Creato da: LaChambreDesAmis il 15/07/2006
Riflessioni sull'amicizia e l'amore... e non più solo

Area personale

 

Tag

 

Ultime visite al Blog

LaChambreDesAmisAngeloSenzaVelimimmo.franchinitestipaolo40diana_89piccolastellina1986nicla.claoralsex.tarantoborin0chiarasanyLeParoleMancatepsicologiaforensephilrepsolRemifamidolami
 

Chi può scrivere sul blog

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
I messaggi sono moderati dall'autore del blog, verranno verificati e pubblicati a sua discrezione.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 

 

 
« Un invito anonimoUn brusco commiato »

Un pianto dirotto

Post n°20 pubblicato il 31 Ottobre 2006 da LaChambreDesAmis

Al convegno dello scorso anno sono legati alcuni ricordi particolarmente dolorosi, relativi ad una serie di circostanze verificatesi l’ultimo giorno, quando, ad esempio, incontrammo S. R.: sinceramente, sono molto scettico riguardo alla possibilità d’interloquire coi trapassati, tuttavia, considerato fossi meno lucido del solito, cominciai ad appellarmi a qualcuno che tu potessi aver conosciuto in vita, affinché si ponesse in contatto con te e t’esortasse ad assumere un atteggiamento più rispettoso e caritatevole nei miei riguardi.

Ancora una volta, quel giorno, ebbi conferma della mia grande sensibilità (termine che preferisco a “sensitività”), poiché ero sicuro che qualcuno, se fossimo riusciti a porci in comunicazione con l’altra dimensione, avrebbe chiesto di parlare con te: poco prima, m’avevi confidato non ti fosse mai accaduto, ma sentivo che, quella mattina, le cose sarebbero andate diversamente.

Assumo la buona fede tua, dell’ospite inglese e della signora xxxxxxx, pertanto, ciò che si sia verificato corrispondesse al vero, ma posso assicurarti pure che quella testimonianza equivalse ad una lacerazione profonda del mio cuore, e che in quei momenti detestai te e la sicumera con la quale accogliesti il contatto, che, per l’ennesima volta, stava offrendoti l’opportunità di porti al centro dell’attenzione e gongolarne.

Ammetto dovessi odiare anche me stesso, per il solo fatto di provare atterrimento al pensiero che nuovi progetti lavorativi, come preannunciatoti, t’avrebbero allontanato ancora più frequentemente dalla città ed inesorabilmente da me, ammesso pure ch’esistesse nel tuo cuore un piccolissimo spazio da riservare al mio nome ed alle premure che desiderassi offrirti.

Conservo moltissime immagini vividissime di quei momenti, ma due, in particolar modo, ho continuato per lungo tempo ad evocare insopprimibilmente: la prima, ti fa rivivere dinanzi ai miei occhi, nel momento in cui abbracciasti la figlia della signora xxxxxxx, non appena ti furono rivolti gli auguri per il futuro; è difficile spiegarti la scena ch’io vedessi: da un lato, mi sembrava d’esserti vicinissimo, quasi che potessi toccarti e percepire il calore ch’irradiasse da quell’abbraccio, dall’altro, mi sembrava che ti trovassi in fondo ad un tunnel lunghissimo e che stessimo allontanandoci sempre di più, benché fosse impossibile che m’alzassi e provassi a correrti incontro.

L’immagine del tunnel può servire a spiegare, in quel momento, in quella stanza, per me non esistessi che tu: era come se stessi fissando la scena attraverso un cannocchiale puntato su di te, come quando s’osservi la luna e si possano rimirarne le asperità della superficie con facilità, con la sola differenza il tuo viso mi sembrasse più perfetto e levigato di quello d’un’antica bambola di porcellana e trovassi inesprimibilmente attraente il rossore delle gote.

Più d’ogni altra cosa, avrei voluto quel rossore, che, finalmente, attestava fossi in grado di provare anche verecondia e fossi umano tu pure, fosse suscitato dal tuo sguardo che fissasse i miei occhi innamorati e dal piacere che desideravo traessi affondando nelle mie viscere.

In quel frangente, mi sembrò che gli astanti divenissero anch’essi incorporei ed intangibili, come tante nuvole vaporose che si sollevassero una di seguito all’altra, ma potessero anche circondarmi ed intorpidirmi, rendendo l’aria irrespirabile.

Nel corso della mattinata, si succedettero altre testimonianze, che ascoltasti aggirandoti per la grande sala: ad un certo punto, poggiasti un braccio sulla balaustra nei pressi dell’uscita laterale e sorreggesti il mento con la mano, rimanendotene in disparte ad ascoltarle; non saprei dire quale fosse il tuo stato d’animo in quei momenti: ad un tratto, davi l’impressione d’ascoltare attentamente, ma quello successivo sembravi completamente assorto nei tuoi pensieri, oppure, molto stanco e desideroso unicamente di poter presto tornare a casa a riposare.

Per quanto mi riguardasse, era ormai divenuto assolutamente trascurabile ciò che gli oratori dicessero, tant’è che continuavo a captare soltanto qualche brandello delle loro parole: fissavo a lungo il mio sguardo verso di te, sebbene non saprei dire se te n’avvedessi; mi sembravi fiero e fragile ad un tempo, ma, soprattutto, avevo l’impressione che quella posizione defilata, rispetto al punto in cui mi trovassi io, riflettesse il ruolo sempre più insignificante che rivestissi nella tua vita: non ti girasti nemmeno una volta verso di me!

A distanza di quasi un anno, ricordo ancora benissimo mi sentissi disperato, come se, all’improvviso, od almeno con inusitata violenza, i pensieri della tua noncuranza, dell’allontanamento che avrei nuovamente dovuto subire e di tutto il mio amore, che sarebbe rimasto inespresso, cominciassero ad implodere e mi paralizzassero; per qualche tempo, cercai di valutare cosa fosse opportuno che facessi: continuavo a pensare fosse meglio che lasciassi la sala per andare a respirare altrove una boccata d’aria fresca, tuttavia, non riuscivo a muovere un passo e mi sembrava che dovessi coprire una distanza eccessiva per raggiungere una delle uscite posteriori, senza contare fossi certo sul mio viso si fosse dipinta un’espressione di sgomento e dolore insieme e, per quanto possibile, non desiderassi esibirla.

Fui colto da pensieri molto infantili e da un bisogno pressoché incoercibile di rassicurazione, che, però, protraendosi l’impossibilità di muovere le gambe, m’impedì di compiere un’azione che desiderassi fare, ma che, sono certo, avrebbe sconcertato la persona sulla quale facessi affidamento in quel momento; prima che cominciassero i lavori, avevo salutato una mia docente di qualche mese prima, nonché tua collega alla xxxx, con la quale era sempre esistito un rapporto fondato su un vivace scambio d’opinioni, ma anche improntato alla cordialità: ebbene, in quel frangente, fui tentato d’andarmi a sedere vicino e, per quanto sciocco possa essere stato pensarlo e mi costi ammetterlo, avrei voluto chiederle che mi stringesse la mano, finché non fossi riuscito a rassenerarmi un poco.

Presumo esistesse anche il desiderio che intuisse quale definizione si confacesse al mio malessere interiore, dunque, il tuo nome, tuttavia, non fui in grado di compiere la mia piccola vendetta.

Poco dopo, feci affidamento sulle forze residue e lasciai la sala: ero riuscito a chiedere ad un altro convegnista, col quale avevo legato in quei giorni, che m’accompagnasse fuori, tuttavia, non fu sufficientemente intuitivo da comprendere quanto bisogno avessi che qualcuno mi confortasse e preferì rimanere al suo posto, ma, forse, fu meglio così, perché potei dare libero sfogo al mio dolore completamente.

Io sono molto emotivo e devo ammettere mi capiti spesso di commuovermi, tuttavia, quel giorno mi spinsi fino al punto di prorompere in un pianto dirotto, non appena raggiunsi l’uscita: fortunatamente, scelsi una di quelle posteriori, la quale immetteva in una grande sala di disimpegno, separata dal guardaroba da quella più piccola in cui si trovassero le hostess, benché è presumibile che sarei stato incapace di trattenermi ulteriormente, quand’anche altri avessero potuto vedermi.

Non saprei quantificare per quanto tempo vi rimasi, ma sicuramente abbastanza, poiché, quando m’ero ormai acquietato un poco, notai qualche altra persona cominciasse ad uscire: sicuramente, dovevo ancora avere gli occhi arrossati, ma nascosi i fazzoletti ormai sbrindellati e feci finta che nulla fosse accaduto.

Fino a qualche minuto prima, però, avevo dovuto tenermi la testa tra le mani, quasi che potesse servire a non stramazzare, e t’avevo parlato singhiozzando, implorandoti d’aver pietà della mia disperazione e di tutto quell’amore ch’invano nutrissi nei tuoi riguardi: non avesti sentore fosse opportuno ch’uscissi anche tu, per correre ad abbracciare un amico in difficoltà, del resto, già allora, per te, non ero più nemmeno quello!

Quanto a me, non so se t’avrei confessato il motivo di quel comportamento apparentemente inconsulto: nel momento in cui avessi richiesto una spiegazione, mi sarei ricordato dove ci trovassimo e concluso non fosse opportuno aprire una lunga parentesi, senza avere poi la possibilità di chiuderla; teoricamente, mi sarebbe anche spiaciuto turbarti, ma praticamente, hai sempre dimostrato d’essere perfettamente in grado d’anteporre i tuoi interessi alla serenità altrui, per cui è probabile che avresti detto qualche frase di circostanza e nulla più, oppure, m’avresti licenziato con l’ennesima promessa di risentirci non appena fosse stato possibile discuterne e, se ciò fosse accaduto, starei aspettandoti ancora oggi.

Non appena pensai d’aver recuperato un aspetto presentabile, mi spostai anch’io nella saletta attigua e mi ritrovai a chiacchierare con gli ospiti che stessero attardandosi come se nulla fosse successo: mi chiedo quante volte, ciascuno di noi, adotti un simile comportamento e quante altre sia circondato da gente che appaia felice e soddisfatta di sé e, invece, si senta lacerata internamente.

Ricordo d’aver chiesto sia a xxxxx, che alla signora xxxxxxx, considerato avessimo appena concluso l’incontro con una sensitiva, se ne conoscessero qualcuna che potessi interpellare sul nostro conto: evidentemente, avevo solo apparentemente recuperato la lucidità e prevaleva il disperato bisogno di ricorrere ad ogni mezzo, pur di sapere se valesse la pena che continuassi a cullarti tra i miei pensieri, piuttosto che provare a dimenticarti quanto prima fosse stato possibile.

Attorno a me, vedevo gente indaffarata: c’era chi desiderasse correre a casa per il pranzo, chi cominciava a riporre negli scatoloni i libri invenduti e nelle carpette gli attestati che non fosse stato possibile consegnare, chi, tra i conferenzieri provenienti da altri luoghi, scambiava i recapiti telefonici, prima di separarsi fino alla prossima occasione, mentre fuori, malgrado fosse la prima Domenica di Dicembre il sole conferiva al mare degli splendidi riflessi dorati e sembrava che solo guardandolo si potesse recuperare la propria serenità; al contrario, sapevo mancasse pochissimo perché mi procurassi un altro e fortissimo dolore e, benché potesse sembrarmi masochistico, decisi che avrei fatto in modo di trarre un’ulteriore conferma ad una mia intuizione.

   

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 
Vai alla Home Page del blog

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963