel tempo. Da funtana Cannai torniamo indietro 500 metri e, sull'altro lato della strada, troviamo il nuraghe Sa Feminedda, accessibile attraverso una bella stradina in pietra. Il nuraghe è realizzato in calcare ed è ancora intatto anche se coperto dalla vegetazione. È un nuraghe monotorre di cui si conserva, interessante, il circuito perimetrale con un complesso di  strutture interrate. Si innalzava presso la fonte sacra di funtana Canai. Sul lato sinistro della strada, provenendo da Sant'Antioco, a 4,5 chilometri dalla città incontriamo la deviazione che porta verso Maladroxia. Subito sopra il villaggio di Maladroxia, troviamo il nuraghe S'Ega de Marteddu, situato su una collina da dove controllava il golfo di Palmas. Si tratta di un nuraghe complesso, realizzato in calcare e  costituito da un mastio centrale circondato da un muraglione sul quale si addossano alcune torri più piccole. L'ingresso principale non è praticabile, ma si può entrare attraverso un passaggio che porta in una

delle camere secondarie con la copertura a tholos ancora intatta.Ritorniamo da Maladroxia a Cannai e riprendiamo la strada che ci ha portato qui da Sant'Antioco. Proseguiamo lungo questa strada e, poco più avanti, troviamo sulla destra il nuraghe S'Uttu de Su Para, realizzato in calcare. È un nuraghe monotorre di cui si conserva parte della torre e pochi resti. Proseguendo da Cannai verso la costa occidentale dell'isola, una deviazione verso la destra porta su una strada interna che torna verso Sant'Antioco, e dopo qualche chilometro incontriamo il complesso nuragico di Corongiu-Murvonis, con il quale concludiamo il circuito dei Nuraghi. Il nuraghe Corongiu è un nuraghe complesso posto in una posizione strategica, sopra uno sperone roccioso da cui si ha una vista ampia su tutta la zona circostante. L'ampio complesso era formato sicuramente da un mastio centrale e da altre torri addossate ad esso. Era difeso da un ampio bastione murario, di cui si vedono i ruderi e da altre torri. Il complesso nuragico di Corongiu Murvonis ha intorno tracce di un villaggio preistorico. Non è ben conservato.Ritornati sulla la strada principale da Cannai verso la costa occidentale dell'isola, dopo 3,2 chilometri prendiamo la strada interna verso sinistra, che porta al villaggio Polifemo. Sulla sinistra dell'ingresso del villaggio una strada bianca ci riporta in direzione sud, verso il bacino nuragico di Grutt'i Acqua. Dopo 2,5 chilometri esatti, sulla pendenza denominata Su Niu 'e Su Crobu, il nido del corvo, raggiungiamo sulla destra la tomba dei giganti Su Niu 'e Su Crobu. La tomba dei giganti è stata costruita utilizzando massi di roccia vulcanica, sopra una  piattaforma in pietra. è l'unico edificio nuragico che nell'isola di Sant'Antioco è stato sottoposto a scavi scientifici. Collocata in un ambiente altamente suggestivo anche sotto il profilo naturalistico, non è ben conservata e priva di indicazioni per cui difficilmente raggiungibile. Nella tomba sono stati ritrovati molti reperti risalenti alla fine del XV secolo a.C.

Proseguendo per circa 200 metri, sulla destra, si apre uno spiazzo con le indicazioni per arrivare al bellissimo insediamento fortificato e villaggio preistorico di Grutt'i Acqua. All'ingresso del villaggio stava un betilo. Nella parte bassa del villaggio, la via di accesso ci porta a una costruzione destinata al culto, un pozzo sacro, che raccoglieva e proteggeva le acque sorgive. Oltre alle linee di fortificazione difensiva lungo i lati della collina, possiamo vedere resti di abitazioni, capanne circolari di pietra, una della quali è ancora quasi intatta. Vicino a questa capanna si trova un locale sotterraneo, forse un deposito di provviste. Ci sono anche i resti di una cisterna scavata nella roccia, che si pensa potesse servire per abbeverare il bestiame. Il villaggio è situato alla base di una collina dove si erge il nuraghe più grande, un robusto nuraghe monotorre. Nella parte più alta della collina rimane una specie di laghetto oggi non più utilizzato e quindi ricoperto di muschio, che veniva riempito dall'acqua piovana e costituiva la riserva idrica del villaggio.

Nei dintorni di Calasetta restano alcune tracce nuragiche come il nuraghe Rassetto in loc. Sisineddu, i resti del nuraghe Scarperino in loc. Bricco, e quello di Acqua Dolce in loc. Nido dei Passeri. A Mercureddu si trova una domu de jana e a Triga gli antichi forni per la calcificazione del calcare.

Il censimento effettuato a Carloforte su indicazione di un gruppo di studiosi locali, tra il 16 novembre 2003 e il 24 aprile 2004 dall’associazione Archeoingegno, denominata “Monumenti nuragici in territorio di Carloforte”, ha individuato, in via preliminare, quattro nuraghi: Laveria, Papassina, Bricco del Polpo, Lille. Lo studio è stato oggetto di un convegno con tema “L’Isola di San Pietro dalla preistoria alla storia”, svoltosi il 24-04-2004 grazie alla collaborazione di numerosi studiosi e del Comune di Carloforte.. Si tratta di nuraghi ubicati in posizione dominante, per lo più sulla sommità di colline, in collegamento visivo tra loro, a controllo di vie d’accesso naturali, caratterizzati dalla presenza di estesi crolli o interrati, e coperti da una fitta vegetazione di tipo mediterraneo. Tutti questi elementi, al momento, non permettono di delinearne, se non parzialmente, gli schemi planimetrici. L’opera muraria è costituita da blocchi di trachite di grandi e medie dimensioni, appena sbozzati o squadrati, disposti in filari orizzontali o in opera poligonale. Le prospezioni di superficie hanno permesso la raccolta di sporadici elementi di cultura materiale, pertanto dalle indagini preliminari condotte si possono trarre alcune conclusioni. Le emergenze archeologiche sono disposte nel territorio preferibilmente sulla sommità di colline. I monumenti sono in collegamento visivo tra di loro, dominano su estese piane coltivate e stanno a controllo delle vie d’accesso naturale, del mare o delle saline. I nuraghi sono per lo più a pianta complessa, ma al momento di difficile lettura, a causa degli estesi crolli e della fitta vegetazione che li ricopre.

In assenza di esplorazioni territoriali approfondite, le emergenze archeologiche presenti andrebbero lette correlate non solo fra loro, ma anche con quelle già note nell’areale del Sulcis-Iglesiente. Tra le rovine anche questa semplice indagine di superficie ha individuato alcune delle presenze nuragiche che, nonostante per ora sfuggano e non possano essere collocate in un esatto momento cronologico della civiltà nuragica, tuttavia non lasciano dubbi circa la loro importanza. Pertanto, è necessario, che a questa prima fase di prospezione, facciano seguito un censimento, un accurato rilievo e uno scavo sistematico di uno dei monumenti, in grado di chiarire e documentare con evidenza stratigrafica la preistoria dell’isola di S. Pietro, un’isola nell’Isola, ma con legami indissolubili con il resto del territorio del Sulcis. L'isola di San Pietro è emersa nel Miocene ( tra 22,5 e 6 milioni di anni fa ) in seguito alle spaventose eruzioni che sconvolsero nel terziario tutta la terra. Nel Quaternario ( 600.000 anni fa ) essa subì l'azione del vento e dell'acqua che la modellarono nell'attuale stato creando la spiaggia sabbiosa dello Spalmatore ). Nel neolitico fu abitata e la prova è nel graffito antropomorfo rupestre, che descrive una scena di caccia con il cacciatore con l'arco teso nell' atto di colpire la preda. Questo graffito è stato ritrovato in zona Picchi di Ravenna in mezzo alle tombe a tafone ( gotticcelle ). Altre presenze sono state rintracciate nella zona Grotte, in zona Bobba e a Tacca Rossa.

A Tratalias, su una piccola altura nei dintorni dell'abitato, si ergono i resti del Nuraghe “Is Meurras”,  (circa 1400 a.C.) al quale successivamente furono aggiunte altre due torri. Il lato nord della struttura è ancora ben conservato e consente di distinguere la cronologia degli interventi edilizi: il più antico (cultura di Bonnanaro) è caratterizzato da blocchi irregolari sovrapposti a secco (senza malta) mentre gli ampliamenti apportati a distanza di qualche secolo furono realizzati con blocchi di pietra più piccoli, cementati con pietre minute frammiste a malta fangosa. Intorno al complesso del Nuraghe bilobato si estendeva un ampio villaggio, forse uno dei più vasti della Sardegna, di cui rimangono poche basi circolari di capanne e numerosi mucchi di pietre. Ai piedi della torre nuragica è visibile una strada pavimentata, probabilmente romana, che sembrerebbe diretta da un lato verso Giba e dall'altro verso S. Antioco. Il nuraghe Tratalias o Assa domina Tratalias dall’alto, sulla collina denominata proprio Su Nuraxi, posta a nord rispetto al paese (m 86 s.l.m.). Si staglia isolato nella pianura, con amplissima visuale in ogni direzione. Lo sguardo può spaziare a sud sino al golfo di Palmas, mentre a nord si ferma alla catene montuose che separano il territorio di Tratalias da quelli di Carbonia e Perdaxius. Si tratta di un nuraghe complesso trilobato, provvisto di una torre centrale (mastio), tre torri perimetrali disposte a triangolo unite da cortine murarie ad andamento retto-curvilineo, e cortile interno con ingresso volto a SE. Ad onta delle distruzioni antiche e moderne (praticamente tangenti sono due serbatoi per l’acqua e un fortino militare, sul mastio una vedetta antincendio) il monumento si conserva in discrete condizioni, leggibilissimo nella sua planimetria. La tecnica costruttiva delle murature prevede l’impiego di blocchi megalitici poligonali di andesite; gli interstizi sono rinzeppati con l’ausilio di pietre di piccole dimensioni. I numerosi scassi per l’impianto dei serbatoi idrici e delle relative condotte hanno portato in luce, nei pressi del nuraghe e lungo tutto il versante SSE della collina, centinaia di frammenti di terracotta di età nuragica anche geometrica (secc. XIII-VIII/VII a.c.), fenicia punica e tardo-punica (secc. VIII/VII-II/I a.c.). Lungo la strada che conduce al nuraghe sono visibili, in sezione, cospicui resti di case con ogni probabilità relativi all’abitato di età fenicio-punica e romana. Un settore distinto dell’abitato di età punica e tardopunica si localizza invece alquanto più basso a SSO, nei pressi di alcune abitazioni costruite in anni recenti. Frammenti di bruciaprofumi a testa femminile (kernophoroi), figure drappeggiate e votivi anatomici testimoniano che nei pressi del monumento si sviluppò, in età tardopunica, un probabile culto della dea Demetra.

Grazie alla sua posizione favorevole, il territorio di Giba venne frequentato dall’uomo sin da epoche neolitiche e nuragiche, e a testimoniarlo restano numerosi reperti archeologici tra cui Domus de Janas, Tombe dei Giganti e numerosi Nuraghi. Tra tutti spicca il Nuraghe Meurra, posto ai confini tra Giba, Tratalias e San Giovanni Suergiu, nuraghe complesso con annesso villaggio nuragico, tombe dei giganti e pozzo sacro. A Villarios si può ammirare un altro nuraghe, nei pressi del paese, all’interno del quale venne costruito un fortino durante la seconda guerra mondiale. Molti altri nuraghi sono sparsi nel territorio, prevalentemente monotorre. Alcune tombe, i cui reperti sono stati catalogati ed esposti al Museo Archeologico di Cagliari, testimoniano il passaggio dei fenici, mentre del periodo romano rimangono i resti di una strada, il basamento di un ponte e due ville entrambe con terme, una delle quali denominata Sa Cresiedda.

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Manuela il 10/02/15 alle 23:06 via WEB
Salve, prima di tutto vi ringrazio per aver inserito nell'articolo due foto scattate da me :D ne approfitto per precisare che il nuraghe Meurra non appartiene solo al comune di Tratalias ma si trova al confine tra Giba, San Giovanni Suergiu e appunto Tratalias! Grazie, buona serata
 
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