Ecco, mi son svegliato nel cuore della notte. Ho cercato di afferrare l'orologio sul comodino per vedere l'ora ma l'orologio non era lì.
Un cane abbaiava lontano, chissà dove, chissà per quale motivo. Mi sono alzato in piedi ed ho spiato dalla finestra tra due stecche della tapparella: sulla parte posteriore di un furgone parcheggiato in strada cadeva la luce arancione di un lampione e nel fascio di luce c'era l' inconfondibile cadere della pioggia. Tante gocce minute e pazienti.
Mi sono coricato di nuovo senza sapere l'ora, l'illusione di sgusciare dalle grinfie del tempo; faceva freddo, nonostante il piumone. Ho cominciato così a pensare a quella volta che ero seduto in un bar ad aspettare un mio amico.
Seduto ad un tavolino da solo guardavo la pioggia che cadeva fuori in gocce minute e pazienti sulle cose e sulle persone. Non so perché questo ricordo. Forse lo stesso tipo di pioggia in due momenti così diversi.
Mi giravo nel letto cercando di ricordare altri dettagli, cercando di ricordare se l'amico fosse alla fine arrivato oppure no: non avevo più sonno e quindi cercavo di ricordare, cercavo di immaginare l'interno di quel bar, la faccia del barista e che cosa mai avessi bevuto.
Poi non riuscendo a venire a capo di nulla, ho cominciato a pensare al fatto che quell'amico avrei voluto incontrarlo di nuovo. Tante cose da dirgli a quell'ora della notte evidentemente, tante cose chiare in testa da chiedergli.
Ho pensato che il mattino successivo l'avrei contattato, forse avremmo risolto insieme l'enigma del bar, forse no, comunque avremmo parlato.
Il mattino successivo non ho fatto nulla: ah, i buoni propositi suggeriti da una lucida insonnia, da una pioggia minuta e da un cane che abbaia di continuo...
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il 17/04/2010 alle 01:19
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