Creato da: LaChambreDesAmis il 15/07/2006
Riflessioni sull'amicizia e l'amore... e non più solo

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Il Convegno: secondo giorno

Post n°42 pubblicato il 03 Aprile 2007 da LaChambreDesAmis

La seconda giornata di lavori si rivela, invariabilmente, la più impegnativa delle tre, sotto tutti i punti di vista, e si protrae fino a notte fonda; quest’anno, sono giunto in hotel alle nove circa del mattino e, eccezion fatta per una breve pausa pranzo, mi ci sono trattenuto fin quasi alle due e trenta di notte: l’ultimo incontro ha particolarmente suscitato l’interesse di tutti i convegnisti trattenutisi ed abbiamo proseguito finché sia stato possibile vincere il sonno, ben sapendo, se non ci fossimo costretti a tornare alle nostre stanze od a casa, presto non ne sarebbe più valsa la pena ed avremmo potuto trasferirci nuovamente nella sala più grande, per riunirci agli altri e portare a termine l’epica impresa!

Ogni anno, viviamo un’esperienza appassionante e molto gratificante interiormente, benché s’inauguri stanchissimi la nuova settimana: nonostante fuori la vita continui a scorrere freneticamente e, soprattutto sul lungomare, le auto sfreccino a grande velocità, dirette verso i locali notturni della costa, un ristretto numero di persone si riunisce in una piccola sala e l’impressione che traiamo è forse quella che non potremmo sentirci altrettanto bene in nessun altro luogo!

Quella piccola sala è un altro dei miei luoghi del cuore e vi sono molto legato: mi piace accomodarmi sulle poltroncine celesti e farlo a ridosso d’una delle vetrate che diano sulla strada, schermate da tende sufficientemente leggere da lasciar intravedere qualcosa; mi piacciono le pareti rivestite da pannelli di legno, che conferiscono all’ambiente un aspetto accogliente e caldo, e sentire il rumore dei miei passi attutito dalla moquette; sono molto gradevoli le luci soffuse, che predispongono ad un ascolto attento delle relazioni, contemporaneamente consentendo che, di tanto in tanto, ci si possa fugacemente abbandonare sottovoce alle chiacchiere coi vicini; credo anche gli altri sappiano che, difficilmente, torneremo ad incontrarci prima d’un anno, ma, quella sera, ognuno pensi di trovarsi esattamente ove possa sentirsi maggiormente a suo agio ed esprimere le proprie emozioni, senza temere che qualcuno reputi inopportuno od infantile ch’eventualmente ceda alla commozione: in quei momenti, ciascuno di noi rinuncia alle maschere che sia costretto ad indossare quotidianamente e scopre quanto sia bello potersi rapportare agli altri unicamente come persone che riconoscano le proprie fragilità e siano disposte ad aiutarsi reciprocamente.

Naturalmente, v’è chi riesce a farlo più facilmente di altri, ma l’importante è che provino tutti; per quel che mi riguardi, cerco di pormi all’ascolto delle esperienze di vita altrui nella maniera più rispettosa possibile, provando anch’io a consolare chi ancora soffra per la perdita d’una persona ch’abbia molto amato, non foss’altro perché conosco molto bene la sofferenza insita in ogni separazione ch’appaia ingiusta, insopportabilmente dolorosa e destinata a curvare perfino le spalle più forti col proprio peso!

La sola differenza tra me e gli altri, benché radicale, è rappresentata dal fatto gli allontanamenti che dilanino il mio cuore siano cagionati dall’insensibilità o la codardia dei vivi, mentre abbia sempre reagito molto bene alla morte in senso stretto: la considero un evento naturale, evidentemente inevitabile, più comprensibile di qualsiasi dolore che gli uomini infliggano a se stessi, allorché non trovino il coraggio di vivere la vita assecondando proprie inclinazioni ed aspirazioni.

Circondato da gente che piange i propri figli, finirei quasi col sentirmi a disagio esprimendo un dolore d’origine diversa, sia pure altrettanto vivido, se non fossi in grado di riconoscere pari dignità a quello di ciascun essere umano che continuamente si scontri coi propri limiti e la necessità di trascenderli.

Mi capita spesso di sentir ripetere la morte d’un figlio rappresenti una circostanza innaturale, tra quelle che possano maggiormente compromettere l’equilibrio psicologico d’un individuo, ma non condivido quest’opinione, che, a mio avviso, dipende da un’idea stereotipata della naturalità degli eventi, secondo la quale, occorrerebbe che i figli sopravvivessero ai genitori, o, ad esempio, si sposassero a propria volta e costituissero una nuova famiglia; ognuno di noi viene abituato a considerare ‘naturale’ ciò che piuttosto costituisca l’insieme delle tradizioni e dei valori tipici del gruppo d’appartenenza, donde un’estrema difficoltà d’adattamento, almeno da parte di moltissime persone, nei casi che non confermino regole arbitrariamente imposte!

Io non credo affatto ch’esista un ordine ‘naturale’ secondo il quale alcune morti potrebbero esser ritenute ‘giuste’, piuttosto che inconcepibili ed inconsolabili, anzi, ravviso un profondo ed insano egocentrismo in coloro che non riescano a riaversi da un lutto, dopo che sia trascorso un fisiologico lasso di tempo necessario alla sua elaborazione: ho l’impressione che queste persone non sappiano affrontare le difficoltà in cui s’imbattano nella vita e strumentalizzino il proprio dolore per ottenere che altri s’interessino a loro e soddisfino dei bisogni altrimenti destinati a tormentarli.

Non accetto di buon grado le critiche che mi vengano mosse allorché discuta questioni educative, o quello che sarebbe un modo valido per superare la prostrazione in casi analoghi, motivate unicamente dal fatto io non abbia figli e non possa capire cosa debbano provare dei genitori cui tocchi seppellirne uno: è vero, non ho figli e, quasi sicuramente, non ne avrò, nondimeno, continuo a credere i vincoli parentali non implichino necessariamente un’intensità maggiore dei sentimenti che possano legare delle persone, anzi, ancora una volta, quanti s’ostinino a volerlo credere pecchino di presunzione.

Confermo, quindi, la mia vicinanza emotiva a quei padri e quelle madri che soffrano per la perdita d’un figlio, ma ribadisco anche la mia convinzione che disperati tentativi di porsi in contatto con i propri cari tradiscano un’incapacità ad arrendersi all’inevitabilità di certi eventi e ad accettare l’idea i figli non appartengano ai genitori, ma unicamente a se stessi e rappresentino i soli artefici del proprio destino.

Sono profondamente convinto del fatto ciascuno di noi abbia una missione da compiere e sarebbe bello, nonché utopistico, se tutti se ne rammentassero sempre: ciascuno di noi imparerebbe a collaborare con chiunque altro affinché i rispettivi ideali e progetti si realizzassero, anziché incistare i propri atteggiamenti e comportamenti all’interno di situazioni conflittuali dure da risolvere, spesso foriere di guai ancora peggiori, quali la rescissione di legami importanti e, nei casi macroscopici, guerre sanguinose.

Stando così le cose, mi fa sempre molto piacere, quando le incontri da un anno all’altro, constatare alcune persone abbiano imparato a convivere col proprio dolore, poiché in ciò risiede il segreto della serenità: alcune ferite possono certamente rimarginarsi, ma non smetteranno mai di nuocere completamente, tuttavia, quanti riescano a rinvenire in famiglia, nei confronti degli amici, nel proprio lavoro o nell’impegno a favore del prossimo nuovi stimoli ad andare avanti, scoprono sia possibile superare quelle stesse difficoltà che, all’inizio, sembrassero insormontabili e ciò conferisca nuovamente un senso alla propria vita, oltre a costituire una maniera splendida per onorare la memoria di coloro che amassero ed un giorno potranno riabbracciare.

M’è capitato di conoscere mamme che non riuscivano ad indossare altri colori fuorché il nero, per poi rincontrarle, a distanza d’uno o due anni, visibilmente cambiate, nell’aspetto ed interiormente: un abito diversamente colorato, un nuovo accessorio, oppure, un inchiostro sgargiante ch’utilizzassero per prendere appunti denotavano indubitabilmente avessero ripreso a concepire la possibilità d’una vita serena e di non abdicare ai propri doveri nei riguardi degli altri figli, oltre a quello di prendersi cura di sé e del proprio spirito.

Per quel che mi riguardi, cerco sempre di rammentare per primo il vero amore richieda, anzitutto, d’essere porto disinteressatamente al nostro prossimo e per lo stesso motivo continuo a scrivere il mio diario: se non avessi cominciato a fissare virtualmente su carta i miei pensieri, non avrei potuto far altro ch’insistere col mio uomo perché ascoltasse i miei lamenti e si facesse carico della sofferenza cagionata dal suo allontanamento repentino e traumatico, mentre ho scelto di percorrere una via più impervia quanto utile; non ho rinnegato il mio dolore, né ho cercato d’allontanarlo gettandomi presto tra le braccia d’un altro, semmai, ho deciso d’accoglierlo come avrei fatto con un amico e di riflettere tutto il tempo che sarà necessario sulle ragioni che abbiano determinato la fine della nostra storia e potrebbero ancora farmelo amare e desiderare la sua felicità.

I veri amici non sono quelli con cui ci si trascini annoiati da un locale all’altro il Sabato sera, né quelli sempre pronti a consigliare per il meglio sulle scelte da compiere, inevitabilmente sulla base di personali e limitate esperienze: si tratta di quelle persone che ammettano francamente di non avere necessariamente alcuna soluzione da proporre per risolvere un problema altrui e che s’astengano dal giudicare quelle scelte che possano non condividere, pur non mancando di mostrare la spalla su cui potremo posare il capo per piangere lacrime a volte amarissime; allo stesso modo, ho compreso, quando un amore finisca, o debba essere interrotto, non serva a nulla indulgere nelle recriminazioni e voler vendicare l’orgoglio ferito: io spero ancora che lui torni a far parte della mia vita in un modo che possa star bene ad entrambi, ma, fino ad allora, ammesso pure che quel momento giunga, la cosa migliore che potrò fare, sarà sforzarmi di nutrire il mio animo col ricordo dei bei momenti che sia stato in grado di farmi vivere, essendogliene grato, riconoscendo, contemporaneamente, debba a lui, alle sue paure ed ipocrisia, alla sua umana debolezza, mal amalgamatasi alla mia, un’ulteriore occasione di crescita interiore.

Se penso ciò, riesco ad amarlo senza rammaricarmi della sua lontananza e del fatto la sua bocca non baci mai le mie labbra: certe volte, mi basta accoccolarmi sul letto ed immaginare di poter posare la schiena sul suo torso possente, anziché i cuscini, per riconciliarmi con lui ed augurargli una dolce notte, senza esigere altro che continuare a cullarne il nome tra i pensieri; non mi comporto come quelle amanti ch’esigano qualcosa in cambio del loro affetto e quando non l’ottengano brontolino insopportabilmente: mi sono del tutto fatto da parte e accetto serenamente la possibilità che torni ad essere mio o mi respinga per sempre.

In entrambi i casi, il mio amore è per lui, ma n’avanza per chiunque altro desideri ch’io ne riversi; a volte, può sembrare che conduca infelicemente la mia vita, mentre ho solo appreso ad amare in maniera meno opportunistica il mio prossimo, perfino coloro dai quali m’attenda che provino a pugnalarmi alle spalle e debba rendere inoffensivi!

Ho imparato ad amare perfino la mia solitudine: è il prezzo, apparentemente altissimo, che debba pagare per aver scelto d’improntare alla maggiore autenticità possibile qualsiasi mia interazione col mondo, consapevole del fatto alla gran parte degli individui ciò non interessi e siano disposti a barattarla col prestigio sociale, il denaro, ogni sorta di frivolezza!

Per quanto possa sembrare paradossale, sono solo, ma non mi sento così: conduco la mia esistenza secondo dei precetti stabiliti autonomamente, ma che non ledono i diritti di nessuno; nutro il mio spirito con tante letture, l’ascolto di buona musica e le opere di bene; quando decida d’uscire la sera, non avviene mai perché mi senta annoiato od abbia bisogno di vivere esperienze estreme per illudermi di non sprecarla: evidentemente, m’è tornata voglia d’incontrare quelle poche persone che riescano davvero a farmi sentir bene e con le quali so che non ci ridurremo a commentare sprezzantemente quanto accaduto nelle ultime puntate del reality di turno; amo queste persone intensamente, nonostante sappia che potrei farne a meno, esattamente come ho scelto di non conoscere i commenti dei lettori delle mie vicende: mi basta sapere che leggere qualcosa ch’io scriva potrebbe far loro del bene, anche se non dovessero mai confessarmelo!

 
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